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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. POIARES MADURO

presentate il 12 giugno 2008 1(1)

Causa C-288/07

The Commissioners of Her Majesty’s Revenue & Customs

contro

Isle of Wight Council,

Mid-Suffolk District Council,

South Tyneside Metropolitan Borough Council,

West Berkshire District Council

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England and Wales) Chancery Division (Regno Unito)]

«Imposta sul valore aggiunto – Attività svolte da un ente di diritto pubblico – Parcheggi a pagamento – Distorsioni di concorrenza»





1.        Le questioni oggetto del presente rinvio pregiudiziale vertono sull’interpretazione del secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile (2) (in prosieguo: «la sesta direttiva»), che stabilisce l’assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità, dato che il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza. La Corte deve pertanto precisare le condizioni di tale deroga alla norma del non assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità, norma enunciata al primo comma di detto articolo. In altri termini, il giudice comunitario deve precisare i criteri che sono alla base della reintroduzione del principio generale di assoggettamento delle attività economiche all’IVA.

I –    Contesto normativo, fatti della causa principale e questioni pregiudiziali

2.        Il procedimento nella causa principale riguarda la gestione di autoparcheggi in luogo custodito (parking) ad opera di quattro enti locali del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Isle of Wight Council, Mid-Suffolk District Council, South Tyneside Metropolitan Borough Council e West Berkshire District Council (3). Il settore privato fornisce prestazioni analoghe in ognuna delle zone amministrate dagli enti locali.

3.        Storicamente, le collettività locali si consideravano soggette all’IVA riguardo ai pagamenti effettuati dagli utenti per tali infrastrutture. L’IVA veniva fatturata ai clienti e il gettito del tributo era in seguito versato all’amministrazione fiscale del Regno Unito.

4.        Tuttavia, sulla base dell’art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva, i convenuti nella causa principale ritengono di avere diritto al rimborso dell’IVA in precedenza versata in quanto, ai sensi di tale disposizione «[g]li Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni».

5.        Tuttavia, l’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, stabilisce, nei commi seguenti, che in determinate circostanze, tali organismi restano debitori dell’IVA ed esso così recita:

«Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza.

In ogni caso, gli enti succitati sono sempre considerati come soggetti passivi per quanto riguarda le attività elencate nell’allegato D quando esse non sono trascurabili.

Gli Stati membri possono considerare come attività della pubblica amministrazione le attività dei suddetti enti le quali siano esenti a norma degli articoli 13 o 28».

6.        Ritenendo di non soddisfare le condizioni di tali varie deroghe alla regola del non assoggettamento e confortati in tal senso dalla sentenza Fazenda Pública (4), gli enti locali chiedevano il rimborso dell’IVA versata dal 2000 alle autorità fiscali competenti (i Commissioners of Her Majesty’s Revenue & Customs, i ricorrenti nella causa principale). Infatti, essi ritenevano che il loro non assoggettamento non provocasse nessuna distorsione di concorrenza e, a fortiori, nessuna distorsione di concorrenza che sarebbe di una certa importanza, nelle zone da essi amministrate.

7.        I Commissioners rifiutavano di effettuare il rimborso. Poiché i ricorsi presentati dinanzi il VAT and Duties Tribunal (commissione tributaria britannica in materia di IVA) dagli enti locali avverso tale decisione venivano accolti, i ricorrenti interponevano appello dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), che decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      [Se il] concetto di “distorsioni di concorrenza” debba essere rapportato ai singoli enti di diritto pubblico, talché, nell’ambito della presente causa, la capacità di provocare distorsioni della concorrenza debba essere valutata con riferimento all’area territoriale o alle aree in cui l’ente in questione fornisce i detti servizi di parcheggio o se, invece, occorra prendere a riferimento l’intero territorio nazionale dello Stato membro interessato.

2)      Cosa debba intendersi per “provocherebbe”, e in particolare, quale sia il grado di probabilità o il livello di certezza richiesto per soddisfare tale condizione.

3)       Come debba essere interpretata l’espressione “di una certa importanza”, e in particolare, se essa si riferisca ad un effetto sulla concorrenza più che irrilevante o minimo, ad un effetto “considerevole”, ovvero ad un effetto “eccezionale”».

II – Analisi giuridica

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

8.        Con tale questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’ipotesi di cui all’art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva implichi che l’eventuale distorsione di concorrenza provocata dal non assoggettamento degli enti di diritto pubblico che esercitano determinate attività in quanto pubbliche autorità sia valutata a livello locale, presupponendo la definizione delle condizioni di concorrenza sul mercato rilevante, o se debba valutarsi rispetto alla sola attività di cui trattasi.

1.      Osservazioni preliminari sulla struttura dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva

9.        Per fornire una soluzione alla prima questione occorre ricordare brevemente la ratio dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva. La regola stabilita da tale disposizione è quella del non assoggettamento all’IVA degli enti di diritto pubblico quando agiscono in quanto pubbliche autorità. In deroga a tale regola, esposta al primo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, è previsto, al secondo comma del medesimo articolo, che tali enti devono tuttavia pagare l’IVA in quanto il non assoggettamento delle attività di cui trattasi provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza. Tale eccezione generale è peraltro integrata dal terzo comma che stabilisce determinate attività per le quali gli enti di diritto pubblico, nonostante l’esercizio di tali attività in quanto pubbliche autorità, saranno sempre soggetti all’IVA. Tuttavia, poiché tali attività sono trascurabili, gli Stati membri possono, se lo desiderano, non farle rientrare nell’ambito di applicazione dell’IVA.

10.      Di conseguenza, i vari commi dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva sono strettamente connessi. In tal modo, si presuppone che l’applicazione del secondo comma di questa disposizione si collochi nell’ambito di applicazione di cui al primo comma. La Corte ha interpretato tale disposizione nel senso che stabilisce due condizioni cumulative al non assoggettamento. Da un lato, occorre che le attività siano esercitate da un ente pubblico e, dall’altro, che dette attività siano esercitate da tale ente che agisce in quanto pubblica autorità. È stato in seguito precisato che le attività indicate erano quelle svolte da tali enti nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati (5).

11.      A tale titolo e al pari delle osservazioni presentate dalla Commissione delle Comunità europee, è possibile, nella fattispecie, esprimere dubbi quanto alla soddisfazione di dette condizioni riguardanti la fornitura di posti macchina da parte degli enti locali. Più esattamente, non è sicuro che la fornitura di servizi di autoparcheggio in luogo custodito sia disciplinata da un regime giuridico proprio dell’ente pubblico. Tuttavia, poiché il giudice nazionale non ha presentato tale questione dinanzi alla Corte e la verifica della realizzazione di dette condizioni spetta al giudice nazionale (6), non occorre occuparsi oltre di tale problema.

2.      L’interpretazione dell’art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva

12.      Come è stato rilevato in precedenza, la questione centrale sollevata nella presente causa invita la Corte a pronunciarsi in merito all’approccio da adottare per determinare se esista una distorsione di concorrenza di una certa importanza di cui all’art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva, in deroga al non assoggettamento degli enti pubblici che agiscono in quanto pubbliche autorità previsto al primo comma di detto articolo.

13.      Le parti sono discordi su tale punto. Mentre i convenuti nella causa principale nonché il governo italiano depongono a favore di un approccio concorrenziale, che presupponga un’analisi concreta e preventiva del mercato rilevante per determinare se l’operazione di cui trattasi debba essere soggetta all’IVA, i ricorrenti nella causa principale manifestano la loro preferenza, quanto ad essi, per un approccio fiscale che si basi sull’attività interessata. Inoltre, il Regno Unito insiste sulle difficoltà di applicazione dei criteri concorrenziali in materia fiscale. L’Irlanda cerca di riconciliare tali posizioni ritenendo che tali possibilità rientrano nell’ambito di una scelta discrezionale degli Stati membri.

14.      Come verrà dimostrato, l’approccio fiscale deve prevalere. Infatti, il sistema fiscale stabilito dalla sesta direttiva è diretto ad assoggettare all’IVA tutte le attività economiche. Così, l’art. 2 della sesta direttiva stabilisce che sono soggette all’IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, nonché le importazioni di beni. È solo in deroga a tale norma generale che determinate attività non rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA. Sotto tale profilo, l’art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva, stabilisce che le attività svolte da un ente pubblico che agisce in quanto pubblica autorità non sono assoggettate ad IVA. Per contro, anche se le condizioni di tale deroga all’assoggettamento fossero soddisfatte, il legislatore comunitario ha ritenuto necessario, al terzo comma di tale articolo, mantenere l’assoggettamento per alcune di tali attività. Poiché l’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, qualunque sia il comma preso in considerazione, riguarda gli stessi enti che agiscono in quanto pubbliche autorità, la sola giustificazione della differenziazione del trattamento fiscale delle attività interessate operata in tali vari commi può basarsi unicamente sulla diversa natura di tali varie attività. Tale posizione è confermata dalla Corte la quale afferma che la reintroduzione dell’assoggettamento previsto al terzo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva mira a garantire che «talune categorie di attività economiche la cui importanza deriva dal loro oggetto non siano esenti dall’IVA» (7).

15.      Infatti, la ragion d’essere della deroga all’assoggettamento delle attività economiche all’IVA, prevista dall’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, si basa sulla debole presunzione secondo cui le attività esercitate dagli enti pubblici in quanto pubbliche autorità sono attività di natura essenzialmente regolamentare connesse all’utilizzo della potestà di imperio. Ciò premesso, il non assoggettamento all’IVA di tali attività non ha potenzialmente un effetto anticoncorrenziale con quelle esercitate dal settore privato, in quanto esse sono generalmente assunte a titolo esclusivo o quasi esclusivo dal settore pubblico. La neutralità fiscale è così rispettata.

16.      Tuttavia, tale presunzione resta una debole presunzione. Poiché la definizione di enti pubblici che agiscono in quanto pubbliche autorità, si basa certamente su criteri comunitari ma dipende ciononostante dall’organizzazione interna di ogni Stato membro, la probabilità che alcune di tali attività svolte da detti enti pubblici siano anche affidate al settore privato resta forte. Infatti, attività di natura essenzialmente economica possono rientrare nell’ambito delle condizioni della deroga, prevista al primo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, in quanto il diritto nazionale fa intervenire l’organismo pubblico nell’ambito di un «regime giuridico specifico», dato che la specificità di un tale regime produce, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la qualifica di attività esercitata in quanto pubblica autorità. Ora, il non assoggettamento di tali attività, essenzialmente economiche, può diventare fonte di distorsione di concorrenza in quanto dette attività sono o possono essere generalmente esercitate, parallelamente o addirittura principalmente, dal settore privato. Il non assoggettamento porterebbe allora ad uno sviamento del sistema IVA che si basa prima di tutto sul principio di neutralità fiscale.

17.      È principalmente tale ipotesi che il legislatore comunitario ha voluto evitare prevedendo al terzo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva, l’assoggettamento all’IVA di talune attività precisamente elencate nell’allegato D di questa direttiva. Le dette attività comprendono: telecomunicazioni; erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore; trasporto di merci; prestazione di servizi portuali e aeroportuali; trasporto di persone; cessione di beni nuovi prodotti per la vendita; operazioni degli organismi agricoli di intervento relative ai prodotti agricoli ed effettuate in applicazione dei regolamenti sull’organizzazione comune dei mercati di tali prodotti; gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; depositi; attività degli uffici di pubblicità commerciale; attività delle agenzie di viaggio; gestione di spacci, cooperative, mense aziendali e simili e attività degli enti radiotelevisivi diversi da quelli considerati all’art. 13, A, n. 1, lett. q), della sesta direttiva. Alla lettura di tale comma, risulta chiaramente che l’assoggettamento si applica a prescindere dell’esistenza di una concorrenza effettiva o potenziale a livello di taluni mercati locali su cui dette attività possono anche essere esercitate da enti pubblici nell’ambito di un regime giuridico specifico. L’unica circostanza rilevante è la natura dell’attività interessata.

18.      Di conseguenza, il secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva che stabilisce, al pari del terzo comma di tale articolo, una deroga al non assoggettamento deve essere interpretato nel senso che esso partecipa alla stessa logica del terzo comma, vale a dire ristabilire il principio dell’assoggettamento all’IVA delle attività di natura economica.

19.      Sotto tale profilo, il criterio della distorsione di concorrenza interviene al solo scopo di coadiuvare le autorità nazionali competenti nel determinare quali attività devono o meno essere soggette all’IVA. La nozione di distorsione di concorrenza non interviene come un principio regolatore di situazioni economiche particolari quali le intese o l’abuso di posizione dominante, bensì come un criterio incidentale a disposizione degli Stati membri per l’attuazione del regime IVA affinché possano determinare l’esercizio di quali attività deve essere soggetto a IVA (8). Tale criterio si inserisce così nella politica fiscale comunitaria, la quale mira ad assoggettare all’imposta sul valore aggiunto, conformemente al principio di neutralità fiscale, ogni attività economica.

20.      Peraltro, solo tale approccio consente di garantire il principio di semplicità connesso alla necessità di certezza giuridica nella riscossione dell’imposta. Tali principi sarebbero fortemente compromessi da un’analisi caso per caso delle situazioni concorrenziali sui mercati rilevanti. A tale titolo e in via incidentale, l’approccio accolto presenta il vantaggio di evitare costi amministrativi particolarmente onerosi per le autorità nazionali competenti.

21.      Anche il secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva IVA, deve essere interpretato nel senso che spetta agli Stati membri, nell’ambito del margine di discrezionalità loro riconosciuto per l’attuazione di tale disposizione (9), determinare in funzione delle attività interessate se esista un rischio di distorsione di concorrenza se gli organismi di diritto pubblico che le esercitano in quanto pubbliche autorità non fossero soggetti passivi dell’IVA.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

22.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio si interroga sulla portata dell’espressione «provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza» citata nel secondo comma, dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva. Egli vuol sapere se tale disposizione disciplini solo la concorrenza effettiva o se si estenda anche alla concorrenza potenziale.

23.      La presa in considerazione della concorrenza potenziale si deduce logicamente dall’interpretazione accolta nell’ambito della prima questione. Infatti, poiché il concetto di suddivisione per attività è applicabile, la situazione concorrenziale su un mercato locale dato è irrilevante.

24.      Soprattutto, la Corte ha già precisato che l’art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva «prende in considerazione, al fine di garantire la neutralità dell’imposta, scopo primario della sesta direttiva, il caso in cui gli enti di diritto pubblico svolgano, nell’ambito del regime giuridico loro proprio, attività che possono essere del pari svolte, in concorrenza con essi, da privati in regime di diritto privato, oppure in forza di concessioni amministrative» (10). Ora, se dovesse essere presa in considerazione la sola concorrenza effettiva, la neutralità fiscale non sarebbe più preservata in quanto unicamente la concorrenza effettiva esclude la presa in considerazione di un ingresso, a lungo termine o nell’immediato, di taluni operatori privati che, in ogni caso, saranno assoggettati ad IVA. Ciò premesso, appare pertanto chiaramente che il non assoggettamento degli operatori pubblici che esercitano la medesima attività degli operatori privati, assoggettati all’IVA, può condurre ad una distorsione di concorrenza di una certa rilevanza.

25.      Peraltro, come sottolinea l’avvocato generale Kokott «[a]nche se nessun operatore offre effettivamente prestazioni concorrenti esenti da IVA il pericolo di distorsione della concorrenza può essere reale, in quanto una situazione di partenza svantaggiosa è di per sé idonea a far desistere i potenziali concorrenti dall’impegnarsi attivamente sul mercato (…).» (11).

26.      Di conseguenza e conformemente alla posizione difesa dalla Commissione, l’espressione «provocherebbe» deve essere intesa nel senso che essa comprende sia la concorrenza effettiva che la concorrenza potenziale, purché quest’ultima sia reale.

C –    Sulla terza questione pregiudiziale

27.      La terza questione del giudice nazionale verte sul significato dell’espressione «distorsioni di concorrenza di una certa importanza» (12). Ci si chiede se tale espressione riguardi un effetto sulla concorrenza che non sia trascurabile o solo un effetto «eccezionale» che vada al di là delle distorsioni che risulterebbero normalmente dalla coesistenza sullo stesso mercato di prestatori soggetti a imposta e altri che non lo sono.

28.      Devo ammettere che la mia prima intuizione sarebbe di rispondere: nessuna delle due. Si tratta indubbiamente della volontà del legislatore comunitario aver preferito l’espressione «di una certa importanza» presupponendo una distorsione di concorrenza che sia verosimilmente più che trascurabile, senza tuttavia essere eccezionale. A questo riguardo, la risposta che potrebbe essere formulata a tale domanda ricorda la citazione di Bernard Shaw secondo cui «le domande alle quali è più difficile rispondere sono quelle la cui risposta è più ovvia».

29.      Infatti, il rischio al quale ci si espone sostituendo una parola con un’altra è di scegliere un’espressione altrettanto ambigua. Mi sembra più pertinente cominciare a riconoscere i limiti dell’interpretazione di talune nozioni, che sono in realtà restie a ogni predeterminazione mediante interpretazione generale e astratta. Esse acquisiscono il loro significato completo solo al momento del loro utilizzo, caso per caso e alla luce degli obiettivi del testo nel quale si inseriscono. Sotto tale profilo e nel presente ambito, l’interpretazione della nozione «di una certa importanza» deve tener conto del margine di discrezionalità che la sesta direttiva lascia agli Stati membri per determinare ciò che tale espressione comprende nel suo contesto di applicazione (13).

30.      Peraltro, molto spesso l’interpretazione di una tale nozione può derivare solo da una definizione negativa che evidenzi maggiormente ciò che non è rispetto a ciò che è. A tale titolo e come sottolineato in precedenza, i vari commi del n. 5, dell’art. 4 sono strettamente connessi sicché l’interpretazione di uno di essi non può prescindere da quella che prevale per ognuno di detti commi. Così, ritenere che l’utilizzo della potestà di imperio, che caratterizza l’attività come quella di un ente che agisce in quanto pubblica autorità, sia sufficiente ad escludere l’esistenza di qualsiasi distorsione di concorrenza con in particolare operatori privati, equivarrebbe a privare di effetto utile il secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva. Analogamente, l’esclusione dell’ambito di applicazione dell’IVA riconosciuta a favore dell’ente che agisce in quanto pubblica autorità non può essere considerata di per sé stessa nel senso che implica una distorsione di concorrenza che giustifica l’assoggettamento all’IVA ai sensi del secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva. Infatti, solo una distorsione di concorrenza di una certa importanza deve determinare il pagamento dell’imposta da parte dell’ente che agisce in quanto pubblica autorità, a meno di privare di effetto utile il primo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva. Ogni altra interpretazione rischierebbe di includere praticamente tutte le operazioni o attività svolte da una pubblica autorità, che agisce in quanto tale, nell’ambito di applicazione della deroga alla regola del non assoggettamento all’IVA di tali enti.

31.      L’espressione «di una certa importanza» implica che la distorsione di concorrenza senza essere trascurabile o eccezionale sia fuori del comune. Qualsiasi diversa applicazione del concetto è possibile solo caso per caso e alla luce degli obiettivi della sesta direttiva precisati nella prima parte delle presenti conclusioni. Così, si deve concludere su questo punto che l’interpretazione di una tale nozione risulta dal margine di discrezionalità degli Stati membri in quanto essa può assumere il suo significato solo nel suo contesto di applicazione purché detta interpretazione rispetti gli obiettivi della sesta direttiva, come precisati.

III – Conclusioni

32.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali proposte:

«1)      Il secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile, deve essere interpretato nel senso che spetta agli Stati membri, nell’ambito del margine di discrezionalità a loro riconosciuto per l’attuazione di questa disposizione, determinare, in funzione delle attività interessate, se esista un rischio di distorsione di concorrenza qualora gli enti di diritto pubblico che la esercitano in quanto pubbliche autorità non fossero assoggettati all’IVA.

2)      L’espressione “provocherebbe” deve essere intesa nel senso che essa comprende sia la concorrenza effettiva che la concorrenza potenziale, purché quest’ultima sia reale.

3)      L’espressione “di una certa importanza” implica che la distorsione di concorrenza senza essere trascurabile o eccezionale sia fuori del comune. L’interpretazione di una tale nozione risulta dal margine di discrezionalità degli Stati membri in quanto essa può assumere il suo significato solo nel suo contesto di applicazione purché detta interpretazione rispetti gli obiettivi della direttiva 77/388, come precisati».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU L 145, pag. 1. Tale direttiva ha costituito oggetto di numerose modifiche successive ed è stata abrogata dalla direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE (GU L 347, pag. 1). Quest’ultima direttiva riproduce letteralmente al suo art. 13, n. 1, secondo comma, le disposizioni dell’art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva. Parimenti, l’allegato D menzionato al terzo comma del detto art. 4, n. 5, è ormai diventato l’allegato I della direttiva 2006/112.


3– In prosieguo: gli «enti locali» o i «convenuti nella causa principale».


4 – Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-446/98 (Racc. pag. I-11435).


5 – Sentenza Fazenda Pública, citata (punti 16 e 17).


6 – Sentenza 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, Comune di Carpaneto Piacentino e a. «Carpaneto I» (Racc. pag. 3233, punto 16), e sentenza Fazenda Pública, citata (punto 23).


7 – Sentenza Carpaneto I, citata (punto 26), il corsivo è mio.


8 – V. in tal senso anche la posizione difesa dall’avvocato generale Mischo ai paragrafi 14 e 15 delle conclusioni presentate nella causa Comune di Carpaneto Piacentino e a., «Carpaneto II» (sentenza 15 maggio 1990, causa C-4/89, Racc. pag. I-1869).


9 – Per una conferma di tale margine di discrezionalità attribuito agli Stati membri, v., in particolare, le sentenze citate Carpaneto I (punto 23); Carpaneto II (punto 13), e Fazenda Pública (punti 31 e 32). Inoltre, occorre precisare che il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati è così più esteso nell’ambito del secondo comma dell’art. 4, n. 5, della sesta direttiva IVA rispetto alla trasposizione del terzo comma in cui le attività, che devono in via di principio essere assoggettate, sono previamente definite dal legislatore comunitario.


10 – Sentenza Carpaneto I, citata (punto 22). L’obiettivo di neutralità fiscale perseguito da tale comma è stato ricordato costantemente, v., più di recente, sentenza 8 giugno 2006, causa C-430/04, Feuerbestattungsverein Halle (Racc. pag. I-4999, punto 24).


11 – Paragrafo 131 delle conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza 26 giugno 2007, causa C-369/04, Hutchison 3G e a. (Racc. pag. I-5247).


12– Il corsivo è mio.


13– Per una tesi analoga, v. in particolare: sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (Racc. pag. I-4941, punti 25 e segg.)