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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 26 febbraio 2008 1(1)

Causa C-25/07

Alicja Sosnowska

contro

Dyrektor Izby Skarbowej we Wrocławiu Ośrodek Zamiejscowy w Wałbrzychu

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Wojewódzki Sąd Administracyjny we Wrocławiu (Repubblica polacca)]

«Liquidazione – IVA – Direttive del Consiglio 67/227/CEE e 77/388/CEE – Normativa nazionale che istituisce le modalità di rimborso dell’eccedenza di IVA – Principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità»





1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale del Wojewódzki Sąd Administracyjny we Wrocławiu (Tribunale amministrativo regionale di Breslavia) (Repubblica polacca) verte sull’interpretazione dell’art. 5, n. 3, CE, in combinato disposto con l’art. 2 della prima direttiva IVA (2) e con gli artt. 18, n. 4, e 27, n. 1, della sesta direttiva IVA (3).

2.        In particolare, il giudice a quo esprime dubbi in ordine alla compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni della legge polacca che stabiliscono i termini per il rimborso ai debitori comunitari dell’IVA (4) dell’eccedenza fra l’imposta assolta a monte e quella dovuta (in prosieguo: l’«eccedenza d’imposta») sul loro conto bancario nel corso dei primi dodici mesi dalla loro registrazione, nonché i presupposti per la riduzione di tali termini.

I –    Quadro giuridico

A –    Diritto comunitario

3.        L’art. 5, n. 3, CE così dispone:

«L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato»

4.        L’art. 2 della prima direttiva prevede quanto segue:

«Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione.

A ciascuna transazione, l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio, è esigibile previa deduzione dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

Il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto è applicato fino allo stadio del commercio al minuto incluso».

5.        L’art. 18, n. 4, della sesta direttiva così dispone:

«Qualora, per un dato periodo fiscale, l’importo delle deduzioni autorizzate superi quello dell’imposta dovuta, gli Stati membri possono procedere a rimborso o riportare l’eccedenza al periodo successivo, secondo modalità da essi stabilite».

6.        Infine, l’art. 27, n. 1, della sesta direttiva è così formulato:

«Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale».

B –    Diritto nazionale

7.        L’art. 87 della Ustawa o podatku od towarów i usług (legge relativa all’imposta sui beni e servizi) dell’11 marzo 2004 (5), nella sua versione applicabile alla causa principale (in prosieguo: «la legge sull’IVA»), dispone quanto segue:

«1. Qualora l’importo dell’imposta assolta a monte (…) sia in un dato periodo fiscale superiore all’importo dell’imposta dovuta, il soggetto passivo ha diritto alla riduzione dell’imposta dovuta di un importo corrispondente a tale differenza per il periodo successivo o al rimborso di quest’ultima sul suo conto bancario.

2. (…) [T]ale differenza deve essere rimborsata (…) entro 60 giorni dalla presentazione della liquidazione da parte del soggetto passivo.

Se l’accertamento della fondatezza del rimborso esige un esame supplementare, l’amministrazione tributaria può prorogare il termine in questione sino alla conclusione del relativo esame. Se nel corso di tale procedimento il rimborso si rivela fondato, l’amministrazione tributaria versa al soggetto passivo l’importo dovuto insieme agli interessi per un ammontare corrispondente alla tassa di proroga applicata nel caso di un rinvio del pagamento dell’imposta o di una sua rateizzazione.

3. Qualora la differenza rimborsabile sia superiore all’imposta assolta per l’acquisto di beni e servizi considerati dal soggetto passivo come parte integrante delle spese per beni ammortizzabili, immobilizzazioni materiali e immateriali ai sensi delle disposizioni sull’imposta sul reddito, (…) aumentata del 22 per cento rispetto alla cifra d’affari del soggetto passivo sottoposta ad imposta a tassi inferiori a quelli di cui all’art. 41, n. 1, e della cifra d’affari derivante dalla fornitura di beni o servizi di cui all’art. 86, nn. 8 e 1, tale differenza sarà rimborsata entro 180 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione fiscale.

3a. La cifra d’affari di cui al n. 3 comprende l’importo relativo ai crediti commerciali, rispetto ai quali l’obbligo fiscale viene in essere in conformità dell’art. 19, n. 12, o dell’art. 20, n. 3, a condizione che venga depositata presso l’amministrazione tributaria una cauzione di importo corrispondente all’imposta che sarebbe dovuta qualora la cifra d’affari riguardasse la fornitura di beni all’interno dello Stato, fino alla presentazione dei documenti comprovanti l’esportazione o la cessione intracomunitaria dei beni coperti dal pertinente credito commerciale (…)».

8.        L’art. 97 della legge sull’IVA così dispone:

 «1. Prima di effettuare la prima cessione o il primo acquisto intracomunitario, i contribuenti di cui all’art. 15, soggetti ad obblighi di registrazione in quanto contribuenti IVA in attività, devono informare il capo dell’amministrazione tributaria della loro intenzione di esercitare tali attività, compilando la dichiarazione di registrazione prevista all’art. 96.

(…)

5. Nel caso di soggetti passivi che intraprendono l’esecuzione di attività di cui all’art. 5, nonché di soggetti passivi che hanno intrapreso siffatte attività meno di dodici mesi prima di aver presentato la comunicazione di cui al n. 1 e che sono stati registrati come debitori IVA comunitari [(6)], il termine per il rimborso della differenza fiscale di cui all’art. 87, nn. 2, 4-6, viene prorogato a 180 giorni [(7)].

(…)

7. Le disposizioni di cui al n. 5 non si applicano se il soggetto passivo ha depositato presso l’amministrazione tributaria i) una cauzione, ii) una garanzia patrimoniale o iii) una garanzia bancaria per l’importo di PLN 250 000 (in prosieguo: la «cauzione»)».

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

9.        Nella dichiarazione «IVA-7» per il mese di gennaio 2006, la ricorrente (Alicja Sosnowska) indicava un’eccedenza d’imposta per un importo di PLN 44 782. Riferendosi in particolare all’art. 18, n. 4, della sesta direttiva, la ricorrente chiedeva all’amministrazione tributaria di Swidnica di rimborsarle tale importo versato in eccesso entro 60 giorni dalla data di presentazione della liquidazione.

10.      Tuttavia, sul fondamento dell’art. 87, nn. 1 e 2, e dell’art. 97, nn. 5 e 7, della legge sull’IVA, l’amministrazione tributaria di Swidnica rifiutava di procedere al rimborso. Nel motivare tale decisione l’amministrazione tributaria affermava che la ricorrente non soddisfaceva i presupposti stabiliti dalle disposizioni della legge sull’IVA ai fini del rimborso della differenza dell’imposta su un conto bancario entro il termine di 60 giorni, in quanto non aveva depositato presso l’amministrazione tributaria una cauzione, una garanzia patrimoniale o una garanzia bancaria di PLN 250 000 (circa EUR 62 000).

11.      La ricorrente ricorreva avverso tale decisione presso il Dyrektor Izby Skarbowej we Wrocławiu Ośrodek Zamiejscowy w Wałbrzychu (Direttore dell’amministrazione tributaria di Breslavia, sede di Walbrzych; in prosieguo: l’«amministrazione tributaria»), che confermava la decisione di primo grado. La ricorrente quindi adiva il Wojewódzki Sąd Administracyjny di Breslavia, con un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione tributaria.

12.      Il giudice del rinvio, nutrendo dubbi circa la compatibilità delle disposizioni nazionali di cui trattasi con la normativa comunitaria, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«1)      Se il combinato disposto dell’art. 5, n. 3, CE con l’art. 2 della prima direttiva (…) e con l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva (…) accordi ad uno Stato membro il diritto di introdurre nella normativa nazionale in materia di imposta sui beni e sui servizi le disposizioni poste dall’art. 97, nn. 5 e 7, della legge [sull’IVA].

2)      Se tra le misure particolari previste all’art. 27, n. 1, della sesta direttiva aventi lo scopo di evitare determinati tipi di frode o evasione fiscale vadano annoverate le norme poste dall’art. 97, nn. 5 e 7, della legge [sull’IVA]».

13.      Il governo polacco e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e, successivamente, orali all’udienza del 22 novembre 2007. La ricorrente, da parte sua, non ha presentato proprie argomentazioni ma si è limitata a riferirsi in maniera generale a quanto sostenuto dal giudice del rinvio, in quanto ne condivide il punto di vista.

III – Valutazione

A –    Prima questione

14.      Anche se il giudice a quo, con la prima questione, vuole sapere se il combinato disposto dell’art. 5, n. 3, CE con l’art. 2, della prima direttiva e con l’art. 18, n. 4 della sesta direttiva accordi ad uno Stato membro il diritto di introdurre nella normativa nazionale in materia di IVA disposizioni quali quelle poste dall’art. 97, nn. 5 e 7, della legge sull’IVA, interpreto tale questione come volta in effetti ad accertare se le norme polacche relative al rimborso dell’eccedenza d’imposta, che, in sostanza, nel caso di nuovi debitori IVA comunitari prorogano il periodo previsto per il rimborso da 60 giorni a 180 giorni, a meno che essi non depositino una cauzione di PLN 250 000, siano compatibili con il diritto comunitario, in particolare con l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva, tenuto conto dei principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità.

15.      Di primo acchito si deve constatare che la sesta direttiva non specifica le condizioni particolari in cui gli Stati membri devono effettuare il rimborso dell’eccedenza di IVA sul conto del soggetto passivo.

16.      Occorre tuttavia ricordare che gli Stati membri, allorché si avvalgono dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie, devono in ogni caso tenere conto dei principi generali che sono alla base dell’ordinamento giuridico comunitario, quale il principio di proporzionalità. Inoltre, in sede di interpretazione e di applicazione della sesta direttiva, si deve tenere conto del principio di neutralità dell’imposta che ne è alla base.

17.      A tale proposito, nonostante la Corte abbia ritenuto che, nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza d’imposta, gli Stati membri dispongano di una certa libertà di manovra, dato che tale rimborso costituisce uno degli elementi fondamentali a garanzia dell’applicazione del principio di neutralità del sistema comune dell’IVA, le modalità stabilite dagli Stati membri non possono essere tali da ledere detto principio facendo sopportare al soggetto passivo, in tutto o in parte, gli oneri dell’IVA (8).

18.      La Corte ha statuito che le modalità di rimborso dell’eccedenza di IVA che uno Stato membro stabilisce devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza. Questo implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento con somme liquide di denaro o in strumenti di pagamento equivalenti. Comunque, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (9).

19.      Orbene, occorre sottolineare che il governo polacco sostiene che le misure nazionali in questione siano necessarie per evitare frodi o evasioni fiscali. A tale proposito, ritengo che la lotta contro la frode e l’evasione fiscale sia un obiettivo legittimo (10). Non vi è dubbio che gli Stati membri hanno un interesse legittimo ad intraprendere azioni volte a proteggere i loro interessi finanziari e la Corte ha già dichiarato che «la lotta contro ogni possibile frode, evasione e abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (11)».

20.      Nondimeno, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in conformità del principio di proporzionalità, gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla pertinente normativa comunitaria. Pertanto, se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. Essi non possono quindi essere utilizzati in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla deduzione dell’IVA, il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia (12).

21.      Con riferimento alla questione se la normativa nazionale relativa al rimborso dell’eccedenza di IVA di cui alla causa in oggetto soddisfi o meno tali requisiti, occorre notare anzitutto che il diritto del soggetto passivo di recuperare interamente l’eccedenza d’imposta non è, di per sé, rimesso in discussione. Inoltre, nella controversia principale tale recupero era possibile grazie al trasferimento dell’eccedenza di IVA al periodo fiscale successivo (13). Pertanto, la problematica su cui verte la presente causa riguarda le procedure che regolano il diritto al rimborso.

22.      Ai sensi dell’art. 87, nn. 3 e 3a, della legge sull’IVA, il rimborso dell’eccedenza d’imposta deve avvenire entro 60 giorni sul conto bancario del soggetto passivo. In qualità di nuovo debitore IVA comunitario, la ricorrente ha diritto ad ottenere il rimborso dell’eccedenza d’imposta entro 180 giorni. Qualora venga depositata presso l’autorità tributaria una cauzione di PLN 250 000, tale periodo può essere ridotto a 60 giorni (14).

23.      Devo sottolineare che, contrariamente a quanto sembrano suggerire le parti, non ritengo così importante, nella fattispecie, stabilire quale dei due termini per il rimborso dell’eccedenza d’imposta, rispettivamente 60 giorni o 180 giorni, sia da considerarsi il «termine» di base. A mio avviso, è la pertinente normativa polacca nel suo insieme, tenuto conto, in particolare, del termine applicabile ai nuovi debitori IVA comunitari e della proroga di tale termine, ciò che deve essere esaminato nel caso di specie.

24.      A mio parere, la normativa in causa non rispetta le prescrizioni applicabili per il rimborso dell’eccedenza di IVA come sopra indicate.

25.      In primo luogo, occorre notare che, per tutti i nuovi debitori IVA comunitari, il termine di 60 giorni viene (automaticamente) esteso a 180 giorni, a meno che non depositino una cauzione presso le autorità tributarie. Tale misura nazionale impone quindi un termine di 180 giorni in maniera rigida e assoluta, senza effettuare alcuna distinzione per quanto riguarda il detto termine tra i vari gruppi di soggetti passivi nell’ambito del «sottosistema» dei nuovi debitori IVA comunitari. Si presume quindi, in maniera generica e senza alcun fondamento oggettivo, che l’attività di tali soggetti passivi potrebbe essere intesa a ledere gli interessi dell’erario (15).

26.      In secondo luogo, condivido l’opinione del giudice del rinvio secondo la quale il periodo di 180 giorni, nel corso del quale de facto viene sospeso l’esercizio del diritto del contribuente alla deduzione dell’imposta assolta a monte, essendo sei volte superiore i) al termine applicabile per la liquidazione dell’IVA (un mese), e ii) al termine ordinario per il disbrigo di pratiche particolarmente complicate (16), debba considerarsi irragionevole. L’importo della cauzione, la cui funzione è salvaguardare gli interessi dell’erario, è approssimativamente di EUR 62 000, ovvero 100 volte il reddito medio mensile nell’economia polacca.

27.      Inoltre, se si esamina la situazione in cui si trova un nuovo debitore IVA comunitario chiamato a depositare la cauzione per beneficiare del termine di 60 giorni, occorre considerare che in quel momento un operatore commerciale si trova proprio nella fase di avviamento della sua attività economica e, come dimostra la pratica, ciò richiede rilevanti spese di investimento, senza contare che, probabilmente, il detto operatore non opera ancora su larga scala. Pertanto, la necessità di attendere 180 giorni per ottenere il rimborso dell’eccedenza di IVA e/o l’impossibilità di disporre di PNL 250 000 può incidere notevolmente sui risultati finanziari del soggetto passivo (17). Inoltre, per un’impresa polacca di grandi dimensioni l’accesso al mercato comunitario risulterebbe essere molto più facile che per una piccola impresa (anzi, per quest’ultima, un importo di tale entità può anche costituire un ostacolo insormontabile).

28.      In effetti, richiedere una cauzione dell’importo di PLN 250 000 in alternativa alla necessità di attendere 180 giorni per ricevere il rimborso dell’eccedenza d’IVA ben può rappresentare, in pratica, un ostacolo per le piccole e medie imprese che intendono svolgere la propria attività commerciale all’interno del mercato comunitario. In ogni caso, concordo con la Commissione sul fatto che esigere automaticamente da ogni nuovo debitore IVA comunitario un importo fisso di PNL 250 000 (18) per beneficiare del termine di 60 giorni ecceda, in linea di massima, quanto è necessario per prevenire la frode e tutelare gli interessi dell’erario.

29.      Quanto all’argomento secondo cui i 180 giorni (o, in alternativa, il deposito di una cauzione) sarebbero necessari per verificare le transazioni intracomunitarie (19), il governo polacco non ha innanzi tutto adeguatamente chiarito per quale motivo, di regola, necessiti di 180 giorni. Il fatto che esso contesti che il tempo che gli altri Stati membri hanno impiegato per rispondere alle autorità polacche abbia ecceduto nel 60% dei casi i tre mesi non può portare automaticamente alla conclusione che 180 giorni (ovvero sei mesi interi) siano il periodo meno oneroso possibile che possa essere imposto al fine di evitare frodi o evasioni fiscali.

30.      Vale la pena ricordare che le autorità degli Stati membri hanno a disposizione gli strumenti comunitari di cooperazione e di assistenza amministrativa adottati per permettere la corretta applicazione dell’IVA e lottare contro la frode nonché l’evasione fiscale in tale settore, quali le misure previste dal regolamento (CE) del Consiglio 7 ottobre 2003, n. 1798 (20), nonché dal regolamento (CE) della Commissione 29 ottobre 2004, n. 1925 (21).

31.      Inoltre, invocando per analogia l’argomento sostenuto dall’Avvocato generale nel caso N, concordo sul fatto che, anche se nella pratica i vari strumenti di cooperazione messi a disposizione degli Stati membri possono non funzionare sempre in modo rapido e soddisfacente, gli Stati membri non possono però appellarsi alle lacune nella cooperazione tra le relative amministrazioni fiscali per derivarne giustificazioni a restrizioni di un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA, quale il diritto di deduzione (22).

32.      Soprattutto, sembrerebbe che la necessità di disporre di tempo sufficiente per la verifica sia già stata presa in considerazione dall’art. 87, nn. 2 e 3, e dall’art. 97, n. 5, della legge sull’IVA (23). Pertanto gli argomenti del governo polacco a favore del termine di 180 giorni (o, in alternativa, al deposito della cauzione) non sono particolarmente convincenti.

33.      In tali circostanze, benché agli Stati membri, in linea di principio, non sia precluso adottare precauzioni per garantire la veridicità dell’eccedenza di IVA quale risulta dalle informazioni contenute nella dichiarazione effettuata dal soggetto passivo, le misure nazionali in questione sono, a mio avviso, sproporzionate, in quanto pongono in capo ai nuovi debitori IVA comunitari oneri particolarmente elevati. Tali oneri impediscono ai debitori interessati di recuperare la totalità del loro credito in condizioni adeguate, in particolare entro un periodo di tempo ragionevole.

34.      Ritengo che gli Stati membri non abbiano il diritto di tutelarsi dalla frode o dall’evasione fiscale imponendo l’onere dell’IVA a tutti o anche solo ad alcuni nuovi debitori IVA comunitari. Termini troppo lunghi equivalgono ad addossare ai soggetti passivi, anche se solo parzialmente, l’onere dell’IVA, il che mette a repentaglio la neutralità del sistema. È piuttosto lo Stato a dover sopportare i) la responsabilità dell’amministrazione del proprio sistema fiscale, compresa la prevenzione delle frodi e dell’evasione fiscale, nonché ii) il rischio che ne deriva.

35.      Aggiungo inoltre che, «senza che competa alla Corte pronunciarsi sull’adeguatezza di altri possibili mezzi di repressione delle frodi ed evasioni fiscali» (24), deve pur esserci un modo meno oneroso e restrittivo per la salvaguardia degli interessi dell’erario. Ad esempio, la cauzione potrebbe essere proporzionata all’eccedenza d’imposta rimborsabile assolta a monte (25) o, ancora, dipendere dalla dimensione e/o dalla capacità finanziaria dell’impresa del soggetto passivo, che, come si può immaginare, può essere dedotta dalla sua dichiarazione fiscale. In alternativa, potrebbero applicarsi determinati limiti.

36.      In conclusione, l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva vieta in linea generale le misure nazionali, quali quelle di cui alla causa principale, che siano sproporzionate e in grado di ostacolare l’applicazione di principi fondamentali del sistema comune dell’IVA, quale il diritto di deduzione.

37.      Alla luce delle suesposte considerazioni, spetta al giudice nazionale accertare e verificare se, tenuto conto di tutte le circostanze pertinenti alla controversia sottopostagli, le misure nazionali in questione siano o meno compatibili con i principi di neutralità e proporzionalità, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria del diritto interno (26).

B –    Seconda questione

38.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio vuole sapere se le misure nazionali di cui trattasi possano tuttavia essere annoverate tra le misure particolari previste all’art. 27, n. 1, della sesta direttiva, aventi lo scopo di evitare determinati tipi di frode o evasione fiscale.

39.      A mio avviso, tale seconda questione richiede un breve esame. A prescindere dal fatto che le misure nazionali di cui trattasi costituiscano o meno, di fatto, misure particolari di quel tipo, esse non possono comunque essere considerate tali per il semplice fatto che, come risulta dai documenti a disposizione della Corte e indirettamente dagli argomenti dedotti dal governo polacco (27), la Repubblica polacca non ha seguito la procedura ufficiale espressamente prevista all’art. 27 della sesta direttiva e non ha ottenuto l’autorizzazione di cui all’art. 27, n. 1 (28).

IV – Conclusione

40.      Sono quindi dell’opinione che la Corte debba risolvere le questioni sottoposte dal Wojewódzki Sąd Administracyjny we Wrocławiu nel modo seguente:

1)      L’art. 18, n. 4, della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, vieta in linea generale misure nazionali, quali quelle di cui alla causa principale, che siano sproporzionate e tali da ostacolare l’applicazione di principi fondamentali del sistema comune dell’IVA, quale il diritto di deduzione.

2)      Non si può ritenere che le disposizioni contenute in misure nazionali quali quelle di cui alla causa principale costituiscano misure particolari volte a prevenire determinate tipi di frode ed evasione fiscale ai sensi dell’art. 27, n. 1, della direttiva 77/388/CEE, qualora il procedimento formale espressamente previsto all’art. 27 della direttiva 77/388/CEE non sia stato rispettato.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU n. 71, pag. 1301; in prosieguo: la «prima direttiva»).


3 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).


4 – Ovvero, i soggetti passivi che hanno notificato alla propria amministrazione tributaria l’intenzione di effettuare per la prima volta una cessione intracomunitaria di beni e servizi o il loro primo acquisto intracomunitario di beni e servizi. V. infra le disposizioni della legge polacca relative ai requisiti per registrarsi in tali circostanze.


5 – Dziennik Ustaw (Gazzetta ufficiale) n. 54, pag. 535.


6 –      In prosieguo: i «nuovi contribuenti IVA comunitari».


7 –      Il secondo e il terzo comma dell’art. 87, n. 2, che si applicano qualora siano richieste ulteriori verifiche, devono applicarsi per analogia.


8 – V. sentenza 25 ottobre 2001, causa C-78/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I-8195, punti 32-33).


9 – Ibidem, punto 34.


10 – V., al riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nelle cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a. (Racc. pag, I-7281, paragrafi 37-39).


11 – V. sentenze 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a. (Racc. pag. I-1609, punto 71), e la giurisprudenza ivi citata; 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling (Racc. pag. I-6161, punto 54), nonché sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep (Racc. pag. I-5337, punto 76). V., inoltre, conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nelle cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e Sanofi (Racc. pag. I-7013, paragrafi 70 e 72); sentenza Molenheide e a., citata alla nota 10, punto 47, e conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a. (Racc. pag. I-483, paragrafo 43).


12 – V. sentenza Molenheide e a., citata alla nota 10, punti 46 e 47. V. anche, a titolo di esempio, con riferimento all’art. 22, n. 8, della sesta direttiva, la sentenza Halifax e a., citata alla nota 11, punto 92 e la giurisprudenza ivi citata. Con riferimento alla lotta contro la frode, v. sentenza 27 settembre 2007, causa C-146/05, Albert Collée (Racc. pag. I-0000, punto 26); v. anche conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nella causa C-361/96, Société générale des grandes sources (Racc. pag. I-3495, paragrafo 14).


13 – Nella presente causa, la ricorrente ha chiesto, conformemente alla normativa polacca, che l’eccedenza di IVA assolta a monte le venisse versata sul suo conto bancario (il cosiddetto rimborso diretto). La scelta alternativa, consistente nel trasferire l’eccedenza di imposta al periodo fiscale successivo, è denominata rimborso indiretto.


14 – La cauzione non costituisce una condizione per ottenere il rimborso dell’eccedenza di IVA assolta a monte. È invece la condizione imposta a coloro che vogliono beneficiare di un periodo inferiore ai 180 giorni. Trascorso un periodo di dodici mesi, nel quale il soggetto passivo ha presentato la dichiarazione fiscale e assolto nei termini tutte le imposte, compresa l’imposta sul reddito delle persone fisiche, egli può chiedere la liberazione o la restituzione della cauzione.


15 – Come giustamente sottolinea il giudice del rinvio, il fatto che per un periodo di 180 giorni (i primi dodici mesi) tutti i debitori IVA comunitari rientrino nel gruppo dei soggetti la cui attività costituisce una minaccia per gli interessi dell’erario sembra un’impostazione eccessivamente meccanica. Infatti, la normativa polacca vigente in materia non prende in considerazione i presupposti che consentirebbero di accertare in modo obiettivo che l’attività di taluni soggetti passivi possa costituire una minaccia per l’erario. Un accertamento di questo genere giustificherebbe la penalizzazione e un trattamento più severo nei confronti di soggetti passivi «disonesti» non soltanto rispetto a persone che esercitano da oltre dodici mesi dalla data di registrazione un’attività soggetta a IVA, ma anche rispetto a persone che hanno regolarmente assolto l’IVA nel corso del primo anno di attività.


16 – Ai sensi del codice tributario polacco. Il giudice nazionale fa riferimento all’art. 139, n. 1, dell’Ustawa Ordynacja Podatkowa (legge che introduce il codice tributario) 29 agosto 1997.


17 – È pacifico che tale importo costituisce un indubbio onere finanziario.


18 – L’amministrazione tributaria non ha infatti alcuna possibilità di adeguare l’importo della cauzione alle circostanze del caso specifico.


19 – Il governo polacco sostiene che occorre prevedere un termine di 180 giorni per la necessità di verificare le transazioni intracomunitarie, in particolare nell’ambito del sistema di scambio delle informazioni in materia di IVA, che, a suo avviso, richiede tempo.


20 – Regolamento del Consiglio 7 ottobre 2003, concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 218 (GU 2003, L 264, pag. 1).


21 – Regolamento della Commissione 29 ottobre 2004, che stabilisce le modalità d’applicazione di talune disposizioni del regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio (GU 2004, L 331, pag. 13). V., in proposito, sentenza 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg (Racc. pag. I-5655, punto 48).


22 – Anche se l’avvocato generale Kokott utilizza tale argomento con riferimento alle restrizioni alle libertà fondamentali. V. le sue conclusioni nella causa C-470/04, N (Racc. pag. I-7409, paragrafo 114).


23 – Vale a dire, allorché la fondatezza del rimborso esiga un esame supplementare. Per tale proroga non sono stabiliti limiti precisi. Se il rimborso si rivela fondato, l’amministrazione tributaria versa al soggetto passivo l’importo dovuto insieme agli interessi.


24 – V. sentenza Ampafrance e Sanofi, citata alla nota 11, punto 62.


25 – Sembra che ciò sia stato originariamente previsto con riguardo alla cauzione in una proposta di modifica relativamente recente della legge polacca sull’IVA. Tali considerazioni (ovvero la proporzionalità della cauzione all’eccedenza di IVA) derivano soprattutto dal fatto che l’importo della cauzione (secondo le attuali disposizioni) non rispecchia in alcun modo il rischio reale o effettivo al quale l’erario sarebbe esposto di fronte a un nuovo debitore IVA comunitario. V., ad esempio, sentenza 12 luglio 2001, causa C-262/99, Louloudakis (Racc. pag. I-5547, punto 69). Aggiungerei inoltre che a tutt’oggi è richiesta una cauzione di PLN 250 000 anche nel caso di una cessione intracomunitaria di valore assolutamente insignificante. Si noti incidentalmente che, nella fattispecie, l’importo della cauzione è quattro volte superiore all’eccedenza di IVA rimborsabile alla ricorrente.


26 – Con riferimento alla questione della disapplicazione, v. sentenza 18 dicembre 2007, causa C-357/06, Frigerio Luigi & C (Racc. pag. I-0000, punto 28), che rimanda alla sentenza 4 febbraio 1988, causa C-157/86, Murphy e a. (Racc. pag. 673, punto 11), e sentenza 11 gennaio 2007, causa C-208/05, ITC (Racc. pag. I-181, punti 68 e 69).


27 – Laddove afferma che le misure di cui trattasi non possono essere considerate «misure speciali» ai sensi dell’art. 27, n. 1, della sesta direttiva, in quanto quest’ultima non disciplina questioni quali i termini e le procedure applicabili ai rimborsi dell’eccedenza di IVA. Tali questioni rientrano nella discrezionalità degli Stati membri.


28 – V. sentenza 21 settembre 1988, causa C-50/87, Commissione/Francia (Racc. pag. 4797, punto 22); conclusioni dell’avvocato generale Slynn nelle cause riunite C-123/87 e C-330/87, Jeunehomme e EGI (Racc. pag. 4517, in particolare pag. 4535); sentenze 13 febbraio 1985, causa C-5/84, Direct Cosmetics (Racc. pag. 617, punto 37), e 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz (Racc. pag. I-3795, punti 33-35). V., inoltre, sentenza 10 aprile 1984, causa 324/82, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1861).