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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 26 maggio 2011 (1)

Causa C-274/10

Commissione europea

contro

Repubblica di Ungheria

«Inadempimento di uno Stato – Fiscalità – Imposta sul valore aggiunto – Normativa nazionale che permette il rimborso dell’eccedenza dell’IVA solo nei limiti in cui superi l’importo dell’imposta relativo ad operazioni rimaste insolute – Principio della neutralità fiscale»





1.        L’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»), ai sensi del sistema comune istituito dal diritto dell’Unione, è un’imposta sul consumo prelevata in ogni stadio del processo di produzione o di distribuzione, che deve essere sopportata interamente dal consumatore finale.

2.        Al fine di permettere agli operatori economici, che garantiscono la riscossione dell’IVA presso i clienti quando ricevono il corrispettivo dei loro prodotti o servizi, di non sopportarne l’onere, il sistema comune dell’IVA prevede un meccanismo di detrazione, diretto ad assicurare la «neutralità» dell’imposta nei confronti di tali operatori.

3.        Gli operatori economici cosiddetti «soggetti passivi» sono quindi autorizzati a detrarre dall’imposta che hanno riscosso presso i loro clienti e che devono versare allo Stato membro l’IVA che hanno essi stessi sostenuto a monte per l’acquisto dei beni e dei servizi necessari allo svolgimento della loro attività professionale.

4.        Il presente ricorso per inadempimento verte sulle disposizioni del sistema comune dell’IVA che sono applicabili quando il diritto a detrazione del soggetto passivo eccede l’importo dell’imposta di cui quest’ultimo è debitore.

5.        In base all’art. 183 della direttiva del Consiglio 2006/112/CE (2), qualora, per un dato periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni autorizzate superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono procedere al rimborso o riportare l’eccedenza al periodo successivo, secondo modalità da essi stabilite.

6.        La Repubblica di Ungheria sostiene che, in forza di tale disposizione, essa avrebbe il diritto di limitare il rimborso alla parte di IVA che è stata effettivamente assolta dal soggetto passivo. La Commissione europea, considerando che la detta disposizione non conferisca agli Stati membri tale possibilità, ha proposto il presente ricorso per inadempimento.

7.        Nelle presenti conclusioni esporrò i motivi per cui considero il ricorso fondato.

8.        Ritengo che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione nelle sue memorie scritte, la limitazione prevista dal diritto ungherese non sia in contrasto con il principio di neutralità sul quale si fonda il sistema comune dell’IVA. Tuttavia, sosterrò che, come ha rilevato anche la detta istituzione, l’art. 183 della direttiva 2006/12, interpretato alla luce di altre disposizioni di quest’ultima relative al diritto a detrazione, limita chiaramente il potere degli Stati membri all’alternativa di rimborsare l’eccedenza o di riportarla al periodo successivo, e ciò senza fare distinzioni tra l’IVA effettivamente assolta e quella semplicemente dovuta.

9.        Pertanto, uno Stato membro non può limitare il rimborso dell’eccedenza alla parte di IVA che è stata effettivamente assolta dal soggetto passivo senza oltrepassare il potere discrezionale che gli è conferito dalla direttiva 2006/112.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

10.      Ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva del Consiglio 67/227/CEE (3), il principio del sistema comune di IVA consiste nell’applicare ai beni e ai servizi un’imposta generale sul consumo, esattamente proporzionale al prezzo dei beni e servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione. A ciascuna transazione, l’IVA calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio è esigibile, previa detrazione dell’ammontare dell’IVA che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

11.      Il titolo VI della direttiva 2006/112, sotto la rubrica «Fatto generatore ed esigibilità dell’imposta», comprende, in particolare, le seguenti disposizioni:

«Articolo 62

Ai fini della presente direttiva si intende per:

1)      “fatto generatore dell’imposta” il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta;

2)      “esigibilità dell’imposta” il diritto che l’Erario può far valere a norma di legge, a partire da un dato momento, presso il debitore, per il pagamento dell’imposta, anche se il pagamento può essere differito.

(…)

Articolo 63

Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi.

(…)

Articolo 65

In caso di pagamento di acconti anteriore alla cessione di beni o alla prestazione di servizi, l’imposta diventa esigibile al momento dell’incasso, a concorrenza dell’importo incassato.

Articolo 66

In deroga agli articoli 63, 64 e 65, gli Stati membri possono stabilire che, per talune operazioni o per talune categorie di soggetti passivi, l’imposta diventi esigibile in uno dei momenti seguenti:

a)      non oltre il momento dell’emissione della fattura;

b)      non oltre il momento dell’incasso del prezzo;

c)      in caso di mancata o tardiva emissione della fattura, entro un periodo determinato a decorrere dalla data in cui ha luogo il fatto generatore dell’imposta.

(…)».

12.      Il titolo X della direttiva 2006/112 è dedicato alle detrazioni. Al capo I, intitolato «Origine e portata del diritto a detrazione» contiene, in particolare, gli artt. 167 e 168, che sono del seguente tenore:

«Articolo 167

Il diritto a detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile.

Articolo 168

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)      l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo;

(…)».

13.      Il capo 4 del titolo X della direttiva 2006/112 riguarda le modalità di esercizio del diritto a detrazione e contiene, tra gli altri, i seguenti articoli:

«Articolo 178

Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti:

a)      per la detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente agli articoli da 220 a 236 e agli articoli 238, 239 e 240;

(…)

Articolo 179

Il soggetto passivo opera la detrazione globalmente, sottraendo dall’importo dell’imposta dovuta per un periodo d’imposta l’ammontare dell’IVA per la quale il diritto a detrazione è sorto, nello stesso periodo, ed è esercitato secondo quanto previsto all’articolo 178.

(…)

Articolo 183

Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.

Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante».

14.      Il capo 5 del titolo X della direttiva 2006/112 è intitolato «Rettifica delle detrazioni» e, agli artt. 184 e 185, precisa quanto segue:

«Articolo 184

La detrazione operata inizialmente è rettificata quando è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto.

Articolo 185

1. La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo.

2. In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all’articolo 16.

In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica».

15.      Gli obblighi del soggetto passivo per quanto riguarda il pagamento dell’IVA sono enunciati nel titolo XI della direttiva 2006/112, che contiene, in particolare, i seguenti articoli:

«Articolo 206

«Ogni soggetto passivo che è debitore dell’imposta deve pagare l’importo netto dell’IVA al momento della presentazione della dichiarazione IVA prevista all’art. 250. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un’altra scadenza per il pagamento di questo importo o riscuotere acconti provvisori.

(…)

Articolo 250

1. Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare (...).

(…)

Articolo 252

1. La dichiarazione IVA deve essere presentata entro un termine che è stabilito dagli Stati membri. Tale termine non può superare di oltre due mesi la scadenza di ogni periodo di imposta.

2. Gli Stati membri fissano la durata del periodo di imposta ad un mese, due mesi ovvero tre mesi.

Tuttavia gli Stati membri possono stabilire una durata diversa, comunque non superiore ad un anno».

B –    Normativa nazionale

16.      L’art. 55, n. 1, della legge CXXVII del 2007 in materia di IVA (4), prevede quanto segue:

«La realizzazione del fatto con il quale si compie oggettivamente l’operazione generatrice dell’imposta (in prosieguo: la ‘realizzazione’) dà luogo all’esigibilità dell’imposta».

17.      Ai sensi dell’art. 56 della legge ungherese sull’IVA «[l]’imposta esigibile è accertata al momento della realizzazione – salvo disposizioni contrarie della presente legge».

18.      L’art. 119, n. 1, della detta legge prevede che:

«Salvo disposizioni contrarie, il diritto a detrazione sorge nel momento in cui si deve determinare l’imposta dovuta corrispondente all’imposta calcolata a monte (art. 120)».

19.      L’art. 131 della legge ungherese sull’IVA così dispone:

«(1)      Il soggetto registrato a fini IVA sul territorio nazionale può detrarre dall’importo totale dell’imposta dovuta per un periodo imponibile l’importo dell’imposta a monte detraibile, originatasi nel corso dello stesso periodo imponibile o di uno o più periodi anteriori.

(2)      Se la differenza determinata conformemente al n. 1 è negativa, il soggetto registrato a fini IVA sul territorio nazionale può

a)      considerare tale differenza, durante il periodo di imposizione successivo, come voce detraibile dall’importo totale dell’imposta dallo stesso dovuta conformemente al n. 1 per il detto periodo di imposizione, oppure

b)      chiedere il rimborso della differenza all’amministrazione fiscale dello Stato alle condizioni e con le modalità definite dall’art. 186».

20.      L’art. 186 della detta legge, prevede quanto segue:

«(1)      Il rimborso dell’importo della differenza negativa determinata in base all’art. 131, n. 1 – corretto conformemente al n. 2 – può essere richiesto solo a partire dalla scadenza fissata dalla legge XCII del 2003 [sul regime di imposizione (5)], se

a)      il soggetto registrato ai fini dell’IVA sul territorio nazionale ne ha fatto domanda all’amministrazione fiscale, nel momento in cui ha presentato la propria dichiarazione conformemente all’art. 184; (…)

(…)

(2)      Qualora il soggetto registrato ai fini dell’IVA sul territorio nazionale, procedendo ai sensi del n. 1, lett. a), non paghi interamente, prima della scadenza menzionata al n. 1, l’importo, comprensivo anche di un’imposta, corrispondente all’operazione costitutiva della base giuridica per la traslazione dell’imposta, ovvero, qualora il suo debito non si estingua in altro modo prima di tale data, si sottrae il totale dell’imposta a monte detraibile, corrispondente a tale operazione, dall’importo, in termini di valore assoluto, della differenza negativa accertata ai sensi dell’art. 131, n. 1, fino a concorrenza di tale importo.

(3)      L’art. 131, n. 2, lett. a), si applica alla somma che riduce, in applicazione del n. 2, l’importo espresso in valore assoluto della differenza negativa accertata ai sensi dell’art. 131 n. 1, fino a concorrenza di tale importo.

(...)».

21.      Dall’art. 37, n. 1, della legge XCII del 2003 sul regime di imposizione si evince che la scadenza corrisponde al termine per il pagamento dell’imposta:

«L’imposta deve essere pagata alla data indicata nell’allegato alla legge o nella legge stessa (scadenza) (…)».

22.      A termini dell’allegato II, parte I, punto 2, lett. a), di tale legge:

«Il soggetto passivo [IVA] versa l’importo netto dovuto dell’[IVA]

–        nel caso di dichiarazioni fiscali mensili, entro il ventesimo giorno del mese successivo al mese corrente,

–        nel caso di dichiarazioni fiscali trimestrali, entro il ventesimo giorno del mese successivo al trimestre,

–        nel caso di dichiarazioni fiscali annuali, entro il 25 febbraio dell’anno successivo all’anno fiscale

e può chiedere il rimborso a partire da questa stessa data».

II – Procedimento e conclusioni delle parti

23.      Il 21 marzo 2007, la Commissione inviava alla Repubblica di Ungheria una lettera di diffida e, successivamente, in data 8 ottobre 2009, un parere motivato, in cui la detta istituzione esprimeva a tale Stato membro i motivi per i quali essa considerava la normativa nazionale di quest’ultimo contraria all’art. 183 della direttiva 2006/112. La Commissione invitava inoltre questo Stato membro a conformarsi a tale disposizione.

24.      Poiché la Repubblica di Ungheria, che contesta la suddetta valutazione, non ha ottemperato al parere motivato, con atto introduttivo 20 maggio 2010, la Commissione ha proposto il presente ricorso, in cui chiede che la Corte voglia:

–        constatare che la Repubblica di Ungheria non ha adempiuto agli obblighi che le incombono in forza della direttiva 2006/112/CE (...)

–        per il fatto di aver obbligato i soggetti passivi la cui dichiarazione fiscale fa emergere un’«eccedenza», ai sensi dell’art. 183 della direttiva 2006/112, nel corso di un determinato periodo d’imposta, a procedere alla traslazione di tale eccedenza, integralmente o parzialmente, al periodo d’imposta successivo se non hanno pagato la totalità di quanto acquistato dal loro fornitore, e

–        per il fatto che, in forza del suddetto obbligo, alcuni soggetti passivi dalla cui dichiarazione fiscale emergano sistematicamente «eccedenze» sono tenuti ad effettuare la traslazione di tale eccedenza, in più di un’occasione, al periodo di imposizione successivo;

–        condannare la Repubblica di Ungheria alle spese.

25.      La Repubblica di Ungheria chiede il rigetto del ricorso della Commissione e la condanna di quest’ultima alle spese.

III – Argomenti delle parti

A –    La Commissione

26.      La Commissione sostiene che l’art. 186, n. 2, della legge ungherese sull’IVA esclude il rimborso dell’eccedenza nel caso in cui l’IVA a monte derivi da operazioni per le quali non sia stata ancora pagata una contropartita, IVA inclusa, e senza che l’obbligo di pagamento si sia estinto in altro modo. Tale istituzione ritiene che siffatta limitazione sia contraria al diritto dell’Unione.

27.      In primo luogo, la detta limitazione non rispetterebbe il principio di neutralità fiscale come interpretato ed elaborato dalla Corte. Orbene, l’art. 183 della direttiva 2006/112, in particolare, ove indica «secondo modalità da essi stabilite», dovrebbe essere interpretato alla luce di tale principio, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA, ai sensi del quale il meccanismo delle detrazioni mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche.

28.      La Commissione deduce che, ai sensi degli artt. 62 e 63 della detta direttiva, l’IVA a valle diventa esigibile nel momento in cui si realizza la fornitura dei beni o la prestazione dei servizi, indipendentemente dal pagamento di una contropartita per l’operazione di cui trattasi. Un fornitore di beni o un prestatore di servizi sarebbe quindi obbligato a versare l’IVA all’erario, anche qualora i clienti non lo abbiano ancora pagato, prima del termine del periodo d’imposta. Dato che, in tale situazione, l’art. 186, n. 2, della legge ungherese sull’IVA impedisce al cliente di chiedere il rimborso dell’IVA corrispondente all’operazione di cui trattasi, tale misura avrebbe l’effetto di arricchire l’erario fintantoché non venga effettuato il pagamento della detta operazione, introducendo uno squilibrio nel sistema dell’IVA.

29.      L’esclusione del rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile porrebbe un onere a carico degli operatori interessati. Da una parte, il ritardo del pagamento, da parte dello Stato, del credito del soggetto richiedente il rimborso diminuirebbe temporaneamente il valore dei beni di cui dispone il soggetto medesimo, riducendo a sua volta le possibilità di profitto e la liquidità di quest’ultimo, e quindi aumentandone il rischio commerciale. Dall’altra, diminuendo la liquidità dell’acquirente dei beni o del destinatario dei servizi, il mancato rimborso dell’eccedenza dell’IVA aumenterebbe contemporaneamente il rischio che tale acquirente o destinatario non possa pagare i beni e i servizi che gli sono stati forniti – oppure che possa pagare solamente in ritardo. In tal modo, la detta esclusione aumenterebbe altresì il rischio commerciale del fornitore dei beni o del prestatore dei servizi e avrebbe altresì la conseguenza di ridurre la probabilità che si verifichi la condizione per ottenere il rimborso.

30.      Anche se il sistema dell’IVA istituito dalla direttiva 2006/112 pone diversi oneri a carico dei soggetti passivi, in particolare, l’obbligo di versare allo Stato l’IVA a valle, indipendentemente dalla circostanza che il cliente abbia pagato una contropartita per l’operazione di cui trattasi, sicché, nell’ambito di tale sistema, il principio di neutralità fiscale sarebbe applicato con alcune limitazioni, queste ultime dovrebbero essere interpretate restrittivamente. Nella sentenza 25 ottobre 2001, Commissione/Italia (6), la Corte ha statuito, segnatamente, che gli Stati membri non possono stabilire modalità di rimborso dell’eccedenza dell’IVA che siano tali da far sopportare al contribuente, in tutto o in parte, gli oneri dell’IVA.

31.      Secondo la Commissione, l’art. 183 della direttiva 2006/112 prevede unicamente che gli Stati membri possano definire le norme procedurali che regolano il detto rimborso, per permettere che tali disposizioni si inseriscano correttamente nei diversi strumenti normativi di cui alla procedura amministrativa. Per contro, tale disposizione non consentirebbe di limitare il detto rimborso imponendo condizioni di merito. Una tale limitazione sarebbe contraria all’obiettivo della disposizione in parola, provocherebbe divergenze dal punto di vista della disciplina ingiustificate tra gli Stati membri e violerebbe il principio di neutralità fiscale. Orbene, la normativa nazionale controversa non stabilirebbe regole formali ma tenterebbe di fissare limiti materiali al rimborso dell’IVA.

32.      In secondo luogo, la Commissione osserva che la normativa nazionale in questione risulterebbe altresì incompatibile con l’art. 183 della direttiva 2006/112, poiché non contiene alcuna limitazione temporale circa la possibilità di riportare l’eccedenza al periodo d’imposta successivo.

33.      Dal testo letterale di tale disposizione emergerebbe che l’eccedenza debba essere rimborsata al più tardi nel corso del secondo periodo d’imposta successivo alla sua costituzione. Per contro, in base alla normativa nazionale in questione, potrebbe accadere che il soggetto passivo debba riportare l’eccedenza dell’IVA a più riprese, soprattutto quando si tratta di un soggetto che effettua operazioni per le quali l’importo detraibile dell’IVA a monte superi regolarmente l’importo dell’IVA a valle. Tale sarebbe, in particolare, il caso dei soggetti passivi che esercitano principalmente attività d’esportazione, in virtù degli artt. 146, n. 1, lett. a), e 169, lett. b), della direttiva 2006/112.

34.      La normativa nazionale in questione non garantirebbe neppure che il soggetto passivo possa effettivamente recuperare l’eccedenza di IVA. Se il soggetto passivo ponesse fine alle sue attività per insolvenza, senza pagare tutti i suoi acquisti, l’eccedenza dell’IVA corrispondente alle operazioni rimaste insolute verrebbe definitivamente trattenuta dallo Stato.

B –    La Repubblica di Ungheria

35.      La Repubblica di Ungheria sostiene che la condizione prevista dalla propria legislazione, secondo cui solamente l’imposta effettivamente pagata può essere oggetto di rimborso, non viola né il principio di neutralità fiscale né l’art. 183 della direttiva 2006/112, che attribuisce chiaramente agli Stati membri la competenza di definire le condizioni per il rimborso.

36.      In primo luogo, la Repubblica di Ungheria ritiene che tale condizione non costituisca un onere per il soggetto passivo contrario al principio di neutralità fiscale.

37.      Infatti, per «onere dell’IVA» s’intende unicamente un onere definitivo, vale a dire una situazione in cui il soggetto passivo deve versare l’IVA senza diritto a detrazione. Il fatto di sopportare temporaneamente l’onere dell’IVA costituirebbe unicamente un onere finanziario o di liquidità, che inciderebbe solo temporaneamente sulla situazione finanziaria dell’operatore interessato e non sarebbe contrario al principio di neutralità fiscale.

38.      La Repubblica di Ungheria sottolinea, al riguardo, che il sistema comune dell’IVA, prevedendo che quest’ultima diventi esigibile dopo la realizzazione dell’operazione, a prescindere dal pagamento di una controprestazione, ai sensi degli artt. 62 e 63 della direttiva 2006/11 o, ancora, che il rimborso di un’eccedenza dell’IVA a monte detraibile non possa aver luogo prima della fine del periodo imponibile considerato, impone al soggetto passivo di sopportare temporaneamente l’onere dell’IVA.

39.      Di conseguenza, la condizione controversa determinerebbe unicamente il momento in cui si apre la possibilità di rimborso, senza mettere in questione quest’ultimo.

40.      Inoltre, tale condizione non farebbe correre un rischio finanziario al soggetto passivo per il fatto che quest’ultimo non ha ancora pagato il suo debito. In realtà, l’onere sarebbe sopportato unicamente dal venditore, ma tale conseguenza deriverebbe dalle disposizioni dell’Unione, in particolare, dagli artt. 62 e 63 della direttiva 2006/112. Poiché tale onere è compatibile con il principio di neutralità fiscale, l’asserito onere per l’acquirente dei beni o il destinatario dei servizi derivante dalla normativa nazionale controversa non può essere considerato inammissibile.

41.      La condizione del pagamento, stabilita dall’art. 186, n. 2, della legge ungherese sull’IVA per ottenere il rimborso di un’eccedenza di tale imposta, tenterebbe di neutralizzare il vantaggio di cui beneficia l’acquirente dei beni o il destinatario dei servizi che potrebbe, in assenza di tale condizione, pagare i propri fornitori grazie all’imposta rimborsata dallo Stato, trovandosi in una situazione più vantaggiosa rispetto ad un soggetto passivo che abbia pagato i propri fornitori prima di ottenere il rimborso dell’eccedenza dell’IVA. Per contro, secondo la concezione della Commissione, lo Stato sopporterebbe inizialmente il debito fiscale derivante dall’operazione e concederebbe gratuitamente un prestito al soggetto passivo, in particolare qualora il periodo d’imposta del prestatore dei servizi sia più lungo di quello del destinatario.

42.      L’art. 186, n. 2, della legge ungherese sull’IVA mirerebbe ad evitare che un soggetto passivo possa approfittare dell’opportunità di ottenere il rimborso dell’imposta gravante su una transazione che non ha pagato, o che, addirittura, forse non pagherà mai, per migliorare la propria situazione di liquidità. Qualora il fornitore o il prestatore dei servizi non abbia pagato l’IVA di cui è debitore, vuoi perché l’ha dichiarata in un altro periodo d’imposta, vuoi perché, più in generale, non può pagare l’imposta che gli incombe entro il termine prestabilito, il diritto al rimborso dell’acquirente sarebbe, in realtà, un prestito dello Stato a carico dell’erario di quest’ultimo.

43.      In secondo luogo, la Repubblica di Ungheria sostiene che l’interpretazione del principio di neutralità fiscale difesa dalla Commissione restringe in maniera ingiustificata il potere discrezionale conferito agli Stati membri dall’art. 183 della direttiva 2006/112. Secondo tale Stato membro, ammettere che ogni disposizione in materia di IVA che incide in qualche modo sulla situazione finanziaria, sulla liquidità o sulle decisioni commerciali delle imprese viola il principio di neutralità fiscale, avrebbe l’effetto di vanificare l’art. 183 della direttiva 2006/112.

44.      D’altronde, la Repubblica di Ungheria fa valere che la propria normativa non è comparabile con quella su cui verteva la citata causa Commissione/Italia, in quanto la normativa ungherese non mette in questione la possibilità, per un soggetto passivo, di recuperare l’intero importo dell’IVA mediante pagamento con somme liquide di denaro ed entro un termine ragionevole, qualora sia stato fissato un termine ragionevole per il pagamento della transazione. Inoltre, con l’espressione «entro un termine ragionevole», utilizzata al punto 34 della sentenza, la Corte avrebbe riconosciuto che gli Stati membri dispongono di un certo margine discrezionale per quanto riguarda la fissazione del termine per il rimborso. Di conseguenza, le disposizioni nazionali in materia di rimborso potrebbero necessariamente far sopportare in via temporanea l’onere finanziario al soggetto passivo, senza violare il principio di neutralità fiscale.

45.      In merito all’assenza di un limite temporale per il riporto dell’eccedenza di IVA al periodo d’imposta successivo, la Repubblica di Ungheria sostiene che né il testo né il preambolo della direttiva 2006/112 indicano che l’eccedenza di IVA possa essere riportata una sola volta.

46.      Inoltre, la realizzazione della condizione imposta dalla normativa nazionale controversa per ottenere il rimborso dipenderebbe dalla stessa decisione del soggetto interessato. Una volta che egli abbia pagato il bene o la prestazione di servizi di cui si tratti, la questione del riporto ad un successivo periodo d’imposta non si porrebbe più.

47.      Infine, la Repubblica di Ungheria sottolinea che, nella pratica commerciale, un rinvio di pagamento da 90 a 120 giorni può essere considerato normale. Di conseguenza, il riporto reiterato del rimborso interesserebbe solo i soggetti passivi che presentino una dichiarazione mensile. Difatti, i soggetti passivi che presentano una dichiarazione trimestrale, nella maggior parte dei casi, avranno probabilmente pagato, nel corso del periodo fiscale successivo, il prezzo e l’importo dell’IVA gravante sulle loro operazioni a monte, con la conseguenza che il rimborso non sarebbe più escluso in forza dell’art. 186, n. 2, della legge ungherese sull’IVA.

IV – Valutazione

48.      La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la normativa ungherese viola la direttiva 2006/112 poiché, da un lato, il rimborso di un’eccedenza dell’IVA viene subordinato alla condizione che l’imposta sia stata effettivamente assolta e, dall’altro, per effetto di tale condizione, il rimborso dell’eccedenza corrispondente alla parte di IVA non ancora assolta può essere differito per un tempo indefinito e non soltanto al periodo successivo.

49.      In limine, occorre osservare che la seconda censura della Commissione non è che una conseguenza dell’applicazione della condizione stabilita dalla normativa ungherese in questione, oggetto della prima censura. La legittimità del rinvio del rimborso dell’IVA non ancora assolta fino al momento in cui essa venga effettivamente pagata dal soggetto passivo e quindi, eventualmente, anche posteriormente al periodo d’imposta successivo, dipende pertanto dalla conformità con il diritto dell’Unione della condizione stabilita dalla Repubblica di Ungheria, secondo cui solo l’IVA assolta può dar luogo a rimborso.

50.      Di conseguenza, la questione da risolvere nel presente procedimento consiste nello stabilire se uno Stato membro abbia il diritto di limitare il rimborso di un’eccedenza dell’IVA alla parte dell’imposta che sia già stata versata dal soggetto passivo.

51.      La Repubblica di Ungheria sostiene che il potere di imporre siffatta condizione le è conferito dall’art. 183 della direttiva 2006/112, secondo il cui tenore, qualora si verifichi un’eccedenza dell’IVA, gli Stati membri possono far riportare tale eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.

52.      Si tratta perciò di stabilire se la parte di frase «secondo modalità da essi stabilite», contenuto nell’art. 183 della direttiva 206/112, conferisca ad uno Stato membro il potere di limitare il rimborso dell’eccedenza dell’IVA alla parte della tassa che è stata pagata dal soggetto passivo.

53.      La Commissione sostiene che la disposizione in parola non permette ad uno Stato membro di imporre una condizione di tal genere, poiché quest’ultima sarebbe contraria sia al principio di neutralità del sistema comune dell’IVA per i soggetti passivi, sia al senso e alla portata di tale disposizione.

54.      Non trovo convincente l’argomento della Commissione che si fonda sul principio di neutralità fiscale. Per contro, condivido la sua posizione riguardo al senso e alla portata dell’art. 183 della direttiva 2006/112.

1.      Il principio di neutralità fiscale

55.      Diversamente dalla Commissione, non sono convinto che il limite del rimborso di un’eccedenza dell’IVA alla parte dell’imposta che sia stata assolta dal soggetto passivo risulti effettivamente contrario al principio di neutralità fiscale dell’IVA che, come ricorda tale istituzione, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA (7).

56.      Tale principio presenta un duplice aspetto. Esso esige, in primo luogo, che gli operatori economici che si trovano in una situazione analoga, nonché i beni e le prestazioni di servizi simili, che si trovano pertanto in concorrenza tra loro, siano trattati in maniera identica per quanto riguarda l’IVA, al fine di evitare qualsiasi distorsione della concorrenza. Sotto tale aspetto, il principio di neutralità fiscale costituisce un’espressione, nell’ambito dell’IVA, del principio generale della parità di trattamento (8).

57.      Il principio di neutralità fiscale implica, in secondo luogo, che il soggetto passivo venga interamente esonerato dall’IVA pagata sui beni e servizi che egli abbia acquistato per l’esercizio delle proprie attività soggette ad imposizione (9). Ciò si realizza, nell’ambito del sistema comune dell’IVA, attraverso il regime di detrazione, la cui portata è stata interpretata alla luce del detto principio.

58.      Così, conformemente alla giurisprudenza, il principio di neutralità fiscale osta, da una parte, al fatto che, per effetto del regime di detrazione, l’importo dell’IVA di cui l’interessato è dichiarato debitore nei confronti dell’amministrazione sia più elevato dell’importo della tassa che ha recuperato o di quello che gli è dovuto dai clienti (10). D’altra parte, tale principio osta ad una misura nazionale che ponga a carico del soggetto passivo il costo dell’IVA che egli ha sopportato nell’ambito della propria attività economica, senza dargli la possibilità di detrarlo (11). In altri termini, il principio di neutralità fiscale esige che le norme in materia di detrazione consentano di eliminare completamente l’imposta che il soggetto passivo ha assolto a monte per la produzione dei propri beni o servizi tassati. Si tratta di evitare che alla fine permanga un onere d’imposta a carico del soggetto passivo.

59.      Tuttavia, non troviamo nella giurisprudenza un precedente in cui la Corte abbia affermato che il principio di neutralità fiscale osta al fatto che il soggetto passivo debba anticipare l’IVA e quindi sopporti temporaneamente l’onere finanziario che tale anticipo comporta.

60.      La citata sentenza Commissione/Italia, ricordata dalla Commissione, secondo me, non permette di dedurre tale principio. Infatti, in tale sentenza, la Corte doveva esaminare la normativa di uno Stato membro in forza della quale il rimborso dell’eccedenza dell’IVA spettante a un certo numero di contribuenti per l’anno 2002 doveva essere effettuato mediante assegnazione di titoli di Stato, emessi a decorrere dal 1º gennaio 1994 con scadenza a cinque o dieci anni dalla loro emissione.

61.      È in tale contesto che la Corte ha dichiarato che, sebbene gli Stati membri abbiano una determinata libertà di manovra nello stabilire le modalità di rimborso dell’eccedenza dell’IVA (12), le modalità stabilite non possono essere tali da ledere detto principio facendo sopportare al soggetto passivo, in tutto o in parte, gli oneri dell’IVA, per cui tali modalità devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza di IVA. La Corte ne ha dedotto che ciò implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento con somme liquide di denaro o in un modo equivalente. Comunque, il sistema di rimborso adottato non deve far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (13).

62.      Pertanto, nella citata sentenza Commissione/Italia la Corte ha semplicemente condannato le modalità di rimborso controverse in tale causa, poiché non costituivano un pagamento con somme liquide di denaro effettuato entro un termine ragionevole (14).

63.      D’altra parte, se esaminiamo l’economia generale del sistema comune dell’IVA, osserviamo che, come sottolinea il governo ungherese, esso impone al soggetto passivo di pagare anticipatamente l’IVA, non solo per quanto riguarda l’imposta gravante sui beni e servizi che l’interessato abbia acquistato per svolgere le proprie attività soggette ad imposta, ma anche, in una certa misura, per l’IVA di cui è debitore verso l’erario.

64.      Infatti, come ho avuto modo di indicare, in virtù del sistema comune, l’IVA è riscossa in ogni fase del circuito di produzione o di distribuzione, cosicché il soggetto passivo, in linea di principio, deve pagarla nelle operazioni con i propri fornitori, per poi detrarla dall’IVA che dovrà versare all’erario.

65.      Allo stesso modo, a tenore degli artt. 63, 206 e 250 della direttiva 2006/112, il soggetto passivo è debitore, al momento della presentazione di ogni dichiarazione IVA, non soltanto dell’imposta che ha effettivamente riscosso dai propri clienti, ma anche degli importi che questi ultimi devono ancora versargli a titolo della fornitura di beni o della prestazione di servizi già effettuate. Difatti, ricordo che, ai sensi del detto art. 63, l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi.

66.      Poiché, nella maggioranza dei casi, il debito dei soggetti passivi nei confronti dell’erario eccede l’importo dei rispettivi diritti a detrazione, i contribuenti possono essere costretti a sopportare l’onere finanziario corrispondente alla parte dell’IVA che è divenuta esigibile e che non hanno ancora riscosso.

67.      Inoltre, se, in virtù dell’opzione prevista dall’art. 183 della direttiva 2006/112, uno Stato membro decidesse di far riportare l’eccedenza dell’IVA al periodo successivo, la cui durata, in forza dell’art. 252 della medesima direttiva, può arrivare fino ad un anno, il soggetto passivo dovrebbe attendere tutto questo lasso di tempo per ottenere il rimborso non solo dell’imposta non ancora assolta, ma anche di quella già pagata.

68.      In tale ipotesi, il soggetto passivo dovrebbe anticipare il pagamento dell’IVA e sopportare l’onere finanziario che tale anticipo comporta e, a seconda della durata del periodo d’imposta fissato dallo Stato membro, il peso di tale onere per le finanze del soggetto passivo potrebbe essere superiore a quello causato dalla normativa ungherese, che prevede il rimborso senza differimento dell’imposta già assolta.

69.      Infine, la Commissione sottolinea che, qualora il soggetto passivo ponesse fine alle proprie attività per insolvenza, senza aver pagato tutti gli acquisti effettuati, l’eccedenza dell’IVA corrispondente agli acquisti rimasti insoluti verrebbe definitivamente trattenuta dallo Stato.

70.      Ritengo che neppure tale conseguenza sia contraria al principio della neutralità fiscale. Siffatto principio non osta a che lo Stato si arricchisca, ma vuole evitare che l’IVA a monte sopportata dal soggetto passivo per l’esercizio delle proprie attività tassate rimanga, in fin dei conti, a carico di quest’ultimo. Orbene, non è questo il caso, quando il soggetto passivo non ha pagato l’IVA.

71.      In caso d’insolvenza del soggetto passivo, vengono pregiudicati anche i fornitori che, in forza del sistema comune dell’IVA, sono tenuti a versare allo Stato l’imposta esigibile, anche qualora non l’abbiano riscossa. Tuttavia, la circostanza che il fornitore di un soggetto passivo che abbia cessato le proprie attività per insolvenza sia debitore verso l’erario di un’imposta che non potrà recuperare è una conseguenza dell’applicazione del sistema comune dell’IVA, e, più precisamente, degli artt. 63, 206 e 250 della direttiva 2006/112. Inoltre, tale ipotesi è espressamente contemplata dall’art. 185 della direttiva 2006/112, che riguarda la possibilità, per lo Stato membro, di effettuare rettifiche, nel caso di operazioni totalmente o parzialmente rimaste insolute.

72.      È quindi alla luce dell’insieme di tali considerazioni che trovo difficile condividere l’argomento della Commissione, secondo cui la normativa ungherese, in quanto obbliga il soggetto passivo ad anticipare il pagamento dell’imposta dovuta a monte, sarebbe contraria al principio di neutralità fiscale.

73.      È vero che, come esporrò nella seconda parte della mia analisi, le disposizioni della direttiva 2006/112 relative al rimborso di un’eccedenza dell’IVA a mio giudizio non autorizzavano la Repubblica di Ungheria a stabilire la condizione controversa.

74.      Tuttavia, non sono le concrete modalità di applicazione del diritto a detrazione che devono determinare le implicazioni esatte del principio di neutralità fiscale. Al contrario, è tale principio che, nel caso in cui le disposizioni della direttiva 2006/112 tacciano o siano insufficienti, deve guidarne l’interpretazione.

75.      Nel caso presente, non è il principio di neutralità fiscale che, secondo me, osta alla normativa nazionale controversa, bensì sono le disposizioni della direttiva 2006/112 e, in particolare, il suo art. 183.

B –    Il significato e la portata dell’art. 183 della direttiva 2006/112

76.      L’argomento della Repubblica di Ungheria, secondo cui l’art. 183 della direttiva 2006/112 le avrebbe consentito di stabilire la condizione controversa, secondo il mio parere, contrasta, anzitutto, con la lettera stessa di tale disposizione. L’art. 183, primo comma, della direttiva 2006/112, lo ricordiamo, dispone che «[q]ualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite».

77.      Se si esamina quest’ultima disposizione, si rileva, da una parte, che tale testo conferisce agli Stati membri unicamente due possibilità: riportare l’eccedenza al periodo successivo, oppure rimborsarla secondo le modalità da essi stabilite.

78.      Rilevo, d’altra parte, che la parte della frase «secondo modalità da essi stabilite» riguarda unicamente le modalità di rimborso e non la determinazione dell’importo delle detrazioni. Tale analisi è confermata anche dalle versioni linguistiche in cui è stato redatto l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva, di cui l’art. 183 della direttiva 2006/112 riprende la formulazione (15).

79.      Pertanto, le modalità che vengono stabilite dagli Stati membri, ai sensi dell’art. 183 della direttiva 2006/112, riguardano unicamente le condizioni pratiche del rimborso dell’eccedenza e non la determinazione dell’importo di quest’ultimo. Si può trattare, per esempio, del termine impartito all’amministrazione fiscale per procedere al rimborso (16), o di misure volte a prevenire il rischio di frode (17), o, ancora, della fissazione di un termine di prescrizione (18).

80.      Tuttavia, la parte di frase «secondo modalità da essi stabilite» può difficilmente essere interpretata nel senso che permetterebbe agli Stati membri di aggiungere una terza possibilità all’alternativa enunciata all’art. 183, primo comma, della direttiva 2006/112, in cui si prevede soltanto il rimborso dell’IVA effettivamente assolta.

81.      Tale analisi trova numerosi elementi di conferma nella direttiva 2006/112.

82.      Infatti, l’art. 183, secondo comma, della direttiva in parola prevede che gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante. A contrario, si potrebbe dedurre dalla detta disposizione che il legislatore comunitario non abbia voluto conferire agli Stati membri il potere di limitare il rimborso dell’IVA assolta.

83.      Come si è visto, infatti, l’art. 183, primo comma, della direttiva 2006/112 contempla il caso in cui l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, senza prevedere che i diritti a detrazione debbano essere diminuiti dell’IVA esigibile non ancora assolta. Orbene, l’art. 168 della direttiva indica espressamente che il diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta a monte riguarda non soltanto l’IVA assolta ma anche l’IVA dovuta.

84.      Possiamo trovare un ulteriore elemento di conferma nelle disposizioni della direttiva 2006/112 che riguardano specificamente la rettifica delle detrazioni. In particolare, l’art. 185 prevede precisamente la situazione in cui le operazioni siano rimaste totalmente o parzialmente insolute.

85.      Tale riferimento alle operazioni rimaste insolute, contenuto nell’art. 185, sebbene non sia prevista alcuna riserva riguardo all’art. 183 della direttiva 2006/112, dimostra, ancora una volta, a contrario, che il legislatore comunitario non ha voluto conferire agli Stati membri la possibilità di escludere il rimborso dell’imposta qualora quest’ultima non sia stata effettivamente assolta.

86.      È pur vero che, come sostiene la Repubblica di Ungheria, tale interpretazione può avere la conseguenza di obbligare uno Stato membro a fornire gratuitamente liquidità al soggetto passivo, qualora i diritti a detrazione di quest’ultimo derivino da un’imposta che egli non ha ancora assolto. Tale conseguenza può sembrare illogica in base alla regola secondo cui il soggetto passivo è debitore verso l’erario dell’IVA che sia semplicemente esigibile, regola che può costringere gli operatori economici ad anticipare il pagamento dell’IVA non ancora riscossa.

87.      Tale interpretazione può altresì avere l’effetto di introdurre una disparità di situazione tra gli operatori economici, in funzione della loro capacità di ottenere proroghe delle scadenze dei pagamenti dai loro fornitori di beni e servizi, capacità che può dipendere dal loro peso economico.

88.      Tuttavia, non credo che tali argomenti della Repubblica di Ungheria giustifichino il fatto di proporre una diversa interpretazione dell’art. 183 della direttiva 2006/112.

89.      Infatti, è già stato statuito che gli Stati membri sono tenuti ad applicare il regime comune dell’IVA, anche qualora la considerino perfettibile. Come difatti emerge dai punti 55 e 56 della sentenza 8 novembre 2001, Commissione/Paesi Bassi (19), anche qualora l’interpretazione proposta da taluni Stati membri consentisse di migliorare l’osservanza di talune finalità perseguite dalla sesta direttiva, quali la neutralità dell’imposta, gli Stati membri non possono discostarsi dalle disposizioni espressamente previste da questa (20).

90.      Per tale ragione ritengo che la Commissione giustamente sostenga che l’art. 183 della direttiva non autorizza gli Stati membri a limitare il rimborso dell’eccedenza dell’IVA all’imposta che sia stata effettivamente assolta. Proporrò quindi alla Corte di dichiarare fondato il presente ricorso per inadempimento.

91.      Se la Corte condivide la mia posizione, la Repubblica di Ungheria dovrà sopportare le spese del presente procedimento, in applicazione dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte.

V –    Conclusione

92.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

–        accogliere il presente ricorso per inadempimento, in quanto la Commissione europea addebita alla Repubblica di Ungheria di non aver adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto

–        per il fatto di aver obbligato i soggetti passivi la cui dichiarazione fiscale fa emergere un’«eccedenza», ai sensi dell’art. 183 della direttiva 2006/112, nel corso di un determinato periodo d’imposta, a procedere alla traslazione di tale eccedenza, integralmente o parzialmente, al periodo d’imposta successivo se non hanno pagato la totalità di quanto acquistato dal loro fornitore, e

–        per il fatto che, in forza del suddetto obbligo, alcuni soggetti passivi dalla cui dichiarazione fiscale emergano sistematicamente «eccedenze» sono tenuti a effettuare la traslazione di tale eccedenza, in più di un’occasione, al periodo di imposizione successivo;

–        condannare la Repubblica di Ungheria alle spese.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).


3 – Direttiva 11 aprile 1967, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 71, pag. 1301).


4 – Általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (in prosieguo: la «legge ungherese sull’IVA»).


5 –      Adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény.


6 –      Causa C-78/00 (Racc. pag. I-8195).


7 – V., in particolare, sentenze 5 marzo 2009, causa C-302/07, J D Wetherspoon (Racc. pag. I-1467, punti 34 e 57), 29 ottobre 2009, causa C-174/08, NCC Construction Danmark (Racc. pag. I-10567, punto 40 e giurisprudenza ivi citata), nonché 22 dicembre 2010, causa C-438/09, Dankowski (Racc. pag. I-4009, punto 37).


8 – V. sentenze NCC Construction Danmark, cit. (punto 44), e 3 marzo 2011, causa C-41/09, Commissione/Paesi Bassi (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 66, e giurisprudenza ivi citata).


9 – Sentenza 26 maggio 2005, causa C-465/03, Kretztechnik (Racc. pag. I-4357, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


10 – Sentenze 24 ottobre 1996, causa C-317/94, Elida Gibbs (Racc. pag. I-5339, punto 28), nonché J D Wetherspoon, cit.  (punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


11 – Sentenza 22 febbraio 2001, causa C-408/98, Abbey National (Racc. pag. I-1361, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).


12 – Le disposizioni applicabili al rimborso di un’eccedenza dell’IVA erano contenute nell’art. 18, n. 4, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»), i cui termini sono stati ripresi dall’art. 183 della direttiva 2006/112.


13 – Sentenza Commissione/Italia (cit., punti 33 e 34).


14 – Ibidem (punto 36).


15 – V. le versioni in tedesco («Übersteigt der Betrag der abgezogenen Vorsteuer den Betrag der für einen Steuerzeitraum geschuldeten Mehrwertsteuer, können die Mitgliedstaaten den Überschuss entweder auf den folgenden Zeitraum vortragen lassen oder nach den von ihnen festgelegen Einzelheiten erstatten»), inglese («Where, for a given tax period, the amount of deductions exceeds the amount of VAT due, the Member States may, in accordance with conditions which they shall determine, either make a refund or carry the excess forward to the following period»), italiano («Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite»), e olandese («Indien voor een bepaald belastingtijdvak het bedrag van de aftrek groter is dan dat van de verschuldigde BTW, kunnen de lidstaten hetzij het overschot doen overbrengen naar het volgende tijdvak, hetzij het overschot teruggeven overeenkomstig de door hen vastgestelde regeling»).


16 – V., in tal senso, sentenze Commissione/Italia, cit. (punti 32-34) e 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska (Racc. pag. I-5129, punto 17).


17 – Nella sentenza 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a. (Racc. pag. I-7281), la Corte ha affermato che l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva non osta all’adozione di provvedimenti che consentano alle autorità fiscali nazionali di trattenere, a titolo conservativo, importi di IVA da restituire, qualora esistano indizi di frode fiscale o qualora tali autorità facciano valere un credito di IVA che non risulta dalle dichiarazioni del soggetto passivo e che quest’ultimo contesta (punti 41 e 44).


18 – Nella sentenza 21 gennaio 2010, causa C-427/08, Alstom Power Hydro, la Corte ha statuito che l’art. 18, n. 4, della sesta direttiva non osta alla normativa di uno Stato membro che preveda un termine di prescrizione triennale ai fini della proposizione delle domande di rimborso delle eccedenze dell’IVA indebitamente riscosse dall’amministrazione finanziaria di tale Stato (punto 22).


19 – Causa C-338/98, Racc. pag. I-8265.


20 – Sentenza 6 ottobre 2005, causa C-243/03, Commissione/Francia (Racc. pag. I-8411, punto 35).