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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 17 novembre 2011 ( 1 )

Causa C-500/10

Ufficio IVA di Piacenza

contro

Belvedere Costruzioni Srl

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria centrale, sezione di Bologna)

«Obbligo degli Stati membri di garantire una riscossione effettiva dell’IVA — Artt. 2 e 22 della sesta direttiva — Estinzione di procedimenti giudiziari senza pronuncia in terzo grado»

1. 

Al fine di ridurre il considerevole lavoro arretrato dei giudici tributari, la Repubblica italiana ha adottato una normativa in forza della quale, qualora l’amministrazione finanziaria risulti soccombente nel processo di primo grado e nel processo d’appello e la controversia sia pendente da oltre dieci anni complessivamente, i procedimenti di ricorso in ultima istanza avviati dall’amministrazione finanziaria si estinguono senza una pronuncia nel merito.

2. 

La Commissione tributaria centrale, sezione di Bologna, dinanzi alla quale pende la controversia, desidera sapere se, qualora la controversia riguardi l’IVA, siffatta disposizione sia compatibile con l’obbligo dello Stato membro di garantire una riscossione effettiva dell’imposta.

Diritto dell’Unione europea

3.

Ai sensi dell’art. 4, n. 3, TUE (in precedenza art. 10 CE) gli Stati membri devono assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o dagli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, facilitando all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e astenendosi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dei Trattati. Esistono ulteriori obblighi specifici sanciti dalla normativa sull’IVA.

4.

Dal 1o gennaio 2007, le principali disposizioni in materia di IVA sono contenute nella direttiva 2006/112 ( 2 ). All’epoca della causa principale, esse erano contenute nella sesta direttiva ( 3 ). Il giudice nazionale fa specifico riferimento agli artt. 2 e 22 di quest’ultima.

5.

Ai sensi dell’art. 2:

«Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto:

1.   le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2.   Le importazioni di beni» ( 4 ).

6.

L’art. 22 della sesta direttiva, era intitolato «Obblighi nel regime interno». Il giudice nazionale cita tre commi:

«4.   Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. (...)

5.   Ogni soggetto passivo deve pagare l’importo netto dell’imposta sul valore aggiunto al momento della presentazione della dichiarazione periodica. (...)

(…)

8.   (…) Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi» ( 5 ).

7.

Il giudice nazionale cita, inoltre, i punti 37-39 della sentenza della Corte nella causa C-132/06, Commissione/Italia ( 6 ):

«37.

Dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva e dall’art. 10 CE emerge che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio. A tale riguardo, gli Stati membri sono obbligati ad accertare le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, la relativa contabilità e gli altri documenti utili, nonché a calcolare e a riscuotere l’imposta dovuta.

38.

Nell’ambito del sistema comune dell’IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, a tale riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione.

39.

Questa libertà, tuttavia, è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro. La Corte ha dichiarato che la sesta direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA, in base al quale gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA (sentenza 16 settembre 2004, causa C-382/02, Cimber Air, Racc. pag. I-8379, punto 24). Ogni azione degli Stati membri riguardante la riscossione dell’IVA deve rispettare questo principio».

8.

In tale sentenza, la Corte ha concluso che un condono fiscale italiano (artt. 8 e 9 della legge n. 289/2002) che sostituiva, appena dopo la scadenza dei termini assegnati per corrispondere gli importi dell’IVA normalmente dovuti, gli obblighi risultanti dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva con altri obblighi che non richiedono il pagamento dei suddetti importi, svuotava di contenuto tali articoli. Tale norma ha avuto l’effetto di una quasi—esenzione fiscale, che pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA, alterando il principio di neutralità fiscale mediante l’introduzione di rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi in Italia la violazione dell’obbligo di garantire una riscossione equivalente dell’IVA in tutti gli Stati membri ( 7 ).

9.

La Commissione ha, pertanto, statuito che la Repubblica italiana, avendo previsto in maniera espressa e generale la rinuncia all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, ha violato gli obblighi ad essa imposti dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva e dall’art. 10 CE.

Legislazione italiana

10.

Fino al 1o aprile 1996, i procedimenti tributari in Italia si svolgevano dinanzi a giudici di primo e secondo grado a livello locale e provinciale, con ricorso in ultima istanza alla Commissione tributaria centrale, con sede a Roma. A decorrere dal 1o aprile 1996 ( 8 ), tale sistema è stato sostituito da giudici tributari regionali e provinciali, con ricorso presso la Corte di cassazione. La Commissione tributaria centrale è stata, in linea di principio, soppressa. Non potevano essere presentati nuovi ricorsi, ma essa ha continuato a riunirsi in sezioni regionali o provinciali, fino al momento dell’esaurimento di tutti i procedimenti dinanzi ad essa pendenti in tale data. Tale momento non è ancora arrivato ( 9 ).

11.

La disposizione cui si riferisce il giudice del rinvio ( 10 ) è entrata in vigore il 26 maggio 2010. Essa così recita:

«Al fine di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la “CEDU”), sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della predetta Convenzione, le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalità:

a)

le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, con esclusione di quelle aventi ad oggetto istanze di rimborso, sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato (...);

b)

le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia (...) e contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 ( 11 ). Il contribuente può presentare apposita istanza alla competente segreteria o cancelleria entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione in legge del presente decreto, con attestazione del relativo pagamento. I procedimenti di cui alla presente lettera restano sospesi fino alla scadenza del termine di cui al secondo periodo e sono definiti con compensazione integrale delle spese del processo. In ogni caso non si fa luogo a rimborso (…)».

Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

12.

La Belvedere costruzioni Srl (in prosieguo: la «Belvedere») ha evidenziato, nella propria dichiarazione IVA relativa all’anno 1980, un credito di ITL 24288000. Essa ha presentato la dichiarazione relativa all’anno 1981 tardivamente, in data 8 aprile 1982. Nella propria dichiarazione relativa all’anno 1982 essa ha portato in detrazione un credito IVA di ITL 22264000 ( 12 ), indicando tale somma come credito risultante dalla dichiarazione IVA relativa al 1981.

13.

Nell’agosto 1985, l’amministrazione finanziaria ha notificato alla Belvedere un avviso di rettifica relativamente al 1982, in quanto l’impresa aveva presentato tardivamente la dichiarazione relativa al 1981 e il credito di ITL 22264000 non poteva, pertanto, essere portato in detrazione.

14.

Dinanzi al giudice tributario di primo grado, la Belvedere ha affermato che detto credito non derivava del periodo d’imposta 1981, ma dal credito risultante dalla sua dichiarazione d’imposta relativa al 1980. Essa ha affermato che, nel caso di IVA versata in eccedenza in un anno particolare, il diritto alla detrazione negli anni successivi si estingue solo nel caso di omessa computazione dell’IVA nel periodo di competenza ed omessa computazione della stessa nella dichiarazione annuale. Non essendo la Belvedere incorsa in tali omissioni, essa poteva ancora detrarre nella dichiarazione relativa al 1982 il credito risultante dalla dichiarazione relativa al 1980.

15.

L’amministrazione finanziaria ha affermato che la dichiarazione relativa al 1981 era priva di effetti, essendo stata presentata fuori termine. Di conseguenza, in tale anno, la società non ha richiesto alcun credito a rimborso, né ha dichiarato la propria volontà di detrarre un credito nel 1982. Pertanto, la detrazione effettuata nella dichiarazione relativa al 1982, di un credito non risultante da una valida dichiarazione relativa al 1981 era illegittima.

16.

Nell’ottobre 1986 il giudice tributario di primo grado ha accolto il ricorso della Belvedere. Nel maggio 1990, il tribunale di secondo grado ha respinto il ricorso dell’amministrazione finanziaria. Nel luglio 1990, detta autorità ha proposto ulteriore ricorso dinanzi al giudice del rinvio. Nel 2008, essa ha ribadito il suo interesse a proseguire l’azione. Le due parti ripropongono sostanzialmente gli stessi argomenti formulati dinanzi alle giurisdizioni inferiori.

17.

Nel settembre 2010, la Commissione tributaria centrale ha proposto alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale. Ai sensi della disposizione controversa, essa deve definire automaticamente il giudizio con decreto che comporta il passaggio in giudicato della decisione, cagionando la definitiva estinzione di una pretesa coltivata dall’amministrazione finanziaria nei tre gradi di giudizio. Alla luce della sentenza nella causa C-132/06, il giudice del rinvio si chiede se ciò sia consentito dal diritto dell’Unione europea. Esso chiede pertanto una pronuncia pregiudiziale sulla questione seguente:

«Se l’art. 10 CE, ora art. 4 TUE, e gli artt. 2 e 22 della [sesta direttiva], ostino ad una normativa dello Stato italiano, contenuta nel comma 2 bis dell’art. 3, decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, che preclude al Giudice tributario di pronunciarsi sull’esistenza della pretesa tributaria tempestivamente azionata dall’Amministrazione con ricorso in impugnazione di decisione sfavorevole e così sostanzialmente dispone la totale rinuncia al credito IVA controverso, quando questo sia stato ritenuto insussistente in due gradi di giudizio, senza alcun pagamento neppure in misura ridotta del credito controverso da parte del contribuente che beneficia della rinuncia».

18.

Hanno presentato osservazioni orali e scritte il governo italiano e la Commissione.

Questioni preliminari

Normativa UE pertinente

19.

La causa principale riguarda gli esercizi IVA 1980-1982. Poiché dal 1996 non sono stati presentati nuovi ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria centrale, tutte le dispute interessate dalla disposizione controversa riguardano gli anni antecedenti a tale data. Concordo, pertanto, con la Commissione sul fatto che eventuali obblighi imposti allo Stato membro dalla legislazione comunitaria con riferimento all’IVA derivano dalla sesta direttiva piuttosto che dalla direttiva 2006/112/CE, applicabile solo a decorrere dal 1o gennaio 2007.

20.

Per quanto concerne la disposizione del Trattato in parola — art. 10 CE o art. 4, n. 3 TUE — la posizione può essere meno chiara, dal momento che la disposizione controversa è stata adottata nel maggio 2010, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Tuttavia, dal momento che i due articoli impongono, in sostanza, gli stessi obblighi positivi e negativi, la distinzione è puramente formale.

Normativa italiana pertinente

21.

L’art. 3, n. 2 bis, lett. a) e b), del decreto legge convertito prevede condizioni sensibilmente diverse per la definizione dei procedimenti, a seconda che siano pendenti dinanzi alla Commissione tributaria centrale o alla Corte di cassazione. Tra l’altro, nel primo caso, le controversie sono automaticamente definite senza pagamento dell’imposta, mentre nel secondo caso possono essere estinte, presentando istanza entro novanta giorni, con il pagamento da parte del contribuente di un importo pari al cinque per cento del valore della controversia ( 13 ).

22.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale concerne solo la lett. a). La questione dell’ammissibilità delle regole di cui alla lett. b) non si pone. Tale punto è stato sollevato in un’altra domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte ( 14 ) che, tuttavia, non concerne l’IVA, un’imposta soggetta all’armonizzazione dell’UE, ma un’imposta diretta sui dividendi non armonizzata, apparentemente applicata ad una società con sede al di fuori dell’UE.

23.

Anche se la lett. b) può fornire, sotto certi aspetti, un paragone costruttivo con la lett. a), ritengo importante evitare di assimilare i due commi. In particolare, nell’ambito della presente controversia, non mi baserei, come fa la Commissione, sul modo in cui la Corte di cassazione ha descritto o interpretato la lett. b) nella sua ordinanza di rinvio in quella causa.

Elementi pertinenti del procedimento principale:

24.

La controversia nella causa principale verte sul diritto di un soggetto passivo di riportare un credito risultante dalla dichiarazione IVA, al secondo anno successivo all’anno in cui è asseritamente sorto, qualora la dichiarazione d’imposta relativa all’anno intermedio non sia stata presentata in tempo utile. Il problema giuridico sembra contemplare il peso relativo da accordare a ciascuna delle due disposizioni processuali, eventualmente in parziale conflitto, della normativa italiana sull’IVA.

25.

Il merito di tale controversia è, tuttavia, estraneo alla questione pregiudiziale e non è pertinente considerare se la Belvedere o l’amministrazione finanziaria debbano o dovessero (o no) essere vittoriose.

26.

Ciò che rileva è che il procedimento è stato avviato in primo grado più di 10 anni prima dell’entrata in vigore della disposizione controversa (sebbene questa sia una condizione necessariamente soddisfatta da qualsiasi ricorso attualmente pendente dinanzi alla Commissione tributaria centrale, dal momento che dal 1996 non è stato più possibile presentare nuovi ricorsi) e che l’amministrazione finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi del giudizio. I criteri previsti dalla disposizione controversa per l’estinzione automatica del procedimento dinanzi alla Commissione tributaria centrale sono, pertanto, soddisfatti. La questione da esaminare è se l’estinzione automatica sulla base di tali criteri sia compatibile con il diritto dell’Unione europea.

27.

La Commissione ha rilevato che il giudice di primo grado ha dedicato solo otto righe di motivazione alla propria sentenza a favore della Belvedere, mentre la prima corte d’appello ha espresso la propria motivazione in quattro righe.

28.

Ancora una volta, tale circostanza appare irrilevante ai fini della questione sollevata, che concerne tutte le cause dinanzi alla Commissione tributaria centrale. Né risulta particolarmente significativa sotto qualsiasi altro profilo, dal momento che il primo ricorso dell’amministrazione finanziaria conteneva a sua volta solo dodici righe di argomenti di diritto (estese a ventiquattro righe nel secondo ricorso).

Descrizione riepilogativa delle osservazioni nel merito

29.

La Commissione ritiene necessario procedere sulla base dell’interpretazione data dal giudice del rinvio alla disposizione controversa nella questione pregiudiziale e, precisamente, che «sostanzialmente dispone la totale rinuncia al credito IVA controverso» qualora siano soddisfatti i criteri di cui alla disposizione controversa.

30.

Su tale base, essa afferma che la disposizione controversa costituisce una totale rinuncia del genere censurato dalla Corte nella sentenza nella causa C-132/06, e che, sostanzialmente per le stesse ragioni esposte in tale sentenza, ad essa osta il diritto dell’Unione europea. Essa sostiene che, ai sensi della disposizione controversa, un’intera categoria di crediti fiscali viene semplicemente estinta, senza una valutazione caso per caso delle circostanze. Tuttavia, la Commissione ha dichiarato all’udienza che non sono stati avviati procedimenti per inadempimento nei confronti della Repubblica italiana con riferimento alla disposizione controversa.

31.

Il governo italiano sostiene che, diversamente dal condono di cui trattasi nella causa C-132/06, la disposizione controversa ha natura puramente processuale, avente ad oggetto procedimenti dinanzi al giudice tributario, e si colloca «a valle» dell’esercizio, da parte dello Stato, delle sue potestà e dell’esecuzione dei suoi obblighi, con riferimento all’accertamento e alla riscossione dell’IVA dovuta. Anche se la Corte è, in linea di principio, vincolata dall’interpretazione del diritto nazionale operata dal giudice del rinvio, l’ordinanza di rinvio nel caso di specie è viziata, nella misura in cui non spiega perché la disposizione controversa debba essere considerata una totale rinuncia. La Corte dovrebbe, pertanto, tenere in considerazione la spiegazione del governo italiano.

32.

In subordine, il governo italiano afferma che, diversamente dal condono di cui alla causa C-132/06, la disposizione controversa non pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA o il principio di neutralità fiscale, né favorisce i contribuenti colpevoli di frode fiscale ( 15 ). Al contrario, essa è applicabile solo nei casi in cui l’esigenza di rispettare l’obbligo della tempestiva definizione delle controversie previsto dalla CEDU, e la preoccupazione di sgravare un sistema giudiziario sovraccaricato da un contenzioso di sempre maggiore anzianità, prevalgano sull’interesse generale attenuato a far valere pretese fiscali già respinte in primo e secondo grado.

Valutazione

Interpretazione della disposizione controversa

33.

Anche se l’interpretazione della disposizione controversa è una questione spettante ai giudici nazionali, non concordo sul fatto che questa Corte sia rigorosamente vincolata dalla descrizione di tale disposizione nella questione pregiudiziale, nel senso che comporta la totale rinuncia al credito IVA controverso. L’effetto della disposizione si può dedurre dalla sua formulazione. Ciò che il giudice del rinvio desidera sapere è se tale effetto possa essere considerato «una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili» nel senso della sentenza nella causa C-132/06, o sufficientemente simile a tale rinuncia perché vi osti ugualmente il diritto dell’Unione europea. La questione non presume che la disposizione controversa possa essere considerata tale. Se così fosse, l’interpretazione del giudice del rinvio avrebbe già fornito la risposta.

34.

Se, tuttavia, la Corte dovesse considerarsi vincolata da tale interpretazione, dovrebbe risolvere la questione in senso affermativo.

Confronto con le disposizioni di cui trattasi nella causa C-132/06

35.

L’effetto della disposizione controversa appare sensibilmente diverso rispetto a quello delle disposizioni di cui trattasi nella causa C-132/06.

36.

Queste ultime ( 16 ) prevedevano, in sostanza, un’ampia immunità dall’accertamento e dall’investigazione da parte delle autorità fiscali con riferimento ad importi di IVA dovuta non dichiarati in tempo utile, a fronte del pagamento di un importo compreso tra metà dell’importo successivamente dichiarato come dovuto e un ammontare di imposta puramente simbolico. Come osservato dalla Corte ( 17 ) producevano l’effetto che i «contribuenti colpevoli di frode [ne risultavano] favoriti». La Corte ha ritenuto, inoltre ( 18 ) che, «introducendo una misura di condono appena dopo la scadenza dei termini entro cui i soggetti passivi avrebbero dovuto pagare l’IVA e richiedendo il pagamento di un importo assai modesto rispetto a quello effettivamente dovuto, la misura in questione consente ai soggetti passivi interessati di sottrarsi definitivamente agli obblighi ad essi incombenti in materia di IVA, anche se le autorità fiscali nazionali avrebbero potuto individuare almeno una parte di questi contribuenti durante i quattro anni precedenti alla data di prescrizione dell’imposta normalmente dovuta. In questo senso, la legge n. 289/2002 rimette in discussione la responsabilità che grava su ogni Stato membro di garantire l’esatta riscossione dell’imposta».

37.

Altrettanto non può dirsi della disposizione controversa nella presente fattispecie. Come concordano il governo italiano e la Commissione, essa si applica alla fase giurisdizionale e non alla fase amministrativa per la quale sono competenti le autorità fiscali. La sua natura procedurale è sottolineata dal fatto che è applicabile non solo all’IVA, come nel caso delle disposizioni di cui trattasi nella causa C-132/06, ma a ricorsi relativi ad ogni tipo di imposta, dinanzi alla Commissione tributaria centrale. Non è prevista alcuna immunità da investigazioni o accertamenti da parte delle autorità tributarie. Tutte le cause di cui trattasi erano state esaminate e gli importi ritenuti dovuti erano stati rivendicati prima dell’adozione della disposizione controversa. Tale disposizione mette un termine al ricorso di ultima istanza dell’autorità finanziaria avverso una decisione giurisdizionale sfavorevole, ma non favorisce in particolare i soggetti colpevoli di frode fiscale. In effetti, appare improbabile (si auspica, particolarmente improbabile) che le pretese di tali soggetti in un contenzioso con l’amministrazione finanziaria siano accolte due volte dinanzi ai tribunali — non solo in primo grado, ma in appello. Infine, la disposizione controversa è entrata in vigore oltre quattordici anni dopo la data ultima fino alla quale sarebbe stato possibile presentare ricorso in ultima istanza, non «appena dopo la scadenza dei termini entro cui i soggetti passivi avrebbero dovuto pagare l’imposta sul valore aggiunto ( 19 )».

38.

Pertanto, non è possibile affermare che la disposizione controversa «rimette in discussione la responsabilità che grava su ogni Stato membro di garantire l’esatta riscossione dell’imposta» nello stesso modo delle disposizioni di cui trattasi nella causa C-132/06.

Obblighi degli Stati membri

39.

La Commissione sottolinea gli obblighi degli Stati membri di «adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio», «garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi», «garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità» e «non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti» ( 20 ).

40.

Tali obblighi non possono, tuttavia, arrivare a garantire che, a titolo di regola generale, le autorità tributarie possano continuare a presentare ricorso contro decisioni giudiziarie fino ad ottenimento di una decisione favorevole. Né alcun principio di diritto dell’Unione europea esige che sia disponibile più di un ricorso. La Corte stessa costituisce un esempio, per taluni tipi di procedimento, di giudice di primo ed ultimo grado. In taluni altri sistemi legislativi non esiste un diritto assoluto di ricorso e una parte soccombente dinanzi a due giudici successivi, raramente può essere autorizzata ad interporre appello. In qualsiasi sistema, deve arrivare il momento in cui un’ulteriore impugnazione non è possibile. Nessun sistema garantisce l’incontestabile correttezza, in linea di diritto, della decisione definitiva.

41.

La disposizione controversa mette un termine al ricorso in ultima istanza dell’amministrazione finanziaria, a seguito di decisioni sfavorevoli in primo e in secondo grado. Essa concerne, pertanto, una situazione in cui detta autorità abbia adottato le misure ritenute adeguate a garantire la riscossione dell’IVA da essa ritenuta dovuta, ma in cui un giudice di primo grado e un giudice d’appello hanno entrambi ritenuto che il credito IVA controverso non fosse, di fatto, dovuto. Non condivido la tesi secondo cui tale misura rappresenta, di per sé, il mancato rispetto da parte dello Stato membro dell’obbligo di corretta applicazione del regime IVA.

42.

All’udienza, la Commissione ha convenuto che non esisteva un obbligo generale per gli Stati membri di assicurare che l’amministrazione finanziaria potesse presentare un secondo ricorso nelle controversie in materia di IVA, ma ha affermato che, mentre siffatto ricorso è solitamente disponibile, non si può «decapitare» una sottocategoria arbitrariamente definita di ricorsi, dopo che sono stati proposti, ma prima che si sia potuta pronunciare decisione sugli stessi.

43.

Ritengo che la disposizione controversa non riguardi una sottocategoria arbitrariamente definita di ricorsi. Essa riguarda tutti i ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria centrale nei quali l’amministrazione finanziaria è risultata soccombente in primo e in secondo grado, tutti pendenti da oltre dieci anni (in pratica, quattordici). L’obbligo, sancito dall’art. 22 della sesta direttiva, che impone allo Stato membro di garantire il corretto accertamento e la riscossione dell’IVA, comporta il rispetto di un termine molto più breve ( 21 ). Si può senz’altro sostenere che, non garantendo la risoluzione delle controversie relative agli accertamenti entro un termine ragionevole dopo che l’IVA avrebbe dovuto essere contabilizzata definitivamente, malgrado due decisioni giudiziarie a favore della stessa parte, la Repubblica italiana veniva meno a tale obbligo. A mio avviso, non si può sostenere che sia venuta meno al suo obbligo definendo tali controversie dopo quattordici anni nel solo modo che potesse evitare di creare una situazione di ingiustizia nei confronti della parte a favore della quale erano state pronunciate dette sentenze antecedenti (tengo a sottolineare che tali osservazioni si riferiscono alla disposizione controversa stessa e non alla diversa disposizione applicabile agli appelli interposti dinanzi alla Corte di cassazione o al rapporto tra le due).

44.

La Commissione ha, inoltre, fatto riferimento alle sentenze della Corte nelle cause Lucchini ( 22 ) e, più in particolare, Fallimento Olimpiclub ( 23 ). Entrambe le cause concernevano l’applicazione del principio di diritto italiano dell’autorità di cosa giudicata. Nella sentenza Lucchini, la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una disposizione nazionale diretta a fissare tale principio, qualora detta applicazione impedisca il recupero di aiuti di stato che la Commissione ha dichiarato incompatibili con il mercato comune in una decisione divenuta definitiva. Nella sentenza Fallimento Olimpiclub, facendo riferimento alla sentenza Lucchini, essa ha dichiarato che il diritto dell’Unione ostava all’applicazione della stessa disposizione in una causa vertente sull’IVA concernente un’annualità fiscale per la quale non si era ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, nella misura in cui avrebbe impedito al giudice nazionale di prendere in considerazione le norme UE in materia di pratiche abusive legate a detta imposta. La Commissione tenta di tracciare un parallelo tra le applicazioni del principio dell’autorità di cosa giudicata precluse e la disposizione controversa, nel senso che quest’ultima sembra accordare autorità di cosa giudicata alla decisione della prima corte d’appello, sottraendo alla corte d’appello di ultima istanza eventuali questioni di compatibilità con il diritto dell’UE (come altrimenti sarebbe stato).

45.

Non ritengo tale parallelo valido. La situazione nella causa Lucchini era molto specifica; erano in questione principi che disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e la Comunità in materia di aiuti di Stato, posto che la Commissione delle Comunità europee dispone di una competenza esclusiva per esaminare la compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato con il mercato comune. E nella causa Fallimento Olimpiclub, pur trattandosi di una controversia più strettamente correlata, dal momento che verteva sull’IVA, la decisione riguardava la questione specifica se fosse compatibile con il principio di effettività interpretare il principio dell’autorità di cosa giudicata nel senso che, nelle controversie in materia di IVA, la cosa giudicata in una determinata causa, qualora concernente un punto fondamentale comune ad altre cause, esplica, rispetto a questo, efficacia vincolante, anche se gli accertamenti operati in tale occasione si riferiscono ad un diverso periodo d’imposta. Nessuna delle due situazioni, né alcuna situazione ad esse paragonabile, prevale nella fattispecie in esame, che deve essere decisa sulla base delle proprie caratteristiche specifiche.

46.

La Commissione ha, inoltre, sottolineato che l’IVA costituisce la base di una delle «risorse proprie» dell’UE per la cui riscossione effettiva sono responsabili gli Stati membri ( 24 ).

47.

Ciò è senz’altro vero. La risorsa propria basata sull’IVA è fissata allo 0,3% di un imponibile IVA armonizzato per ciascuno Stato membro ( 25 ). Poiché la base teorica armonizzata è, in sostanza, calcolata sulla base di importi effettivamente riscossi ( 26 ), la riscossione effettiva da parte degli Stati membri incide sulle entrate di bilancio dell’UE.

48.

Tuttavia, l’obbligo della riscossione effettiva non può essere assoluto. Il costo e la probabilità di riscossione devono essere valutati in rapporto alle entrate potenziali. Per quanto concerne la disposizione controversa, sussisterebbe un costo non solo a carico dell’amministrazione finanziaria, per proseguire il procedimento, ma anche a carico dello Stato, per mantenere in vita la Commissione tributaria centrale per un periodo prevedibilmente molto lungo. Ai fini della probabilità di riscossione è rilevante non solo il fatto che due provvedimenti giudiziari siano stati sfavorevoli all’amministrazione finanziaria, ma anche, semplicemente, il trascorrere del tempo, che può avere reso impossibile la riscossione di taluni importi anche in caso di successiva pronuncia favorevole. Inoltre, l’obbligo di riscossione deve essere valutato rispetto all’obbligo di consentire al soggetto passivo di chiudere i conti entro un termine ragionevole dopo la scadenza di ciascun periodo IVA. Allorché una controversia sia pendente da un lungo periodo, arriverà inevitabilmente un momento in cui tali considerazioni devono prevalere rispetto all’obbligo di far valere tutti i crediti IVA. I criteri enunciati nella disposizione controversa non appaiono arbitrari in tale contesto.

Confronto con l’art. 16 della legge n. 289/2002

49.

La Commissione rinvia alla giurisprudenza della Corte di cassazione in relazione all’art. 16 della legge n. 289/2002, i cui artt. 8 e 9 hanno formato l’oggetto del ricorso proposto dalla Commissione nella causa C-132/06 e che la Corte ha ritenuto incompatibili con il diritto comunitario. L’art. 16 consente al contribuente di ottenere la definizione di processi pendenti dinanzi a qualsiasi giudice tributario, dietro pagamento del dieci percento del valore della lite, o di EUR 150 se il valore della lite è di importo inferiore a EUR 2 000. La Corte di cassazione ha ritenuto tale articolo viziato dalla stessa incompatibilità degli artt. 8 e 9 della legge n. 289/2002. La Commissione sostiene che tale rilievo è pertinente ai fini della valutazione della disposizione controversa, che è, a suo avviso, «sostanzialmente identica».

50.

La compatibilità dell’art. 16 della legge n. 289/2002 con il diritto dell’Unione europea non è materia di contestazione nell’ambito della presente controversia e non spetta alla Corte esprimere un parere in questa sede. Tuttavia, rilevo che esso presenta almeno una differenza di rilievo con riferimento alla disposizione controversa, laddove esso è applicabile a tutti i procedimenti pendenti dinanzi a tutti i giudici tributari, indipendentemente dalla durata. Assomiglia, pertanto, ad una «totale rinuncia» più di quanto non appare esserlo la disposizione controversa, che è applicabile solo a procedimenti di terzo grado, qualora siano pendenti, nel loro complesso, da oltre dieci anni (in pratica, quattordici). Non ritengo, pertanto, che alcuna giurisprudenza nazionale relativa all’art. 16 della legge n. 289/2002 possa essere considerata rilevante ai presenti fini.

Confronto con le conciliazioni caso per caso

51.

La Commissione sottolinea che la disposizione controversa comporta l’estinzione di tutte le controversie di cui trattasi, a prescindere dalla probabilità di una pronuncia a favore dell’amministrazione finanziaria. Essa la oppone ad altre disposizioni di diritto italiano, che permettono la conciliazione giudiziale delle controversie tra l’amministrazione finanziaria e il soggetto passivo sulla base di una valutazione individuale della controversia da parte dell’autorità e/o del pagamento, da parte del soggetto passivo, di una parte dell’importo controverso. Secondo la Commissione, la disposizione controversa rappresenta una totale rinuncia ai sensi della sentenza nella causa C-132/06, piuttosto che una conciliazione caso per caso, che sembra ritenere ammissibile.

52.

Non trovo convincente tale tesi.

53.

Vero è che una parte che è risultata soccombente in primo grado e nel processo di appello, potrebbe risultare vittoriosa in sede di un secondo appello. Inoltre, detta parte, valuterà di norma, con maggiore o minore accuratezza, i propri interessi e probabilità di successo prima di proporre un secondo ricorso. Inoltre, un ente pubblico quale un’amministrazione finanziaria può anche desiderare, per motivi più generali di certezza del diritto, di ottenere una pronuncia di ultima istanza nell’interesse pubblico.

54.

Da un lato, la disposizione controversa sembra, di fatto, sostituire la valutazione da parte dell’amministrazione finanziaria del proprio interesse ad agire con un’approssimazione quasi statistica della probabilità di ottenere una pronuncia diversa in sede di impugnazione. Qualora tale probabilità sia scarsa, come sembra essere contemplato nella disposizione controversa, l’assenza di una pronuncia di ultima istanza, sebbene non ideale, appare meno problematica.

55.

D’altro canto, una conciliazione negoziata caso per caso, mediante la quale l’amministrazione finanziaria rinuncia alla totalità del credito da essa riconosciuto come dovuto in cambio del pagamento di parte di tale importo, non sembra essere un approccio più virtuoso. Presuppone, necessariamente, la riscossione di un importo maggiore o inferiore rispetto a quello che avrebbe dovuto essere riscosso in base ad una corretta interpretazione della normativa pertinente, rinunciando, al tempo stesso, a qualsiasi possibilità di ottenere una pronuncia del giudice di ultima istanza relativa a tale interpretazione.

56.

Entrambe le opzioni sono tutt’altro che eccellenti in termini di riscossione della totalità dell’imposta dovuta, ma nessuna delle due appare inaccettabile né paragonabile ad una totale rinuncia ai sensi della sentenza nella causa C-132/06.

Giustificazione in base alla CEDU

57.

Per contro, la necessità di rispettare il requisito dell’osservanza del «termine ragionevole» di cui all’art. 6, n. 1, della CEDU ( 27 ) (e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che si applica agli Stati membri quando attuano il diritto dell’UE) appare una giustificazione chiara e particolarmente convincente per una regola quale quella di cui alla disposizione controversa. Per quanto concerne le esigenze di certezza del diritto, un periodo di pendenza di procedimenti giudiziari della durata di dieci anni appare particolarmente lungo, a meno che ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze proprie del caso di specie ( 28 ). La disposizione controversa si applica, in concreto, solo ai procedimenti che nell’aprile 2010 erano pendenti dinanzi a un giudice di terzo grado da dieci anni (in pratica, quattordici) o più e la cui durata totale è stata, pertanto, notevolmente più lunga. Sebbene il mero fatto di tale durata costituisca chiaramente un grave problema che deve essere affrontato dallo Stato membro ( 29 ), non ritengo che l’obbligo comunitario di garantire la riscossione effettiva dell’IVA possa imporre il mantenimento, per oltre dieci o quattordici anni, di una situazione di incertezza di diritto con riferimento ad un importo di imposta controverso in relazione al quale il soggetto passivo ha già ottenuto due sentenze favorevoli.

58.

Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, a mio giudizio la disposizione controversa nella causa in esame non è paragonabile a quelle di cui trattasi nella causa C-132/06 e non configura il mancato rispetto da parte della Repubblica italiana dell’obbligo di garantire la corretta applicazione del regime IVA.

Requisito di neutralità fiscale

59.

Tuttavia, un aspetto della disposizione controversa appare discutibile ove si tenga conto — tra l’altro — della sentenza della Corte nella causa C-132/06, per quanto attiene al requisito di «neutralità fiscale» e, precisamente, l’obbligo «di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro» ( 30 ).

60.

La Commissione solleva tale questione chiedendo perché, se lo scopo dell’art. 3, n. 2 bis, del decreto legge convertito era realmente la riduzione dell’arretrato giudiziario della Commissione tributaria centrale e della Corte di cassazione, esso fosse applicabile solo ai processi pendenti da più di dieci anni ad una data particolare, piuttosto che a tutti i processi alla data del raggiungimento del limite di dieci anni.

61.

Tale questione non mi pare opportunamente inserita nell’ambito della presente controversia che, si ricorda, concerne solo controversie dinanzi alla Commissione tributaria centrale. Quando la disposizione controversa è entrata in vigore, tutti i ricorsi dinanzi a tale Corte erano pendenti da oltre 10 anni e dopo tale data dinanzi alla stessa non potevano più essere proposti ulteriori ricorsi.

62.

Nondimeno, l’art. 3, n. 2 bis nel suo complesso crea una differenza di trattamento tra i ricorsi di ultima istanza nei procedimenti vertenti sull’IVA, in funzione, sostanzialmente, della data in cui sono stati proposti piuttosto che della lunghezza del periodo durante il quale sono rimasti pendenti ( 31 ). E nonostante il criterio dei dieci anni possa essere considerato un elemento caratterizzante oggettivo (sebbene arbitrario, come per qualsiasi termine) se considerato alla luce del requisito del «termine ragionevole» di cui all’art. 6, n. 1, della CEDU e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, non appare ammissibile che tale criterio produca effetti diversi in funzione semplicemente della data in cui è stato proposto il ricorso in ultima istanza.

63.

Tuttavia, non lo considero motivo sufficiente per ritenere la disposizione controversa di per sé incompatibile con l’obbligo della Repubblica italiana di garantire la riscossione effettiva dell’IVA e l’effettiva osservanza da parte dei soggetti passivi dei loro obblighi ai sensi del regime IVA. Ciò che può essere necessario è un trattamento uniforme di tutte le situazioni che rientrano nell’art. 3, n. 2 bis, del decreto legge convertito, nei limiti in cui riguardano l’IVA. Se i ricorsi pendenti dinanzi alla Corte di cassazione fossero trattati allo stesso modo di quelli dinanzi alla Commissione tributaria centrale, qualora la durata del procedimento raggiunga il limite di dieci anni, tale difficoltà potrebbe essere eliminata. Ciò potrebbe valere anche se il trattamento attualmente riservato ai ricorsi dinanzi alla Corte di cassazione fosse esteso a quelli dinanzi alla Commissione tributaria centrale. Tuttavia, non ritengo spetti alla Corte esprimere un parere su tali criteri, né su altri, nell’ambito della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Tali considerazioni non sono pertinenti alla questione se una corretta interpretazione della normativa UE osti ad una misura quale la disposizione controversa, quando considerata singolarmente.

Conclusione

64.

Sono pertanto del parere che la Corte debba risolvere come segue la questione sollevata dalla Commissione tributaria centrale:

«L’art. 4, n. 3, TUE (art. 10 CE) e gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, non ostano ad una disposizione nazionale ai sensi della quale, in una controversia in materia di IVA tra un soggetto passivo e l’amministrazione finanziaria, che origina da un ricorso iscritto a ruolo in primo grado da oltre dieci anni, un secondo ricorso in appello da parte dell’autorità finanziaria che sia risultata soccombente in primo grado e in appello è definito automaticamente senza pronuncia nel merito da parte della seconda corte d’appello».


( 1 )   Lingua originale: l’inglese.

( 2 )   Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).

( 3 )   Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1, modificata a più riprese).

( 4 )   V. ora art. 2, n. 1, lett. a) e d) della direttiva 2006/112.

( 5 )   Dal 1o gennaio 1993 l’art. 22 è stato sostituito dall’art. 28 nonies (direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE, GU 1991 L 376, pag. 1), senza modifiche sostanziali delle disposizioni citate. V. ora, artt. 252, n. 1, 206 e 273, della direttiva 2006/112.

( 6 )   Sentenza 17 luglio 2008 (Racc. pag. I-5457).

( 7 )   Punti 43 e 44 della sentenza.

( 8 )   Decreto legislativo n. 545/1992.

( 9 )   Risulta che nell’ottobre 2010 erano ancora pendenti quasi 211000 ricorsi, ma si auspica che tutti i procedimenti pendenti dinanzi alla Commissione tributaria centrale siano chiusi entro il 31 dicembre 2012, consentendo la soppressione definitiva di tale ente.

( 10 )   Art. 3, n. 2 bis del decreto legge n. 40/2010, convertito dalla legge n. 73/2010, che ha introdotto l’art. 3, n. 2 bis. L’art. 3 è intitolato «Deflazione del contenzioso e razionalizzazione della riscossione». In prosieguo farò riferimento all’art. 3, n. 2 bis, prima frase e comma a), come la «disposizione controversa».

( 11 )   La cosiddetta «legge Pinto», introdotta a seguito di una serie di sentenze fondamentali della Corte europea dei diritti dell’uomo, che fornisce un meccanismo per far valere richieste di riparazione nel caso di eccessiva lunghezza del procedimento.

( 12 )   Pari a circa 11500 euro.

( 13 )   V. paragrafo 11 supra.

( 14 )   Causa C-417/10, 3M Italia, per la quale si è tenuta udienza immediatamente prima dell’udienza relativa alla causa in esame.

( 15 )   V. punti 44, 45 e 47 della sentenza nella causa C-132/06.

( 16 )   V. riepiloghi al punto 8 e segg. della sentenza, nonché il paragrafo 11 e segg. delle mie conclusioni, in detta causa.

( 17 )   Al punto 47 della sua sentenza.

( 18 )   Al punto 52 della sua sentenza.

( 19 )   E la presente controversia concerne una pretesa relativa ad un credito che è sorto (o non è sorto) circa 30 anni fa.

( 20 )   V. punti 37-39 della sentenza nella causa C-132/06, cit. al paragrafo 7 supra.

( 21 )   L’art. 22, nn. 4 e 5 della sesta direttiva imponeva ai soggetti passivi di presentare una dichiarazione entro due mesi dalla scadenza di ogni periodo fiscale, che non poteva essere superiore ad un anno, e di pagare l’importo netto dell’IVA al momento della presentazione della dichiarazione.

( 22 )   Sentenza 18 luglio 2007, causa C-119/05 (Racc. pag. I-6199).

( 23 )   Sentenza 3 settembre 2009, causa C-2/08 (Racc. pag. I-7501).

( 24 )   V. secondo e quattordicesimo ‘considerando’ del preambolo della sesta direttiva e punto 39 della sentenza nella causa C-132/06.

( 25 )   V. art. 2 della decisione del Consiglio 7 giugno 2007, n. 2007/436/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007 L 163, pag. 17).

( 26 )   V. European Union public finance, quarta edizione (Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2008), pag. 239.

( 27 )   La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ripetutamente accertato la violazione dell’art. 6, n. 1 CEDU, a seguito di ritardi procedurali in Italia, di durata inferiore a dieci anni [v. ad esempio, sentenze 18 ottobre 2001, causa Sciortino/Italia, n. 30127/96 (Sez. 2), punti 19 e segg., e 29 marzo 2006, causa Scordino/Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, CEDU 2006, punti 175 e segg.].

( 28 )   Nell’ambito dei procedimenti dinanzi ai giudici dell’Unione europea, v., ad esempio, sentenza 16 luglio 2009, causa C-385/07 P, Der Grüne Punkt (Racc. pag. I-6155, punto 181 e segg.).

( 29 )   V. nota 9 supra.

( 30 )   Punto 39 della sentenza.

( 31 )   In sostanza, esiste una triplice distinzione: i ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria centrale sono trattati diversamente da quelli dinanzi alla Corte di Cassazione e i ricorsi dinanzi a quest’ultima sono trattati diversamente a seconda che il procedimento sia stato avviato in primo grado prima o dopo il 26 maggio 2000.