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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 dicembre 2008 1(1)

Causa C-515/07

Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie

contro

Staatssecretaris van Financiën

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi)]

«Artt. 6, n. 2, primo comma, e 17 della sesta direttiva IVA – Beni e servizi utilizzati in parte per le esigenze dell’impresa e in parte per attività non economiche – Nozione di “fini estranei all’impresa” – Integrazione nel patrimonio professionale del soggetto passivo – Possibilità di detrazione immediata e integrale dell’IVA versata sull’acquisto di beni e di servizi diversi dai beni di investimento»





I –    Introduzione

1.        Con il presente rinvio pregiudiziale lo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) interroga la Corte, in sostanza, sulla questione se il diritto alla deduzione dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») versata a monte non si applichi solo all’acquisto di beni di investimento ma possa estendersi a quello di altri beni e servizi utilizzati sia per operazioni professionali effettuate a valle che per altri scopi, vale a dire la realizzazione, da parte del soggetto passivo, di attività di natura non economica, considerate dal giudice di rinvio quali fini estranei all’impresa. In caso di soluzione affermativa, il giudice del rinvio si interroga sulle modalità di attuazione del diritto a deduzione.

II – Contesto normativo comunitario

2.        L’art. 2, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 19 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (2), come modificata dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE (3) (in prosieguo: la «sesta direttiva»), assoggetta all’IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale», vale a dire quando tale soggetto effettua operazioni nell’ambito della sua attività imponibile (4).

3.        L’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva assimila alle prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso «l’uso di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo o per l’uso del suo personale o, più generalmente, a fini estranei alla sua impresa qualora detto bene abbia consentito una deduzione totale o parziale dell’imposta sul valore aggiunto».

4.        L’art. 6, n. 2, primo comma, lett. b), della medesima direttiva assimila alle prestazioni a titolo oneroso le «prestazioni di servizi a titolo gratuito effettuate dal soggetto passivo per il proprio uso privato o ad uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa».

5.        Secondo l’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore (…) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all’interno del paese per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo.

6.        Ai sensi dell’art. 17, n. 5, della sesta direttiva, per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a deduzione di cui ai nn. 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la deduzione è ammessa soltanto per il prorata dell’imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni.

7.        L’art. 17, n. 6, della sesta direttiva dispone:

«Al più tardi entro un termine di quattro anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva, il Consiglio, con decisione all’unanimità adottata su proposta della Commissione, stabilisce le spese che non danno diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto.

Saranno comunque escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza.

Fino all’entrata in vigore delle norme di cui sopra, gli Stati membri possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale al momento dell’entrata in vigore della presente direttiva».

8.        L’art. 20, n. 2, della sesta direttiva prevede che, per quanto riguarda i beni d’investimento, la rettifica deve essere ripartita su cinque anni, compreso l’anno in cui i beni sono stati acquistati o fabbricati. Ogni anno tale rettifica è effettuata solo per un quinto dell’imposta che grava sui beni in questione. Essa è eseguita secondo le variazioni del diritto a deduzione che hanno avuto luogo negli anni successivi rispetto all’anno in cui i beni sono stati acquistati o fabbricati. Tale disposizione precisa inoltre che, in deroga al primo comma, gli Stati membri possono basare la rettifica su un periodo di cinque anni interi a decorrere dalla prima utilizzazione dei beni. Essa aggiunge in particolare che, per quanto riguarda i beni d’investimento immobiliari, la durata del periodo che funge da base al calcolo delle rettifiche può essere elevata sino a vent’anni.

III – Fatti della controversia principale e questioni pregiudiziali

9.        La Vereniging Noordelijke Land- en Tuinbouw Organisatie (in prosieguo: la «VNLTO»), ricorrente nella causa principale, promuove gli interessi del settore agrario nelle province di Groningen, Friesland, Drenthe e Flevoland. I soci della ricorrente – imprenditori operanti nel settore agrario – le versano un contributo. Oltre a tutelare gli interessi generali dei suoi soci, la VNLTO presta servizi individuali a favore sia dei propri soci sia di terzi, per i quali fattura un rimborso separato.

10.      È pacifico che la VNLTO debba esse considerata soggetta all’IVA per le prestazioni di servizi individuali rese a fronte di un rimborso e che la parte del contributo relativa alla generale promozione di interessi non costituisce un rimborso ai fini dell’IVA.

11.      Nel corso del 2000, la VNLTO acquistava beni e servizi che ha utilizzato sia per proprie attività economiche assoggettate a IVA ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva IVA sia per attività relative alla generale promozione degli interessi dei suoi soci, che non presentano alcun collegamento con le prime. La VNLTO chiedeva la detrazione degli importi dell’IVA versati a monte per detti beni e servizi, tra i quali ricadono quelli afferenti ad attività relative alla generale promozione degli interessi dei suoi soci.

12.      L’ispettore delle imposte negava il riconoscimento della detrazione richiesta e notificava alla VNLTO un avviso di riscossione posticipata. In tale avviso gli importi dell’IVA pagata a monte sulle attività relative alla generale promozione degli interessi dei soci venivano imputati proporzionalmente ai redditi della VNLTO generati da tali attività. Il reclamo della VNLTO contro tale avviso veniva respinto, così come, successivamente, l’impugnazione proposta contro la decisione resa sul reclamo. Nella sua sentenza, il Gerechtshof Leeuwarden riteneva che la promozione generale degli interessi dei soci non costituisse un corollario diretto, durevole e necessario delle attività economiche della VNLTO e che quest’ultima non potesse detrarre l’IVA ad essa addebitata nei limiti in cui i relativi beni e servizi venivano utilizzati nell’ambito della generale promozione degli interessi dei soci.

13.      Adito in ultima istanza, lo Hoge Raad der Nederlanden si richiama alla sentenza Charles e Charles-Tijmens (5), secondo cui gli artt. 6, n. 2, e 17, nn. 2 e 6, della sesta direttiva ostano ad una normativa nazionale che non consenta ad un soggetto passivo di destinare interamente alla sua impresa un bene d’investimento utilizzato in parte per l’impresa e in parte per fini ad essa estranei e, all’occorrenza, di detrarre integralmente e immediatamente l’IVA dovuta sull’acquisto di tale bene. Il giudice del rinvio precisa che sembra ragionevolmente ovvio che la citata sentenza Charles e Charles-Tijmens debba valere anche nel caso di una persona giuridica che, come nel caso di specie, oltre alle proprie attività economiche, svolga anche attività non comprese nell’ambito di applicazione dell’IVA. In tal caso, e nei limiti in cui i beni acquistati siano beni di investimento, il giudice del rinvio precisa che la VNLTO avrebbe diritto alla detrazione di tutta l’imposta sul valore aggiunto addebitata a titolo di spese generali, ma dai documenti processuali della causa principale non emerge quale parte dell’IVA dedotta riguardi beni di investimento. Lo Hoge Raad der Nederlanden ritiene, invece, che sussistano dubbi sull’estensione del principio affermato nel dispositivo della citata sentenza Charles e Charles-Tijmens alla fattispecie dei beni non di investimento e a quella dei servizi. Il giudice del rinvio si pone inoltre la questione se il soggetto passivo abbia il diritto di destinare integralmente alla sua impresa beni non di investimento e servizi e di detrarre, quindi, integralmente ed immediatamente l’IVA addebitata per l’acquisto di siffatti beni e servizi, anche quando tali beni e servizi vengano utilizzati in parte per operazioni non destinate a prestazioni soggette ad imposta in forza dell’art. 2 della sesta direttiva.

14.      Ciò premesso, lo Hoge Raad der Nederlanden ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se gli artt. 6, n. 2, e 17, nn. 2 e 6, della sesta direttiva (…) debbano essere interpretati nel senso che sia consentito ad un soggetto passivo destinare integralmente alla sua impresa non solo i beni di investimento, ma tutti i beni e servizi utilizzati sia a fini interni all’impresa sia a fini ad essa estranei, e di detrarre immediatamente ed integralmente l’[IVA] applicata per l’acquisto dei beni e servizi medesimi.

2) Nel caso in cui la questione sub 1) vada risolta in senso affermativo, se l’applicazione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva (…) comporti, con riguardo a servizi e beni, diversi dai beni di investimento, che l’imposizione dell’IVA avvenga in un’unica soluzione nel periodo impositivo di godimento della detrazione per i servizi e beni medesimi, ovvero se l’imposizione debba avvenire anche in periodi successivi e, in tal caso, come debba essere determinata la base imponibile per i beni e servizi che non sono oggetto di ammortamento da parte del soggetto passivo».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

15.      Conformemente all’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, hanno depositato osservazioni scritte i governi olandese, tedesco, portoghese e del Regno Unito, nonché la Commissione. Tali parti sono state inoltre sentite all’udienza tenutasi il 16 ottobre 2008, ad eccezione della Repubblica federale di Germania e della Repubblica portoghese, che non erano rappresentate.

V –    Analisi

16.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se un soggetto passivo possa destinare alla sua impresa, in forza degli artt. 6, n. 2, e 17 della sesta direttiva, non solo i beni di investimento, ma tutti i beni e servizi che vengono utilizzati sia a fini interni all’impresa che a fini ad essa estranei, ed essere quindi autorizzato a detrarre immediatamente ed integralmente l’IVA pagata sull’acquisto di tali beni e servizi.

17.      Con la seconda questione, posta solo in caso di soluzione affermativa della precedente, il giudice del rinvio intende sapere, in sostanza, nel caso in cui i beni non di investimento ed i servizi possano beneficiare del meccanismo di cui all’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva, da un lato, su quale periodo debba essere effettuata l’imposizione a valle, vale a dire, precisa detto giudice, se in un’unica soluzione ovvero se frazionata su più periodi impositivi e, dall’altro, come debba essere determinata la base imponibile per i beni ed i servizi che non sono oggetto di ammortamento.

18.      Come risulta chiaramente dalla decisione di rinvio, tali questioni si fondano sulla premessa giuridica secondo cui un soggetto passivo che acquisti un bene di investimento può avvalersi delle disposizioni dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva, quando tale bene venga utilizzato per attività non economiche di detto soggetto passivo. Esse si fondano inoltre sul presupposto che nell’espressione «fini estranei [all’]impresa», ai sensi del medesimo articolo, rientrino le attività non economiche esercitate dal soggetto passivo.

19.      Le osservazioni seguenti dimostreranno, in via principale, che la premessa in questione, attinente all’interpretazione della sesta direttiva, è errata, come hanno fatto valere anche alcuni dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, e, pertanto, che non occorre risolvere le questioni poste, in quanto non sono pertinenti ai fini della soluzione della controversia principale. In subordine, esaminerò gli aspetti specifici sollevati dalle due questioni pregiudiziali, nell’eventualità in cui la Corte non accogliesse la soluzione da me proposta in via principale.

A –    Considerazioni generali e rilevanza della premessa giuridica sulla quale si fondano le questioni pregiudiziali

20.      L’IVA è un’imposta generale sui consumi il cui onere viene interamente sopportato dal consumatore finale. Fino al livello del consumatore finale, i soggetti passivi che partecipano al processo di produzione e di commercializzazione versano all’amministrazione finanziaria gli importi dell’IVA addebitata ai propri clienti (IVA prelevata a valle), previa detrazione degli importi dell’IVA versata ai rispettivi fornitori (IVA deducibile a monte) (6). Quando un soggetto passivo acquista beni e servizi per realizzare operazioni imponibili a valle, ha il diritto di detrarre l’IVA applicata sull’acquisto di detti beni e servizi (7).

21.      L’IVA si caratterizza per la sua neutralità in tutte le fasi di produzione e di commercializzazione. In virtù del principio di neutralità, un soggetto deve sostenere l’onere dell’IVA solo quando quest’ultima si riferisce a beni o servizi che tale soggetto utilizza per fini privati e non per le proprie attività economiche imponibili (8). Pertanto, qualora un bene non venga usato per le esigenze delle attività economiche del soggetto passivo, bensì venga da questo adibito ad uso privato, non può nascere alcun diritto alla detrazione (9). A fortiori, non è possibile la detrazione dell’IVA assolta a monte nella misura in cui quest’ultima si riferisca ad attività di un soggetto passivo che non presentino natura economica e che esulino, pertanto, dall’ambito di applicazione della sesta direttiva (10).

22.      Possono sorgere difficoltà nei casi di un uso cosiddetto «misto», vale a dire quando un soggetto passivo, dopo avere acquistato beni o servizi nell’ambito della sua attività economica, li utilizzi in parte per proprie operazioni imponibili e in parte per altri scopi.

23.      La sesta direttiva prevede due categorie di usi misti (11).

24.      Nella prima categoria rientra l’art. 6, n. 2, primo comma, della direttiva de qua – espressamente menzionato dalla decisione di rinvio – che assimila a prestazioni effettuate a titolo oneroso, da una parte, alla lett. a), l’uso di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo o per l’uso del suo personale o, più generalmente, a fini estranei alla sua impresa, qualora detto bene abbia consentito una detrazione totale o parziale dell’IVA e, dall’altra, alla lett. b), le prestazioni di servizi a titolo gratuito effettuate dal soggetto passivo per il proprio uso privato o ad uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa (12).

25.      Come la Corte ha già avuto modo di affermare, scopo dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva è garantire la parità di trattamento fra il soggetto passivo e il consumatore finale (13). Infatti, assimilando operazioni effettuate a titolo gratuito ad operazioni effettuate a titolo oneroso, tale disposizione, alla lett. a), mira ad impedire che un soggetto passivo, il quale abbia potuto dedurre l’IVA sull’acquisto di un bene destinato alla sua impresa, possa sfuggire al pagamento dell’IVA quando preleva il bene stesso dal patrimonio della sua impresa per fini privati (o per fini estranei alla sua impresa) e godere così di indebiti vantaggi rispetto al consumatore finale ordinario che acquista il bene pagando l’IVA (14). Lo stesso vale per l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. b), della sesta direttiva, il cui scopo consiste nell’impedire che un soggetto passivo (o il suo personale) ottenga in esenzione dall’imposta prestazioni di servizi fornite dal soggetto passivo stesso per le quali un singolo avrebbe dovuto pagare l’IVA (15).

26.      L’assimilazione sulla quale si fonda l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva fa sì, in pratica, che quando un soggetto passivo utilizzi un bene in parte per lo svolgimento di operazioni professionali soggette ad imposta e in parte per scopi privati e che, al momento dell’acquisto del bene, abbia ricuperato in tutto o in parte l’IVA versata a monte, si ritiene che utilizzi il bene interamente per le esigenze delle sue operazioni soggette ad imposta ai sensi dell’art. 17, n. 2, della medesima direttiva. Pertanto, detto soggetto passivo ha, in linea di massima, diritto a detrarre totalmente ed immediatamente l’IVA dovuta a monte sull’acquisto del bene (16).

27.      Poiché in questo caso non sussiste un’operazione con un terzo né una contropartita versata da quest’ultimo che costituisca la base imponibile ai fini dell’IVA – dato che il soggetto passivo fornisce un servizio a se stesso –, l’art. 11, parte A, n. 1, lett. c), della sesta direttiva prevede che la base imponibile è costituita «dalle spese sostenute dal soggetto passivo per la prestazione dei servizi».

28.      L’applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva procura un certo numero di vantaggi al soggetto passivo, compreso, in particolare, quello di frazionare l’imposizione sull’intero periodo dell’utilizzo a fini privati del bene di impresa acquistato, mentre la detrazione dell’IVA assolta a monte sull’acquisto di tale bene è totale e immediata. Ne consegue quindi un vantaggio di tesoreria per il soggetto passivo (17). Benché il giudice del rinvio non abbia indicato espressamente le implicazioni della causa principale, non è escluso che, come ha rilevato il governo del Regno Unito in udienza, tale vantaggio fiscale sia all’origine del tentativo della VNLTO di valersi dell’applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva dinanzi ai giudici nazionali.

29.      L’art. 17, n. 5, della sesta direttiva appartiene alla seconda categoria di disposizioni relative all’uso misto. Conformemente al primo comma di tale disposizione, per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione (vale a dire utilizzati per effettuare operazioni imponibili) sia per operazioni che non conferiscono tale diritto (vale a dire operazioni esenti), la detrazione è ammessa soltanto per il prorata dell’IVA relativo alla prima categoria di operazioni (18).

30.      Come la Corte ha recentemente precisato nella citata sentenza Securenta, menzionata più volte in udienza, l’art. 17, n. 5, della sesta direttiva verte, infatti, sull’IVA a monte gravante sulle spese connesse esclusivamente ad attività economiche, operando una ripartizione, all’interno di dette attività, tra quelle imponibili, che danno diritto a detrazione, e quelle esenti, che non conferiscono tale diritto. La sesta direttiva non prevede, invece, alcun meccanismo che consenta una ripartizione dei prorata dell’IVA versata a monte a seconda che le spese corrispondenti attengano ad operazioni economiche o ad operazioni non economiche effettuate dal soggetto passivo. Benché spetti quindi agli Stati membri determinare tale ripartizione, la Corte ha tuttavia precisato che, tenuto conto dello scopo e dell’economia della sesta direttiva, essi devono esercitare il loro potere discrezionale in modo da garantire che la detrazione sia effettuata soltanto per il prorata dell’IVA relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione, vale a dire che essi devono vigilare affinché il calcolo del prorata tra attività economiche e attività non economiche rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese a monte a ciascuna di queste due attività (19).

31.      Nel caso in esame occorre ricordare che dalle informazioni fornite dal giudice a quo risulta che la VNLTO esercita sia attività economiche rientranti nell’ambito di applicazione della sesta direttiva sia attività non economiche, ossia la generale promozione degli interessi dei suoi soci, che esulano dal campo di applicazione della menzionata direttiva. Secondo le spiegazioni del giudice a quo, la VNLTO ha acquistato beni di investimento senza che, tuttavia, si possa determinare la parte dell’IVA da essa portata in detrazione con riguardo all’acquisto di tali beni di investimento, salvo rinviare la causa dinanzi ai giudici di merito. Risulta, inoltre, dalla decisione di rinvio che l’acquisto dei beni in questione è stato iscritto a bilancio a titolo di spese generali della VNLTO, senza essere quindi imputato esclusivamente alle attività economiche esercitate a valle dalla stessa VNLTO. Il giudice del rinvio ritiene che quest’ultima possa nondimeno valersi delle disposizioni dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva e possa quindi dedurre integralmente l’IVA assolta a monte in occasione dell’acquisto di beni di investimento, dato che l’esercizio da parte dell’associazione di attività non economiche sembra collegato, secondo detto giudice, alla nozione di «fini estranei all’impresa» di cui alla menzionata disposizione. Il giudice del rinvio fonda tale interpretazione sulla giurisprudenza della Corte e più precisamente sulla citata sentenza Charles e Charles-Tijmens.

32.      Nelle loro osservazioni scritte, i governi olandese e portoghese hanno vigorosamente contestato la premessa sulla quale si fondano le questioni pregiudiziali. Il governo olandese ha ribadito tale obiezione all’udienza, obiezione che è stata sostenuta anche dal rappresentante del governo del Regno Unito. Pur non contestando, in definitiva, che una persona giuridica soggetta all’IVA possa valersi delle disposizioni dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva, al pari dei soggetti passivi persone fisiche (20), detti governi sostengono tuttavia che la detrazione dell’IVA assolta a monte è esclusa se i beni di investimento vengono utilizzati per l’esercizio di attività non economiche, nella specie quelle relative alla promozione generale degli interessi dei soci. I governi olandese e portoghese aggiungono che beni acquistati da una persona giuridica soggetta all’IVA e utilizzati, fin dal loro acquisto, per perseguire l’oggetto statutario di tale persona non possono essere considerati utilizzati per esigenze private o per fini estranei all’impresa.

33.      A tale riguardo si deve osservare che risulta, infatti, dalla citata sentenza Securenta – che riguardava la situazione di una società che esercitava sia attività economiche, per le quali versava l’IVA, sia attività non economiche, che esulavano dal campo di applicazione dell’IVA, e che chiedeva di poter detrarre l’IVA assolta a monte sulle spese non collegate ad attività a valle determinate – che «l’IVA che ha gravato a monte sulle spese sostenute da un soggetto passivo non può dare diritto a detrazione nella misura in cui essa si riferisca ad attività che, in considerazione del loro carattere non economico, non rientrano nell’ambito di applicazione della sesta direttiva» (21).

34.      Di conseguenza, la detrazione dell’IVA assolta a monte è ammessa solo qualora le spese sostenute possano essere imputate all’attività economica a valle del soggetto passivo (22).

35.      Nel caso di specie, il giudice del rinvio sembra tuttavia interpretare l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva nel senso che concederebbe la possibilità di derogare alla regola generale sopra ricordata. Detto giudice sembra quindi assimilare l’uso parziale di un bene di investimento, da parte di un soggetto passivo, per realizzare attività non economiche all’uso, da parte di tale soggetto passivo, di un bene di investimento destinato all’impresa «a fini estranei alla sua impresa», ai sensi dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva.

36.      Ritengo che questo tipo di ragionamento possa essere condiviso solo in parte.

37.      È vero che l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva, assimilando a prestazioni a titolo oneroso e, quindi, rientranti nell’ambito di applicazione della medesima direttiva, operazioni che, in linea di principio, non dovrebbero essere soggette all’IVA, è una disposizione di natura derogatoria nell’economia della medesima direttiva. Infatti, interrogata in merito all’interpretazione da attribuire all’espressione «uso di un bene» di cui all’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva, la Corte ha precisato che «l’uso privato di un bene è (…) imponibile solo in via eccezionale» e ha quindi concluso che i termini «uso di un bene» devono essere interpretati in senso stretto, comprendente unicamente l’uso vero e proprio del bene (23).

38.      Pertanto, l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva non è volto a stabilire una regola generale secondo cui operazioni che esulano dall’ambito di applicazione dell’IVA sono considerate ricomprese in tale ambito. Come ha fatto valere giustamente il governo del Regno Unito in udienza, interpretare l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva nel senso che esso sancisca una siffatta regola generale avrebbe l’effetto di privare di contenuto l’art. 2, n. 1, della direttiva stessa.

39.      A questo punto occorre interrogarsi sulle fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva.

40.      In sostanza, l’applicazione di tale disposizione è subordinata alla presenza di tre condizioni cumulative.

41.      In primo luogo, il bene dev’essere stato acquistato da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e deve essere destinato al patrimonio della sua impresa. Tale condizione implica che un soggetto passivo che effettui un’operazione a titolo privato non agisca in quanto soggetto passivo ai sensi della sesta direttiva (24). Essa implica inoltre che, nonostante l’uso di un bene di investimento sia per esigenze private che a fini professionali, la destinazione totale del bene al patrimonio privato del soggetto passivo esclude la detrazione dell’IVA assolta al momento del suo acquisto (25).

42.      Benché, leggendo la decisione di rinvio, sussistano dubbi sul fatto che i beni di investimento ivi menzionati siano stati destinati al patrimonio dell’impresa, vale a dire destinati alle attività economiche del soggetto passivo, il giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti della specie, sembra tuttavia ritenere che tale condizione sussista nella causa principale e che occorre, quindi, tenerne conto ai fini della presente analisi (26).

43.      In secondo luogo, l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva esige che il bene in questione abbia conferito un diritto alla detrazione totale o parziale dell’IVA. Tale condizione, letta parimenti alla luce dell’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, significa, in particolare, che un soggetto passivo che, pur agendo in quanto tale, acquisti un bene per le esigenze di un’attività esente da IVA in virtù delle disposizioni della sesta direttiva, non potrà beneficiare dell’applicazione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva, neppure qualora utilizzi parzialmente tale bene anche per esigenze private.

44.      In terzo luogo, il bene d’impresa in questione dev’essere utilizzato per esigenze private del soggetto passivo o per quelle del suo personale o, «più generalmente, a fini estranei alla sua impresa».

45.      Leggendo l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva, l’espressione «fini estranei alla sua impresa», introdotta dalla locuzione avverbiale «più generalmente», sembra comportare un ampliamento delle prime due fattispecie in cui si applica tale disposizione, ossia allorché, per quanto riguarda la lett. a) di tale articolo, il bene d’impresa venga utilizzato «per l’uso privato del soggetto passivo o per l’uso del suo personale».

46.      A tale riguardo sembra anzitutto ragionevole pensare che, tenuto conto degli obiettivi e dell’economia della sesta direttiva, la nozione di «impresa» di cui all’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva abbia un contenuto sostanziale, ossia che essa si colleghi all’attività economica del soggetto passivo. Pertanto, mi sembra sufficiente rilevare che l’applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva è esclusa quando un soggetto passivo utilizzi un bene di investimento sia per operazioni imponibili che per operazioni esenti nell’ambito della sua attività economica. Benché sussista un uso misto dello stesso bene, tale situazione rientra, tuttavia, nell’ambito di applicazione dell’art. 17, n. 5, della sesta direttiva, secondo cui, lo ricordo, la detrazione dell’IVA versata a monte è possibile soltanto per il prorata dell’importo relativo alle operazioni imponibili. La nozione di fini estranei alla sua impresa può quindi comprendere, tutt’al più, soltanto fini estranei all’attività economica del soggetto passivo.

47.      Si pone allora la questione se tale constatazione debba indurre a ritenere che l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva si estenda all’utilizzo di un bene d’impresa per tutte le attività non economiche del soggetto passivo, al di là dei casi di impiego a fini privati.

48.      Alla luce, in particolare, della giurisprudenza, mi sembra che tale questione debba essere risolta in senso negativo.

49.      In primo luogo, nella sua giurisprudenza la Corte non sembra assolutamente considerare l’uso di un bene «a fini estranei [all’]impresa» quale esempio di un uso non a fini privati. Infatti, la Corte ha dichiarato che «dal sistema della sesta direttiva risult[a] che l’art. 6, n. 2 lett. a), [della stessa] è inteso ad evitare la non tassazione di un bene aziendale usato a fini privati» (27).

50.      In secondo luogo, si deve ricordare che, nella citata sentenza Securenta, la Corte ha rilevato che le disposizioni della sesta direttiva non contengono regole sui metodi o i criteri che gli Stati membri sono tenuti ad applicare quando adottino disposizioni che consentano una ripartizione dei prorata dell’IVA versata a monte a seconda che le spese corrispondenti attengano ad attività economiche o ad attività non economiche (28). Essa ha tuttavia dichiarato che, nell’esercizio del loro potere discrezionale, gli Stati membri, che sono tenuti in particolare a rispettare il principio di neutralità fiscale su cui si basa il sistema comune dell’IVA, devono garantire che la detrazione sia effettuata soltanto per il prorata dell’IVA relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione (29). Orbene, sembra dubbio che la Corte, qualora avesse ritenuto che l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva consentisse di assimilare ad una prestazione a titolo oneroso l’uso di un bene di investimento, destinato all’impresa, a fini non economici e autorizzasse, quindi, il soggetto passivo a detrarre integralmente l’IVA assolta a monte sull’acquisto di tale bene, avrebbe, da una parte, affermato la competenza degli Stati membri di adottare regole relative alla ripartizione dell’IVA a monte che grava sulle spese afferenti ad attività sia economiche che non economiche e, dall’altra, richiesto che tali Stati membri garantiscano che la detrazione sia effettuata soltanto per il prorata dell’IVA relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione.

51.      Se la Corte avesse interpretato l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva come una deroga generale alle disposizioni dell’art. 17 della sesta direttiva, le valutazioni da essa effettuate nella citata sentenza Securenta sarebbero state quanto meno più attenuate, se non sostituite da alcune considerazioni relative all’art. 6, n. 2, della sesta direttiva. Infatti, conformemente alla giurisprudenza, nulla impediva alla Corte di interpretare tale disposizione, anche se non era espressamente menzionata dalle questioni pregiudiziali poste nella causa Securenta (30).

52.      Le suesposte considerazioni mi inducono, in terzo luogo, a condividere il parere espresso dall’avvocato generale Sharpston nella citata causa Danfoss e AstraZeneca, secondo cui l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva riguarda gli usi totalmente estranei a quelli dell’attività imponibile dell’impresa (31), vale a dire non inerenti né direttamente né indirettamente agli interessi dell’impresa.

53.      Ora, l’uso di un bene ai fini delle attività non economiche di un soggetto passivo, simultaneamente a quello effettuato ai fini di sue attività economiche imponibili, può in molti casi essere direttamente o indirettamente connesso agli interessi dell’impresa, a differenza, in linea di principio, dell’uso privato dello stesso bene. Ammettere l’estensione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva agli usi per attività non economiche di un soggetto passivo condurrebbe, inoltre, a dover delimitare in ciascun caso concreto gli usi realmente estranei ai fini dell’impresa da quelli inerenti alle esigenze della stessa. Ne conseguirebbe una maggiore complessità del regime comune dell’IVA, il che non mi sembra corrispondere, in generale, allo spirito della sesta direttiva (32).

54.      Ritengo pertanto che l’uso «a fini estranei [all’]impresa» menzionato all’art. 6, n. 2, della sesta direttiva non possa inglobare qualsiasi uso ai fini delle attività non economiche di un soggetto passivo (33).

55.      Tale valutazione non pregiudica l’effetto utile dell’espressione «fini estranei [all’]impresa», considerato che essa può estendersi a qualsiasi uso a fini privati da parte di soggetti terzi rispetto al soggetto passivo o al suo personale. Come ha fatto valere il governo portoghese nelle sue osservazioni scritte, ciò si verificherebbe, ad esempio, nel caso di un bene di investimento che la VNLTO avesse utilizzato sia per attività imponibili che per esigenze private di uno dei suoi soci o di un dirigente di questi ultimi. Tuttavia, come ho appena rilevato, non sembra essere questa la situazione per la quale la VNLTO tenta di valersi dell’applicazione dell’articolo 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva.

56.      Ritengo, quindi, errata l’interpretazione degli artt. 6, n. 2, primo comma, e 17 della sesta direttiva, sulla base della quale il giudice del rinvio fonda la premessa delle sue questioni pregiudiziali. Pertanto, tali questioni mi sembrano irrilevanti ai fini della soluzione della controversia nella causa principale.

57.      Di conseguenza, propongo, in via principale, di risolvere la decisione di rinvio nel senso che l’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva non si applica all’uso di un bene di investimento destinato all’impresa per le esigenze delle attività non economiche del soggetto passivo.

58.      Solo qualora la Corte non dovesse condividere tale valutazione occorrerebbe risolvere gli aspetti specifici sollevati dalla prima questione pregiudiziale e poi, se del caso, quelli della seconda questione. Esaminerò quindi tali questioni unicamente in via subordinata nelle osservazioni che seguono.

B –    Sugli aspetti specifici sollevati dalla prima questione

59.      Come si è già rilevato, il giudice del rinvio chiede se un soggetto passivo possa, in forza degli artt. 6, n. 2, e 17 della sesta direttiva, destinare alla sua impresa i beni non di investimento e i servizi utilizzati sia per l’impresa sia a fini ad essa estranei e quindi detrarre integralmente e immediatamente l’IVA assolta sull’acquisto di tali beni e servizi.

60.      Anzitutto occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza, in caso di utilizzazione di un bene di investimento per fini tanto privati quanto professionali, l’interessato ha la possibilità di scegliere, ai fini dell’IVA, di inserire il bene medesimo integralmente nel patrimonio della propria impresa o di conservarlo integralmente nel proprio patrimonio privato escludendolo in tal modo completamente dal sistema dell’IVA, ovvero di inserirlo nella propria impresa solamente a concorrenza dell’utilizzazione professionale effettiva (34).

61.      Come ho già avuto modo di osservare, se il soggetto passivo decide di trattare beni d’investimento utilizzati tanto per fini professionali quanto per fini privati come beni d’impresa, l’IVA dovuta a monte sull’acquisto o sulla costruzione di questi beni è in via di principio integralmente e immediatamente detraibile (35).

62.      Tuttavia, poiché l’uso per esigenze private del soggetto passivo o del suo personale, o a fini estranei alla sua impresa, è assimilato ad un’operazione imponibile ai sensi dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva, il soggetto passivo che abbia deciso di destinare la totalità di un bene d’investimento alla propria impresa e abbia impiegato successivamente una parte di tale bene a fini privati ha l’obbligo di versare l’IVA sull’importo delle spese sostenute per l’esecuzione del detto impiego, obbligo cui corrisponde il diritto di detrarre l’IVA versata a monte sulla totalità delle spese di acquisto o di costruzione del bene d’investimento di cui trattasi (36).

63.      Ciò detto, si tratta di chiarire se il fatto che tale giurisprudenza della Corte si sia sviluppata nel contesto dell’uso misto di beni di investimento sia una circostanza puramente fortuita o, al contrario, abbia una propria ratio risultante dalle disposizioni dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva.

64.      Anzitutto, dalla semplice lettura di quest’ultima disposizione emerge che essa non riguarda solamente l’uso di un bene d’investimento, ma concerne più in generale «l’uso di un bene».

65.      Si deve inoltre rilevare che, nell’ambito della giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva, la Corte non ha mai definito la nozione di «bene d’investimento» cui ha regolarmente fatto riferimento.

66.      Nella sentenza Verbond van Nederlandse Ondernemingen (37), che riguardava l’interpretazione dell’art. 17 della seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (38), la Corte ha considerato, alla luce sia del significato comune dell’espressione stessa che della sua funzione nel contesto della direttiva 67/228, che i «beni d’investimento» comprendono i beni che, utilizzati ai fini di un’attività economica, si distinguono per il loro carattere durevole ed il loro valore, i quali fanno sì che i costi d’acquisto non siano normalmente contabilizzati come spese correnti, bensì vengano ammortizzati in più esercizi finanziari (39).

67.      Gli elementi essenziali di tale definizione, ossia il carattere durevole dei beni e il concomitante ammortamento dei loro costi di acquisto, sono stati ripresi dalla Corte nell’ambito dell’interpretazione dell’art. 20 della sesta direttiva con riferimento, in particolare, al periodo in cui viene effettuata la rettifica delle detrazioni per quanto riguarda i beni di investimento (40), nonostante il fatto che tale disposizione accordi agli Stati membri la facoltà di definire la nozione di bene di investimento (41).

68.      Anche se l’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva e l’art. 20 della medesima direttiva hanno propri ambiti di applicazione ratione materiae, che non si sovrappongono (42), essi nondimeno perseguono, come ha dichiarato la Corte, uno scopo comune (43), il che, a mio parere, può condurre a giustificare il fatto che gli elementi essenziali della definizione di un «bene d’investimento», ai sensi dell’art. 20 della menzionata direttiva, ossia il carattere durevole del suo uso e il concomitante ammortamento dei suoi costi di acquisto – elementi che peraltro risultano anche dal significato comune dei termini – siano pertinenti anche per quanto riguarda l’uso di tale nozione fatto dalla giurisprudenza della Corte nel contesto dell’interpretazione dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva.

69.      Orbene, come emerge implicitamente ma necessariamente dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, in virtù dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva, l’IVA versata sull’uso privato del bene acquistato viene riscossa man mano che viene utilizzato il bene sul quale è stata detratta l’IVA a monte. Infatti, la circostanza che l’uso a fini privati di un bene dell’impresa, da parte di un soggetto passivo, sia assimilato ad una prestazione di servizi a titolo oneroso, vale a dire ad un’operazione che si protrae nel tempo, porta logicamente a pensare che la riscossione dell’IVA sui costi sostenuti per realizzare tale prestazione (fittizia) deve essere oggetto di uno scaglionamento (44). In caso di eventuali modifiche della parte del bene prelevata dal soggetto passivo per proprie esigenze private, la rettifica dell’IVA dovuta dal soggetto passivo sull’importo delle spese sostenute per l’esecuzione dell’uso del bene è in ogni caso automatica (45), dato che varia precisamente in funzione dell’uso effettivo a fini privati del bene (46) sull’intera durata di vita di questo, o su un periodo più breve, calcolato in base a quello di cui all’art. 20, nn. 2 e 3 della sesta direttiva, come sembra riconoscere la Corte (47).

70.      Pertanto, come hanno fatto valere, in sostanza, i governi olandese, portoghese e del Regno Unito, nonché la Commissione, riferendosi in particolare al paragrafo 88 delle citate conclusioni nella causa Charles e Charles-Tijmens, il sistema istituito dall’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva ha quindi senso solo se l’utilizzo del bene è scaglionato nel tempo, vale a dire se riguarda un bene di investimento e non altri beni il cui uso, in linea di principio, è immediato.

71.      Per i beni non di investimento, la soluzione va cercata, a mio avviso, nelle disposizioni dell’art. 17, n. 5, della sesta direttiva, vale a dire che il soggetto passivo deve procedere ad una ripartizione in funzione dell’uso professionale o ad altri fini dei beni di cui trattasi e dedurre l’importo dell’IVA che riflette l’uso reale di tali beni per le esigenze dell’impresa nel momento in cui l’IVA è dovuta.

72.      Lo stesso vale, secondo me, per i beni che, perdendo il loro carattere distintivo, vengano integrati nel bene di investimento dopo il suo acquisto e tendano a mantenerne il valore (48). Infatti, l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva riguarda soltanto l’uso dello stesso bene acquistato quando esso abbia dato diritto a detrazione, e non le spese sostenute ai fini della sua utilizzazione e della sua manutenzione (49).

73.      Quanto ai beni incorporati nel bene di investimento dopo il suo acquisto ma che ne incrementano il valore, oltre al fatto che l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva riguarda il bene di investimento solo quando esso sia stato acquistato, mi sembra anche preferibile, per motivi attinenti alla semplicità del regime comune dell’IVA, che l’IVA assolta a monte per l’acquisto di tali beni venga ripartita conformemente alla regola di cui all’art. 17, n. 5, della sesta direttiva. Infatti, come ha esposto dettagliatamente il governo del Regno Unito nelle sue osservazioni scritte, viste le differenze relative al momento dell’acquisto di tali beni e alla loro durata di vita prevista, l’applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva porterebbe ad obbligare il soggetto passivo ad effettuare ogni anno il calcolo dell’IVA a valle per ciascun bene integrato nel bene di investimento nel suo complesso, compito che risulta particolarmente complesso (50).

74.      Per quanto riguarda i servizi, il giudice del rinvio ritiene che l’estensione del regime applicabile all’uso misto di beni di investimento possa eventualmente riguardare i servizi assoggettati ad ammortamento (vale a dire i «servizi di investimento»), dato che, dal punto di vista della gestione dell’impresa, tali servizi non differiscono dai beni di investimento. La Commissione condivide questa tesi per motivi connessi al rispetto del principio della parità di trattamento (51), valutazione fatta propria anche dal governo del Regno Unito in udienza. Per contro, i governi olandese, tedesco e portoghese respingono l’estensione prospettata dal giudice del rinvio. Tali governi si riferiscono in particolare al tenore letterale dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva. I governi olandese e tedesco sembrano tuttavia ammettere che i servizi integrati nel bene di investimento successivamente al suo acquisto potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva.

75.      Ritengo anzitutto che quest’ultima valutazione debba essere respinta in particolare per gli stessi motivi esposti ai precedenti paragrafi 72 e 73 delle presenti conclusioni per quanto riguarda i beni integrati successivamente all’acquisto del bene di investimento (52).

76.      Per quanto riguarda l’estensione del regime dell’uso misto dei beni di investimento ai servizi di investimento, occorre anzitutto osservare che nessuna disposizione della sesta direttiva disciplina l’uso per le esigenze private di un soggetto passivo di un servizio di investimento destinato alla sua impresa. Infatti, da un lato, come si è già sottolineato in precedenza, l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva riguarda esclusivamente i beni. Dall’altro, l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. b), della medesima direttiva assimila a prestazioni a titolo oneroso unicamente le prestazioni di servizi fornite gratuitamente dal soggetto passivo a se stesso o al suo personale, e non quelle fornite da terzi (53).

77.      L’esclusione dell’utilizzo di servizi dall’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva e, nel contempo, la limitazione della sfera di applicazione del primo comma, lett. b) della medesima disposizione alle prestazioni di servizi fornite dal soggetto passivo possono essere interpretate in due modi lievemente diversi.

78.      Da una parte, si potrebbe suggerire che il legislatore comunitario ha ritenuto che l’uso a titolo privato di servizi forniti al soggetto passivo da terzi dovesse essere trattato ripartendo tra uso professionale e uso privato gli importi dell’IVA dovuti a monte sull’acquisto di servizi di investimento, e non tassando a valle l’uso privato corrispondente al diritto di detrarre immediatamente l’IVA versata a monte, conformemente all’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva.

79.      In tale ipotesi, poiché l’uso privato di servizi di investimento non è assimilato ad una prestazione di servizi a titolo oneroso, esso esulerebbe dall’ambito di applicazione della sesta direttiva e sfuggirebbe quindi alle norme di cui all’art. 17, n. 5, della medesima direttiva, che, come ha ricordato la Corte, riguarda solo la ripartizione dell’IVA a monte che grava sulle spese connesse esclusivamente ad attività economiche (54). In questa ipotesi si pone tuttavia il problema della rettifica dell’IVA dedotta inizialmente quando le rettifiche riguardino, all’interno del periodo di ammortamento del servizio di investimento, la parte di tale servizio utilizzata a fini professionali (e quindi, correlativamente, quella utilizzata a fini privati), dato che l’art. 20, nn. 2 e 3, della sesta direttiva riguarda solo la rettifica della deduzione per quanto riguarda i beni di investimento.

80.      Di conseguenza, e dall’altra parte, si potrebbe allora ritenere che, in mancanza di disposizioni comunitarie relative all’uso misto di servizi di investimento, il legislatore comunitario abbia voluto lasciare agli Stati membri la scelta tra il metodo della ripartizione dell’IVA assolta a monte tra l’uso professionale e l’uso privato di un servizio di investimento, nel qual caso è detraibile solo la parte relativa alle esigenze dell’impresa, e il metodo dell’assimilazione dell’uso privato ad un servizio a titolo oneroso, di modo che il pagamento dell’IVA venga frazionato a valle con riferimento alle spese connesse sia all’uso professionale che all’uso privato di un servizio di investimento.

81.      In questo caso sembra chiaro che, nell’esercizio della loro competenza, gli Stati membri devono tuttavia tenere conto dello scopo e dell’economia della sesta direttiva, vale a dire, in particolare, rispettare il principio di neutralità fiscale sul quale si fonda il sistema comune dell’IVA (55).

82.      A prescindere dalla questione generale se uno Stato membro possa legittimamente estendere il regime applicabile all’uso misto di un bene di investimento, quale risulta dall’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva, all’uso misto di un servizio di investimento, senza che ciò comporti eventuali rischi di distorsione della concorrenza e divergenze tra i livelli di pressione fiscale negli Stati membri, dagli atti di causa non sembra assolutamente emergere che sia questa l’opzione accolta dalla normativa vigente nei Paesi Bassi. A tale riguardo, il giudice del rinvio fa riferimento solo all’ipotesi in cui, in virtù del diritto comunitario, gli Stati membri siano obbligati ad estendere ai servizi, ivi compresi quelli di investimento, il regime applicabile all’uso misto dei beni di investimento di cui all’art. 6, n. 2, della sesta direttiva. Orbene, come si è già rilevato, ritengo che tale ipotesi debba essere esclusa.

83.      In ogni caso, contrariamente a quanto ha sostenuto la Commissione nelle sue osservazioni, non mi sembra che negare l’applicazione dell’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva all’uso misto di servizi di investimento lasci gravare sul soggetto passivo un onere fiscale relativo al suo uso professionale che sarebbe incompatibile con il principio di neutralità. Infatti, poiché solo la parte utilizzata a fini privati sarebbe considerata un’operazione a titolo non oneroso, si potrebbe benissimo detrarre l’IVA versata a monte relativa all’uso professionale del soggetto passivo.

84.      Per tutte queste ragioni, qualora la Corte dovesse risolvere gli aspetti specifici sollevati dalla prima questione posta dal giudice del rinvio, propongo di risolvere tale questione come segue: l’art. 6, n. 2, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che non si estende né all’uso misto di beni non di investimento né all’uso misto di servizi.

C –    Sugli aspetti specifici sollevati dalla seconda questione

85.      Solo qualora la Corte non dovesse accogliere né la mia proposta in via principale, né la risposta che propongo di dare, in via subordinata, alla prima questione, occorrerebbe esaminare la seconda questione posta dal giudice del rinvio.

86.      Infatti, come si è già sottolineato, con quest’ultima questione il giudice a quo intende chiarire, in sostanza, nel caso in cui i beni non di investimento e i servizi possano beneficiare del meccanismo previsto dall’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva, da una parte, su quale periodo debba essere realizzata l’imposizione a valle, vale a dire, precisa detto giudice, in un’unica soluzione o frazionandola su più periodi impositivi e, dall’altra, come debba essere fissata la base imponibile per i beni e i servizi che non sono oggetto di ammortamento.

87.      Per quanto riguarda la parte della questione relativa all’esigibilità dell’IVA, come hanno sostenuto i governi olandese e portoghese nelle loro osservazioni scritte, poiché le prestazioni di servizi menzionate all’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva sono assimilate a prestazioni a titolo oneroso, le regole relative all’esigibilità dell’IVA sono identiche. Così, conformemente all’art. 10, n. 2, primo periodo, della sesta direttiva, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della prestazione di servizi (56). Pertanto, in caso di impiego parziale di un bene d’impresa a fini privati, l’IVA diventa esigibile al momento di tale uso. Per i beni (e i servizi) di uso immediato, sembra ragionevole ritenere che l’IVA verrà pagata in un’unica soluzione, vale a dire nella dichiarazione del soggetto passivo relativa al periodo impositivo considerato, dato che gli Stati membri sono competenti, ai sensi dell’art. 22, n. 4, della sesta direttiva, a fissare tale periodo. Come ha rilevato il governo del Regno Unito nelle sue osservazioni scritte, tale approccio non solo presenta il vantaggio della semplicità, ma è anche idoneo a garantire la parità di trattamento con il consumatore finale, il quale non può ripartire l’IVA su un periodo più lungo di quello dell’uso effettivo di un bene o di un servizio di uso immediato.

88.      Quanto ai servizi di investimento, mi sembra che, come ha sostenuto il governo del Regno Unito, nulla osti a che uno Stato membro possa scaglionare l’imposizione a valle sul periodo di ammortamento del servizio di cui trattasi o, come la Corte ha riconosciuto a proposito dei beni di investimento, su un periodo più breve, corrispondente, ad esempio, al periodo di rettifica delle deduzioni previsto all’art. 20 della sesta direttiva (57).

89.      Infine, per quanto riguarda la parte della questione pregiudiziale relativa alla determinazione della base imponibile dell’IVA per i beni e i servizi non assoggettati ad ammortamento, si deve ricordare che, in virtù dell’art. 11, parte A, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, tale base imponibile è costituita, per le operazioni di cui all’art. 6, n. 2, della medesima direttiva, dalle spese sostenute dal soggetto passivo per la prestazione dei servizi. Questa nozione corrisponde alle spese che si ricollegano al bene stesso (58), ma anche a quelle sostenute al momento dell’acquisto del bene, senza le quali l’impiego privato non avrebbe potuto avere luogo (59). Tuttavia, la Corte ha dichiarato che la sesta direttiva non conteneva le indicazioni necessarie per definire in maniera uniforme e precisa le norme per stabilire l’importo delle spese di cui trattasi, sicché gli Stati membri godono di un certo margine di discrezionalità relativamente a tali norme, sempreché non violino lo scopo e la collocazione della disposizione di cui trattasi nell’economia della sesta direttiva (60).

90.      A tale riguardo, risulta, in sostanza, dalle osservazioni scritte del governo olandese che la normativa olandese collega la determinazione di tutti gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo della base imponibile delle prestazioni di servizi di cui all’art. 6, n. 2, della direttiva a quella delle «normali» prestazioni di servizi a titolo oneroso. Ritengo che spetti al giudice del rinvio verificare tale affermazione nella causa principale ed esaminare, alla luce dei principi ricordati al precedente paragrafo delle presenti conclusioni, se tale assimilazione, per quanto riguarda la determinazione della base imponibile dell’IVA, sia conforme, in particolare, con il principio di neutralità fiscale.

VI – Conclusione

91.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo di risolvere come segue la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden:

«L’art. 6, n. 2, primo comma, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE, dev’essere interpretato nel senso che non è applicabile all’uso di un bene di investimento destinato all’impresa ai fini di attività non economiche del soggetto passivo non assoggettate all’imposta sul valore aggiunto».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU L 145, pag. 1.


3 – GU L 102, pag. 18.


4 – Sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a. (Racc. pag. I-483, punto 42, nonché giurisprudenza ivi citata).


5 – Sentenza 14 luglio 2005, causa C-434/03 (Racc. pag. I-7037).


6 – V., in generale, art. 2 della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 71, pag. 1301), il cui contenuto è ripreso all’art. 1, n. 2, della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1), che ha abrogato la direttiva 62/227 e la sesta direttiva. V. anche sentenza 11 ottobre 2007, cause riunite C-283/06 e C-312/06, KÖGÁZ e a. (Racc. pag. I-8463, punto 29).


7 – V. art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva. Prelevare l’IVA a valle senza consentire la detrazione dell’IVA versata a monte equivarrebbe ad introdurre un sistema di imposte cumulative a cascata, la cui abolizione era precisamente uno degli obiettivi del sistema comune di IVA, come enuncia l’ottavo ‘considerando’ della direttiva 62/227. V. anche sentenza 30 marzo 2006, causa C-184/04, Uudenkaupungin kaupunki (Racc. pag. I-3039, punto 24).


8 – V., in particolare, sentenza 21 aprile 2005, causa C-25/03, HE (Racc. pag. I-3123, punto 43).


9 – V. sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz (Racc. pag. I-3795, punti 8 e 9), nonché citate sentenze HE (punto 43) e Uudenkaupungin kaupunki (punto 24).


10 – V. sentenza 13 marzo 2008, causa C-437/06, Securenta (Racc. pag. I-1597, punto 30). V. anche, in tal senso, sentenza 14 settembre 2006, causa C-72/05, Wollny (Racc. pag. I-8297, punto 20).


11 – V. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa sfociata nella citata sentenza Charles e Charles-Tijmens (paragrafo 11).


12 – Va rilevato che l’art. 6, n. 2, secondo comma, della sesta direttiva accorda agli Stati membri la facoltà di derogare alle disposizioni del primo comma, a condizione che tale deroga non dia luogo a distorsioni di concorrenza. Alla luce degli atti, l’art. 6, n. 2, secondo comma, non sembra formare oggetto della decisione di rinvio.


13 – V., in particolare, sentenze 26 settembre 1996, causa C-230/94, Enkler (Racc. pag. I-4517, punto 35), 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandic Gåsabäck (Racc. pag. I-743, punto 23) e 11 dicembre 2008, causa C-371/07, Danfoss e AstraZeneca (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 46).


14 – V., in tal senso, le citate sentenze Enkler (punto 33), Hotel Scandic Gåsabäck (punto 23) e Danfoss e AstraZeneca (punto 47).


15 – V. citate sentenze Hotel Scandic Gåsabäck (punto 23) e Danfoss e AstraZeneca (punto 48).


16 – V., in tal senso, citate sentenze Lennartz (punto 26) e Charles e Charles-Tijmens (punto 24).


17 – V., a tale riguardo, sentenza Wollny, cit. (punto 38), e le conclusioni nella causa Charles e Charles-Tijmens, cit. (paragrafo 74). Si può spiegare il funzionamento di questa disposizione con un esempio. Supponiamo che un soggetto passivo abbia acquistato un veicolo nuovo, avente una durata di vita prevista di dieci anni e destinato a fini professionali e privati. Il suo costo netto è di EUR 10 000 e l’IVA è fissata all’aliquota del 17,5%. Supponiamo inoltre che, nel primo anno, l’utilizzo di tale veicolo sia destinato per il 40% alle esigenze dell’impresa e, quindi, al 60% a fini privati. Il meccanismo dell’art. 6, n. 2, della sesta direttiva consente di dedurre immediatamente tutta l’IVA pagata a monte, ossia EUR 1 750. L’imposizione a valle sull’uso privato del veicolo sarà calcolata dividendo il prezzo d’acquisto per dieci (corrispondente all’ammortamento del veicolo) e moltiplicando il risultato per il prorata annuo di uso privato, ossia (10 000/10 = 1000) x 17,5% x 60%, ottenendo così un’imposizione a valle per il primo anno di EUR 105. Se l’uso per esigenze private si riduce al 30% tra il secondo e il decimo anno, l’imposizione a valle sarà di EUR 52,5 per ognuno di tali anni. L’IVA dovuta sull’uso privato per la durata del veicolo sarà quindi di 105 + 52,5 x 9 = EUR 577,5. Se si sottrae tale importo da quello dedotto a monte, si ottiene una detrazione netta dell’IVA di EUR 1 172,5. Se si applicasse la ripartizione dell’imposta a monte dovuta per il veicolo al momento dell’acquisto, il soggetto passivo potrebbe solo detrarre il prorata relativo all’uso a fini professionali, cioè il 40% dell’IVA dovuta, ossia EUR 700. Se l’uso a fini professionali aumenta fino al 70% (nella stessa percentuale di cui si è ridotto l’uso privato nell’esempio precedente) tra il secondo e il decimo anno, l’uso complessivo a fini professionali sulla durata del veicolo è pari ad una media del 67% sulla durata di vita (corrispondente ad una riduzione netta dell’IVA di EUR 1 172,5), ma la detrazione a monte sarà stata inferiore a tale uso. Si potrà tuttavia procedere alla rettifica dell’IVA per tenere conto della reale destinazione del bene. Si rileva quindi che l’applicazione del metodo previsto dall’art. 6, n. 2, della sesta direttiva conferisce un vantaggio di cassa al soggetto passivo che possa detrarre immediatamente e integralmente l’IVA assolta a monte, mentre l’imposizione a valle sarà scaglionata sulla durata di vita del veicolo.


18 – In virtù dell’art. 17, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva, il prorata viene determinato ai sensi dell’art. 19 della medesima direttiva per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo.


19 – Punti 33, 35 e 37 della sentenza.


20 – Si deve ricordare, da un lato, che l’art. 4, n. 1, della sesta direttiva contiene una definizione ampia della nozione di soggetto passivo e, dall’altro, che l’art. 6, n. 2, primo comma, riguarda anche l’impiego di un bene o di servizi per le esigenze del personale del soggetto passivo, elementi che depongono entrambi a favore della tesi secondo cui quest’ultimo articolo si applicherebbe anche ai soggetti passivi persone giuridiche, contrariamente a quanto sostenuto dal governo olandese nelle sue osservazioni scritte, che sono state prudentemente rettificate in udienza a seguito dei quesiti posti dalla Corte. Infine, il principio di neutralità fiscale osta, in particolare, a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni subiscano un trattamento differenziato in materia di riscossione dell’IVA; v., in tal senso, per analogia, sentenza 7 settembre 1999, causa C-216/97, Gregg (Racc. pag. I-4947, punto 20).


21 – Punto 30.


22 – Ibidem (punto 31).


23 – Sentenze 25 maggio 1993, causa C-193/91, Mohsche (Racc. pag. I-2615, punti 13 e 14), e Enkler, cit. (punto 34).


24 – V. sentenze 4 ottobre 1995, causa C-291/92, Armbrecht (Racc. pag. I-2775, punti 17 e 18) nonché 8 marzo 2001, causa C-415/98, Bakcsi (Racc. pag. I-1831, punto 24).


25 – Sentenza Bakcsi (punto 27).


26 – Infatti, se il bene di investimento fosse ritenuto solo parzialmente destinato al patrimonio dell’impresa, le questioni pregiudiziali non si porrebbero, dato che, conformemente alla giurisprudenza, l’operatore agirebbe in quanto soggetto passivo solo nei limiti dell’utilizzazione del bene a fini professionali [v., in particolare, sentenza HE, cit. (punti 46 e 47)]. La deduzione dell’IVA a monte sull’acquisto di un bene di investimento sarebbe quindi possibile solo a concorrenza dell’utilizzo professionale di tale bene.


27 – V. sentenze 27 giugno 1989, causa 50/88, Kühne (Racc. pag. 1925, punto 8); Mohsche, cit. (punto 8); 16 ottobre 1997, causa C-258/95, Fillibeck (Racc. pag. I-5577, punto 25); 11 settembre 2003, causa C-155/01, Cookies World (Racc. pag. I-8785, punto 56), e Wollny, cit. (punto 31) (il corsivo è mio). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate il 23 ottobre 2008 nella causa sfociata nella citata sentenza Danfoss e AstraZeneca (paragrafo 42). V. anche, per quanto riguarda l’art. 6, n. 2, primo comma, lett. b), della sesta direttiva, sentenza Fillibeck, cit. (punto 25).


28 – Sentenza Securenta, cit. (punto 33).


29 – Ibidem (punti 36 e 37).


30 – Secondo la giurisprudenza, spetta alla Corte fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi di diritto comunitario che possono essere utili ai fini della sentenza che dovrà pronunciare, che esso vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare le questioni; v., nell’ambito di applicazione della sesta direttiva, sentenza 12 maggio 2005, causa C-452/03, RAL (Channel Islands) e a. (Racc. pag. I-3947, punto 25).


31 – Conclusioni nella causa sfociata nella citata sentenza Danfoss e AstraZeneca (paragrafo 38).


32 – V., per analogia, sentenza 7 maggio 1998, causa C-390/96, Lease Plan (Racc. pag. I-2553, punto 28), in un contesto nel quale la Corte ha respinto un criterio che consentiva di rilevare l’esistenza di un’attività stabile, che non poteva essere considerato un «criterio sicuro, semplice e concretamente attuabile, conforme allo spirito della sesta direttiva».


33 – V. anche, in tal senso, citate conclusioni nella causa Charles e Charles Tijmens (paragrafo 59).


34 – V., in particolare, citate sentenze HE (punto 46), Charles e Charles-Tijmens (punto 23) e Wollny (punto 21).


35 – Citate sentenze Charles e Charles-Tijmens (punto 24) e Wollny (punto 22).


36 – V., in tal senso, sentenza Wollny, cit. (punti 23 e 24 e giurisprudenza ivi citata).


37 – Sentenza 1° febbraio 1977, causa 51/76 (Racc. pag. 113).


38 – GU 71, pag. 1303.


39 – V. punto 12 di tale sentenza.


40 – Sentenza 15 dicembre 2005, causa C-63/04, Centralan Property (Racc. pag. I-11087, punto 55).


41 – V. art. 20, n. 4, della sesta direttiva. V., a tale riguardo, sentenza 6 marzo 2008, causa C-98/07, Nordania Finans e BG Factoring (Racc. pag. I-1281, punto 32).


42 – V., a tale riguardo, sentenza Uudenkaupungin kaupunki, cit. (punti 30-34).


43 – Sentenza Wollny, cit. (punti 35-37).


44 – V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa definita con la citata sentenza Wollny (paragrafo 70).


45 – V., in tal senso, citate conclusioni nella causa Charles e Charles-Tijmens (paragrafo 61).


46 – V., a tale riguardo, sentenza Enkler, cit. (punti 36 e 37).


47 – Sentenza Wollny, cit. (punti 37 e 53).


48 – V., per analogia, sentenza 17 maggio 2001, cause riunite C-322/99 e C-323/99 Fischer e Brandenstein (Racc. pag. I-4049, punto 67), per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 5, n. 6, della sesta direttiva, che assimila ad una cessione a titolo oneroso il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto passivo il quale lo destina a fini estranei alla sua impresa, quando detto bene o gli elementi che lo compongono hanno consentito una detrazione totale o parziale dell’IVA.


49 – Sentenza Kühne, cit. (punto 13).


50 – Conformemente al metodo descritto alla nota 17 delle presenti conclusioni. Il governo del Regno Unito fornisce infatti l’esempio di un veliero (bene di investimento) acquistato nel 2000, destinato essenzialmente al noleggio ma anche adibito per il 20% dell’anno ad un uso privato e per il quale il soggetto passivo rinnovi nel 2001 l’albero (che si presume abbia una durata di vita di 15 anni, cioè fino al 2016), nel 2002 il ponte in legno (che si presume abbia una durata di vita di 10 anni, cioè fino al 2012), nel 2003 l’ancora (che si presume abbia una durata di vita di 8 anni, cioè fino al 2011) ecc. In tal caso, il soggetto passivo dovrebbe, ogni anno, dividere il costo netto di ciascuno di tali beni per la loro durata di vita stimata e quindi moltiplicare la cifra ottenuta per l’aliquota dell’IVA nazionale pertinente e per la quota di uso privato durante l’anno considerato.


51 – Nelle sue osservazioni, la Commissione confronta l’acquisto da parte di un’impresa, in qualità di proprietaria a pieno titolo, di veicoli utilizzati anche per le esigenze private del soggetto passivo che potrebbe così beneficiare dell’applicazione delle disposizioni dell’art. 6, n. 2, primo comma, lett. a), della sesta direttiva con l’acquisto da parte della stessa impresa di veicoli in leasing, che vengano parimenti utilizzati per le esigenze private del soggetto passivo.


52 – V. anche sentenza Mohsche, cit. (punto 14). Ciò non riguarda quindi i servizi utilizzati per l’acquisto o la costruzione di un bene di investimento, quale un immobile, precedenti o concomitanti a tale acquisto: v., a tale proposito, sentenze 8 maggio 2003, causa C-269/00, Seeling (Racc. pag. I-4101, punto 43) e Wollny, cit. (punto 24), secondo le quali «(…) un soggetto passivo che decide di destinare la totalità di un edificio alla sua impresa e che utilizza, successivamente, una parte di questo edificio per uso privato, ha, da un lato, il diritto di dedurre l’IVA versata a monte sulla totalità delle spese di costruzione del detto edificio e, dall’altro, l’obbligo corrispondente di versare l’IVA sull’importo delle spese sostenute per l’esecuzione del detto utilizzo» (il corsivo è mio). V. anche sentenza Wollny, cit. (punti 27 e 50).


53 – V., a tale riguardo, citate sentenze Hotel Scandic Gåsabäck (punto 23) e Danfoss e AstraZeneca (punto 48), secondo le quali «(…) l’art. 6, n. 2, lett. b), della sesta direttiva impedisce che un soggetto passivo o il personale del medesimo ottenga[no] in esenzione dall’imposta prestazioni di servizi fornite dal soggetto passivo stesso per le quali un singolo avrebbe dovuto pagare l’IVA» (il corsivo è mio). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa sfociata nella citata sentenza Mohsche (paragrafo 22).


54 – V. sentenza Securenta, cit. (punto 33).


55 – V., a tale riguardo, sentenza Securenta, cit. (punti 35 e 36).


56 – Va rilevato che l’art. 10, n. 2, terzo periodo, della detta direttiva accorda inoltre agli Stati membri la facoltà di prevedere che in taluni casi le prestazioni di servizi continue nell’arco di un periodo di tempo si considerano effettuate almeno con frequenza annua. Tale facoltà, cui ha fatto riferimento anche il governo olandese nelle sue osservazioni scritte a proposito delle prestazioni di servizi di cui all’art. 6, n. 2, della sesta direttiva, è stata introdotta nella sesta direttiva solo al momento dell’adozione della direttiva del Consiglio 17 ottobre 2000, 2000/65/CE, che modifica la direttiva 77/388 (GU L 269, pag. 44), le cui disposizioni dovevano essere trasposte dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2001. L’art. 10, n. 2, terzo periodo, della sesta direttiva non è quindi applicabile, ratione temporis, ai fatti della controversia principale, che, come si è già rilevato, riguardano solo l’esercizio fiscale della VNLTO relativo al 2000.


57 – V., in tal senso, sentenza Wollny, cit. (punti 42 e 48).


58 – Citate sentenze Enkler (punto 36) e Wollny (punto 27).


59 – V., in tal senso, sentenza Wollny, cit. (punto 27).


60 – Ibidem (punto 28).