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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 20 maggio 2010 1(1)

Causa C-70/09

Alexander Hengartner

e

Rudolf Gasser

contro

Landesregierung Voralberg

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Austria)]

«Accordo tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone – Autonomi – Affitto di una zona venatoria – Tassa venatoria regionale – Parità di trattamento»





I –    Introduzione

1.        Nella regione del Vorarlberg (Austria) vengono applicate due aliquote di tassa venatoria. Ai cittadini dei paesi terzi viene applicata un’aliquota maggiore rispetto a quella applicata, in particolare, ai cittadini degli Stati membri ed alle persone aventi la propria residenza principale in Austria. A due cittadini svizzeri, residenti in Svizzera ed affittuari di un campo riservato alla caccia è stata applicata un’aliquota superiore rispetto a quella applicata agli affittuari di caccia residenti in Austria. Avverso tale diversità di trattamento, essi hanno invocato, dinanzi all’amministrazione della detta regione, l’Accordo sulla libera circolazione delle persone, concluso tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall’altra (in prosieguo: l’«Accordo» o l’«Accordo CE-Svizzera») (2). Poiché la loro domanda è stata respinta, i ricorrenti nella causa principale hanno adito il giudice del rinvio facendo valere che l’aliquota d’imposta meno favorevole pregiudica la libertà di stabilimento di cui essi beneficiano in forza del Trattato CE. Il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa austriaca) chiede se, nelle circostanze della causa principale, l’esercizio venatorio costituisca un’attività non salariata nell’accezione dell’art. 43 CE.

II – Contesto normativo

A –    La convenzione di Vienna

2.        Ai termini dell’art. 1 della Convenzione di Vienna 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati (in prosieguo: la «Convenzione di Vienna») (3), rubricato «Sfera di applicazione della presente convenzione», essa si applica ai trattati fra Stati.

3.        Ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di Vienna, rubricato «Regola generale di interpretazione»:

«1.      Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

2.      Ai fini dell’interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi compresi:

a)      ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato;

b)      ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dalle parti come strumento in connessione col trattato.

(…)».

B –    Trattato CE

4.        L’art. 43 CE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Ai sensi dell’art. 43, secondo comma, CE, la libertà di stabilimento comporta l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese.

C –    Accordo CE-Svizzera sulla libera circolazione delle persone

1.      L’Accordo

5.        L’Accordo è stato firmato a Lussemburgo il 21 giugno 1999 ed è entrato in vigore il 1° giugno 2002. Esso fa parte di sette accordi settoriali distinti che governano le relazioni fra la Comunità europea e la Confederazione svizzera (4).

6.        L’art. 1 dell’Accordo, inserito al capo I dello stesso, prevede:

«Il presente Accordo a favore dei cittadini degli Stati membri della Comunità europea e della Svizzera si prefigge di:

a)      conferire un diritto di ingresso, di soggiorno e di accesso a un’attività economica dipendente, un diritto di stabilimento quale lavoratore autonomo e il diritto di rimanere sul territorio delle parti contraenti;

b)      agevolare la prestazione di servizi sul territorio delle parti contraenti, segnatamente liberalizzare la prestazione di servizi di breve durata;

(...)».

7.        L’art. 2 dell’Accordo, rubricato «Non discriminazione», è formulato come segue:

«In conformità delle disposizioni degli allegati I, II e III del presente Accordo, i cittadini di una parte contraente che soggiornano legalmente sul territorio di un’altra parte contraente non sono oggetto, nell’applicazione di dette disposizioni, di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità».

8.        L’art. 4 dell’Accordo dispone che:

«Il diritto di soggiorno e di accesso a un’attività economica è garantito fatte salve le disposizioni dell’articolo 10 e conformemente alle disposizioni dell’allegato I».

9.        L’art. 5 dell’Accordo, rubricato «Prestazione di servizi», prevede al n. 3:

«Le persone fisiche di uno Stato membro della Comunità europea o della Svizzera che si recano nel territorio di una parte contraente unicamente in veste di destinatari di servizi godono del diritto di ingresso e di soggiorno».

10.      Ai sensi dell’art. 15 dell’accordo, gli allegati e i protocolli del presente Accordo ne costituiscono parte integrante.

11.      L’art. 16 dell’Accordo è formulato come segue:

«1. Per conseguire gli obiettivi definiti dal presente Accordo, le parti contraenti prendono tutte le misure necessarie affinché nelle loro relazioni siano applicati diritti e obblighi equivalenti a quelli contenuti negli atti giuridici della Comunità europea ai quali viene fatto riferimento.

2. Nella misura in cui l’applicazione del presente Accordo implica nozioni di diritto comunitario, si terrà conto della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia delle Comunità europee precedente alla data della sua firma. La giurisprudenza della Corte successiva alla firma del presente Accordo verrà comunicata alla Svizzera. Per garantire il corretto funzionamento dell’Accordo, il Comitato misto determina, su richiesta di una delle parti contraenti, le implicazioni di tale giurisprudenza».

2.      L’allegato I dell’Accordo

12.      L’allegato I dell’Accordo, rubricato «Libera circolazione delle persone», è composto da sette capi: I – Disposizioni generali, II – Lavoratori dipendenti, III – Autonomi, IV – Prestazione di servizi, V – Persone che non esercitano un’attività economica, VI – Acquisto di immobili e VII – Disposizioni transitorie ed evoluzione dell’Accordo.

13.      Il capo II («Lavoratori dipendenti») dell’allegato I comprende in particolare l’art. 9, rubricato «Parità di trattamento», secondo il quale:

«1. Il lavoratore dipendente cittadino di una parte contraente non può ricevere sul territorio dell’altra parte contraente, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello riservato ai lavoratori dipendenti nazionali per quanto riguarda le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2. Il lavoratore dipendente e i membri della sua famiglia di cui all’articolo 3 del presente allegato godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori dipendenti nazionali e dei membri delle loro famiglie.

(…)».

14.      Il capo III («Autonomi») dell’allegato I è composto da cinque articoli (artt. 12-16). L’art. 12 dell’allegato I determina le condizioni per l’ottenimento della carta di soggiorno come segue:

«1. Il cittadino di una parte contraente che desideri stabilirsi nel territorio di un’altra parte contraente per esercitarvi un’attività indipendente (in appresso denominato “autonomo”) riceve una carta di soggiorno della durata di almeno cinque anni a decorrere dalla data di rilascio, purché dimostri alle autorità nazionali competenti di essersi stabilito o di volersi stabilire a tal fine.

2. La carta di soggiorno è automaticamente rinnovabile per almeno cinque anni purché il lavoratore autonomo dimostri alle autorità nazionali competenti di esercitare un’attività economicamente indipendente.

3. Per il rilascio dei documenti di soggiorno, le parti contraenti possono esigere dal lavoratore autonomo soltanto la presentazione:

a) del documento in forza del quale è entrato nel territorio;

b) della prova di cui ai paragrafi 1 e 2.

4. La carta di soggiorno è valida in tutto il territorio dello Stato che l’ha rilasciata.

5. Le interruzioni del soggiorno che non superino sei mesi consecutivi e le assenze motivate dall’assolvimento di obblighi militari non infirmano la validità della carta di soggiorno.

(…)».

15.      L’art. 15 («Parità di trattamento») dell’allegato I è formulato come segue:

«1. Il lavoratore autonomo riceve nel paese ospitante, per quanto riguarda l’accesso a un’attività indipendente e al suo esercizio, lo stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali.

2. Le disposizioni dell’articolo 9 del presente allegato si applicano, mutatis mutandis, ai lavoratori autonomi di cui al presente capo».

16.      Ai sensi dell’art. 23 («Destinatario di servizi») dell’allegato I:

«1. Al destinatario di servizi di cui all’articolo 5, paragrafo 3, del presente Accordo non occorre una carta di soggiorno qualora la durata del soggiorno sia inferiore o uguale a tre mesi. Per soggiorni di durata superiore a tre mesi, il destinatario di servizi riceve una carta di soggiorno della stessa durata della prestazione. Egli può essere escluso dall’assistenza sociale durante il soggiorno.

2. La carta di soggiorno è valida in tutto il territorio dello Stato che l’ha rilasciata».

D –    Contesto normativo regionale

17.      L’art. 2 della legge del Vorarlberg sulla caccia (Vorarlberger Gesetz über das Jagdwesen), nella versione applicabile ai fatti della presente causa principale (5), dispone quanto segue:

«Contenuto ed esercizio del diritto di caccia

1)      Il diritto di caccia costituisce il fondamento di qualsiasi esercizio venatorio. Esso è legato alla proprietà fondiaria e include il diritto di gestire, cacciare ed appropriarsi della selvaggina. (...)»

18.      L’art. 20 della detta legge è formulato come segue:

«Affitto di una zona venatoria

1.      L’affitto di una zona venatoria può avvenire mediante trattativa diretta, appalto pubblico o asta pubblica. Nell’ambito dell’affitto della zona venatoria, i titolari del diritto di caccia sono tenuti ad assicurare che l’esercizio dell’attività venatoria sia conforme ai principi dell’art. 3.

(...)

6.      Il governo della regione adotterà con un decreto disposizioni dettagliate sulla procedura di affitto di una zona venatoria».

19.      Ai sensi dell’art. 1 della legge del Vorarlberg sulla riscossione di una tassa venatoria (Vorarlberger Gesetz über die Erhebung einer Jagdabgabe) (6), per esercitare il diritto di caccia è obbligatorio versare una tassa venatoria. Ai sensi dell’art. 2 della medesima legge, il soggetto passivo dell’imposta è il titolare del diritto di caccia e, in caso di cessione dell’usufrutto ad affittuari, il titolare dell’usufrutto dell’attività venatoria.

20.      Ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, nel caso di affitto della zona di caccia, il prelievo deve essere commisurato al canone di affitto annuale, più il valore di eventuali prestazioni pattuite nel contratto. Le spese per la vigilanza venatoria nonché per i danni arrecati dalla caccia o dalla fauna selvatica non sono considerate prestazioni accessorie.

21.      Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della citata legge, la tassa per persone aventi la residenza in Austria e per i cittadini dell’Unione nonché per le persone fisiche e giuridiche ad essi equiparate in forza della normativa dell’Unione, ammonta al 15% della base imponibile. A norma dell’art. 4, n. 2, della medesima legge, per tutte le altre persone la tassa è pari al 35% della base imponibile.

III – Causa principale e questioni pregiudiziali

22.      L’8 gennaio 2002, i sigg. Hengartner e Gasser, cittadini svizzeri, stipulavano un contratto di affitto di una zona di caccia in Austria della durata di sei anni (vale a dire dal 1° aprile 2002 al 31 marzo 2008).

23.      Per l’esercizio dell’attività venatoria i ricorrenti mantengono anche un rifugio nella regione del Vorarlberg, dove si ritrovano regolarmente, una volta alla settimana, per cacciare. Per la vendita della cacciagione, hanno preso in affitto una cella frigorifera e una macelleria. Inoltre, hanno versato rimborsi a due persone con funzioni di guardiacaccia e hanno sostenuto i costi per l’alimentazione della fauna selvatica.

24.      Con decisione dell’ufficio tributi regionale del Vorarlberg 1° aprile 2007 è stata applicata ai ricorrenti nella causa principale una tassa venatoria pari a EUR 4 359,30, ossia pari al 35% della base imponibile, per l’annata venatoria dal 1° aprile 2007 al 31 marzo 2008. Avverso la suddetta decisione gli interessati presentavano un reclamo.

25.      Con decisione 17 ottobre 2007, detto ufficio tributi respingeva il reclamo con la motivazione che l’applicazione ai ricorrenti nella causa principale della maggiore aliquota d’imposta era conforme al diritto. Esso sottolineava inoltre che l’accordo CE-Svizzera non era applicabile all’esercizio venatorio e alle relative tasse.

26.      I sigg. Hengartner e Gasser adivano dunque il Verwaltungsgerichtshof facendo valere, in sostanza, una violazione dei loro diritti alla libertà di stabilimento e alla parità di trattamento. Essi specificavano che la caccia, così come la pesca o l’agricoltura, costituisce un’attività economica, soprattutto nel caso in cui vengano abbattuti più di 50 capi di selvaggina e venga venduta più di una tonnellata di cacciagione. A loro avviso, il fatto che l’attività in questione generi o meno un profitto sarebbe al riguardo irrilevante.

27.      In tali condizioni, i ricorrenti nella causa principale fanno valere che, per evitare una discriminazione in base alla nazionalità, vietata dal diritto dell’Unione, l’ufficio tributi della regione del Vorarlberg avrebbe dovuto applicare l’aliquota d’imposta del 15%.

28.      A sua volta, l’ufficio tributi sostiene che la caccia doveva essere considerata uno sport, non finalizzato al conseguimento duraturo di entrate e che, nella fattispecie, la vendita della cacciagione non avveniva professionalmente. L’acquisto del foraggio per la fauna selvatica e la vendita della cacciagione ad opera dei ricorrenti nella causa principale non costituirebbero un’attività economica non salariata.

29.      Il Verwaltungsgerichtshof indica che il campo di applicazione dell’art. 43 CE è caratterizzato dagli elementi dello stabilimento e dell’attività non salariata. A suo avviso, nella fattispecie non è escluso che vi sia un insediamento in pianta stabile per una durata di tempo quanto meno prolungata e che le condizioni relative al carattere indipendente dell’attività siano soddisfatte. Di conseguenza, sorge la questione di determinare se l’esercizio di un diritto di caccia costituisca un’attività economica, soprattutto qualora lo scopo di lucro non sia prioritario. Tuttavia, potrebbe assumere rilevanza anche l’intenzione di conseguire un profitto negli ambiti delle attività in oggetto, suscettibili di essere considerate, eventualmente, attività non salariate.

30.      Il giudice del rinvio, nutrendo dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione su tale punto, ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, quando il titolare di una licenza venatoria venda la selvaggina abbattuta nel territorio nazionale, l’esercizio venatorio costituisca un’attività non salariata nell’accezione dell’art. 43 CE anche qualora non si intenda percepire complessivamente alcun profitto da tale attività».

IV – Soluzioni proposte alla Corte

31.      Secondo i ricorrenti nella causa principale, occorrerebbe risolvere la questione pregiudiziale come segue:

«La pratica venatoria costituisce un’attività indipendente ai sensi dell’art. 43 CE anche laddove da essa non scaturisca globalmente alcun profitto, in particolare quando la persona autorizzata a praticare la caccia venda la selvaggina all’interno del paese o vi effettui gli acquisti necessari (ad esempio il foraggio per la fauna selvatica), pratichi la caccia per almeno più di sei anni (durata del contratto di affitto) o, ancora, mantenga strutture fisse durature in un altro Stato membro (rifugio di caccia, cella frigorifera e guardiacaccia)».

32.      Il Vorarlberger Landesregierung (governo della regione del Vorarlberg) suggerisce alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale come segue:

«Anche quando il titolare di una licenza venatoria venda la selvaggina abbattuta nel territorio nazionale, senza tuttavia ricavarne alcun profitto, ed eserciti la caccia innanzitutto con finalità di godimento del tempo libero e non a scopo di lucro, l’esercizio venatorio non costituisce un’attività indipendente ai sensi dell’art. 12 dell’allegato I dell’Accordo».

33.      Il governo austriaco ritiene che la presente questione debba essere risolta nel seguente modo:

«Anche quando il titolare di una licenza venatoria venda la selvaggina abbattuta nel territorio nazionale, senza tuttavia ricavarne alcun profitto e, in base ai fatti di cui alla presente causa, eserciti la caccia innanzitutto con finalità di godimento del tempo libero e non a scopo di lucro, l’esercizio venatorio non costituisce un’attività indipendente ai sensi dell’art. 12 dell’allegato I dell’Accordo, in combinato disposto con l’art. 16 dello stesso Accordo e con l’art. 43 CE».

34.      La Commissione europea propone di dichiarare che:

«L’esercizio venatorio nell’ambito di un contratto di affitto non costituisce un’attività ai sensi dell’art. 43 CE, laddove esso sia praticato con finalità di godimento del tempo libero e la vendita della selvaggina rivesta un’importanza puramente accessoria».

V –    Analisi

A –    L’applicabilità dell’art. 43 CE

35.      Il giudice del rinvio ha sollevato la questione pregiudiziale al fine di sapere se, e in quale misura, l’esercizio di una licenza venatoria possa costituire un’attività non salariata ai sensi dell’art. 43 CE, anche se tale attività non è volta ad ottenere profitti.

36.      Nelle loro osservazioni scritte, i ricorrenti nella causa principale e la Commissione hanno adottato tale fondamento normativo. Per contro, la Vorarlberger Landesregierung e il governo austriaco ritengono che sia piuttosto l’accordo CE-Svizzera a dover essere interpretato.

37.      È pacifico che, in una situazione come quella di cui alla causa principale, i cittadini svizzeri, in quanto cittadini di un paese terzo, non possono invocare l’art. 43 CE al fine di avvalersi dei diritti risultanti da esso (7).

38.      Poiché i sigg. Hengartner e Gasser sono cittadini svizzeri, l’art. 43 CE non si applica alla loro situazione. Di conseguenza, riguardo alla causa principale, la questione se, nell’ambito di un contratto d’affitto di una zona venatoria, l’esercizio di un diritto di caccia possa o meno costituire un’attività ai sensi dell’art. 43 CE non si pone.

39.      Occorre tuttavia accertare se la Corte possa fornire altri elementi di interpretazione utili al giudice del rinvio.

40.      Ritengo che tale ipotesi ricorra nella presente causa. Tenuto conto delle indicazioni sufficientemente dettagliate fornite dal giudice del rinvio, la questione pregiudiziale non dovrebbe essere intesa relativamente alla libertà di stabilimento nell’ambito del Trattato CE, quanto piuttosto ai diritti degli «autonomi» ai sensi dell’art. 12 dell’allegato I dell’Accordo. Infatti, sembra che il giudice del rinvio voglia in sostanza sapere se le disposizioni sui diritti degli autonomi nell’ambito dell’Accordo ostino al versamento in uno Stato membro, da parte di affittuari di nazionalità svizzera, di una tassa come quella di cui alla causa principale, quando viene applicata un’aliquota maggiore rispetto a quella applicata ai cittadini degli Stati membri.

B –    L’Accordo

1.      Considerazioni di carattere generale riguardanti l’Accordo

41.      Sull’interpretazione di tale Accordo la Corte ha già avuto diverse occasioni di pronunciarsi, segnatamente nella causa che ha dato luogo alla sentenza Grimme (8).

42.      In tale sentenza, la Corte ha rilevato che, in via preliminare, l’accordo CE-Svizzera era stato concluso dopo che la Confederazione svizzera, il 6 dicembre 1992, aveva rifiutato di aderire all’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«Accordo SEE») e che, con il suo rifiuto, quest’ultima non aveva aderito al progetto di un sistema economico integrato con un mercato unico, basato su regole comuni tra i suoi membri, preferendo piuttosto la via degli accordi bilaterali con l’Unione europea e i suoi Stati membri, in settori specifici (9).

43.      Tenuto conto di quanto sopra, la Corte ha concluso che la Confederazione svizzera non aveva aderito al mercato interno dell’Unione e che, pertanto, l’interpretazione data al diritto dell’Unione relativamente a tale mercato non poteva essere trasposta in modo automatico all’interpretazione dell’Accordo, salvo che lo stesso Accordo non contenesse espresse disposizioni in tal senso (10).

44.      Rammento che occorre interpretare un trattato internazionale non soltanto in funzione dei termini nei quali è stato redatto, ma anche alla luce dei suoi obiettivi. L’art. 31 della convenzione di Vienna precisa, a questo proposito, che un trattato dev’essere interpretato in buona fede, secondo il senso comune da attribuire ai suoi termini nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo (11).

45.      Per quanto riguarda l’Accordo CE-Svizzera, occorre ricordare che si tratta di interpretare un trattato internazionale concluso dalla Comunità europea e dai suoi Stati membri con un paese terzo. Certo, vi sono accordi il cui obiettivo dichiarato è di estendere l’insieme delle libertà fondamentali ai paesi terzi, o che prevedono una prospettiva ulteriore di adesione all’Unione (12). Tuttavia, ciò non vale per l’accordo concluso con la Confederazione svizzera. Non tutte le libertà sono oggetto dell’Accordo e la prospettiva di adesione non sussiste. Occorre dunque interpretare l’Accordo CE-Svizzera come un classico accordo internazionale, ovvero restando fedeli al testo dell’Accordo, come richiesto dalla convenzione di Vienna (13). Pertanto, nell’ambito dell’interpretazione delle disposizioni dell’Accordo un approccio dinamico e teleologico non mi pare giustificato.

46.      Occorre inoltre notare che, sebbene l’Accordo copra numerosi ambiti del diritto dell’Unione, è altresì vero che tale copertura è limitata dalla natura puntuale delle disposizioni nonché dalla presenza di disposizioni che tendono a limitarne il campo di applicazione materiale o temporale (14) o a precisarlo e che sono estranee al diritto dell’Unione (15). Inoltre, sebbene l’art. 16, n. 2, del detto Accordo renda la giurisprudenza della Corte applicabile, tale rinvio si limita alla giurisprudenza precedente alla firma dell’Accordo, avvenuta in data 21 giugno 1999. In forza di tale disposizione, la giurisprudenza successiva viene comunicata alla Confederazione svizzera e il Comitato misto determina, su richiesta di una delle parti contraenti, le implicazioni di tale giurisprudenza per il detto paese esterno all’Unione.

47.      Alla luce delle considerazioni che precedono occorre analizzare la situazione descritta nel rinvio pregiudiziale.

2.      Le disposizioni dell’Accordo relative ai diritti degli autonomi

48.      Le disposizioni dell’Accordo relative ai diritti degli autonomi sono brevi. Il capo III dell’allegato I è composto da cinque articoli. Sinteticamente, l’art. 12 dell’allegato riguarda unicamente le condizioni per il rilascio della carta di soggiorno applicabili agli autonomi, mentre gli altri articoli (13-16) si limitano a fornire precisazioni rispetto a tale diritto. Le disposizioni in oggetto si riferiscono solo alle persone fisiche (16).

49.      Occorre constatare che l’Accordo si limita a riconoscere a tutti gli autonomi un diritto di ingresso e di soggiorno nonché il diritto di godere nel paese ospitante dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato ospitante per quanto riguarda l’accesso ad un’attività indipendente e al suo esercizio.

50.      Di conseguenza, la definizione dei diritti garantiti riconosciuti agli autonomi dall’Accordo CE-Svizzera è, in sostanza, meno vasta rispetto a quella della libertà di stabilimento di cui al Trattato CE, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte.

51.      Le questioni fiscali sono trattate nell’accordo CE-Svizzera solo in modo puntuale. Certo, l’art. 15, n. 2, dell’allegato I dell’Accordo rinvia all’art. 9, n. 2, dello stesso allegato. Cionondimeno, le questioni fiscali ivi menzionate sono connesse alla previdenza sociale e non riguardano le tasse relative all’esercizio di attività specifiche come quelle di cui alla causa principale (17). Neppure le disposizioni dell’art. 21 dell’Accordo sulle convenzioni in materia di doppia imposizione risultano utili ai fini della presente causa. Di conseguenza, né gli obiettivi dell’Accordo, né le indicazioni relative alle intenzioni delle parti contraenti possono giustificare un’interpretazione dell’Accordo nel senso che comporterebbe un’obbligazione di non discriminazione fiscale in favore degli autonomi che si trovano in una situazione come quella di cui alla causa principale.

52.      Pertanto, senza che, nella fattispecie, si renda necessario esaminare se, ed eventualmente a quali condizioni, la caccia possa essere considerata un’attività economica indipendente, ritengo che i diritti riconosciuti in capo agli autonomi dall’Accordo riguardino principalmente le condizioni per il rilascio di una carta di soggiorno, nonché per l’accesso ad un’attività indipendente e al suo esercizio secondo un trattamento non discriminatorio. In ogni caso, da tali disposizioni non emerge che il versamento di una tassa sugli affitti di zone venatorie in Austria, calcolata nei confronti dei cittadini dei paesi terzi in base ad un’aliquota maggiore rispetto a quella applicata ai cittadini degli Stati membri, sia incompatibile con le disposizioni dell’Accordo relative agli autonomi.

53.      Pertanto, ritengo che gli artt. 12 e 15 dell’allegato I non ostino al fatto che, con riferimento alla tassa controversa, i cittadini svizzeri e i cittadini dell’Unione ricevano un trattamento fiscale diverso.

54.      Occorre, tuttavia, verificare se un tale trattamento non contrasti con il principio generale di non discriminazione contenuto nell’Accordo.

3.      Il principio di non discriminazione contenuto nell’Accordo

55.      L’art. 2 dell’Accordo prevede un divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità. Ai sensi di tale articolo, in conformità delle disposizioni degli allegati I-III del presente Accordo, i cittadini di una parte contraente che soggiornano legalmente sul territorio di un’altra parte contraente non devono essere oggetto, nell’applicazione di dette disposizioni, di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità.

56.      Si pone dunque la questione se la portata di tale divieto sia analoga a quella del divieto previsto nell’ambito del Trattato CE.

57.      Ritengo che, allo stato attuale del quadro giuridico applicabile, nei rapporti fra la Comunità europea e la Confederazione svizzera, la non discriminazione abbia una portata relativa e non presenti la stessa dimensione che ha invece nei rapporti all’interno dell’Unione o dello Spazio economico europeo. Al riguardo, occorre rammentare che l’art. 12 CE, come l’art. 4 dell’accordo SEE, vietano, nel loro rispettivo ambito di applicazione, qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità. Anche l’Accordo CE-Svizzera prevede un principio di non discriminazione, ma in modo limitativo e a determinate condizioni.

58.      Inoltre, i sette accordi distinti che disciplinano le relazioni fra la Comunità europea e la Confederazione svizzera presentano un evidente carattere settoriale (18). Tali accordi sono stati negoziati contestualmente, ma separatamente. Neppure la loro struttura e i loro obiettivi sono identici. Con riferimento al principio di parità di trattamento, le disposizioni di tali sette accordi che ad esso si riferiscono, per quanto esistenti, non sono fra loro identiche, né dal punto di vista del contenuto, né della portata (19).

59.      Per di più, si deve necessariamente rilevare che, con riferimento alla tassazione dell’attività venatoria, la normativa applicabile in almeno due parti contraenti, ovvero la Repubblica d’Austria e la Confederazione svizzera, sembra prevedere che il principio di non discriminazione non si applichi in materia (20).

60.      Pertanto, il principio di non discriminazione, come previsto dall’Accordo e interpretato conformemente alla convenzione di Vienna, non osta, di per sé, alle disposizioni in oggetto che, per la locazione di zone venatorie in Austria, prevedono il versamento da parte dei cittadini svizzeri di una tassa di importo maggiore.

4.      La portata dei diritti dei destinatari di servizi nell’ambito dell’Accordo

61.      Dall’ordinanza di rinvio emerge che dinanzi all’amministrazione nazionale sono state invocate le disposizioni relative alla libera prestazione dei servizi. Al fine di completare la presente analisi, ritengo opportuno trattare comunque anche tali aspetti.

62.      Infatti, la Corte ha avuto l’opportunità di esaminare la qualificazione giuridica di una situazione analoga nella sentenza Jägerskiöld (21). Tale causa verteva sulla concessione del diritto di pesca e sul rilascio di autorizzazioni a tale fine. La Corte ha dichiarato che l’attività consistente nel mettere a disposizione di terzi, dietro compenso e a talune condizioni, uno specchio d’acqua per praticarvi la pesca costituisce una prestazione di servizi che, se presenta un carattere transfrontaliero, rientra negli artt. 59 e seguenti del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 49 CE e seguenti). La Corte ha inoltre statuito sull’applicabilità delle altre libertà sancite dal Trattato. Essa ha precisato che il fatto che il diritto di pesca o le autorizzazioni pertinenti siano accertati mediante documenti che come tali possono costituire oggetto di scambi non è sufficiente per farli rientrare nel campo di applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci.

63.      Ritengo che tale giurisprudenza sia estendibile all’affitto della licenza venatoria.

64.      Pertanto, l’attività consistente nel mettere a disposizione di terzi, dietro compenso e a talune condizioni, un terreno per praticarvi la caccia costituisce una prestazione di servizi che, se presenta un carattere transfrontaliero, rientra nell’ambito della libera prestazione dei servizi.

65.      Tuttavia, nel caso di specie, i sigg. Hengartner e Gasser non sono prestatori di servizi, bensì destinatari di servizi. Di conseguenza, occorre esaminare l’interpretazione delle disposizioni che riguardano specificamente i diritti dei destinatari dei servizi previsti dall’Accordo.

66.      È pacifico che, sebbene nell’Accordo rientri la libera prestazione dei servizi, la sua portata non sia identica a quella delle disposizioni corrispondenti del Trattato CE.

67.      Nella citata sentenza Grimme, la Corte ha sottolineato che, ai sensi dell’art. 1, lett. b), dell’Accordo, l’obiettivo dell’Accordo era di agevolare le prestazioni di servizi sul territorio delle parti contraenti e, segnatamente, di liberalizzare la prestazione di servizi di breve durata (22). La Corte ha tuttavia aggiunto che il diritto di fornire una prestazione di servizi sul territorio di un’altra parte contraente è limitato, dagli artt. 5, n. 1, dell’Accordo e 17, lett. a), dell’allegato I dello stesso, a 90 giorni di lavoro effettivo per anno civile. Ai sensi dell’art. 19 di tale allegato I, durante tale periodo, lo Stato ospitante non può imporre a tali prestatori di servizi condizioni meno favorevoli rispetto a quelle riservate ai suoi cittadini, conformemente alle disposizioni degli allegati I-III dell’Accordo (23).

68.      Con riferimento ai destinatari di servizi, i diritti che l’Accordo loro conferisce riguardano, in sostanza, il diritto di soggiorno. Si prevede che ai destinatari di servizi non occorra una carta di soggiorno, quando la durata del soggiorno è inferiore o uguale a tre mesi. Per soggiorni di durata superiore a tre mesi, i destinatari di servizi godono di una carta di soggiorno della stessa durata della prestazione. Al riguardo, si rammenta che l’art. 2 dell’Accordo non vieta qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, bensì unicamente «[i]n conformità [e nell’applicazione] delle disposizioni degli allegati I, II e III del presente Accordo».

69.      Con riguardo ai tributi riscossi per servizi quali la locazione di licenze venatorie, nell’Accordo CE-Svizzera non vi è alcun elemento capace di indicare che il suo obiettivo fosse quello di assicurare una parità di trattamento fiscale. Occorre rammentare che un divieto di qualsiasi tassazione discriminatoria nell’ambito dello scambio di servizi non è esplicitamente previsto né dall’Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) (24), né dai Trattati istitutivi dell’Unione, a differenza di quanto vale per gli scambi di beni (25).

70.      In mancanza di disposizioni esplicite che vietino qualsiasi discriminazione fiscale nei confronti dei cittadini di altre parti contraenti nell’ambito dell’Accordo CE-Svizzera, un siffatto divieto può essere ammesso solo se l’interpretazione dei diritti garantiti da altre disposizioni dello stesso Accordo lo giustifichi. All’interno dell’Unione, ciò risulta dalle disposizioni relative alle libertà fondamentali.

71.      Con riferimento all’Accordo, esso potrebbe ostare ad un tributo o ad un pagamento di carattere forfettario connesso ai destinatari di servizi al momento del rilascio di una carta di soggiorno, il cui importo superi, senza alcuna giustificazione oggettiva, quello previsto per i cittadini nazionali relativamente all’attribuzione di documenti giustificativi in una situazione, nell’insieme, analoga. A mio avviso, un tale tributo, strettamente connesso ai diritti garantiti dall’Accordo, rischierebbe di violare direttamente i diritti che il detto Accordo conferisce ai destinatari di servizi (26). Tuttavia, il tributo oggetto della presente causa è di diversa natura.

72.      Ad abundantiam, aggiungo che operare una discriminazione fondata meramente sulla nazionalità a danno di persone fisiche cittadine di paesi terzi che soggiornano legalmente all’interno dell’Unione, in situazioni che oltretutto sarebbero perfettamente equiparabili, mi sembra poco compatibile con l’ideale di un’uguaglianza di fronte alla legge di tutti gli individui. Ritengo che una siffatta discriminazione dovrebbe essere esclusa in forza dei nostri valori costituzionali. Una tale discriminazione diretta nei confronti di cittadini stranieri destinatari di servizi sarebbe eventualmente comprensibile in un paese che si trova in una situazione economica precaria e che non dispone di sufficiente valuta estera, ma non all’interno dell’Unione. Seppure con rammarico, occorre pertanto constatare che, allo stato attuale, rispetto ai cittadini di paesi terzi, la realizzazione di tale ideale non è acquisita.

73.      In conclusione, le disposizioni dell’Accordo relative ai destinatari di servizi non ostano al fatto che, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, un cittadino svizzero sia soggetto, in quanto destinatario di servizi, ad una differenza di trattamento con riguardo alla riscossione di una tassa versata per l’affitto di una zona venatoria.

VI – Conclusioni

74.      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue al Verwaltungsgerichtshof:

«L’art. 43 CE non è applicabile in circostanze come quelle di cui alla causa principale.

Le disposizioni dell’Accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, firmato a Lussemburgo il 21 giugno 1999, non ostano all’applicazione di disposizioni nazionali quali quelle di cui alla causa principale che, al momento della riscossione di una tassa da versare per l’esercizio della licenza venatoria, danno luogo all’applicazione nei confronti dei cittadini svizzeri di un’aliquota superiore rispetto a quella applicata ai cittadini dell’Unione».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU 2002, L 114, pag. 6.


3 – Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 1155, pag. 331.


4 – I sette accordi vertono sulla libera circolazione delle persone, sul trasporto aereo, sul trasporto di merci e di passeggeri su strada e per ferrovia, sul commercio di prodotti agricoli, sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità, su alcuni aspetti relativi agli appalti pubblici e sulla cooperazione scientifica e tecnologica. V. decisione del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e Tecnologica, della Commissione, 4 aprile 2002, 2002/309/CE, Euratom, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (GU L 114, pag. 1).


5 – LGBL 32/1988, come ulteriormente modificata.


6 – LGBl. 28/2003.


7 – V., in particolare, sentenze 25 giugno 1992, causa C-147/91, Ferrer Laderer (Racc. pag. I-4097, punto 7) e 29 ottobre 1998, causa C-230/97, Awoyemi (Racc. pag. I-6781, punto 29).


8 – V. sentenze 12 novembre 2009, causa C-351/08, Grimme (Racc. pag. I-10777), 22 dicembre 2008, causa C-13/08, Stamm e Hauser (Racc. pag. I-11087), nonché 11 febbraio 2010, causa C-541/08, Fokus Invest (non ancora pubblicata nella Raccolta). Tutte le suddette cause sono state decise senza conclusioni dell’avvocato generale.


9 – V., in tal senso, sentenze Grimme, cit., punto 27, e Fokus Invest, cit., punto 27.


10 – V., in tal senso, sentenza Grimme, cit., punti  27 e 29 nonché giurisprudenza ivi citata.


11 – V., in particolare, sentenza 2 marzo 1999, causa C-416/96, Eddline El-Yassini (Racc. pag. I-1209, punto 47).


12 – Come l’Accordo SEE o l’Accordo che crea un’Associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia da un lato nonché dagli Stati membri della CEE e la Comunità dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato in nome di quest’ultima con la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, 217, pag. 3685, in prosieguo: l’«Accordo di associazione CEE-Turchia»).


13 – Secondo A. Borghi, La libre circulation des personnes entre la Suisse et l’UE, Éditions Interuniversitaires Suisses, 2010, pag. 2, tale punto di vista è sostenuto da dottrina unanime.


14 – Per quanto riguarda, ad esempio, i prestatori di servizi, v. l’art. 17 e segg. dell’allegato I di detto Accordo.


15 – V., in particolare, le clausole di non discriminazione nei sette accordi (v. nota 19 delle presenti conclusioni).


16 – Nella citata sentenza Fokus Invest, la Corte ha ribadito che gli obiettivi dell’Accordo, definiti all’art. 1 di quest’ultimo, sono stabiliti, conformemente al tenore letterale di tale disposizione, a favore dei cittadini degli Stati membri e di quelli della Confederazione svizzera e, di conseguenza, a favore delle persone fisiche e che le categorie di persone, cittadini comunitari e cittadini svizzeri, di cui all’Accordo, eccetto i prestatori e i destinatari di servizi, presuppongono per la loro stessa natura che si tratti di persone fisiche (v., in tal senso, sentenze Grimme, cit., punti 33 e 34, e Fokus Invest, cit., punto 29).


17 – Ai sensi dell’art. 9, n. 2, il lavoratore dipendente e i membri della sua famiglia di cui all’articolo 3 dell’allegato godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori dipendenti nazionali e dei membri delle loro famiglie. Occorre precisare che la nozione di «vantaggi fiscali e sociali» di cui al detto articolo si basa sull’art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).


18 – V. nota 4 delle presenti conclusioni.


19 – Riguardo al principio di non discriminazione negli altri accordi (citati alla nota 4 delle presenti conclusioni), v., in particolare, gli artt. 3 e 23 dell’accordo sul trasporto aereo; gli artt. 1, 17, 20, 27, 28, 32, 38, 40 e 52 dell’accordo sul trasporto di merci e di passeggeri su strada e per ferrovia nonché gli artt. 3, 4 e 6 dell’accordo su alcuni aspetti relativi agli appalti pubblici.


20 – Pertanto, la convenuta nella causa principale ha inserito nelle proprie osservazioni scritte la decisione 17 ottobre 2007 emessa dalle autorità nazionali (menzionata al paragrafo 25 delle presenti conclusioni) e che forma l’oggetto del ricorso principale. In tale decisione, le autorità austriache rinviano, in particolare, alle disposizioni applicabili in Svizzera. Da tali elementi sembra emergere che la disciplina pertinente operi una differenza di trattamento non solo fra i cittadini svizzeri e i cittadini stranieri, bensì anche fra i cittadini svizzeri stessi, in ragione del loro cantone d’origine. Certe parti contraenti non hanno dunque ritenuto di dover modificare le loro disposizioni nazionali al riguardo, con la conseguenza che la pratica delle parti contraenti non corrisponde all’interpretazione proposta dai ricorrenti.


21 – Sentenza 21 ottobre 1999, causa C-97/98, Racc. pag. I-7319.


22 – Sentenza Grimme, cit., punto 40.


23 – Ibidem, punto 42.


24 – V., decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1), con la quale il Consiglio ha approvato l’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio nonché gli accordi che figurano agli allegati 1-3 di tale accordo, fra i quali figura il GATS. L’art. XIV GATS esclude determinate misure fiscali dall’ambito di applicazione delle obbligazioni generali previste da tale accordo.


25 – V. artt. III:2 GATT, 90 CE e 14 dell’Accordo SEE.


26 – La Corte si è già pronunciata su una situazione in parte simile nell’ambito di un altro accordo, ovvero l’accordo di associazione citato: sentenza 17 settembre 2009, causa C-242/06, Sahin (Racc. pag. I-8465), punto 75, nell’ambito di una clausola di «standstill» di cui all’art. 13 della decisione del consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione.