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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

SHARPSTON

presentate il 25 ottobre 2007 1(1)

Causa C-132/06

Commissione delle Comunità europee

contro

Italia

«Condono IVA – Immunità dagli accertamenti – Nesso tra somme dovute e somme riscosse – Compatibilità con la sesta direttiva»





1.        La Commissione chiede di dichiarare che la Repubblica italiana, prevedendo in maniera espressa e generale la rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, ha violato gli obblighi ad essa imposti dalla sesta direttiva IVA (2) e dall’art. 10 CE.

2.        Le disposizioni nazionali in questione prevedono un condono fiscale nell’ambito del quale, qualora vengano presentate determinate dichiarazioni e siano immediatamente pagate determinate somme, l’omesso riconoscimento di importi relativi a vari tributi nel corso degli esercizi d’imposta compresi tra il 1998 (o talora il 1997) e il 2001 non sarà perseguito o sottoposto ad accertamento (3).

3.        La Commissione asserisce che, nei limiti in cui riguarda l’IVA, il condono contravviene alle prescrizioni dell’art. 2 della sesta direttiva, che prevede la tassazione delle operazioni, e dell’art. 22, diretto a imporre vari obblighi in merito alla dichiarazione e al pagamento dell’IVA.

4.        L’Italia sostiene che l’effetto del condono non è una rinuncia generale e indiscriminata ad ogni attività di verifica, che solo una parte limitata dei contribuenti IVA se ne è avvalsa, che è stato estremamemente produttivo in termini di tributi recuperati, e che quindi si è verificato uno sfruttamento razionale di risorse limitate, ricompreso nella discrezionalità necessariamente concessa agli Stati membri.

 Normativa comunitaria

5.        L’art. 10 CE impone agli Stati membri un obbligo generale di «adotta[re] tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità», di «facilita[re] quest’ultima nell’adempimento dei propri compiti» e di «asten[ersi] da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato».

6.        L’art. 2 della sesta direttiva ha il seguente tenore:

«Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto:

1.      le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2.      le importazioni di beni» (4).

7.        L’originario art. 22 della sesta direttiva è stato sostituito da una delle cosiddette «disposizioni transitorie» in seno al titolo XVI, e il testo applicabile si trova all’art. 28 nonies, è intitolato «Obblighi in regime interno» e costituisce l’articolo più lungo della direttiva (5).

8.        Riguardo al preteso inadempimento nella presente fattispecie, la Commissione menziona, in primo luogo, tre disposizioni della norma in questione, in particolare i nn. 4, 5 e 8:

«4.   (a)   Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. (…)

(…)

5.     Ogni soggetto passivo deve pagare l’importo netto dell’imposta sul valore aggiunto al momento della presentazione della dichiarazione periodica. (…)

(…)

8.     Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire (…) altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi (…)» (6).

9.        La Commissione richiama quindi l’attenzione su un novero di altri obblighi imposti a carico dei soggetti passivi dall’art. 22:

–        dichiarare ogni inizio, cambiamento o cessazione della propria attività in qualità di soggetto passivo [n. 1, lett. a) (7)];

–        tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’IVA ed i relativi controlli da parte dell’amministrazione fiscale [n. 2, lett. a) (8)];

–        depositare un elenco riassuntivo di transazioni intracomunitarie [n. 6, lett. b) (9)].

10.      Infine, la Commissione fa riferimento ad altre disposizioni dell’art. 22 che impongono obblighi agli Stati membri:

–        l’obbligo di identificare i soggetti passivi tramite un numero individuale [n. 1, lett. c), d) ed e) (10)];

–        quello di adottare le misure necessarie per far sì che le persone che non sono soggetti passivi e sono debitrici dell’imposta assolvano gli obblighi di dichiarazione e pagamento previsti a carico dei soggetti passivi (nn. 7, 10 e 11 (11)).

 Normativa nazionale

11.      La Commissione contesta gli artt. 8 e 9 della legge finanziaria italiana del 2003 (12). Tali disposizioni consentono ai soggetti passivi che non abbiano presentato dichiarazioni complete di sottoporre dichiarazioni integrative e di effettuare un pagamento che possa sollevarli da ulteriori obblighi tributari con riferimento al periodo interessato, in particolare agli esercizi d’imposta compresi tra il 1998 (o, in alcune circostanze, il 1997) e il 2001 incluso. Le norme in questione ricomprendono una serie di imposte, ma il ricorso della Commissione riguarda solo l’IVA, e la sintesi presentata infra delle disposizioni rilevanti è limitata alla situazione relativa a tale tributo.

 Art. 8

12.      L’art. 8 consente di «regolarizzare» le dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentate prima del 31 ottobre 2002. Sono previste due varianti della procedura, disciplinate rispettivamente ai nn. 3 e 4.

13.      Ai sensi dell’art. 8, comma 3, la regolarizzazione include la presentazione di una dichiarazione integrativa per ciascuno degli esercizi d’imposta interessati e il pagamento dei maggiori importi dovuti conformemente alle disposizioni vigenti in ciascun periodo d’imposta. In talune circostanze, allorché lo stesso acquirente sia debitore di un’imposta a monte ma ometta di provvedere alla relativa dichiarazione, essa riguarda solo l’IVA non detraibile. La dichiarazione integrativa è valida esclusivamente se in essa sono indicati maggiori importi dovuti pari almeno a EUR 300 per ciascun periodo di imposta. I pagamenti possono essere effettuati in due rate di pari importo qualora eccedano EUR 3 000 per le persone fisiche o EUR 6 000 per gli altri.

14.      Non è possibile avvalersi dell’art. 8, comma 4, qualora il soggetto passivo abbia omesso di presentare le dichiarazioni relative a tutti i periodi d’imposta in questione. I soggetti ammessi a invocare tale norma possono presentare le dichiarazioni e procedere ai pagamenti mediante taluni organismi convenzionati. Gli importi dovuti possono essere corrisposti in forma di rate mensili ma sono maggiorati di interessi. La procedura è riservata nel senso che non viene stabilito alcun nesso tra gli specifici importi dovuti e i contribuenti che siano persone fisiche.

15.      Ai sensi dell’art. 8, comma 6, se è stata applicata la procedura ex art. 8, commi 3 o 4, nel limite del doppio dell’importo dell’IVA dovuta in forza della dichiarazione integrativa, viene prevista (a) la preclusione, per il soggetto passivo e i soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario, (b) l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie che possano essere state inflitte, (c) l’esclusione a ogni effetto della punibilità per alcune ipotesi di evasione fiscale (sebbene tale esclusione non si estenda ai procedimenti in corso). L’art. 8, comma 6, bis, conferma che gli accertamenti tributari possono comunque essere condotti in relazione alle eccedenze rispetto agli importi specificati all’art. 8, comma 6.

16.      L’art. 8, comma 9, consente a chi ha presentato la dichiarazione riservata ai sensi dell’art. 8, comma 4, di sottrarsi a ogni accertamento tranne che a quello relativo alla congruità della dichiarazione integrativa.

17.      L’art. 8, comma 10, esclude l’applicazione dell’intero articolo in casi in cui, alla data di entrata in vigore della legge, (a) sia stato già emesso l’avviso di accertamento, o (b) siano state già esercitate azioni penali per evasione fiscale, riguardo a uno specifico esercizio d’imposta. Tuttavia, in alcuni casi, è possibile dare esecuzione a un previo accertamento e avvalersi della procedura ai sensi dell’art. 8 per quanto riguarda altri periodi.

18.      Ai sensi dell’art. 8, comma 12, la presentazione di una dichiarazione integrativa non può costituire notizia di reato.

 Art. 9

19.      L’art. 9 riguarda la «definizione automatica» per gli anni pregressi (13). I contribuenti che chiedono la definizione in parola sono tenuti a presentare dichiarazioni per tutti i periodi d’imposta relativamente ai quali i termini di presentazione sono scaduti il 31 ottobre 2002.

20.      In forza dell’art. 9, comma 2, lett. b), la definizione automatica comporta il versamento, con riferimento a ciascun esercizio di imposta, di un importo pari alla somma del 2% dell’IVA a valle a carico dei contribuenti e del 2% dell’IVA pagata a monte detratta nel corso di quell’esercizio. Tale percentuale si riduce all’1,5% per un’imposta a valle o un’imposta assolta a monte che superi EUR 200 000 e all’1% per importi superiori a EUR 300 000 e, qualora l’applicazione della disposizione implichi versamenti di eccedenze pari a EUR 11 600 000, la parte superiore a tale importo è ridotta dell’80%. L’art. 9, comma 6, fissa tuttavia un importo minimo per ogni periodo d’imposta pari a EUR 500 se il volume d’affari non supera EUR 50 000, EUR 600 se è compreso tra EUR 50 000 e EUR 180 000, e EUR 700 qualora sia superiore a EUR 180 000.

21.      Nel caso di omessa presentazione delle dichiarazioni relative a determinate annualità, l’art. 9, comma 8, impone, riguardo a ciascuna di queste ultime, un versamento forfetario pari a EUR 1 500 per le persone fisiche e a EUR 3 000 per le società e le associazioni.

22.      Ai sensi dell’art. 9, comma 9, la definizione automatica preclude ulteriori detrazioni o rimborsi non richiesti precedentemente dal soggetto passivo. Tuttavia essa non preclude determinate verifiche, in particolare quelle relative alla congruità tra le dichiarazioni presentate e gli importi versati, e a precedenti richieste di rimborso dell’IVA.

23.      L’art. 9, comma 10, coincide interamente con l’art. 8, comma 6. Se è stata applicata la procedura ex art. 9, viene prevista (a) la preclusione, per il soggetto passivo e i soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario, (b) l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie che possano essere state inflitte, (c) l’esclusione a ogni effetto della punibilità per alcune ipotesi di evasione fiscale (sebbene l’esclusione non si estenda ai procedimenti in corso). A differenza dell’art. 8, comma 6, tuttavia, quelle immunità non sono soggette ad alcun tetto massimo fondato sull’importo della maggiorazione dell’IVA successivamente versata o dichiarata.

24.      L’art. 9, comma 12, ammette versamenti in due rate di pari importo qualora l’importo da corrispondere sia superiore a EUR 3 000 per le persone fisiche o a EUR 6 000 per gli altri.

25.      L’art. 9, comma 13, coincide interamente con l’art. 8, comma 9. Chi ha presentato la dichiarazione riservata può eludere ogni accertamento tranne che a quello relativo alla congruità della dichiarazione integrativa.

26.      L’art. 9, comma 14, corrisponde in modo speculare all’art. 8, comma 10. Esclude l’applicazione dell’intero articolo in casi in cui, alla data di entrata in vigore della legge, (a) sia stato già emesso l’avviso di accertamento, o (b) siano state già esercitate azioni penali per evasione fiscale, riguardo a uno specifico esercizio d’imposta. Tuttavia, prevede un’altra ipotesi d’inapplicabilità allorché (c) il contribuente abbia omesso la presentazione di tutte le dichiarazioni relative a tutti i periodi d’imposta.

27.      L’art. 9, comma 15, limita le preclusioni di cui all’art. 9, comma 14, lett. a) e b), ai periodi d’imposta ai quali si riferiscono. Prevede che la definizione automatica non si perfeziona se essa si fonda su dati non corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione originariamente presentata. Infine, esclude qualsiasi rimborso di importi già versati, che valgono quali acconti sulle imposte dovute.

 Procedimento precontenzioso

28.      Ritenendo le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 della legge finanziaria del 2003 incompatibili con gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva, la Commissione indirizzava all’Italia, ai sensi dell’art. 226 CE, una lettera di diffida datata 19 dicembre 2003. L’Italia replicava il 30 marzo 2004, negando ogni incompatibilità. La Commissione, ritenendosi insoddisfatta, inviava un parere motivato in data 13 ottobre 2004, ingiungendo all’Italia di conformarvisi entro due mesi. L’Italia replicava il 31 gennaio 2005, persistendo nel negare ogni incompatibilità. L’8 marzo 2006 la Commissione proponeva il presente ricorso.

 Sulla declaratoria richiesta

29.      La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, prevedendo in modo espresso e generale, agli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003) la rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta, la Repubblica italiana ha violato gli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 2 e 22 della sesta direttiva, in combinato disposto con l’art. 10 CE. Essa chiede inoltre che l’Italia sia condannata alle spese.

30.      Quest’ultima sostiene che il ricorso dovrebbe essere respinto e la Commissione condannata alle spese.

 Valutazione

 Ricevibilità

31.      L’Italia sostiene che la Commissione ha introdotto una nuova censura nel parere motivato, relativa alla violazione del principio di neutralità fiscale dell’IVA e alla distorsione della concorrenza causata dalle disposizioni controverse. La Commissione replica di aver semplicemente ricordato, in risposta agli argomenti dell’Italia, la giurisprudenza della Corte in materia, che risulta utile in fase di valutazione della addotta violazione degli artt. 2 e 22 della sesta direttiva.

32.      Dal momento che la Commissione non chiede si dichiari che le disposizioni italiane violano specificamente il principio di neutralità o comportano una distorsione della concorrenza, la sua posizione sembra ragionevole. Ritengo pertanto che non sussista alcun ostacolo alla ricevibilità del ricorso.

 Nel merito

33.      Le questioni interconnesse dibattute tra le parti nella fattispecie in esame sono numerose e propongo di affrontarle secondo l’ordine seguente: (i) la natura e la portata degli obblighi imposti agli Stati membri dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva, con particolare riguardo alla supervisione e al controllo dell’osservanza degli obblighi a carico dei contribuenti; (ii) la concreta incidenza delle controverse disposizioni sul condono, analizzate nella prospettiva di tali obblighi; (iii) il significato a tale proposito delle varie limitazioni della disciplina sul condono; e (iv) l’efficacia relativa delle disposizioni sul condono, in particolare in termini di uso delle risorse paragonato agli importi recuperati, il margine di discrezionalità a disposizione degli Stati nella gestione dell’IVA, e i limiti entro i quali le disposizioni sul condono rientrano all’interno di tale margine.

34.      Pur essendo possible – e interessante – esplorare una serie di altre questioni più generali relative alla legittimità e/o opportunità di condoni IVA, alcune delle quali sono state sfiorate nell’ambito del dibattimento, non ritengo che sarebbe utile per la Corte affrontare in dettaglio tali problematiche generali al fine di decidere se le specifiche disposizioni alle quali si oppone la Commissione siano conformi alla sesta direttiva. Pertanto, limiterò la mia analisi essenzialmente a quegli aspetti che riguardano la declaratoria richiesta, facendo riferimento alle tematiche più ampie solo a titolo di considerazioni di sfondo.

 Obblighi imposti dalla sesta direttiva

35.      Condivido la presentazione, effettuata dalla Commissione, degli obblighi imposti dalla sesta direttiva sia ai contribuenti persone fisiche che agli Stati membri. Di fatto, anche l’Italia sembra accettare gli elementi essenziali di quella presentazione, sebbene sostenga che spetta agli Stati membri specificare le modalità di applicazione e di riscossione. La posizione della Commissione può essere riassunta e riformulata come segue.

36.      Dai ‘considerando’ della sesta direttiva emerge chiaramente che le risorse proprie delle Comunità «comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’imposta sul valore aggiunto e ottenute mediante applicazione di un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie» (14); che «è opportuno (…) garantire la neutralità del sistema comune di imposte sulla cifra d’affari in ordine all’origine dei beni e delle prestazioni di servizi, onde realizzare a termine un mercato comune che implichi una sana concorrenza e presenti caratteristiche analoghe a quelle di un vero mercato interno» (15); e che «gli obblighi dei contribuenti debbono essere, per quanto possibile, armonizzati, per assicurare le garanzie necessarie a una riscossione equivalente dell’imposta in tutti gli Stati membri» (16).

37.      La Corte ha inoltre dichiarato che la sesta direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale, che è inerente al sistema comune di IVA (17), il quale principio si oppone a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni siano trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA (18).

38.      Gli specifici obblighi imposti dall’art. 22 della sesta direttiva sono finalizzati a garantire che le autorità nazionali dispongano di tutte le informazioni necessarie per garantire la riscossione dell’IVA ed il suo controllo da parte dell’amministrazione tributaria (19). Tali obblighi costituiscono il corollario del principio previsto all’art. 2 secondo il quale (in mancanza di una specifica esenzione) tutte le operazioni rientranti nel suo ambito di applicazione devono essere soggette a imposta. Tale principio costituisce una regola generale alla quale nessuno Stato membro può derogare unilateralmente (20). Sebbene ai sensi dell’art. 27 della sesta direttiva (21) uno Stato membro possa richiedere al Consiglio l’autorizzazione a derogare alle disposizioni della direttiva «allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali», ogni semplificazione di questo tipo si fonda sul presupposto che «[non debba] influire (…) sull’importo complessivo delle entrate fiscali dello Stato membro» (ed è pacifico che, in ogni caso, l’Italia non ha chiesto alcuna autorizzazione nel caso di specie).

39.      Ogni Stato membro è pertanto tenuto ad adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente percepita nel suo territorio esattamente come si verifica in altri Stati membri. Sebbene l’obbligo in questione non sia formulato in modo espresso nella sesta direttiva, deve essere necessariamente dedotto dalla misura in parola complessivamente considerata, dall’art. 10 CE e dalla giurisprudenza della Corte (22). E, mentre l’armonizzazione non è totale ed alcuni aspetti di natura amministrativa per necessità vengono demandati alla competenza degli Stati membri, gli obblighi ai sensi dell’art. 22 della sesta direttiva implicano una dettagliata armonizzazione a livello legislativo.

40.      In virtù di tale armonizzazione, gli Stati membri sono responsabili per quanto riguarda il controllo delle dichiarazioni fiscali, della contabilità e di altri documenti utili, nonché per il calcolo e la riscossione dell’imposta dovuta. Essi godono di un certo margine di discrezionalità relativamente a come dispiegare le risorse a loro disposizione nel modo più efficace ed equo in sede di applicazione dell’imposta, quanto meno caso per caso, ma tale margine è limitato in ogni caso dall’esigenza di garantire che

–        le risorse proprie della Comunità siano effettivamente riscosse, e

–        non esistano rilevanti diversità quanto al trattamento dei soggetti passivi né all’interno di un singolo Stato membro né fra Stati membri.

41.      L’Italia non contesta che agli Stati membri sia imposto di sorvegliare e valutare, nei limiti delle risorse a loro disposizione, il rispetto della normativa in materia di IVA da parte dei soggetti passivi. Contesta tuttavia che le disposizioni controverse eccedano il legittimo margine di discrezionalità accordato agli Stati membri nell’esercizio di tali funzioni.

42.      Di conseguenza, occorre esaminare preliminarmente la concreta incidenza di tali disposizioni.

 Effetti delle disposizioni controverse

43.      La Commissione sostiene che le disposizioni controverse fanno subentrare ai normali rapporti giuridici connessi al debito IVA nuovi rapporti che estinguono definitivamente tale debito, sostituendolo con un diverso obbligo di corrispondere importi del tutto scollegati da quelli che avrebbero dovuto essere accertati e versati in forza dell’ordinaria normativa in materia di IVA. Essa descrive il condono come una rinuncia «generale, indiscriminata e preventiva» al diritto di accertamento e verifica, laddove ai sensi della direttiva ogni accordo di condono raggiunto con i contribuenti dovrebbe essere deciso caso per caso. Inoltre, si verifica una grave alterazione del principio di neutralità dell’IVA e di parità di trattamento tra soggetti passivi.

44.      Si deve riconoscere che le disposizioni sono complesse e che le parti nel corso del dibattimento non sono risultate concordi in merito ai loro concreti effetti. Tuttavia, alla luce delle loro risposte alle richieste di più precise informazioni formulate dalla Corte, ritengo che tali effetti possano essere sintetizzati come segue.

45.      Se un soggetto passivo non ha presentato alcuna dichiarazione IVA per nessuno dei periodi di imposta in questione, non può beneficiare del condono ai sensi degli artt. 8, comma 4, o 9. Tuttavia, può usufruire delle disposizioni sul condono previste all’art. 8 o all’art. 9 qualora abbia (a) presentato (complete o incomplete) dichiarazioni per alcuni dei periodi di imposta in parola ma nessuna relativa agli altri anni, o (b) presentato dichiarazioni per tutti i periodi di imposta in questione, ma alcune o tutte queste dichiarazioni siano incomplete o inesatte.

46.      Quando, con riferimento a uno specifico periodo d’imposta, un soggetto passivo presenta una dichiarazione integrativa ai sensi della procedura di cui all’art. 8, che reca un maggiore importo a titolo di valore aggiunto tassabile (differenza tra operazioni tassate a monte e operazioni tassabili a valle) rispetto a quello originariamente dichiarato, egli (a) deve corrispondere un importo pari all’IVA dovuta sul maggiore importo (non inferiore a EUR 300) e (b) beneficia di un’immunità da ogni ulteriore accertamento della sua imposta a valle per quell’anno, fino a un limite equivalente al doppio dell’importo della maggiore IVA versata in quel momento.

47.      La procedura di cui all’art. 9 determina risultati differenti a seconda che originariamente sia stata o meno presentata una dichiarazione, nonché a seconda dell’importo dell’IVA a monte detratta. Comunque, deve essere effettuato un pagamento con riferimento a ciascuno degli anni interessati (indipendentemente dal fatto che sia stata o meno presentata una dichiarazione per quell’anno e che tale dichiarazione fosse o meno corretta), e non sono possibili ulteriori detrazioni. Per quanto riguarda quegli anni relativamente ai quali è stata presentata una dichiarazione, l’importo da versare è pari a una percentuale compresa tra l’1 e il 2% dell’IVA a monte inizialmente detratta più una percentuale compresa tra l’1 e il 2% dell’IVA a valle inizialmente dichiarata per l’anno (23), fermo restando un versamento minimo di EUR 500, 600 o 700, in funzione dell’ammontare del volume d’affari del caso. Nel caso di iniziale omessa presentazione delle dichiarazioni, per ciascuna annualità deve essere versato un importo forfettario pari a EUR 1 500 per le persone fisiche e a EUR 3 000 per le società, indipendentemente dall’effettivo ammontare della dichiarazione in cui l’IVA risulta sottostimata o della omessa dichiarazione.

48.      A tale titolo, un soggetto passivo che si avvale della procedura prevista all’art. 8 verserà un importo pari all’intera IVA dovuta sul valore aggiunto precedentemente non dichiarato, ma dichiarato in quel momento, e ciò tuttavia soltanto riguardo ad anni per i quali non aveva presentato una dichiarazione completa e corretta. Il soggetto passivo peraltro è in tal modo tutelato da ogni ulteriore accertamento per somme dovute fino al doppio del menzionato importo. Sembra pertanto improbabile che, de facto, tale soggetto dichiarerà più della metà del suo valore aggiunto precedentemente non dichiarato. Le autorità fiscali recupereranno allora fino alla metà dell’imposta effettivamente dovuta, rinunciando a qualunque possibilità di recuperare l’altra metà.

49.      Un soggetto passivo che ricorre alla procedura ai sensi dell’art. 9 deve effettuare un pagamento per ogni anno compreso nel periodo interessato, a prescindere dal fatto che per quell’anno sia stata o meno originariamente predisposta una dichiarazione corretta. Qualora sia stata predisposta una dichiarazione (esatta o inesatta), si procede al pagamento di una piccola percentuale (fino al 2%) dell’importo dell’imposta a monte e a valle inizialmente dichiarate; se non è stata predisposta alcuna dichiarazione, occorre versare un importo forfettario pari a EUR 1 500 o a EUR 3 000, indipendentemente dall’importo dell’IVA non dichiarata. In entrambi i casi, è precluso ogni ulteriore accertamento a carico del soggetto passivo.

50.      Quando un soggetto passivo ha la facoltà di scegliere tra le due procedure (e intende utilizzare una o l’altra delle stesse), è ragionevole supporre che opterà per quella che gli risulta meno onerosa. Qualora la portata della dichiarazione in cui l’IVA è stata sottostimata o della omessa dichiarazione sia limitata (e quindi è forse più probabile che sia da imputarsi a un errore in buona fede), la procedura ai sensi dell’art. 8 risulta vantaggiosa, in quanto prevede la preclusione di un’ulteriore attività di investigazione a fronte del pagamento di metà dell’importo dell’IVA dovuta. Qualora tale portata sia più estesa (e pertanto probabilmente dovuta a frode intenzionale), la procedura ex art. 9 prevede la preclusione della punibilità a fronte del pagamento di un importo equivalente ad una percentuale inferiore (e, in casi estremi, piccolissima (24)) dell’imposta dovuta ma non versata.

51.      La Commissione sottolinea che ai sensi dell’art. 9 qualunque soggetto passivo può eliminare ogni rischio di verifica o accertamento per quanto riguarda una serie di periodi di imposta, a fronte di un pagamento di un importo del tutto scollegato dall’importo dell’IVA di regola dovuta nella misura del 20%. Anche il condono disciplinato all’art. 8 tutela i soggetti passivi da ulteriori verifiche o da nuovi accertamenti, quantunque in cambio di un versamento di maggiore entità. Una tale completa rinuncia da parte delle autorità fiscali ai loro poteri di verifica altera seriamente, dal punto di vista della Commissione, la neutralità del sistema comune dell’IVA. Soggetti passivi diversi sono trattati in modo molto diverso sotto il profilo di operazioni analoghe, e tale situazione a sua volta pregiudica la sana concorrenza.

52.      Anche in questo caso, posso solo concordare con la Commissione sul fatto che una struttura normativa ai sensi della quale operatori economici onesti e diligenti versano l’IVA integralmente mentre operatori disonesti o negligenti possono eludere ogni ulteriore controllo in cambio di un pagamento, al massimo, della metà, e se possibile molto meno, dell’IVA effettivamente dovuta non è conforme agli obblighi imposti agli Stati membri, in particolare, dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva. Più precisamente, la procedura di condono ai sensi dell’art. 9 della legge finanziaria per il 2003 trascura del tutto la disciplina ben definita di cui all’art. 22 della sesta direttiva, menzionata dalla Commissione (25), in quanto non comporta che si dichiarino operazioni effettivamente poste in essere e gli importi dovuti sono del tutto slegati dall’imposta che avrebbe dovuto essere versata a fronte di tali operazioni. E, come la Commissione a ragione sottolinea, il condono è del tutto indiscriminato dal momento che non opera alcuna distinzione tra una sottovalutazione dell’IVA occasionale e una regolare, tra piccoli importi e importi consistenti o tra negligenza e dolo.

53.      Tuttavia, la difesa dell’Italia fa leva sostanzialmente sul fatto che si può far ricorso al condono solo entro determinati limiti e che esso costituisce una misura effettiva, che rientra nel margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri, finalizzata a garantire il recupero di somme che altrimenti le autorità fiscali dovrebbero considerare perse. È necessario pertanto esaminare tali aspetti prima di adottare una conclusione definitiva.

 Limiti alle disposizioni sul condono

54.      La Commissione descrive il contestato condono come una rinuncia generale e indiscriminata al diritto di procedere ad accertamento e verifica, mentre il governo italiano richiama l’attenzione su una serie di limiti alla possibilità di far ricorso alle disposizioni sul condono. Tali limiti, a suo giudizio, sono rilevanti e indicano che il condono non può essere descritto come generale o indiscriminato.

55.      In primo luogo non possono beneficiare del condono i soggetti passivi che hanno omesso di presentare inizialmentele dichiarazioni IVA relative a tutti i periodi d’imposta interessati (26). Tale situazione, replica la Commissione, è per sua natura del tutto marginale.

56.      Si può in verità sperare che tale situazione non sia comune, e l’Italia non ne ha contestato la descrizione come «marginale». Di fatto, tutte le imprese di apprezzabili dimensioni, anche qualora intendano frodare le autorità fiscali, possono benissimo presentare dichiarazioni prima facie plausibili al fine di non destare l’attenzione. Per contro, tuttavia, una completa mancanza di dichiarazioni può essere più comune nella cerchia dei piccoli operatori che sperano di non essere scoperti in ogni caso, o che reputano che l’evasione sia giustificata da una sorta di regola morale de minimis (27). Inoltre, è probabile che molte attività illecite non vengano affatto dichiarate ai fini IVA, anche qualora in linea di principio siano assoggettate all’imposta (28).

57.      Non sono pertanto convinta che l’esclusione sia globalmente marginale. Per quanto riguarda l’economia emersa, essa lo è senza dubbio, semplicemente in quanto chiunque gestisce alla luce del sole attività imprenditoriali soggette a tassazione sentirà l’esigenza di dichiararle almeno in una misura sufficiente a evitare fastidiosi controlli e, per il fatto di aver proceduto in questo modo, non gli sarà precluso il condono. Ma tale ragionamento non corrisponde al vero per l’economia sommersa, che è stata stimata pari a oltre il 26% del PIL in Italia (29).

58.      D’altra parte, un (ipotetico) soggetto passivo che aspiri a sottrarsi del tutto all’avviso di accertamento delle autorità fiscali probabilmente è meno interessato alla tutela rappresentata da un condono di quanto non sia chi risulti già noto a tali autorità ma abbia celato a queste ultime determinate informazioni. È altresì meno probabile che venga sottoposto a verifica contabile da parte delle autorità in questione, in particolare qualora le loro risorse siano limitate, come argomentato dal governo italiano.

59.      Tutto sommato, pertanto, mi appare assai dubbio che l’esclusione di soggetti passivi che hanno omesso di presentare dichiarazioni per tutti i periodi d’imposta interessati possa avere una rilevante incidenza sul numero di coloro che beneficiano o chiedono di beneficiare del condono.

60.      In secondo luogo, il governo italiano sostiene che non si può usufruire del condono quando le irregolarità sono già emerse (30). La Commissione replica che l’esclusione non è assoluta, dal momento che in alcuni casi può essere utilizzata un’altra procedura di definizione ai sensi degli artt. 15 e 16 della legge n. 289/2002 al fine di concludere le procedure amministrative di accertamento e consentire nuovamente di accedere al condono, ma il governo italiano replica a sua volta che l’accordo in questione riguarda esclusivamente chi sia coinvolto in procedimenti non ancora passati in giudicato.

61.      Dal testo degli artt. 15 e 16, fornito dall’Italia nella sua controreplica, emerge che le procedure di accertamento relativamente alle quali non vi sia ancora stata una pronuncia definitiva possono essere definite con il pagamento di un importo pari almeno a EUR 150 e non superiore al 50% dell’importo dell’imposta richiesta, e dagli artt. 8, comma 10, e 9, comma 14, si evince che, una volta che tale pagamento sia stato effettuato entro i termini prescritti, il soggetto passivo può usufruire del condono ai sensi dell’art. 8 o dell’art. 9.

62.      Di conseguenza, l’esclusione invocata dal governo italiano è di portata limitata. Mi pare ovvio che un condono fiscale diretto a sollecitare contributi volontari in luogo dell’imposta che di regola sarebbe stata dovuta, ma che si considera di difficile riscossione ricorrendo ad altre modalità, non dovrebbe potersi estendere fino alla riapertura, a favore dei soggetto passivo, di procedure che sono state già concluse con favore del fisco. Tuttavia, soggetti passivi che siano parti di un giudizio pendente possono beneficiare del condono versando una parte dell’importo in questione nell’ambito di tale giudizio oltre alla somma richiesta in forza della procedura di condono. Il condono continuerà a costituire un’attrattiva per questi ultimi se equivale alla possibilità di beneficiare dell’immunità con il pagamento di un importo globalmente inferiore a quello che avrebbero dovuto probabilmente versare qualora fossero risultati soccombenti in sede giudiziale. Tuttavia, il corollario è che l’autorità fiscale recupererà un importo inferiore a quello che si sarebbe altrimenti potuto recuperare, avendo rinunciato a ogni ulteriore verifica.

63.      In terzo luogo, il governo italiano sottolinea che (31) gli importi versati sulla base del condono possono essere raffrontati con i dati contenuti nelle dichiarazioni presentate e che, qualora siano già state formulate richieste di rimborso, l’adesione alla procedura di condono non preclude eventuali verifiche della legittimità di tali richieste.

64.      Come la Commissione ha correttamente evidenziato, la prima di tali verifiche è puramente formale e dipende interamente dall’esattezza delle dichiarazioni presentate, aspetto che di per sé è escluso da verifiche grazie alla procedura di condono.

65.      Il secondo tipo di verifica riguarda richieste di rimborso dell’IVA, vale a dire situazioni in cui l’imposta a monte è superiore all’imposta a valle cosicché la differenza tra le due è più favorevole al soggetto passivo che al fisco. Il governo italiano sostiene che in tali casi, indipendentemente dal condono, la verifica può essere estesa al fornitore che ha emesso le fatture indicanti l’IVA a monte e che in ogni caso è tenuto a versare l’imposta per il fatto di aver emesso la fattura (32).

66.      Mi sembra che tale esclusione dell’immunità possa essere ritenuta ancora una volta marginale. Un operatore economico che abbia presentato richiesta di rimborso IVA cui non aveva diritto avrà agito in tal senso con o senza la collusione dei suoi fornitori, consistente nel fornirgli fatture indicanti un importo di IVA a monte di fatto non versato al fisco. Se si è verificata tale collusione, ci si potrebbe chiedere se davvero tale soggetto potrebbe voler ottenere il beneficio del condono, a meno che non appaia già imminente l’accertamento dell’evasione, poiché è in possesso dei documenti che lo abilitano prima facie al rimborso e il ricorso al condono comporterebbe la necessità di denunciare il suo complice o i suoi complici nella frode. In casi di frode «dell’operatore scomparso» (in cui uno o più operatori economici spariscono senza versare l’IVA alle autorità), effettuare controlli a carico dei fornitori risulterebbe per definizione sterile. E se non è occorsa alcuna collusione, è meno probabile che le irregolarità vengano alla luce a monte della verifica.

67.      In generale, i limiti della sfera di applicazione del condono invocati dal governo italiano, sebbene non siano del tutto illusori, non sembrano sostanziali.

 Efficacia del recupero e margine discrezionale a disposizione degli Stati membri

68.      Le parti non hanno contestato il fatto che, in forza del sistema IVA come attualmente armonizzato, gli Stati membri sono tenuti al controllo degli adempimenti a carico dei soggetti passivi, alla verifica delle dichiarazioni, della contabilità e di ogni altra documentazione rilevante, alla liquidazione dell’imposta dovuta e alla relativa riscossione. Non è nemmeno messo in discussione che essi godono di un certo margine di discrezionalità in merito a come dispiegare le risorse a loro disposizione nel modo più efficace possibile.

69.      L’Italia assume che le disposizioni controverse incentivano dichiarazioni spontanee di importi precedentemente non dichiarati da parte di alcuni soggetti passivi, cosicché le risorse divenute disponibili possono essere utilizzate per effettuare un controllo su chi non ha provveduto al ravvedimento e ciò consente, nel complesso, di incamerare maggiori introiti di quelli che si sarebbero potuti realizzare altrimenti. Questo rientra nel margine di valutazione di cui, come riconosce la stessa Commissione, godono gli Stati membri nel determinare le modalità per dispiegare le risorse al fine di garantire al meglio l’osservanza e il controllo dell’applicazione.

70.      Il governo italiano specifica che, complessivamente, 162 000 soggetti passivi si sono avvalsi del beneficio del condono ex art. 8 e 750 000 del condono ex art. 9. Quest’ultimo dato rappresenta il 13,37% dei 5 309 654 contribuenti registrati in Italia nel 2001 (33). Nel 2003 l’importo globale recuperato (EUR 1 938 milioni) equivaleva a circa l’1,9% dell’IVA complessiva (EUR 101 890) riscossa quell’anno. Per contro, l’IVA recuperata con le ordinarie verifiche negli anni compresi tra il 1999 e il 2002 era notevolmente inferiore, oscillando tra EUR 140 milioni e EUR 357 milioni, e raggiungendo quindi l’importo complessivo di soli EUR 1 049 milioni nell’arco del quadriennio (34). Tali dati dimostrano, dal punto di vista dell’Italia, fino a che punto sia infondato il ricorso.

71.      La Commissione replica che i dati in questione dimostrano che decisamente troppi contribuenti hanno beneficiato del condono a fronte di un risultato decisamente troppo limitato. I vantaggi (incremento del recupero e maggiore efficacia dello stesso) che si assume siano risultati dal condono sono illusori (la percentuale recuperata è esigua e l’unico reale effetto è la preclusione di verifiche da parte delle autorità fiscali) e in ogni caso del tutto irrilevanti considerata la natura vincolante di quanto prescritto agli artt. 2 e 22 della sesta direttiva.

72.      L’Italia replica a sua volta che le disposizioni controverse incoraggiano le dichiarazioni spontanee; che le risorse possono quindi essere reindirizzate per effettuare un controllo su contribuenti che non hanno usufruito della disciplina in questione; che per tali soggetti passivi l’art. 10 della legge finanziaria del 2003 ha prorogato di due anni il periodo di possibile accertamento; che, infine, gli importi recuperati erano notevolmente superiori a quelli che sarebbero stati recuperati altrimenti. I vantaggi sono pertanto effettivi e non possono essere considerati irrilevanti. Inoltre, (a) il condono riguarda casi in cui l’omessa presentazione della dichiarazione non era stata scoperta e forse non lo sarebbe stata mai, (b) ai sensi dell’art. 9 il soggetto passivo è tenuto a condonare tutte le annualità in questione e ciò anche qualora l’evasione iniziale fosse stata limitata a una sola annualità, (c) l’imposta, sebbene inferiore all’importo teoricamente dovuto, è recuperata immediatamente anziché dopo un lungo procedimento di indagine e recupero.

73.      La Commissione non si oppone ai condoni IVA in via assoluta, ma la sua critica risulta veemente per quanto riguarda la forma adottata dalle disposizioni controverse.

74.      Potrebbe essere utile, pertanto, prendere brevemente in considerazione il fenomeno in termini generali. I condoni fiscali implicano di solito l’immunità da condanne penali, da ammende e da (alcuni o tutti i) pagamenti a titolo di interessi e la Commissione accetta espressamente che, quanto all’IVA, tali materie rientrino nella competenza degli Stati membri, senza essere limitate dal diritto comunitario. Altrettanto comunemente, tuttavia, i condoni richiedono l’integrale pagamento degli importi dovuti e non implicano la preclusione di ogni verifica. Lo scopo è generalmente quello di incoraggiare pagamenti volontari concedendo l’esclusione della punibilità (la cui minaccia è destinata a incoraggiare il rispetto degli adempimenti di legge ma può anche disincentivare un posticipato conformarsi agli stessi qualora il prezzo del ravvedimento sia troppo elevato) cercando però di non arrivare alla situazione estrema di rendere più vantaggioso evadere e successivamente ravvedersi anziché presentare, sin dall’inizio, una dichiarazione corretta e onesta, e di ricondurre all’ovile per il futuro i contribuenti smarriti.

75.      La dottrina (35) suggerisce che, per poter essere efficaci, i condoni fiscali tra l’altro dovrebbero essere concessi una tantum (altrimenti il fatto di replicarli indurrebbe i contribuenti ad adeguare le proprie strategie anticipando futuri condoni), dovrebbero comportare il pagamento, quantomeno, del dovuto e di regola di interessi in una qualche misura (altrimenti l’evasione sarebbe percepita come premiante) e dovrebbero essere accompagnati almeno da un credibile annuncio di incremento dei controlli (in caso contrario, scambiare la dichiarazione con l’eventualità di essere scoperti non risulterebbe vantaggioso).

76.      Il controverso condono non sembra presentare nessuna di queste caratteristiche. È stato infatti prorogato per alcuni anni successivi (36), forse creando un’aspettativa di futuri condoni e quindi riducendo la probabilità che i contribuenti si conformino agli obblighi di legge. Ed è provato che l’Italia in passato ha fatto ampio ricorso ai condoni fiscali (37). Anzi, è stato sostenuto che sono talmente regolari che la prospettiva di futuri condoni è divenuta un fattore che implica, all’interno del Paese, uno scarso livello di rispetto degli obblighi fiscali (38). Anche se, come sostenuto dall’Italia all’udienza, le entrate IVA sono di fatto aumentate negli anni successivi, non è stata in alcun modo dimostrata né l’esistenza di uno specifico nesso con il condono (anziché con una qualsiasi altra possibile spiegazione) né alcun effetto duraturo.

77.      L’Italia asserisce che con gli importi in questione è stato riscosso complessivamente circa il 2% delle entrate IVA annuali. Se il divario IVA (la differenza tra l’importo che poteva essere riscosso in via teorica e quello che è stato effettivamente riscosso) può essere stimato pari al 35-40% in Italia (39), ciò significa che l’importo effettivamente riscosso è vicino al 3-4% dell’importo teoricamente dovuto ma mai dichiarato (40).

78.      È vero che nessuna autorità fiscale potrà mai sperare di individuare tutte le frodi fiscali e sarebbe precluso alla Corte suggerire all’Italia il modo migliore per spiegare le sue risorse anche se disponesse della perizia necessaria per farlo. Nondimeno, mi sembra che un metodo apparentemente atto a procurare circa il 3-4% dell’imposta non riscossa (e che quindi lascia intatto l’importo non riscosso almeno nella misura del 95%, con almeno una parte di quest’ultimo definitivamente impossibile da riscuotere) non costituisce ovviamente un utilizzo efficiente delle risorse.

 Analisi complessiva

79.      Non si può seriamente sostenere sotto alcun profilo che i metodi per generare gettito previsti agli artt. 8 e 9 della legge finanziaria italiana del 2003 siano compatibili con le modalità di riscossione dell’IVA imposte agli Stati membri dalla sesta direttiva. Non risulta da alcuna disposizione di tale direttiva che sia consentito a uno Stato membro imporre l’IVA a un’aliquota pari alla metà di quella normale (il che costituisce il risultato concreto dell’art. 8) (41). Ancor meno essa autorizza la riscossione di un importo pari al 2% dell’imposta a monte dichiarata più il 2% dell’imposta a valle dichiarata in luogo di un importo a titolo di IVA del tutto indefinito che avrebbe dovuto essere dichiarato ma che, invece, non lo è stato. Infine, sebbene l’IVA sia un’imposta «autoliquidata», è chiaro che agli Stati membri incombe l’obbligo di verificare e far rispettare degli adempimenti di legge e che non sono autorizzati ad abdicare a tale responsabilità riguardo ad intere fasce di attività economiche soggette a tassazione.

80.      Le disposizioni di condono controverse si applicano in teoria all’intera attività economica italiana non dichiarata soggetta a tassazione, che secondo la costante valutazione degli economisti rappresenta una parte considerevole del PIL locale, forse compresa tra il 25 e il 40%. De facto, secondo quanto risulta dai dati forniti dal governo italiano, ha fatto ricorso a tali disposizioni oltre il 17% dei contribuenti (42). Il loro effetto è quindi lungi dall’essere irrilevante e costituisce un serio attentato alla corretta applicazione dell’IVA in conformità alla disciplina sull’armonizzazione prevista dalla sesta direttiva.

81.      Né appare credibile difenderle adducendo il motivo dell’efficiente utilizzo delle risorse. Al contrario, come dimostrano il buon senso e le analisi economiche, le disposizioni in parola sono responsabili di condurre a una minore conformità alla disciplina dell’IVA (almeno) nel medio e lungo termine in quanto premiano l’evasione più dell’assolvimento degli obblighi fiscali e, considerate in un contesto storico, lasciano intravedere una plausibile speranza in altri rimedi simili nel futuro.

82.      La domanda della Commissione deve essere pertanto accolta.

 Sulle spese

83.      A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché, a mio parere, il ricorso della Commissione dev’essere accolto e poiché quest’ultima ne ha fatto domanda, l’Italia dev’essere condannata alle spese.

 Conclusione

84.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di

–        dichiarare che la Repubblica italiana, prevedendo in maniera espressa e generale, agli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), la rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, ha violato gli obblighi ad essa imposti dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva IVA e dall’art. 10 CE;

–        condannare alle spese la Repubblica italiana.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1, modificata in svariate occasioni). Il 1° gennaio 2007, la sesta direttiva veniva abrogata e sostituita dalla direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).


3 – Il condono in parola è stato esteso agli anni immediatamente successivi, e la Commissione ha instaurato un ulteriore giudizio (causa C-174/07) relativo a tale estensione, che è attualmente in corso.


4 –      Tali disposizioni sono attualmente contenute all’art. 2, n. 1, lett. a) e d), della direttiva 2006/112.


5 – Esso è sostituito, in particolare, dagli artt. 213-271 della direttiva 2006/112.


6 – Disposizioni ora rinvenibili, rispettivamente, agli artt. 252, n. 1, 206 e 273 della direttiva 2006/112.


7 – Art. 213, n. 1, della direttiva 2006/112.


8 – Sebbene la Commissione indichi il n. 3 come fonte; attualmente art. 242 della direttiva 2006/112.


9 – Art. 262 e segg. della direttiva 2006/112.


10 – Artt. 214-216 della direttiva 2006/112.


11 – Artt. 207, 209, 210, 256-258 e 267 della direttiva 2006/112.


12 – Legge 289/2002, in GURI del 31 dicembre 2002, così come modificata.


13 – La decisione in parola è stata denominata «condono tombale», probabilmente in quanto i debiti d’imposta erano da considerarsi «morti e sepolti».


14 – Secondo ‘considerando’; ottavo ‘considerando’ della direttiva 2006/112.


15 – Quarto ‘considerando’; non richiamato nei ‘considerando’ della direttiva 2006/112.


16 – Quattordicesimo ‘considerando’; quarantacinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2006/112.


17 – Vedi, ad esempio, sentenza 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans, Racc. pag. I-10683, punto 36.


18 – Sentenza 16 settembre 2004, causa C-382/02, Cimber Air, Racc. pag. I-8379, punto 24.


19 – V., ad esempio, sentenze 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf, Racc. pag. I-6257, punto 24, e 17 settembre 1997, causa C-141/96, Langhorst, Racc. pag. I-5073, punti 17 e 28.


20 – Vedi, ad esempio, sentenza 21 febbraio 1989, causa 203/87, Commissione/Italia, Racc. pag. 371, punto 10.


21 – Art. 395 della direttiva 2006/112.


22 – Sia l’Italia che la Commissione hanno citato la sentenza 28 settembre 2006, causa C-128/05, Commissione/Austria (Racc. pag. I-9265), in cui la Corte ha accertato che l’Austria era incorsa in una violazione dei suoi obblighi avendo escluso interamente dagli obblighi in termini di IVA alcuni vettori internazionali. V. anche sentenza 14 settembre 2006, causa C-228/05, Stradasfalti (Racc. pag. I-8391, in particolare al punto 66); in quella fattispecie, la Corte ha sottolineato che l’Italia non poteva unilateralmente imporre ai soggetti passivi una deroga al diritto di effettuare detrazioni.


23 – La percentuale diminuisce anche ulteriormente per eccedenze di EUR 11 600 000, ridotte dell’80%, quindi allo 0.2% dell’imposta a monte e/o a valle inizialmente dichiarata.


24 – La Commissione cita il caso in cui il soggetto passivo ha omesso di presentare la dichiarazione IVA in un determinato anno, relativamente al quale avrebbe dovuto versare EUR 600 000. Ai sensi della procedura ex art. 9, il massimo importo da corrispondere al fine di beneficiare di una completa immunità è pari a EUR 3 000, una perdita definitiva per il fisco di EUR 597 000. Aggiungo che la percentuale persa potrebbe essere anche più considerevole, dal momento che la disposizione prevede in modo espresso pagamenti di eccedenze pari a EUR 11 600 000.


25 – V. supra, paragrafi 8-10.


26 – Artt. 8, comma 4, e 9, comma 14, lett. c).


27 – Contrariamente alla situazione esistente in alcuni altri Stati membri, l’Italia non ha previsto una soglia per l’iscrizione al registro IVA, sicché anche le imprese più piccole sono tenute a versare questa imposta.


28 – V., ad esempio, sentenza 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling (Racc. pag. I-6161, punto 50), e la giurisprudenza ivi citata.


29 – V., ad esempio, la European Employment Observatory Review, autunno 2004, in particulare alle pagg. 77 e 106-110.


30 – Artt. 8, comma 10, e 9, comma 14.


31 – Ai sensi dell’art. 9, comma 9, in particolare come interpretato in base a una sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 2005.


32 – Art. 54 bis del decreto presidenziale n. 633/72; cfr. art. 21, n. 1, lett. d) (contenuto all’art. 28 octies) della sesta direttiva, art. 203 della direttiva 2006/112.


33 – Ciò sembra il risultato di un errore di calcolo. 750 000 è il 14,125% di 5 309 654. I 162 000 contribuenti che si sono avvalsi dell’art. 8 equivalgono al 3,05% del totale dei soggetti passivi.


34 – Raffrontando tali dati con quelli relativi all’IVA globale riscossa nel corso di quello stesso quadriennio, forniti dal governo italiano, in base ai miei calcoli l’imposta recuperata con le attività di verifica equivaleva a una percentuale compresa tra lo 0,18% e lo 0,38% del totale riscosso in un determinato anno, o allo 0,3% del totale relativo al quadriennio.


35 – Ad esempio, IMF Working Paper 89/42, An economic analysis of tax amnesties, Peter Stella 1989; Deferral and the utility of amnesty, Craig M. Boise, George Mason University Law Review 2007, pag. 667, in particolare pagg. 693 e segg.


36 – V. nota a piè di pagina n. 3.


37 – Un documento del Congresso degli Stati Uniti risalente al 1998 indica che «l’Italia ha introdotto oltre una dozzina di condoni fiscali, con una media, recentemente, di uno ogni due anni». In un articolo citato dalla Commissione nel suo ricorso (Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, De Mita, Diritto e pratica tributaria, 2004, Parte I, pag. 1449) viene indicato che il condono del 2003 è stato il cinquantottesimo dal 1900.


38 – Is One More Tax Amnesty Really That Bad? Some Empirical Evidence from the Italian 1991 VAT Amnesty, M. Marè e C. Salleo, 59th IIPF Congress, Praga, agosto 2003. V. anche Gradual Recovery in Euroland, Kai Carstensen, Klaus-Jürgen Gern, Christophe Kamps, Joachim Scheide, Kiel Discussion Papers 405: «(…) nella prima metà del 2003 l’Italia ha riscosso entrate supplementari pari a circa lo 0,8% del PIL, connesse a un condono fiscale su larga scala. A breve termine, l’Italia è stata in grado di impedire il superamento della soglia del Patto di stabilità e crescita grazie a questa misura una tantum. Nel medio termine, tuttavia, la possibilità di superare la soglia del 3% aumenta. Come dimostra l’esperienza, condoni fiscali frequenti – in Italia si trattava del terzo condono nell’arco di 20 anni – indeboliscono l’onestà fiscale. Pertanto, il gettito fiscale è inferiore, nel medio termine e nel lungo termine, al gettito che sarebbe stato realizzato senza il condono».


39 – IMF Working Paper 07/31, VAT fraud and evasion: what do we know and what can be done, Michael Keen e Stephen Smith, febbraio 2007, pag. 19.


40 – Vale a dire, il 2% del 60-65% riscosso corrisponde (approssimativamente) al 3-4% del 35-40% non riscosso.


41 – E può rilevarsi che la metà dell’aliquota normale italiana, pari al 20%, è il 10%, percentuale inferiore alla minima aliquota normale del 15% autorizzata dall’art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva.


42 – Secondo quanto sostenuto dalla Commissione all’udienza, il numero di coloro che hanno beneficiato del condono è notevolmente superiore al numero complessivo dei soggetti passivi in uno Stato membro di medie dimensioni come il Belgio.