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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 29 giugno 2010 1(1)

Causa C-285/09

Procedimento penale

contro

R.

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesgerichtshof (Germania)]

«Sesta direttiva IVA – Art. 28 quater, parte A), lett. a) – Cessione intracomunitaria – Diniego dell’esenzione – Comportamento fraudolento»






I –    Introduzione

1.        Nel presente procedimento, il Bundesgerichtshof (Corte suprema federale tedesca) sottopone alla Corte di giustizia una questione vertente sull’interpretazione della sesta direttiva IVA (2) in relazione all’esenzione da imposta delle cessioni [di beni] intracomunitarie.

2.        Più precisamente, si tratta di accertare se lo Stato membro di origine delle merci possa considerare non esente da imposta il venditore soggetto passivo stabilito in tale Stato che, nonostante abbia effettivamente realizzato una cessione intracomunitaria di beni, ha occultato determinati dati relativi all’operazione, consentendo in tal modo all’acquirente stabilito nello Stato membro di destinazione di evadere l’imposta.

3.        La questione è sorta nell’ambito di un procedimento penale a carico del sig. R., in quanto il Bundesgerichtshof ritiene che la condanna (sulla quale deve statuire nel ricorso di cassazione) dipenda dalla qualificazione fiscale che, alla luce della sesta direttiva, debba essere attribuita all’operazione in oggetto. Le presenti conclusioni, tuttavia, si limiteranno ad analizzare tale qualificazione fiscale, a prescindere dalle sue eventuali conseguenze sanzionatorie.

4.        Esiste già un’abbondante giurisprudenza ispirata alla lotta contro la frode e i comportamenti abusivi, entrambi frequenti in un sistema tanto complesso come quello dell’IVA. Orbene, nello sviluppare tale giurisprudenza, la Corte di giustizia è sempre stata attenta a conciliare l’obiettivo della lotta contro la frode ed il rispetto dei principi basilari dell’IVA, fornendo risposte proporzionate ed adattate a ciascun caso specifico.

5.        Si deve tuttavia segnalare che, nel caso presente, la risposta che potrebbe eventualmente essere suggerita a prima vista dal buon senso (privare il soggetto passivo in malafede di un vantaggio fiscale) non è suffragata da un’analisi dettagliata dei principi che regolano il funzionamento dell’IVA. In sintesi, e anticipando la mia proposta, ritengo che la soluzione sanzionatoria, certamente auspicabile, debba essere ottenuta con mezzi più adeguati e, in ogni caso, più conformi con il sistema che regola ed ispira detta imposta.

II – Contesto normativo

A –    Il diritto comunitario

6.        La Direttiva del Consiglio 91/680/CEE (3) ha introdotto nella sesta direttiva un nuovo titolo XVI bis, relativo al «regime transitorio di tassazione degli scambi tra gli Stati membri», che ha istituito il fatto imponibile «acquisto intracomunitario» nonché un’esenzione delle «cessioni intracomunitarie».

7.        L’art. 28 bis, che apre il detto titolo, al n. 1, lett. a), dichiara che sono soggetti all’imposta sul valore aggiunto «gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale, che non beneficia della franchigia d’imposta prevista dall’articolo 24 e che non rientra nelle disposizioni previste all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), seconda frase o all’articolo 28 ter, punto B, paragrafo 1».

8.        L’art. 28 quater, parte A, prevede l’esenzione da imposta delle cessioni di beni intracomunitarie nei seguenti termini:

      «Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:

a)       le cessioni di beni ai sensi dell’articolo 5 e dell’articolo 28 bis, paragrafo 5, lettera a), spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni (…)».

B –    Diritto tedesco

1.      Il diritto penale

9.        Ai sensi dell’art. 370, n. 1 (1), dell’Abgabenordnung (Codice delle imposte; in prosieguo: l’«AO») (4) è sanzionabile penalmente, potendo essere condannato ad una pena fino a cinque anni di reclusione o al pagamento di una sanzione penale, chiunque presenti dichiarazioni inesatte o incomplete alle autorità tributarie sui fatti fiscalmente rilevanti, e riduca i propri oneri fiscali o arrechi in tal modo vantaggi indebiti a se stesso o a terzi.

10.      Secondo il Bundesgerichtshof, tale disposizione dell’AO costituisce una norma penale in bianco che non contiene tutti gli elementi della fattispecie penale, e deve pertanto essere completata mediante disposizioni del diritto fiscale sostanziale, che definiscono quali fatti siano rilevanti e a quali condizioni l’imposta diventi esigibile. Di conseguenza, il detto organo sostiene che «l’esigibilità dell’imposta è una condizione della fattispecie di una frode fiscale penalmente rilevante».

2.      La normativa fiscale

11.      Ai sensi dell’art. 1, n. 1, punto 1 dell’Umsatzsteuergesetz (legge relativa all’imposta sul fatturato; in prosieguo: l’«UStG») (5) sono soggette ad IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo.

12.      A sua volta, tuttavia, l’art. 4, n. 1, lett. b), incorpora l’esenzione prevista dall’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva, stabilendo che le operazioni rientranti nell’art. 1, primo comma, punto 1, dell’UStG sono esentate da imposta in caso di cessioni intracomunitarie.

13.      L’art. 6a, n. 1, dell’UStG elenca i presupposti necessari affinché una cessione possa essere considerata intracomunitaria a tali effetti. Tale cessione presuppone, tra l’altro, che l’imprenditore o l’acquirente trasporti o spedisca l’oggetto della cessione nel resto del territorio comunitario (punto 1), e che l’acquisto dell’oggetto della cessione da parte dell’acquirente sia soggetto in un altro Stato membro alla normativa in materia di imposta sul fatturato (punto 3).

14.      Ai sensi dell’art. 6a, n. 3, dell’UStG, è compito dell’imprenditore dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di cui ai precedenti nn. 1 e 2.

15.      Gli obblighi in materia di prova sono disciplinati con maggiore precisione negli artt. 17a e 17 c dell’Umsatzsteuer-Durchfürungsverordnung (regolamento di attuazione dell’UstG; in prosieguo: l’«UStDV») (6). L’art. 17a dell’UStDV introduce una prova documentale prevedendo che l’imprenditore debba dimostrare, con mezzi di prova idonei, che l’oggetto della cessione è stato trasportato o spedito nel resto del territorio dell’Unione. L’art. 17c dell’UStDC specifica gli obblighi contabili dell’imprenditore in relazione alle cessioni intracomunitarie, precisando che l’osservanza delle condizioni per l’esenzione di cui all’art. 6a dell’UStG, in particolare, la menzione del nome e dell’indirizzo dell’acquirente, nonché il suo numero di registrazione IVA, deve risultare dai documenti contabili.

16.      D’altra parte, l’art. 18a, n. 1, prima frase, dell’UStG pone a carico dell’imprenditore nazionale che abbia effettuato cessioni intracomunitarie esenti da imposta, l’obbligo di presentare al Bundeszentralamt für Steuern (autorità fiscale federale tedesca) una sintesi che menzioni, tra gli altri dati, il numero di registrazione IVA dell’acquirente. E, conformemente all’art. 18b, n. 1, dell’UstG, l’imprenditore deve dichiarare alla competente amministrazione tributaria la base imponibile delle sue cessioni intracomunitarie.

III – Causa principale e questione pregiudiziale

17.      L’imputato, sig. R, cittadino portoghese, era l’amministratore di una società tedesca che si occupava del commercio di automobili di lusso. Dai fatti dichiarati accertati risulta che, a partire dal 2001, il sig. R. ha venduto più di 500 automobili all’anno (7), prevalentemente a commercianti di autoveicoli stabiliti in Portogallo.

18.      A partire dal 2002 l’imputato ha posto in essere una serie di manipolazioni contabili, dissimulando l’identità dei reali acquirenti dei veicoli per consentire alle dette imprese di evadere l’IVA in Portogallo. Tale operazione gli avrebbe inoltre permesso di vendere le auto ad un prezzo che, in altre condizioni, non avrebbe potuto esigere, ottenendo considerevoli guadagni.

19.      La citata manipolazione contabile comportava concretamente l’emissione di fatture false intestate a clienti fittizi, che figuravano come destinatari delle cessioni. Dette fatture indicavano in ciascun caso la denominazione commerciale del presunto acquirente, il suo numero di partita IVA, la designazione dell’autoveicolo (che in realtà veniva ceduto ad un altro acquirente), il prezzo di acquisto e la menzione «cessione intracomunitaria esente da imposta a norma dell’art. 6a dell’UStG». Ciò facendo, si creava l’impressione che l’acquirente fittizio avrebbe pagato l’IVA per il corrispondente acquisto intracomunitario in Portogallo.

20.      Tali acquirenti apparenti (o «fittizi») erano imprese reali stabilite in Portogallo. Alcune imprese avrebbero acconsentito all’utilizzo della propria denominazione per siffatti fini, altre, invece, sarebbero state all’oscuro di tale circostanza.

21.      Da parte loro, i reali acquirenti dei veicoli in questione rivendevano questi ultimi ad utilizzatori finali privati in Portogallo, occultando alle autorità di tale paese l’esistenza di un precedente acquisto intracomunitario. In tal modo essi evitavano il pagamento dell’IVA dovuta sull’acquisto intracomunitario. Peraltro, i reali rapporti commerciali sono stati occultati anche grazie ad altri mezzi: quando, al momento della fornitura, il cliente finale era già noto, l’imputato intestava a quest’ultimo i documenti di circolazione del veicolo, emettendo un’altra fattura falsa recante detto cliente finale come destinatario, e aggiungendo la menzione (falsa) «regime impositivo del margine di guadagno ai sensi dell’art. 25a dell’UStG».

22.      Nel 2002 l’impresa del sig. R. ha venduto e consegnato in tal modo 407 autoveicoli, per un valore di EUR 7 720 391; e nel 2003, 720 veicoli per un valore di EUR 11 169 460. Tutte le dette operazioni sono state dichiarate in Germania come cessioni intracomunitarie e, quindi, esenti da imposta, nelle relative dichiarazioni annuali dell’IVA. Nei memorandum da presentare unitamente alle dichiarazioni tributarie dirette al Bundeszentralamt für Steuern l’imputato ha indicato gli acquirenti fittizi menzionati nelle fatture come controparti contrattuali, allo scopo di evitare che gli effettivi acquirenti potessero essere identificati in Portogallo mediante il sistema dello scambio di informazioni sull’IVA.

23.      Avviato un procedimento penale a carico dell’imputato, quest’ultimo è stato posto in custodia cautelare il 30 gennaio 2008. Con sentenza 17 settembre 2008, il Landgericht Mannheim (tribunale di Mannheim) ha condannato il sig. R. ad una pena complessiva di tre anni di reclusione per due reati di evasione fiscale. A giudizio del Landgericht, le cessioni fittizie di merci dirette in Portogallo non sono cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 28 quater e, pertanto, non sono esenti da IVA. La manipolazione dei documenti e della contabilità dichiarata provata avrebbe comportato una riduzione dell’imposta assolta in Portogallo tale da provocare una distorsione della concorrenza intracomunitaria, il che costituisce un abuso deliberato delle norme comunitarie, giustificando il rifiuto di concedere l’esenzione fiscale in Germania. Di conseguenza, non avendo assolto i propri obblighi di recuperare l’IVA gravante sulle suddette cessioni, di versare i relativi importi all’amministrazione tributaria tedesca e di indicarli nelle dichiarazioni d’imposta annuali, il sig. R. avrebbe commesso un reato di evasione fiscale.

24.      Il sig. R. ha impugnato tale sentenza di condanna in un ricorso per cassazione dinanzi al Bundesgerichtshof. Nel ricorso egli adduce che il Landgericht non ha qualificato correttamente le operazioni, dato che i veicoli in questione sono stati effettivamente consegnati ad imprese acquirenti in Portogallo, ragione per cui si tratterebbe di cessioni comunitarie esenti da imposta. Il sig. R. sostiene che gli stratagemmi di occultamento diretti ad evitare la tassazione degli acquisti in Portogallo sono irrilevanti ai fini della qualificazione fiscale, in Germania, delle cessioni in discussione e che la riscossione dell’imposta in Germania non è mai stata messa a rischio, poiché l’IVA doveva essere riscossa in Portogallo, quale paese di destinazione dei beni.

25.      Nella domanda di pronuncia pregiudiziale, la Prima sezione penale del Bundesgerichtshof, investita del citato ricorso per cassazione, espone che la soluzione della controversia principale dipende dall’interpretazione dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva. Secondo il giudice del rinvio tale disposizione deve essere interpretata nel senso che «a tutti i partecipanti ad una o più operazioni dirette all’evasione fiscale devono essere negate le agevolazioni fiscali di norma previste per tali singole operazioni, qualora la prassi abusiva o fraudolenta sia nota al soggetto passivo coinvolto ed egli vi abbia preso parte». Tale conclusione, secondo detta Sezione, discenderebbe, da una parte, dal divieto di prassi abusive sancito dal diritto comunitario, applicabile anche all’IVA, e, dall’altra, da un’interpretazione teleologica della citata disposizione della direttiva.

26.      Il Bundesgerichtshof ritiene che, a tal fine, esista già una giurisprudenza della Corte di giustizia sufficientemente chiara in materia, cosicché, in due casi analoghi, il giudice in parola si è rifiutato di concedere l’esenzione di imposta a presunte cessioni comunitarie, perché l’imprenditore tedesco aveva concluso un accordo collusivo con il suo cliente straniero al fine di rendergli più agevole sottrarsi al fisco, e qualificando pertanto la condotta di tale imprenditore come delitto (8).

27.      Orbene, si deve tenere presente che, parallelamente, nell’ambito di un procedimento tributario avviato nei confronti del sig. R. per i medesimi fatti, il Finanzgericht Baden-Württemberg (Sezione tributaria del tribunale del Baden-Württemberg) ha espresso taluni dubbi sul precedente approccio del Bundesgerichtshof in relazione al rifiuto di concedere l’esenzione (9). Secondo tale tribunale, in questo caso non trova applicazione il divieto comunitario di abuso, giacché le operazioni in questione avrebbero una spiegazione diversa dalla mera ricerca di vantaggi fiscali e, inoltre, i principi di neutralità e di territorialità dell’IVA osterebbero alla detta impostazione del Bundesgerichtshof. Da parte sua, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ha dichiarato di nutrire gli stessi dubbi nella decisione 29 luglio 2009, in cui si è pronunciato su una domanda di sospensione (10).

28.      In considerazione di tali divergenze di vedute con la giurisdizione tributaria e dato che la qualificazione come delitto del comportamento dell’imputato dipende dall’applicabilità o meno dell’esenzione da IVA (11), il Bundesgerichtshof ha ritenuto necessario sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che una cessione di beni ai sensi di tale disposizione non beneficia dell’esenzione dall’IVA quando ha effettivamente avuto luogo, ma, alla luce di elementi oggettivi, risulta che il venditore soggetto passivo:

a) sapeva che con tale cessione avrebbe partecipato ad un’operazione diretta ad evadere l’IVA, o

b) ha compiuto atti intesi a occultare l’effettivo acquirente al fine di consentire a questi o ad una terza persona di evadere l’IVA».

IV – Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

29.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta presso la cancelleria della Corte di giustizia il 24 luglio 2009.

30.      Hanno presentato osservazioni scritte il sig. R. ed il Generalbundesanwalt (pubblico ministero a livello federale), nonché la Commissione e i governi tedesco, greco e irlandese.

31.      All’udienza, tenutasi il 5 maggio 2010, erano presenti per svolgere osservazioni orali i rappresentanti del sig. R, del Generalbundesanwalt beim Bundesgerichtshof, della Commissione, nonché i governi della Repubblica federale di Germania, dell’Irlanda e della Grecia.

V –    Considerazioni preliminari

32.      Con la questione pregiudiziale, sollevata nell’ambito di un procedimento penale per evasione fiscale, il Bundesgerichtshof vuole accertare se, in applicazione dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva, debba essere rifiutata l’esenzione dell’IVA prevista da tale disposizione nel caso in cui la cessione comunitaria abbia effettivamente avuto luogo, ma il venditore abbia compiuto atti che possono essere chiaramente considerati fraudolenti. In particolare, usando gli stessi termini della questione, se il venditore «sapeva che con tale cessione avrebbe partecipato ad un’operazione di vendita di beni diretta ad evadere l’imposta sul valore aggiunto» (a), o se «ha compiuto atti intesi a occultare l’effettivo acquirente, al fine di consentire a questi o a una terza persona di evadere l’imposta sul valore aggiunto» (b).

33.      La soluzione della controversia principale dipende certamente dall’interpretazione che si vorrà dare a tale disposizione, poiché la condotta del sig. R. (che avrebbe manipolato la contabilità e presentato documenti e dichiarazioni falsi alle autorità tributarie tedesche) può essere qualificata come delitto solo qualora si possa pervenire alla conclusione preliminare che l’esenzione non vale (12); in caso contrario, ai sensi del diritto nazionale, le dichiarazioni false presentate dall’imputato costituirebbero semplici infrazioni amministrative, punibili con una multa fino ad EUR 5 000 (art. 26a, n. 2, dell’UStG).

34.      Il Bundesgerichtshof sostiene, come indica nell’esposizione della questione pregiudiziale, che la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia sia chiara e che consenta di considerare inapplicabile l’esenzione; tuttavia, occorre fin d’ora segnalare che il Finanzgericht Baden-Württemberg (e lo stesso Bundesfinanzhof) hanno sostenuto il contrario nell’ambito di un procedimento fiscale parallelo aperto nei confronti del sig. R. e attualmente pendente. D’altra parte, è utile ricordare che il Bundesverfassungsgericht ha sospeso l’esecuzione di una pena comminata dal Bundesgerichtshof in un altro caso simile, sostenendo che non si può escludere a priori una violazione dell’art. 103, n. 2, della legge fondamentale (principio della legalità in materia penale).

VI – Sulla presunta irricevibilità della questione pregiudiziale

35.      Sulla scorta di quanto esposto nei precedenti paragrafi, nelle sue memorie il sig. R. sostiene che la questione pregiudiziale ha una «natura ipotetica», che deriverebbe dal carattere penale del procedimento principale. Il sig. R. ritiene che il suo comportamento non possa essere sanzionato penalmente senza oltrepassare i limiti imposti dal diritto costituzionale tedesco per l’interpretazione delle disposizioni di diritto penale, con particolare riferimento al principio di legalità in materia penale. D’altra parte, secondo l’imputato nella causa principale, l’obbligo di interpretare la normativa penale nazionale conformemente alla direttiva non potrebbe dar luogo ad una condanna penale nel procedimento principale, neppure se la Corte di giustizia accogliesse l’interpretazione proposta dal Bundesgerichtshof.

36.      Non si può certamente escludere l’eventualità che, qualunque sia la soluzione da dare alla questione pregiudiziale posta dal Bundesgerichtshof, il principio di legalità penale possa, eventualmente, impedire, nell’ambito dell’ordinamento nazionale, di infliggere al sig. R. una condanna penale. Orbene, tale eventualità non significa che la questione in esame sia, per questa sola circostanza, di natura meramente ipotetica.

37.      Occorre, infatti, tenere presente, e tale elemento deve risultare sufficiente ai fini della presente causa, che i giudici tedeschi, che vantano una maggiore conoscenza del diritto nazionale, stanno già esaminando tale aspetto, senza peraltro considerare necessario chiedere l’opinione della Corte di giustizia in proposito.

38.      Nel ricorso il sig. R. invoca altresì la versione comunitaria del principio di legalità in materia penale, affermando che, secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia, una direttiva non può avere un effetto diretto pregiudizievole nei confronti di un singolo, specialmente in materia penale (13).

39.      Effettivamente, le sentenze appena ricordate stabiliscono che una direttiva non può avere l’effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (14).

40.      Ciò posto, a differenza del presente caso, nella maggior parte delle citate cause la Corte di giustizia si era pronunciata sulla trasposizione incompleta o assente delle direttive in questione, il che comportava che un determinato comportamento fosse illegittimo alla luce del diritto comunitario, ma che non potesse essere sanzionato in base alla legge nazionale vigente. In altri procedimenti, come nella causa Berlusconi, si trattava di stabilire se una direttiva potesse avere l’effetto di privare di efficacia o rimuovere la legislazione nazionale vigente ad essa incompatibile, ai danni di un singolo cui sarebbero state inflitte, in tale caso, pene più severe previste dalla normativa nazionale anteriore. Il contesto materiale e giuridico del presente caso è sostanzialmente diverso da quello che fa da sfondo alle cause precedenti. Infatti, in questo caso l’organo nazionale remittente non intende accertare l’efficacia delle disposizioni sanzionatorie di una direttiva, ma si pone la possibilità di integrare una categoria di reato non definita con le disposizioni di una direttiva di natura tributaria.

41.      Tali considerazioni, tuttavia, eccedono i limiti della questione pregiudiziale che, dati i termini in cui è stata posta, verte esclusivamente su una disposizione della sesta direttiva, e non sulle sue conseguenze penali o su un suo eventuale effetto diretto sfavorevole al ricorrente.

42.      Pertanto, neppure da quest’ultima prospettiva è possibile giudicare irricevibile la questione pregiudiziale in esame, che difficilmente potrebbe essere considerata meramente «ipotetica», «priva di rilevanza» o «manifestamente ininfluente» ai fini della soluzione della causa principale (15).

VII – Analisi della questione pregiudiziale

43.      Anche partendo da un piano strettamente fiscale, l’esistenza di un comportamento fraudolento (16) domina l’intera analisi della presente questione pregiudiziale, poiché si tratta di stabilire se la buona fede sia un elemento indispensabile per poter beneficiare dell’esenzione da imposta delle cessioni intracomunitarie.

44.      Due elementi mi orientano, in linea di principio, a dare una risposta negativa a tale quesito:

–        Da una parte, sussistono tutti i requisiti espressamente previsti dalla sesta direttiva per considerare esistente una cessione comunitaria esente da imposta (A).

–        Dall’altra, il rifiuto dell’esenzione lascerebbe presupporre che il paese di origine dei beni (Germania) riscuota un’IVA che, in via di principio, non gli spetta; una soluzione, questa, suscettibile di violare i principi di territorialità e di neutralità fiscale che disciplinano l’imposta (B).

45.      Tali principi, tuttavia, non sono assoluti. Ne deriva che, nello stadio successivo della mia analisi, dovrò chiedermi se, alla luce della giurisprudenza, si possa derogare a detti principi con le modalità proposte dal Bundesgerichtshof (C) e, infine, se siffatta soluzione rispetti il principio di proporzionalità (D).

A –    Sulla sussistenza dei presupposti stabiliti dalla direttiva affinché abbia luogo una cessione intracomunitaria

46.      Secondo la giurisprudenza l’art. 28 quater, lett. a), della sesta direttiva impone solo tre requisiti per qualificare un’operazione come cessione intracomunitaria di beni esente da IVA (17): trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario; lo spostamento fisico dei beni da uno Stato membro ad un altro e lo status di soggetto passivo dell’acquirente (anche un ente che non è soggetto passivo «che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni»).

47.      Il Bundesgerichtshof, senza mettere in discussione tale punto, muove dal presupposto che la cessione in questione soddisfi tutti i suddetti requisiti, ma ciò che chiede è se la circostanza che il venditore fosse a conoscenza o prendesse parte ad una attività orientata all’evasione dell’IVA dovuta nel paese di destinazione abbia una qualche influenza sull’esenzione prevista dalla sesta direttiva. In definitiva, si tratta di stabilire se dal tenore della direttiva possa essere dedotta l’esistenza di un requisito supplementare, implicito e strettamente soggettivo, relativo alla buona fede del venditore, che renda la citata vendita tassabile in Germania.

48.      Alcuni intervenienti sostengono che tale requisito sussista, partendo da un’interpretazione teleologica della direttiva, la quale annovera tra i suoi obiettivi, indubbiamente, la lotta alla frode dell’IVA. Tuttavia, un’interpretazione teleologica di questo tipo, che comporti l’aggiunta di requisiti diversi oltre a quelli espressamente stabiliti dalla direttiva, pone varie difficoltà.

49.      La prima difficoltà consiste nel fatto che lo stesso art. 28 quater, parte A), della sesta direttiva consente agli Stati membri di fissare condizioni supplementari per «prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso». Nonostante «il margine di discrezionalità relativamente ampio di cui gli Stati membri dispongono per l’attuazione di talune disposizioni della sesta direttiva» (18), l’art. 28 quater sembra riferirsi a condizioni stabilite attraverso la legge. Tuttavia, la Germania non sembra aver esercitato puntualmente tale facoltà, il che potrebbe obbligarla adesso a dover affrontare le difficoltà derivanti da una lacuna della sua stessa normativa fiscale (19). In ogni caso, la giurisprudenza ha precisato che misure di tal genere devono essere adeguate e non devono mettere in questione il principio di neutralità dell’imposta (20).

50.      L’aspetto essenziale, tuttavia, consiste nel carattere oggettivo del regime applicabile alle operazioni intracomunitarie, introdotto nel 1991 come titolo XVI bis della sesta direttiva. Tale regime (a carattere transitorio, come noto) è stato adottato quale soluzione tendenzialmente temporanea in un contesto caratterizzato dalle differenti aliquote applicabili nei diversi Stati membri, che rendeva estremamente controproducente estendere agli scambi intracomunitari il regime di imposizione all’origine previsto per le cessioni di beni all’interno di ciascun paese (21).

51.      Il citato regime transitorio è stato pertanto concepito con l’obiettivo fondamentale di mantenere intatta la ripartizione della competenza degli Stati membri in materia tributaria (vale a dire, affinché l’IVA continuasse ad essere riscossa nello Stato membro in cui avviene il consumo finale) (22). A tal fine sono state istituite due nuove categorie: il fatto imponibile costituito dall’«acquisto intracomunitario», intorno al quale si articola materialmente l’imposizione nello Stato di destinazione; e l’esenzione delle «cessioni intracomunitarie», volta ad evitare una situazione di doppia imposizione e pertanto la violazione del principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA (23).

52.      L’esenzione delle cessioni intracomunitarie sembra pertanto avere un carattere spiccatamente sui generis rispetto alle altre esenzioni contemplate dalla direttiva (art. 13, punti A e B), ispirate a ragioni soggettive o fondate sulla natura di determinate attività. L’esenzione di cui all’art. 28 quater, parte A), risponde ad una logica assai diversa da quella che ispira le esenzioni anteriori: quella di garantire un adeguato funzionamento del sistema IVA sul piano intracomunitario. A tal fine è stata prevista una divisione più o meno artificiale, in due parti, della catena impositiva, assicurando in tal modo la tassazione dei beni nel luogo di destinazione (24).

53.      La Corte di giustizia ha sottolineato, come era inevitabile, il carattere oggettivo delle suddette nozioni di cessione e di acquisto intracomunitario, che «si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi» (25). Un diverso approccio pregiudicherebbe anzitutto il conseguimento degli obiettivi del regime transitorio, violando i principi di neutralità e di territorialità che lo regolano, nonché il principio della certezza del diritto (26).

54.      In definitiva, l’esenzione è stata prevista per ragioni obiettive (il rispetto della neutralità dell’imposta e la ripartizione della sovranità fiscale tra gli Stati membri), e obiettiva dev’essere anche, in via di principio, la sua valutazione, anche se di tale obiettività finiscono per giovarsi gli autori di azioni più o meno irregolari, come nel caso di specie.

55.      Nel nostro caso, poiché sussistono gli unici tre presupposti per la concessione dell’esenzione richiesti dall’art. 28 quater, parte A, lett. a) della sesta direttiva (trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario; lo spostamento fisico dei beni da uno Stato membro ad un altro e lo status di soggetto passivo dell’acquirente), dichiarare l’esenzione inapplicabile costituirebbe una risposta sproporzionata, nella misura in cui comporterebbe l’eliminazione di un pilastro essenziale del sistema, mettendone in pericolo gli obiettivi.

56.      Siffatta concezione oggettiva dovrebbe guidare la Corte di giustizia al momento di analizzare la questione pregiudiziale formulata dal Bundesgerichtshof, e, senza dubbio, orienta chiaramente la soluzione della presente questione pregiudiziale che proporrò al termine di queste conclusioni. Anticipo fin d’ora anche che tale soluzione risulta coerente con l’interpretazione che, a mio giudizio, dobbiamo dare alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di malafede e di abuso di diritto.

B –    Considerare l’esenzione inapplicabile alla fattispecie implicherebbe una violazione dei principi di territorialità e di neutralità dell’IVA

57.      La conclusione secondo cui l’esenzione di una cessione intracomunitaria che ha effettivamente avuto luogo (27) non è applicabile in presenza di malafede potrebbe anche violare alcuni principi alla base del regime dell’IVA.

1.      Sulla violazione del principio di neutralità

58.      Concepita come un’imposta sui consumi, l’IVA deve ripercuotersi sul consumatore finale. Secondo il principio di neutralità, l’imprenditore deve rimanere interamente esonerato dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche «indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività». Siffatto obiettivo si consegue – poiché tale è la sua idea di base –, mediante il sistema di detrazione dell’IVA versata a monte, che trasforma l’IVA pagata a valle, dal punto di vista dell’imprenditore, in una voce oggettivamente non tanto diversa da un’iscrizione contabile (28).

59.      Conseguentemente, il principio di neutralità osta «a che prestazioni analoghe, che si trovino quindi in concorrenza tra di loro, siano trattate in maniera diversa sotto il profilo dell’imposta sul valore aggiunto» (29).

60.      Il governo tedesco si oppone all’applicazione del principio di neutralità nel presente caso, adducendo che il riconoscimento dell’esenzione potrebbe falsare la concorrenza (30). A tal fine, esso invoca la recente sentenza NCC Construction Danmark A/S, in cui la Corte di giustizia ha statuito che il principio di neutralità fiscale non può ostare a determinate misure nazionali volte ad evitare distorsioni della concorrenza nel mercato interno (31). Tuttavia, tale sentenza è rimasta ben lontana dallo stabilire un’eccezione generale al principio di neutralità fiscale, e riguardava una situazione che non presenta alcuna somiglianza con il caso in esame (32). A mio giudizio, con tale sentenza la Corte di giustizia non ha inteso lasciare agli Stati membri in qualche modo carta bianca per derogare al regime dell’IVA invocando semplicemente la difesa della libera concorrenza.

61.      Ancor meno rilevante, se possibile, è l’argomento secondo cui si può ammettere una deroga all’applicazione del principio di neutralità per la mera circostanza che l’operazione di cui trattasi ha comportato la messa in atto di un comportamento considerato illegale. Secondo una costante giurisprudenza, detto principio non consente una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite (33). Di conseguenza, tale circostanza non potrebbe influire sulla qualificazione fiscale dell’operazione in questione se, ciò facendo, venisse violato il principio di neutralità.

62.      Nel caso che ci occupa, secondo la mia opinione, il principio di neutralità fiscale risulterebbe inevitabilmente compromesso se la cessione di cui trattasi venisse dichiarata non esente, per il fatto di considerare il sig. R. obbligato a pagare l’IVA sul prezzo di vendita alle autorità tedesche (come se avesse realizzato un’operazione interna). Diversamente, infatti, da un fornitore che effettua una vendita all’interno del paese, il sig. R, per definizione, non potrebbe ripercuotere l’importo in parola sull’acquirente, che è già soggetto passivo nel paese di destinazione delle merci, essendo fittiziamente considerato come il consumatore finale.

63.      Perciò, qualora si negasse al sig. R. l’esenzione e, parallelamente, le autorità portoghesi riuscissero a riscuotere l’IVA loro spettante, si creerebbe una situazione di doppia imposizione altrettanto contraria al principio di neutralità fiscale.

64.      Nella questione pregiudiziale, il Bundesgerichtshof afferma che tale doppia imposizione potrebbe essere evitata prevedendo che le autorità tedesche restituiscano l’IVA versata dal sig. R, quando si dimostri che la stessa operazione è stata già gravata da imposta in Portogallo. Ritengo, tuttavia, che tale meccanismo di rimborso (previsto dall’art. 227 dell’AO) non sia idoneo a prevenire la doppia imposizione, ma che possa unicamente porvi rimedio quando essa si sia prodotta. Di conseguenza, tale meccanismo non sembra sufficiente per salvaguardare il principio della neutralità dell’imposta (34).

65.      L’alta Corte tedesca invoca altresì l’ordinanza Transport Service (35), in cui, al punto 31, si afferma che il principio di neutralità non osta a che uno Stato membro proceda alla riscossione a posteriori dell’IVA presso un soggetto passivo che ha indebitamente fatturato una cessione di beni in esenzione da tale imposta e che è irrilevante al riguardo stabilire se l’IVA sulla vendita successiva dei beni interessati al consumatore finale sia stata versata o meno all’erario. Tuttavia, in tale caso la cessione intracomunitaria non aveva mai avuto luogo, e si trattava piuttosto di regolarizzare una situazione cui era stata applicata indebitamente l’esenzione; non vi era pertanto alcun rischio per il principio di neutralità.

2.      Sulla violazione del principio di territorialità

66.      Più evidente si potrebbe considerare, secondo il mio punto di vista, la violazione del principio di territorialità.

67.      Conformemente a detto principio, la riscossione dell’IVA, a prescindere dal suo importo, spetta allo Stato membro in cui si realizza il consumo finale del bene gravato. Tale regola consente di effettuare una precisa ripartizione del gettito dell’IVA applicata alle operazioni intracomunitarie e altresì di delimitare chiaramente la sovranità fiscale degli Stati membri interessati (36).

68.      Nel caso presente, il rifiuto della concessione dell’esenzione al sig. R. opposto dal paese di origine dei beni (Germania) presupporrebbe la riscossione dell’IVA da parte di quest’ultimo anche in assenza di un qualsiasi credito fiscale, poiché la ratio del regime transitorio, in realtà, altro non è se non il principio secondo cui spetta al paese in cui il bene viene consumato (Portogallo) percepire integralmente l’imposta. Tale rifiuto costituirebbe una grave violazione del principio di territorialità. La pacifica ripartizione della sovranità fiscale tra gli Stati membri costituisce, a mio giudizio, un obiettivo essenziale che non può essere proporzionalmente sacrificato a vantaggio dell’altro obiettivo, di per sé legittimo, di sanzionare comportamenti irregolari e di lottare contro la frode, allorché quest’ultimo obiettivo può essere raggiunto senza difficoltà attraverso previsioni normative che sono sempre alla portata degli Stati.

69.      In tal senso si deve ricordare che lo stesso legislatore comunitario e la giurisprudenza hanno introdotto alcune regole dalle quali è possibile dedurre una certa volontà di facilitare l’applicazione pratica della ripartizione della competenza in questione.

70.      Da un lato, il regolamento (CE) n. 1777/2005 (37) all’art. 21 dispone che «[l]o Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intracomunitario di beni a norma dell’articolo 28 bis della direttiva 77/388/CEE esercita la propria facoltà impositiva indipendentemente dal trattamento IVA applicato all’operazione nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».

71.      D’altro lato, la sentenza Teleos (38) ha stabilito che «[n]ell’ambito del regime transitorio di acquisto e cessione intracomunitari, è necessario, al fine di assicurare una regolare riscossione dell’IVA, che le competenti autorità tributarie verifichino, le une indipendentemente dalle altre, se siano soddisfatti i requisiti di cui all’acquisto intracomunitario nonché ai fini dell’esenzione della corrispondente cessione».

72.      Di conseguenza, sebbene, come ha indicato la giurisprudenza, «la cessione intracomunitaria di un bene e l’acquisto intracomunitario di quest’ultimo costituiscono in realtà un’unica e medesima operazione economica» (39), la sovranità fiscale su tale operazione è ripartita tra diversi Stati membri, che sono rispettivamente responsabili di esercitare i poteri loro attribuiti (40).

73.      Quanto precede, secondo la mia opinione, non è altro che un’ulteriore conseguenza del menzionato carattere oggettivo del regime transitorio: vale a dire che ognuno degli Stati membri coinvolti deve verificare le caratteristiche delle operazioni di cui trattasi al fine di esentarle o, al contrario, tassarle, ma senza interferire nella sfera delle competenze di un altro Stato membro.

74.      Il coordinamento, e, quindi, la protezione dalla frode, sono già assicurati dai meccanismi di cooperazione amministrativa di scambio di informazioni disciplinati dal regolamento (CE) n. 1798/2003 (41). Tale cooperazione costituisce uno strumento probabilmente più efficace e, ciò che è più importante, offre una soluzione più adeguata per combattere la frode nell’ambito delle operazioni intracomunitarie di quella proposta nell’ordinanza di rinvio. Come giustamente indica la Commissione nelle osservazioni scritte, tali meccanismi verrebbero vanificati qualora si attribuisse al paese di spedizione la competenza per riscuotere l’IVA senza rispettare la ripartizione della competenza fiscale prevista dalla sesta direttiva.

75.      A mio giudizio, la sentenza 22 aprile 2010, X (42), ripetutamente ricordata nel corso dell’udienza, non fa altro che rafforzare l’importanza del detto principio di territorialità. A tenore di tale sentenza, gli acquisiti intracomunitari gravati nello Stato membro che ha attribuito il numero di registrazione IVA (caso che si verifica, conformemente all’art. 28 ter, parte A, n. 2, primo comma, della sesta direttiva, allorché l’acquirente non dimostra che tale acquisto è stato gravato da imposta nel luogo di arrivo della spedizione o del trasporto delle merci) non possono dare diritto a detrazione ai sensi dell’art. 17 della sesta direttiva. La Corte di giustizia ha considerato che riconoscere il diritto alla detrazione in tali ipotesi «rischierebbe di vanificare l’effetto utile dell’art. 28 ter, parte A, n. 2, secondo e terzo comma, della sesta direttiva, dato che il soggetto passivo, che ha beneficiato del diritto alla detrazione nello Stato membro di identificazione, non sarebbe più incentivato a comprovare la tassazione dell’acquisto intracomunitario di cui trattasi nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto. Una siffatta soluzione potrebbe, in fin dei conti, mettere a repentaglio l’applicazione della regola di base secondo la quale, per quanto riguarda un acquisto intracomunitario, si ritiene che il luogo di assoggettamento sia situato nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto, cioè lo Stato membro di consumo finale, che è l’obiettivo del regime transitorio» (43). Quest’ultima decisione, a mio avviso, sottolinea ancora una volta la necessità di rispettare la ripartizione delle competenze tributarie in materia di IVA.

C –    La possibile influenza della frode

76.      Quanto esposto in precedenza non può, tuttavia, indurre a credere che i principi di neutralità e di territorialità siano assoluti. Di conseguenza, dobbiamo completare ulteriormente il nostro ragionamento esaminando se le circostanze concrete del caso di specie siano tali da consentire perfino di derogare, in questo caso, all’applicazione dei principi di neutralità e di territorialità dell’imposta.

77.      Vari gruppi di sentenze risultano pertinenti a tal fine. Da una parte, la Corte di giustizia ha sviluppato una copiosa dottrina in materia di abuso di diritto e, parallelamente, si è pronunciata sulle conseguenze che l’esistenza di una frode può avere sul regime di detrazione dell’IVA gravata a monte. D’altra parte, in una serie di casi riguardanti le cessioni intracomunitarie, la giurisprudenza ha riconosciuto che una rigorosa applicazione del principio di neutralità fiscale è possibile solo quando l’interessato abbia agito in buona fede o qualora sia stato escluso completamente il rischio di perdite di entrate fiscali.

78.      Un’analisi sommaria del primo gruppo di sentenze appena ricordate potrebbe indurre a concludere precipitosamente che il paese di origine delle merci (nel presente caso, la Germania) possa disporre liberamente dell’esenzione, negandone la concessione ad un soggetto che abbia agito in malafede.

79.      Tuttavia, prima di giungere a tale conclusione occorre esaminare con particolare attenzione la giurisprudenza più rilevante sulle cessioni intracomunitarie, in cui si pone in maggior rilievo il delicato equilibrio tra i meccanismi di lotta contro la frode, da una parte, e i principi di neutralità fiscale e di territorialità, dall’altra.

80.      Analizzerò poi i criteri enunciati in tutte le suddette sentenze e la possibilità di applicare tali criteri al caso che ci occupa, con particolare riferimento alla sentenza Collée.

1.      La giurisprudenza in materia di condotta abusiva e fraudolenta

81.      La Corte di giustizia ha riconosciuto ripetutamente ed in via generale che la lotta contro la frode, l’evasione delle imposte e gli eventuali abusi costituiscono un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva, così come il principio secondo cui gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (44).

82.      Per quanto concerne, in primo luogo, l’abuso di diritto, la giurisprudenza offre già criteri concreti per determinare quando tale abuso si produce e, ciò che è più importante, per ponderarne le conseguenze (45). In particolare, in materia di IVA, la citata sentenza Halifax ha indicato che, per dimostrare l’esistenza di un comportamento abusivo:

–        da una parte, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni; e

–        dall’altra, dette operazioni devono avere essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

83.      Nel caso di R, tuttavia, è palese che non si è verificata una mera «applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni», poiché la cessione si è effettivamente prodotta.

84.      Analogamente, è alquanto dubbio che dette operazioni abbiano «essenzialmente lo scopo» di ottenere vantaggi fiscali, anche alla luce di un’interpretazione più ampia, vale a dire, in vista di arrecare un vantaggio fiscale all’interessato stesso o ad un terzo (in tal caso, gli acquirenti stabiliti in Portogallo). Le vendite effettuate dal sig. R. erano operazioni economicamente redditizie, non operazioni fittizie effettuate unicamente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

85.      È certamente vero che l’obiettivo perseguito dal sig. R. era anticoncorrenziale, poiché si può immaginare che il fatto di occultare l’identità dei destinatari gli consentisse di imporre un prezzo maggiore e, al contempo, più vantaggioso per i destinatari medesimi di quello praticato dai suoi concorrenti «fiscalmente onesti» (per utilizzare la terminologia del Bundesgerichtshof). Tuttavia, tale elemento non è sufficiente per qualificare le operazioni effettuate dal sig. R. come comportamento abusivo ai sensi della nostra giurisprudenza, che sembra piuttosto presupporre la costruzione di un sistema completamente artificiale.

86.      In linea con tale orientamento, nella sentenza Halifax la Corte di giustizia ha affermato che le operazioni «implicate in un comportamento abusivo devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato» (46). Di conseguenza, anche qualora il sig. R. avesse dichiarato alle autorità tedesche l’identità degli acquirenti effettivi, invece di quelli fittizi, la cessione continuerebbe ad essere intracomunitaria e, pertanto, esente da IVA. La dichiarazione fraudolenta non presenta in questo caso un nesso di causa-effetto con il vantaggio fiscale ottenuto (salvo per il fatto di chiedersi se il sig. R. potesse essere ugualmente interessato ad effettuare tale operazione senza occultare i dati).

87.      Alla luce di quanto esposto in precedenza, ritengo che il comportamento del sig. R. non configuri un abuso di diritto ai sensi della giurisprudenza Halifax.

88.      Anche escludendo l’abuso di diritto nell’accezione datane dalla giurisprudenza, difficilmente si potrebbe negare che il comportamento del sig. R. continua ad essere fraudolento in base ai fatti dimostrati. La questione da stabilire, tuttavia, è se il diniego dell’esenzione costituisca la misura più adeguata e proporzionata per sanzionare tale comportamento. Ma nemmeno la giurisprudenza fornisce, al riguardo, argomenti idonei per dichiarare l’esenzione inapplicabile.

89.      Esistono certamente numerose sentenze in cui si ammette il diniego di un vantaggio fiscale in presenza di frode (47). Molte di esse sono state richiamate più volte nel presente procedimento, ma si tratta, per la maggior parte, di casi in cui era messo in questione unicamente il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte, e non il beneficio dell’esenzione di una cessione intracomunitaria, in cui entra in gioco il principio di territorialità. Non sembra legittima, pertanto, un’applicazione automatica, per analogia, dei criteri offerti da tali sentenze.

2.      La giurisprudenza sulla malafede nell’ambito delle cessioni intracomunitarie

90.      Una volta esclusa l’applicazione della giurisprudenza sull’abuso di diritto e la malafede relativamente alle operazioni descritte in precedenza, solo la giurisprudenza che riguarda casi di cessioni intracomunitarie offre, a mio giudizio, alcuni elementi rilevanti per il presente caso.

91.      Due recenti sentenze, Teleos, citata nei precedenti paragrafi, e Collée (48), trattano del riconoscimento dell’esenzione di una cessione intracomunitaria in relazione ad un eventuale comportamento in malafede del fornitore.

92.      Nella sentenza Teleos, la Corte di giustizia ha preso le mosse da una situazione in cui non si era prodotta una cessione intracomunitaria (i beni non erano usciti dal territorio del paese di spedizione), però in tale occasione il fornitore ha prodotto prove che hanno permesso di applicare l’esenzione. In tal caso la Corte ha stabilito che, purché il fornitore dimostri di aver agito assolutamente in buona fede, egli non può essere obbligato a pagare l’imposta in un momento successivo.

93.      Dalla menzionata sentenza si evince che, anche nel caso in cui non abbia avuto luogo una cessione comunitaria ai sensi della sesta direttiva, se il fornitore ha agito in buona fede non può essere obbligato a pagare a posteriori l’IVA dalla quale era stato indebitamente esentato (49). Contrario sensu, si deve concludere che, qualora la cessione non abbia avuto luogo ma il fornitore abbia agito in malafede, questi deve pagare l’importo dell’IVA corrispondente. In entrambi i casi, l’interessato non ha diritto all’esenzione, però, qualora il soggetto passivo sia in buona fede, la Corte di giustizia obbliga lo Stato membro interessato a rinunciare all’esazione dell’IVA che gli spettava (in definitiva, rinuncia a regolarizzare la situazione in considerazione di tale buona fede).

94.      Tuttavia, non è chiaro che, dal tenore letterale della sentenza Teleos, sia deducibile – come pretende il governo tedesco – che la mera presenza di malafede è sufficiente per dichiarare, in ogni circostanza (e in particolare quando, come nel caso presente, abbia effettivamente avuto luogo una cessione intracomunitaria), l’inapplicabilità dell’esenzione a favore del fornitore e per autorizzare lo Stato membro di origine dei beni a riscuotere un’IVA che non gli spetta. Risulta dubbia, pertanto, l’applicabilità di tale dottrina al caso in esame.

95.      Tale conclusione può essere confermata da una lettura della sentenza Collée, che si riferiva ad un caso in cui una cessione intracomunitaria aveva effettivamente avuto luogo, sebbene fosse stata inizialmente occultata dal fornitore per motivi non fiscali. Benché non si tratti di un caso identico, il contesto fattuale sullo sfondo di tale sentenza è quello che maggiormente si avvicina al caso di specie: in entrambi i casi si è verificata una cessione con il relativo acquisto intracomunitario; tuttavia, nella causa Collée il venditore ha preferito occultare il carattere intracomunitario della cessione (sacrificando la corrispondente esenzione) per non rischiare di perdere, in tal modo, una provvigione cui non avrebbe avuto diritto se avesse venduto la merce al di fuori del territorio che gli era stato riservato per contratto (50); al contrario, nel presente caso, il sig. R. ha occultato la vera identità dei destinatari delle consegne, ma non la cessione in sé e per sé.

96.      Risultano di particolare interesse i punti 35 e seguenti della sentenza Collée, in cui la Corte di giustizia articola il proprio ragionamento in due tempi.

97.      In primo luogo, sulla scorta delle sentenze Genius Holding (51) e Schmeink & Cofreth (52), il punto 35 della sentenza Collée subordina la possibilità di regolarizzare l’IVA indebitamente fatturata alla circostanza che il fornitore abbia «eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali». In tal caso, lo stesso principio di neutralità fiscale impone il riconoscimento dell’esenzione, e pertanto il risultato è indipendente dalla circostanza che il fornitore abbia agito in buona oppure in malafede (53).

98.      Lo stesso principio sembra applicabile al caso del sig. R, sebbene qui la «regolarizzazione» che pretendono realizzare le autorità tedesche consisterebbe nel diniego di un’esenzione già riconosciuta, in relazione ad un’operazione che è stata sempre dichiarata per quello che è, ossia, una cessione intracomunitaria. La difficoltà del caso di specie consiste nello stabilire se il rischio di perdite delle entrate fiscali debba prodursi rispetto allo Stato membro che intende «regolarizzare» l’operazione o se, invece, basti che tale rischio riguardi il sistema dell’IVA in generale.

99.      Nella sua memoria il Generalbundeswalt sostiene che, nei limiti in cui la lotta contro la frode costituisce uno degli obiettivi della sesta direttiva, la giurisprudenza può unicamente riferirsi al rischio per la riscossione dell’imposta nell’insieme del territorio comunitario. Il governo irlandese appoggia tale tesi, citando espressamente il punto 36 della stessa sentenza Collée, in cui si parla di «una perdita di entrate fiscali o [di] compromettere la riscossione dell’IVA». Quest’ultima frase potrebbe effettivamente far pensare che sia irrilevante stabilire a quale Stato membro corrisponda il credito fiscale.

100. Tuttavia, al punto 34 della medesima sentenza si dice chiaramente che la risposta alla questione se l’esenzione dell’IVA possa essere subordinata alla buona fede del soggetto passivo «dipende dall’esistenza di un rischio di perdite di entrate fiscali per lo Stato membro in questione» (54). D’altra parte, a tenore del successivo punto 37 «non può essere considerata una perdita di entrate fiscali la mancata percezione dell’IVA relativa ad una cessione intracomunitaria che, in un primo momento, era stata erroneamente qualificata quale cessione effettuata all’interno del paese (...). Infatti, in conformità al principio di territorialità, entrate del genere appartengono allo Stato membro in cui ha luogo il consumo finale».

101. A mio giudizio, l’analogia con il caso del sig. R. è evidente. Il tenore letterale della sentenza risulta assai chiaro in proposito, e sembra difficile sostenere, come fa il Generalbundeswalt, che il contenuto di tale sentenza non sia applicabile alla fattispecie semplicemente perché nella causa Collée il destinatario aveva assolto l’IVA fin dall’inizio.

102. Se è vero che la perdita di entrate fiscali ai danni di uno Stato membro dovrebbe costituire una preoccupazione per la Comunità intera (55), credo però che la Corte di giustizia, nei citati punti della sentenza Collée, abbia inteso conferire una netta priorità all’applicazione del principio di territorialità, anche in presenza di malafede. Si tratta di una soluzione logica: nei casi come quello del sig. R, il diniego dell’esenzione costituirebbe una sanzione assolutamente estranea alla sfera fiscale, poiché la Germania non vanta alcun credito a tale titolo. L’idea sottintesa dalla giurisprudenza quando ha indicato la «perdita di entrate fiscali» come criterio di valutazione degli effetti della malafede è quella di riequilibrare la situazione economica dell’erario interessato, ristabilendo la situazione che sarebbe esistita senza il comportamento fraudolento o abusivo (56).

103. La sentenza Collée non ha limitato la sua argomentazione a tali considerazioni. Nei punti successivi, essa invita esplicitamente il giudice nazionale a verificare se fosse stata compiuta un’operazione abusiva o fraudolenta, rinviando espressamente alla sentenza Kittel e Recolta Recycling (57) nonché alla giurisprudenza Halifax sull’abuso di diritto (58). Tuttavia, come ho esposto nei precedenti paragrafi, il comportamento del sig. R. non può essere considerato abusivo ai sensi della giurisprudenza e, nonostante si tratti di un comportamento fraudolento, non ricorrono i presupposti necessari per negare l’esenzione alla cessione intracomunitaria effettuata.

D –    Il diniego dell’esenzione costituisce una soluzione sproporzionata

104. Per concludere, nella sentenza Collée la Corte di giustizia dichiara che «il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di considerare, a talune condizioni, l’occultamento dell’esistenza di un’operazione intracomunitaria come un tentativo di frode all’IVA e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni pecuniarie previste dal loro diritto interno», che, in ogni caso, dovranno essere proporzionate alla gravità dell’abuso (59).

105. A mio giudizio, con siffatta precisazione la giurisprudenza si è riferita alla possibilità di applicare sanzioni alternative diverse e più proporzionate rispetto al diniego di un’esenzione, che altererebbe l’intero regime di ripartizione territoriale della competenza fiscale in materia di IVA.

106. Sulla base di tale giurisprudenza e dello stesso art. 28 quater, parte A), della sesta direttiva, gli Stati membri possono indubbiamente prevedere ex lege l’imposizione di sanzioni (sia amministrative che penali) per comportamenti di tal genere (60). Inoltre, nulla impedirebbe di far coincidere l’importo di un’eventuale sanzione pecuniaria con quello dell’esenzione applicata (sanzione che sarebbe, al contrario, proporzionata e ragionevole). In tal caso, tuttavia, lo Stato membro di origine dei beni percepirebbe tale importo nell’esercizio del suo potere di irrogare sanzioni che, logicamente, è possibile solo qualora poggi su una base normativa esplicita di cui sembrano essere sprovviste le autorità tedesche nel caso di specie.

107. Una previsione normativa di tal genere, integrata dai meccanismi di cooperazione amministrativa disciplinati dal regolamento (CE) n. 1798/2003, che ho già richiamato nei precedenti paragrafi, costituirebbe una risposta più appropriata – e al contempo coerente con la logica interna dell’imposta in discussione – al rischio di frode, pressoché inerente, come indica il Generalbundesanwalt, ai sistemi che implicano l’intervento di diverse amministrazioni fiscali nazionali.

108. In conclusione, ritengo che, malgrado la rilevanza di argomenti quali la necessità di assicurare l’adeguato funzionamento del sistema dell’IVA nel suo insieme e di non incoraggiare i comportamenti anticoncorrenziali, il giudizio di inapplicabilità dell’esenzione, prescindendo completamente dalla questione delle sue eventuali ripercussioni sulla configurazione di una fattispecie di reato, costituisce una risposta sproporzionata, in quanto esistono altri strumenti che consentirebbero di raggiungere tali obiettivi senza infrangere manifestamente i principi di neutralità fiscale e di territorialità.

VIII – Conclusione

109. Di conseguenza, suggerisco alla Corte di giustizia di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta dal Bundesgerichtshof nel seguente modo:

«      L’art. 28 quater, parte A, lett. a), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che non contempla un’eccezione all’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di cui beneficiano le cessioni di beni intracomunitarie ai sensi di tale disposizione, nei casi in cui la cessione abbia avuto effettivamente luogo, e ciò malgrado esistano circostanze oggettive che consentano di affermare che il venditore soggetto passivo:

a)      sapeva che con tale cessione avrebbe partecipato ad un’operazione diretta ad evadere l’imposta sul valore aggiunto; o

b)      ha compiuto atti intesi ad occultare l’identità dell’effettivo acquirente al fine di consentire a questi o ad una terza persona di evadere l’imposta sul valore aggiunto».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2–      Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la«sesta direttiva»).


3 – Direttiva 16 dicembre 1991, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376 pag. 1).


4 –            BGB1. 1976 I, pag. 613 e 1977 I, pag. 269.


5 – BGB1. 1993 I, pag. 565.


6 – BGB1. 1999 I, pag. 1308.


7 – All’udienza, l’avvocato del sig. R. ha confermato che si trattava di veicoli di seconda mano. Qualora si fosse trattato di «mezzi di trasporto nuovi», si sarebbe dovuto applicare l’art. 28 quater, parte A), lett. b), della sesta direttiva, e non la lett. a), della medesima disposizione.


8 – Si tratta delle decisioni 20 novembre 2008 (causa 1 StR 354/08) e 19 febbraio 2009 (causa 1 StR 633/08). La prima di queste decisioni è stata impugnata dinanzi al Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) che, con decisione 23 luglio 2009 (causa 2 BvR 542/09), ha sospeso l’esecuzione della pena di reclusione fino alla pronuncia di una sua sentenza definitiva, indicando che non si può escludere a priori, in tale caso, una violazione dell’art. 103, n. 2, della legge fondamentale (principio di legalità in materia penale).


9 – Decisione 11 marzo 2009, causa 1 V 4305/08.


10 – Causa XI B 24/09, DstR 2009, pag. 1693.


11 – Se l’operazione in questione costituisce una cessione intracomunitaria, le false dichiarazioni sugli acquirenti non costituirebbero reati, ma semplici infrazioni amministrative, punibili con una multa fino ad EUR 5 000 (art. 26a, n. 2, dell’UStG).


12 – Secondo i dati forniti dal Bundesgerichtshof, né la tipologia penale (art. 370 dell’AO) né la legge tedesca in materia di IVA (artt. 4-6a dell’UStG) contemplano espressamente una condotta fraudolenta come quella in questione, né prevedono le conseguenze che debbano essere attribuite a tale condotta sul piano penale o fiscale: l’art. 370 dell’AO non consente di tipizzare come delitto gli atti di manipolazione e di occultamento compiuti dal sig. R. se l’operazione era esente da IVA, e il tenore letterale dell’UstG non è sufficiente per considerare l’esenzione inapplicabile nel presente caso.


13 – Cita, in proposito, le sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13); 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X (Racc. pag. I-6609, punto 24), e 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi (Racc. pag. 3565, punti 73 e segg.).


14 – In tal senso, v. sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò (Racc. pag. 2545, punto 20); 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro (Racc. pag. I-4705, punto 37), e 7 gennaio 2004, causa C-60/02, X (Racc. pag. I-651, punto 61).


15 – V. tra le altre, sentenze 21 giugno 2001, causa C-206/99, SONAE (Racc. pag. I-4679, punti 45-47); 13 giugno 2002, cause riunite C-430/99 e C-431/99, Sea-Land Service e Nedlloyd Lijnen (Racc. pag. I-5235, punti 47 e 48), e 30 marzo de 2004, causa C-147/02, Alabaster (Racc. pag. I-3101, punto 55). Si deve inoltre ricordare che, ai sensi di una ben consolidata giurisprudenza, spetta al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte di giustizia (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi contro Denkavit (Racc. pag. 1555, punti 17-19); 25 febbraio 2003, causa C-326/00, IKA (Racc. pag. I-1703, punto 27); 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller (Racc. pag. I-2529, punto 33); 22 giugno 2006, causa C-419/04, Conseil général de la Vienne (Racc. pag. I-5645, punto 19), e 16 luglio 2009, causa C-537/07, Gómez-Limón (Racc. pag. I-6525, punto 24).


16 – In proposito, ritengo opportuno precisare che non è mia intenzione svolgere una qualificazione dei fatti in senso vero e proprio, compito che spetta al giudice nazionale, ma piuttosto analizzare la situazione e dare una risposta alla questione in esame nei termini in cui è stata posta, partendo dai fatti descritti nell’ordinanza di rinvio, senza metterne in discussione l’esattezza.


17 – Sentenza 27 settembre 2007, causa C-409/04, Teleos (Racc. pag. I-7797, punto 70).


18 – Sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz (Racc. pag. I-1883, punto 34).


19 – Il Generalbundesanwalt e lo stesso governo irlandese hanno suggerito all’udienza che gli artt. 6a, n. 1, dell’UStG e 17 dell’UstDV costituiscono misure di lotta contro la frode e l’evasione dell’IVA, e che sarebbero sufficienti al fine di rifiutare l’esenzione nel presente caso. Evidentemente non spetta alla Corte di giustizia interpretare una norma nazionale come questa; in ogni caso è certo che, qualora tale interpretazione fosse corretta, la questione pregiudiziale non sarebbe stata posta nei medesimi termini. Il Bundesgerichtshof non chiede se una previsione di questo tipo sia compatibile con la sesta direttiva, ma se da essa si ricavi direttamente che l’esenzione non può essere concessa in presenza di malafede.


20 – Sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax (Racc. pag. I-1609, punto 92). Su questo punto v. anche la sentenza 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska (Racc. pag. I-5129, punto 23).


21 – L’imposizione all’origine avrebbe comportato per gli Stati membri di origine un maggior numero di cessioni intracomunitarie, alterando il carattere dell’IVA come imposta sui consumi. Tali squilibri potevano essere corretti attraverso un sistema di compensazione automatica tra gli Stati membri. Tuttavia, la complessità dal punto di vista pratico dell’attuazione di un meccanismo di questo tipo (che darebbe luogo a movimenti di capitali tra gli Stati) e la difficoltà di ottenere, almeno nel breve periodo, una maggiore omogeneità delle aliquote, hanno indotto il legislatore comunitario ad introdurre il citato regime transitorio che, inizialmente previsto per durare fino alla fine del 1996, continua tutt’oggi ad essere in vigore, ed è stato temporaneamente ripreso dalla nuova direttiva IVA (direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto; GU L 347 pag. 1).


22 – In proposito, v. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa C-409/04, Teleos, presentate l’11 gennaio 2007.


23 – Sentenza Teleos, cit. (punto 25).


24–      È proprio la peculiarità di tale «esenzione», rispetto a quelle previste dall’art. 13 della sesta direttiva, a indurre a dubitare che la si possa considerare come un’«eccezione», destinata, quindi, ad essere interpretata, senz’altro, restrittivamente, a differenza di quanto hanno sostenuto alcune delle parti intervenute nel presente procedimento.


25 – Sentenza Teleos, cit. (punti 38 e 40). Tale carattere obiettivo viene attribuito anche ad altre nozioni che definiscono le operazioni imponibili ai sensi della sesta direttiva [sentenze 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a. (Racc. pag. I-483, punto 44) e 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-444/04, Kittel e Recolta Recycling (Racc. pag. I-6161, punto 41).


26 – In tal senso, la giurisprudenza ha segnalato che «l’obbligo, per l’amministrazione finanziaria, di effettuare indagini al fine di accertare la volontà del soggetto passivo sarebbe contrario agli scopi del sistema comune dell’IVA di garantire la certezza del diritto e di agevolare le operazioni inerenti all’applicazione dell’imposta dando rilevanza, salvo in casi eccezionali, alla natura oggettiva dell’operazione di cui trattasi» [sentenze 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group (Racc. pag. I-983, punto 24); Optingen e a., cit. (punto 45); Kittel e Recolta Recycling (punto 42), e Teleos (punto 39)].


27 – O negare la qualità intracomunitaria ad una cessione che soddisfa i requisiti oggettivi a tal fine.


28 – Sentenze 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman (Racc. pag. 655, punto 19); 15 gennaio 1998, causa C-37/95, Ghent Coal Terminal (Racc. pag. I-1, punto 15); 21 febbraio 2006, causa C-223/03, University of Huddersfield (Racc. pag. I-1751, punto 47), e 13 marzo 2008, causa C-437/06, Securenta (Racc. pag. I-1597, punto 25).


29 – Sentenze 7 dicembre 2006, causa C-240/05, Eurodental (Racc. pag. I-11479, punto 46), e Teleos, cit. (punto 59).


30 – Secondo il governo tedesco, il sig. R. «si troverebbe in una posizione più vantaggiosa rispetto ad un fornitore in buona fede che semplicemente non sia riuscito a dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni necessarie rispetto alle prove richieste, e la cui cessione si consideri imponibile». Anche il Bundesgerichtshof afferma che non esiste un rapporto di concorrenza «tra le imprese oneste e quelle disoneste sotto il profilo fiscale che evadono le imposte ricorrendo a manovre sistematiche di occultamento».


31 – Sentenza 29 ottobre 2009, causa C-174/08 (Racc. pag. I-10567, punti 46 e 47).


32 – Tale causa riguardava un’impresa di costruzioni che pagava l’IVA sulle prestazioni di costruzione da essa effettuate per conto proprio (prestazioni a se stessi). Nella citata sentenza, la Corte di giustizia ha dichiarato che il principio di neutralità fiscale non poteva ostare a che detta impresa si vedesse preclusa la detrazione integrale di tale imposta afferente i costi generali connessi alla realizzazione delle prestazioni suddette, a motivo del fatto che il fatturato risultante dalla vendita delle costruzioni così realizzate era esente dall’imposta sul valore aggiunto.


33 – Sentenze 5 luglio 1988, causa 269/86, Mol (Racc. pag. 3627, punto 18), e C-289/86, Happy Family (Racc. pag. 3655, punto 20); v., inoltre, sentenza 2 agosto 1993, causa C-111/92, Lange (Racc. pag. I-4677, punto 16). Tale giurisprudenza esclude la consegna di prodotti come gli stupefacenti, che hanno caratteristiche speciali in quanto, per la loro natura, rientrano nell’ambito di applicazione di un divieto assoluto di commercializzazione in tutti gli Stati membri, ad eccezione di un circuito economico strettamente sorvegliato per un loro utilizzo esclusivamente a fini terapeutici e scientifici. Non sembra, tuttavia, che detta eccezione si applichi al caso di specie.


34 – A questo punto, è probabilmente opportuno spostare la valutazione del caso presente dall’ottica esclusivamente fiscale, e concentrare per un momento l’attenzione sulle sue conseguenze penali, oserei dire paradossali, poiché, qualora un’eventuale condanna penale potesse fondarsi, come suggerisce il giudice del rinvio, sulla non applicabilità dell’esenzione, ci dovremmo chiedere quali sarebbero le conseguenze di un rimborso successivo dell’importo versato sul verdetto di condanna.


35 – Ordinanza 3 marzo 2004, causa C-395/02 (Racc. pag. I-1991).


36–      Sentenza 6 aprile 2006, causa C-245/04, EMAG Handel Eder (Racc. pag. I-6227, punto 40). V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott relative a tale causa, presentate il 10 novembre 205 (paragrafi 23 e 24), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer, nella causa Lipjes (decisa con sentenza 27 maggio 2004, causa C-68/03, Racc. pag. I-5879, paragrafo 25).


37 – Regolamento del Consiglio 17 ottobre 2005, recante disposizioni di applicazione della direttiva 77/388/CEE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto (GU L 288 pag. 1).


38 – Sentenza Teleos, cit. (punto 71).


39 – Sentenza Teleos, cit. (punto 23).


40 – In tal senso mi sembra particolarmente rivelatore il paragrafo 31 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Teleos: «[t]ramite l’acquisto intracomunitario il potere fiscale si trasferisce dallo Stato di origine allo Stato di destinazione», specificando, nella nota a piè di pagina, che «gli accertamenti relativi agli acquisti intracomunitari da parte delle autorità dello Stato di destinazione non vincolano le autorità dello Stato di origine in merito alla verifica della sussistenza dei presupposti di un’esenzione della cessione intracomunitaria».


41 – Regolamento del Consiglio 7 ottobre 2003, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d’imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92 (GU L 264 pag. 1).


42 – Cause riunite C-536/08 e C-539/08, Racc. pag. I-3581.


43 – Sentenza X, cit. (punto 44).


44 – Sentenze 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e a. (Racc. pag. I-2843, punto 20); 23 marzo 2000, causa C-373/97, Diamantis (Racc. pag. I-1705, punto 33); 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Geemente Leusden e Holin Groep (Racc. pag. I-5337, punto 76); 3 marzo 2005, causa C-32/03, Fini H (Racc. pag. I-1599, punto 32), e Kittel e Recolta Recycling, cit. (punto 54).


45 – Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale, la dottrina dell’abuso di diritto occupa oggi un posto preminente nel diritto dell’Unione, portando, in alcuni casi, perfino a discutere su una sua possibile qualificazione come principio generale. In tal senso, per esempio, si esprime l’avvocato generale Poiares Maduro nelle sue conclusioni nella causa Halifax, presentate il 7 aprile 2005 (paragrafo 64); v. inoltre, quanto ha esposto, sebbene in maniera meno categorica, l’avvocato generale La Pergola nelle conclusioni relative alla causa Centros (sentenza 9 marzo 1999, C-212/97, Racc. pag. I-1459), presentate il 16 luglio 1998 (punto 20). Nella dottrina, v.  De la Feria, R., «Prohibition of abuse of (community) law: the creation of a new general principle of EC law through tax», in Common Market Law Review, 45, 2008, pag. 395.


46 – Sentenza Halifax, cit. (punto 94).


47 – Sentenze 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman (Racc. pag. 655, punto 24); 29 febbraio 1996, causa C-110/94, INZO (Racc. pag. I-857, punto 24); 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a. (Racc. pag. I-1577); v., inoltre, sentenze Fini H, cit. (punto 34), e Kittel e Recolta Recucling, cit. (punto 5). È sufficiente che l’interessato sapesse che con il proprio comportamento «partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA» affinché sia considerato «ai fini della sesta direttiva, partecipante a tale frode» (sentenza Kittel e Recolta Recycling, cit. punto 56).


48 – Sentenza 27 settembre 2007, causa C-146/05 (Racc. pag. I-7861).


49 – Sentenza Teleos, cit.  (punto 2 del dispositivo).


50 – Sentenza Collée, cit.  (punti 13 e 39).


51 – Sentenza 13 dicembre 1989, causa C-342/87 (Racc. pag. 4227).


52 – Sentenza 19 settembre 2000, causa C-454/98 (Racc. pag. I-6973).


53 – In questo stesso senso, v. sentenza 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02 e C-80/02, Karageorgou e a. (Racc. pag. I-13295, punto 50).


54 – Il corsivo è mio.


55 – Come ha giustamente indicato il governo irlandese.


56 – Così si evince dalla sentenza Halifax, cit. (punto 94).


57 – Citata.


58 – Sentenza Collée, cit. (punti 38 e 39).


59 – Sentenza Collée, cit. (punto 40). In tal senso, v. sentenze Schmeink e Cofreth, cit. (punto 62).


60 – Nel presente caso, l’ordinamento giuridico tedesco prevede la possibilità di imporre una sanzione amministrativa.