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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 21 giugno 2012 (1)

Causa C-587/10

Vogtländische Straßen-, Tief- und Rohrleitungsbau GmbH Rodewisch (VSTR)

contro

Finanzamt Plauen

[domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal Bundesfinanzhof (Germania)]

«Imposta sul valore aggiunto – Cessione intracomunitaria – Operazioni a catena – Diniego dell’esenzione per la mancata indicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente»





I –    Introduzione

1.        Nella presente causa il Bundesfinanzhof sottopone alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali relative all’interpretazione della direttiva 77/388/CEE (2), sorte nell’ambito di un procedimento in cui si discute della legittimità di una decisione delle autorità tributarie tedesche con la quale è stata negata al fornitore soggetto passivo l’esenzione prevista per le cessioni intracomunitarie dall’articolo 28 quater, punto A, lettera a), della direttiva medesima.

2.        La particolarità del caso di specie consiste nella circostanza che la cessione controversa fa parte di un’operazione a catena composta da due vendite successive ed un unico trasporto intracomunitario. Il diniego dell’esenzione è stato giustificato in base al motivo che il primo fornitore, un’impresa tedesca, non ha fornito il numero di identificazione IVA dell’impresa statunitense che ha acquistato le sue merci, ma quello della seconda acquirente delle medesime, un’impresa finlandese.

3.        La presente causa offrirà alla Corte di giustizia l’opportunità di sviluppare la già copiosa giurisprudenza relativa all’esenzione applicabile alle cessioni intracomunitarie, nonché di acclarare la portata del potere attribuito dalla frase introduttiva dell’articolo 28 quater, punto A, della sesta direttiva agli Stati membri di fissare le condizioni necessarie al fine di assicurare «una corretta e semplice applicazione» dell’esenzione ivi prevista, e di «prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso».

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione: la sesta direttiva

4.        Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della sesta direttiva, si considera soggetto passivo ai fini dell’IVA «chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività». A tenore del citato paragrafo 2 «[l]e attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate (…)».

5.        L’articolo 22 della sesta direttiva, nella versione risultante dall’articolo 28 nonies della direttiva medesima, stabilisce una serie di obblighi dei soggetti passivi nell’ambito del regime interno.

6.        Così l’articolo 22, paragrafo 1, lettera c), primo e terzo trattino, stabilisce che «[g]li Stati membri prendono i provvedimenti necessari affinché sia possibile identificare tramite un numero individuale: – ogni soggetto passivo, fatta eccezione per quelli di cui all’articolo 28 bis, paragrafo 4, che effettua all’interno del paese cessioni di beni o prestazioni di servizi che gli diano diritto a deduzione (…) – ogni soggetto passivo che effettua all’interno del paese acquisti intracomunitari di beni ai fini di proprie operazioni, quando queste rientrano fra le attività economiche di cui all’articolo 4, paragrafo 2 e sono effettuate all’estero».

7.        L’articolo 22, paragrafo 3, lettera a), dispone che «[o]gni soggetto passivo deve emettere (…) fattura, o altro documento equivalente, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che effettua per conto di un altro soggetto passivo o di un ente che non è soggetto passivo. Parimenti, ogni soggetto passivo deve emettere fattura (...) per le cessioni di beni che effettua alle condizioni previste dall’articolo 28 quater, punto A». Conformemente all’articolo 22, paragrafo 3, lettera b), il numero di identificazione IVA deve essere riportato su tale fattura.

8.        Ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 8, «[g]li Stati membri hanno la facoltà di stabilire, subordinatamente al rispetto del principio della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

9.        La sesta direttiva include un titolo XVI bis, intitolato «Regime transitorio di imposizione degli scambi tra Stati membri», che è stato introdotto con la direttiva 91/680 e che comprende gli articoli da 28 bis a 28 quindecies.

10.      L’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera a), della sesta direttiva, al primo comma, dispone che sono parimenti soggetti ad IVA «gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo (…)».

11.      Ai sensi dell’articolo 28 bis, paragrafo 3 «[è] considerata “acquisto intracomunitario di un bene”, l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene».

12.      Secondo l’articolo 28 ter, punto A, paragrafo 1, è considerato luogo d’acquisto intracomunitario di beni «il luogo in cui questi si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente». Orbene, il paragrafo 2 precisa che «[f]atto salvo il paragrafo 1, il luogo di acquisto intracomunitario dei beni di cui all’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera a) si considera tuttavia situato nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di registrazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto, a meno che l’acquirente comprovi che tale acquisto è stato sottoposto all’imposta conformemente al paragrafo 1. (…)».

13.      L’articolo 28 quater, punto A, lettera a), esenta da imposta le cessioni di beni intracomunitarie nei seguenti termini:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:

a)      le cessioni di beni ai sensi dell’articolo 5 e dell’articolo 28 bis, paragrafo 5, lettera a), spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

(…)».

B –    Normativa nazionale

14.      Ai sensi dell’articolo 6a, paragrafo 1, prima frase, dell’Umsatzsteuergesetz (legge in materia di imposta sul fatturato; in prosieguo: l’«UStG») (3), ha luogo una cessione intracomunitaria – esente ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), dell’UStG – quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: «1) l’imprenditore o l’acquirente ha trasportato o spedito l’oggetto della cessione nel resto del territorio comunitario; 2) l’acquirente è: a) un imprenditore che ha acquistato l’oggetto della cessione per la sua impresa; b) una persona giuridica che non è imprenditore o che non ha acquistato l’oggetto della cessione per la sua impresa; c) qualsiasi altro acquirente in caso di cessione di un veicolo nuovo; e 3) l’acquisto dell’oggetto della cessione è soggetto, presso l’acquirente in un altro Stato membro, alle disposizioni relative all’imposta sul fatturato». Ai sensi dell’articolo 6a, paragrafo 3, dell’UStG, spetta all’imprenditore dimostrare il soddisfacimento di tali requisiti.

15.      L’articolo 17c, paragrafo 1, dell’Umsatzsteuer-Durchführungsverordnung (decreto di attuazione della legge in materia di imposta sul fatturato; in prosieguo: l’«UStDV») (4) dispone che, in caso di cessioni intracomunitarie, l’imprenditore che rientri nell’ambito di applicazione del decreto deve dimostrare per via documentale che ricorrono i presupposti per l’esenzione da imposta «incluso il numero di identificazione IVA dell’acquirente».

III – Causa principale e questioni pregiudiziali

16.      La ricorrente e ricorrente in cassazione, la Vogtländische Straßen-, Tief- und Rohrleitungsbau GmbH Rodewisch (in prosieguo: la «VSTR»), è la società madre di una società di diritto tedesco stabilita in Germania.

17.      Nel novembre 1998 quest’ultima società vendeva due macchine schiacciasassi alla società statunitense ATLANTIC International Trading Co. (in prosieguo: l’«ATLANTIC»). L’ATLANTIC aveva una filiale in Portogallo ma non era registrata ai fini dell’IVA in alcuno Stato membro dell’Unione.

18.      Alla richiesta della società venditrice di comunicarle il suo numero di identificazione IVA, l’ATLANTIC rispondeva di aver rivenduto le macchine ad un’impresa stabilita in Finlandia, e comunicava alla venditrice il numero di identificazione IVA di tale impresa finlandese. La società venditrice tedesca comprovava la correttezza di tale dato.

19.      In relazione al trasporto delle macchine, occorre precisare che il 14 dicembre 1998 un’impresa di trasporti incaricata dall’ATLANTIC ritirava le stesse presso la sede della società tedesca, le trasportava via terra, in primo luogo, a Lubecca (Germania) e tre giorni dopo le imbarcava per la Finlandia.

20.      La società tedesca venditrice emetteva nei confronti dell’ATLANTIC una fattura senza IVA, in cui era riportato il numero di identificazione IVA della società finlandese.

21.       Nella dichiarazione IVA relativa all’anno 1998 la VSTR, società madre della venditrice, considerava la cessione di dette macchine esente da IVA. Per contro, l’autorità tributaria tedesca (il Finanzamt Plauen) considerava l’esenzione inapplicabile alla fattispecie, poiché l’ATLANTIC, in quanto acquirente, non aveva indicato né il numero di identificazione IVA dello Stato membro di destinazione né quello di nessun altro Stato membro.

22.      La VSTR ha impugnato tale decisione presso il giudice di primo grado e ha proposto un ricorso per cassazione avverso la sentenza del Finanzgericht che ha respinto l’impugnazione. Nell’ambito di tale procedimento per cassazione dinanzi al Bundesfinazhof, la VSTR ha dedotto che il motivo per cui l’amministrazione tedesca le aveva negato l’esenzione in parola è contrario alla sesta direttiva. L’amministrazione tedesca, al contrario, sostiene che gli Stati membri possono subordinare l’applicazione dell’esenzione controversa alla condizione che l’acquirente possieda un numero di identificazione IVA in uno Stato membro, come dispone l’articolo 17c, paragrafo 1, della UStDV.

23.      Ritenendo che esistano dubbi interpretativi in relazione ai presupposti per l’applicazione dell’esenzione delle cessioni intracomunitarie prevista dall’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva, il Bundesfinanzhof ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, consenta agli Stati membri di subordinare la qualificazione come cessione intracomunitaria esente da imposta al requisito che il soggetto passivo fornisca la prova contabile del numero di identificazione IVA dell’acquirente.

2)      Se per la soluzione della questione sub 1) rilevino le seguenti circostanze:

–      che l’acquirente sia un’impresa con sede in un paese terzo, la quale, pur avendo spedito, nell’ambito di un’operazione a catena, i beni oggetto della cessione da uno Stato membro a un altro Stato membro, non è registrata in alcuno Stato membro ai fini dell’imposta sul fatturato, e

–      che il soggetto passivo abbia comprovato la presentazione da parte dell’acquirente di una dichiarazione fiscale relativa all’acquisto intracomunitario».

IV – Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

24.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata registrata nella cancelleria della Corte il 15 dicembre 2010.

25.      Hanno depositato osservazioni scritte l’Italia, la Germania, la VSTR e la Commissione.

26.      All’udienza, tenutasi il 7 marzo 2012, erano presenti per svolgere osservazioni orali i rappresentanti della VSTR, il governo tedesco e la Commissione.

V –    Analisi delle questioni pregiudiziali

A –    Una questione preliminare: l’identificazione della cessione intracomunitaria nell’ambito di un’operazione a catena

27.      Le domande poste dal Bundesfinanzhof vertono sull’applicazione dell’esenzione per le cessioni intracomunitarie prevista dall’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva.

28.      La citata disposizione pone tre condizioni affinché un’operazione possa essere qualificata come cessione intracomunitaria di beni esente da IVA: il trasferimento del potere di disporre del bene di cui è titolare il proprietario; lo spostamento fisico dei beni da uno Stato membro ad un altro e lo status di soggetto passivo dell’acquirente (che può essere anche una persona giuridica «che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni»).

29.      La prima delle suddette tre condizioni (trasferimento del potere di disporre dei beni dalla VSTR all’ATLANTIC) non è stata mai messa in questione, e le domande del Bundesfinanzhof vertono sulla terza condizione (relativa al soggetto passivo acquirente).

30.      In limine, tuttavia, si deve fare una breve precisazione in merito alla seconda condizione (il trasporto intracomunitario), dato che la fattispecie in esame presenta la particolarità che la cessione il cui assoggettamento ad IVA è controverso fa parte di un’operazione a catena formata da due operazioni di vendita successive – la prima da una società tedesca ad una società statunitense e la seconda da quest’ultima ad una società finlandese – ed un unico trasporto intracomunitario dei beni, dalla Germania alla Finlandia.

31.      Conformemente a quanto stabilito nella sentenza del 6 aprile 2006, EMAG Handel Eder, in casi come quello presente, ossia «quando due cessioni successive relative agli stessi beni, effettuate a titolo oneroso tra soggetti passivi che agiscono in quanto tali, danno luogo ad un’unica spedizione intracomunitaria o ad un unico trasporto intracomunitario di detti beni, tale spedizione o tale trasporto può essere imputato ad una sola delle due cessioni, che sarà l’unica esentata ai sensi dell’art. 28 quater, punto A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva» (5).

32.      Pertanto, nel caso presente, si rende necessario stabilire a livello preliminare a quale delle due cessioni successive di beni possa essere imputato il trasporto; in definitiva, quale delle due cessioni possa eventualmente essere qualificata, sempreché sussistano gli altri presupposti, come una cessione intracomunitaria esente da IVA.

33.      La sesta direttiva non stabilisce regole al riguardo; tuttavia la sentenza del 16 dicembre 2010, Euro Tyre Holding, ha precisato che, per questo tipo di operazioni a catena la determinazione della cessione cui deve essere imputato il trasporto intracomunitario «deve essere effettuata alla luce di una valutazione globale di tutte le circostanze del caso di specie» (6). Siffatta valutazione delle circostanze spetta al giudice della causa principale.

34.      In principio, il Bundesfinanzhof non sembra mettere in dubbio che nel caso di specie il trasporto intracomunitario sia imputabile alla prima cessione, cioè a quella in cui il venditore è l’impresa tedesca VSTR e l’acquirente l’impresa statunitense ATLANTIC (7), valutazione che, a mio parere, non verrebbe confutata dalla giurisprudenza poc’anzi citata.

35.      Il presente caso somiglia a quello di cui si discuteva nella causa Euro Tyre Holding, giacché il primo acquirente dei beni aveva acquisito il potere di disporre degli stessi nello Stato in cui era avvenuta la prima cessione (Germania) (8), e aveva manifestato al venditore la volontà di trasportare i beni in un altro Stato membro, dove sarebbe stata effettuata la seconda cessione (9). L’unica differenza consiste nel fatto che nel caso presente l’ATLANTIC non ha indicato il suo numero di identificazione IVA, elemento menzionato nella sentenza Euro Tyre Holding tra quelli da prendere in considerazione in tali circostanze (10). A prescindere dalle considerazioni che svolgerò di seguito (in relazione alla prima questione pregiudiziale) con riferimento all’importanza di tale elemento al fine di classificare la cessione come una cessione intracomunitaria esente da IVA, ritengo che l’indicazione del suddetto numero di identificazione IVA dell’acquirente non sia indispensabile, in questa prima fase del ragionamento, allo scopo di imputare il trasporto ad una determinata cessione.

36.      Nella causa Euro Tyre Holding, l’indicazione del citato numero di identificazione IVA dell’acquirente nello Stato in cui è avvenuta la seconda cessione è stata utilizzata come indizio oggettivo del fatto che il primo acquirente, fin dal momento dell’acquisto, aveva l’intenzione di vendere i beni in tale secondo Stato (11). Per contro, nel caso di specie, tale indizio potrebbe non essere indispensabile nei limiti in cui il Bundesfinanzhof consideri provato, sulla base di altri elementi oggettivi (12), che la seconda cessione del potere di disporre dei beni era già avvenuta nello Stato di destinazione, dopo il trasporto intracomunitario che, in tal caso, dovrebbe essere imputato alla prima cessione.

B –    Prima questione pregiudiziale

37.      Con la prima questione il Bundesfinanzhof chiede alla Corte di giustizia se gli Stati membri possano subordinare l’esenzione delle cessioni intracomunitarie alla condizione che il fornitore registri contabilmente il numero di identificazione IVA dell’acquirente.

38.      Come ho già rilevato, l’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva subordina l’applicazione dell’esenzione in parola al soddisfacimento di tre condizioni che, secondo una costante giurisprudenza (13), hanno carattere esaustivo, e tra le quali non figura – almeno espressamente – nessuna condizione legata all’indicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente.

39.      Nella sentenza 27 settembre 2007, Collée, la Corte di giustizia ha affermato che «un provvedimento nazionale che essenzialmente subordini il diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano soddisfatti eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta». Di conseguenza, l’esenzione dall’IVA deve essere concessa purché risultino soddisfatti i requisiti sostanziali, anche qualora i soggetti passivi abbiano omesso determinati requisiti formali. La situazione sarebbe diversa solo «se la violazione di tali requisiti formali avesse l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti» (14).

40.      Orbene, il governo tedesco afferma che la necessità che il venditore indichi il numero di identificazione IVA dell’acquirente nello Stato membro di destinazione non costituisce un nuovo requisito sostanziale diverso da quelli previsti dall’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, poiché si tratta di uno strumento di prova ineludibile nell’ambito del terzo dei detti requisiti, che si riferisce alla condizione di soggetto passivo dell’acquirente.

41.      Gli Stati membri avrebbero la facoltà di imporre tale requisito di prova in base alla frase introduttiva dello stesso articolo 28 quater, punto A, della sesta direttiva, a tenore del quale gli Stati membri concedono l’esenzione in parola «alle condizioni da essi fissate per assicurare [la sua] corretta e semplice applicazione (…) e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso». Tale facoltà potrebbe altresì fondarsi sull’articolo 22, paragrafo 8, che autorizza gli Stati membri a stabilire «altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi». Secondo il governo tedesco, la condizione che l’acquirente sia un soggetto passivo «che agisce in quanto tale» verrebbe rispettata solo nel caso in cui venisse presentato un numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro di destinazione dei beni.

42.      Come espongo di seguito, la sesta direttiva attribuisce un ruolo fondamentale al numero di identificazione IVA nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, poiché tale strumento agevola fortemente il controllo fiscale di queste ultime.

43.      Orbene, indipendentemente da quanto esposto nei precedenti paragrafi, ritengo che non sia possibile interpretare l’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva, nel senso che una cessione intracomunitaria si può considerare esente solo quando sia stato fornito il numero di identificazione IVA dell’acquirente. Da una parte, la condizione di soggetto passivo non dipende dall’attribuzione del detto numero, e nulla impedisce di provarla con altri mezzi (1). D’altra parte, l’inadempimento dell’obbligo di indicare il numero di identificazione fiscale stabilito dalla sesta direttiva non può dar luogo ad una modifica del regime fiscale dell’IVA (2). Infine, siffatta interpretazione costituirebbe una violazione del principio di neutralità fiscale dell’IVA, non ammessa dalla giurisprudenza (3).

1.      Lo status di soggetto passivo non dipende dall’attribuzione di un numero di identificazione fiscale. Tale status può essere eventualmente provato con altri dati oggettivi

44.      Il numero di identificazione IVA è nato con l’istituzione del regime intracomunitario dell’IVA, il cui obiettivo principale consiste, come è noto, nel garantire che l’imposta sia pagata nello Stato membro in cui avviene il consumo finale del bene. Per assicurare una corretta applicazione di tale regime, era necessario identificare determinati soggetti passivi IVA attraverso un numero individuale che indicasse lo Stato membro che lo aveva attribuito, così come il tipo di operazioni realizzate dai soggetti stessi [articolo 22, paragrafo 1, lettere c), d) ed e), della sesta direttiva]. Pertanto, come osserva la Commissione, il detto numero di identificazione costituisce un’indicazione abbreviata della posizione fiscale del soggetto passivo a fini IVA, che serve per agevolare il controllo fiscale delle operazioni intracomunitarie.

45.      Con questo obiettivo, l’articolo 22 della sesta direttiva pone a carico del soggetto passivo l’obbligo di indicare nella fattura il numero di identificazione sotto il quale ha effettuato la cessione di beni o la prestazione di servizi e il numero utilizzato dal cliente in tale operazione [articolo 22, paragrafo 3, lettera b)], nonché l’obbligo di presentare un elenco riassuntivo trimestrale contenente dati «sugli acquirenti titolari di un numero di partita IVA cui ha ceduto dei beni ai sensi dell’articolo 28 quater, punto A, lettere a) e d), nonché sui destinatari titolari di un numero di partita IVA, delle operazioni di cui al quinto comma» [articolo 22, paragrafo 6, lettera b)].

46.      A questo stesso obiettivo del controllo fiscale risponde la regola di cui all’articolo 28 ter, paragrafo 2, della sesta direttiva, ai sensi del quale, a meno che l’acquirente comprovi che l’acquisto intracomunitario di beni contemplato dall’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera a), è stato sottoposto ad IVA nel «luogo in cui [i beni] si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente» (articolo 28 ter, paragrafo 1), l’acquisto si considera effettuato «nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di registrazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto» (15).

47.      Orbene, tanto gli obblighi contenuti nell’articolo 22 quanto la regola di cui all’articolo 28 ter, paragrafo 2, della sesta direttiva sono strumenti di controllo fiscale di natura preventiva, il cui fine è quello di evitare il mancato pagamento dell’IVA da parte dell’acquirente. Da tali disposizioni non si può dedurre che lo status di soggetto passivo si acquisti solamente ottenendo il numero di identificazione, né che l’indicazione di tale numero costituisca l’unico mezzo per dimostrare che l’acquirente, nell’operazione in questione, ha agito in qualità di soggetto passivo. Di conseguenza, l’inadempimento di siffatto obbligo non può privare il venditore dell’esenzione cui ha diritto.

48.      Anzitutto, si ricorda che l’articolo 4, paragrafo 1, della sesta direttiva non subordina lo status di soggetto passivo dell’IVA ad alcuna formalità né alla produzione di un documento in particolare, condizionandolo unicamente alla realizzazione di «una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività». Alla luce del tenore letterale di tale disposizione, pertanto, quella del soggetto passivo deve essere considerata una condizione preliminare e rigorosamente di fatto, che non dipende dall’attribuzione né dall’utilizzo del numero di identificazione IVA.

49.      La precedente affermazione è perfettamente compatibile con l’importante funzione che, come si è visto, la sesta direttiva attribuisce al numero di identificazione nel contesto delle cessioni intracomunitarie. Certamente, gli obblighi sanciti dall’articolo 22 della sesta direttiva fanno sì che l’indicazione del numero di identificazione ai fini IVA costituisca il mezzo normale – e perfino il più corretto – per provare lo status di soggetto passivo, ma ciò non significa che il venditore non possa utilizzare altri «elementi oggettivi» (16) per dimostrare che l’acquirente ha agito con tale status (17). La presente fattispecie fornisce un buon esempio di tali casi, senza dubbio eccezionali, in cui il venditore dimostra, senza indicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente, che quest’ultimo ha agito nell’ambito di un’attività economica, che gli è stato trasferito il potere di disporre dei beni e che il trasporto aveva carattere intracomunitario, offrendo in tal modo dati sufficienti per esercitare il controllo fiscale sull’operazione negli Stati membri interessati.

50.      Non si può quindi affermare in modo assoluto che l’inadempimento dell’obbligo formale di indicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente nella fattura e negli elenchi riassuntivi impedirebbe «che sia fornita la prova certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti» ai fini del riconoscimento dell’esenzione (18). Tale inadempimento potrà dar luogo, eventualmente, all’imposizione di sanzioni, ma non ad una modifica del regime fiscale dell’IVA.

2.      L’inadempimento dell’obbligo di indicare il numero di identificazione fiscale imposto dall’articolo 22 della sesta direttiva non può dar luogo ad una modifica del sistema fiscale dell’IVA

51.      In materia di diritto alla detrazione dell’IVA, la giurisprudenza ha già stabilito che l’inadempimento degli obblighi formali di cui all’articolo 22 della sesta direttiva non può impedire il riconoscimento del detto diritto qualora ricorrano i presupposti per la sua insorgenza.

52.      Nella causa Dankowski (19), relativa precisamente al riconoscimento del summenzionato diritto a detrazione, il problema consisteva nel fatto che, sebbene le fatture riportassero il numero di identificazione del prestatore di servizi, tale numero era stato attribuito d’ufficio dalle autorità tributarie polacche, senza che il prestatore avesse previamente presentato una domanda di registrazione a fini IVA. Pertanto, il prestatore non aveva adempiuto l’obbligo di dichiarare l’inizio della propria attività in qualità di soggetto passivo (articolo 22, paragrafo 1, della sesta direttiva). Nella sentenza, la Corte di giustizia ha statuito che «nonostante l’importanza di una simile registrazione per il buon funzionamento del sistema IVA, il mancato adempimento di tale obbligo da parte di un soggetto passivo non può mettere in discussione il diritto a detrazione conferito dall’art. 17, n. 2, della sesta direttiva a un altro soggetto passivo. Infatti, l’art. 22, n. 1, della sesta direttiva prevede soltanto l’obbligo per i soggetti passivi di dichiarare l’inizio, la variazione e la cessazione delle loro attività, ma non autorizza affatto gli Stati membri, in mancanza di tale dichiarazione, a posticipare l’esercizio del diritto alla detrazione sino all’inizio effettivo dello svolgimento abituale delle operazioni imponibili oppure a precludere al soggetto passivo l’esercizio di tale diritto» (20).

53.      A mio giudizio, tale sentenza riflette chiaramente l’idea che gli obblighi formali di cui all’articolo 22 e le condizioni sostanziali per il riconoscimento del diritto a detrazione (o, come nel presente caso, di un’esenzione) operano su piani diversi, ragion per cui l’inadempimento dei primi non può comportare una modifica della disciplina sostanziale d’imposizione dell’IVA.

54.      D’altra parte, è evidente che, sebbene l’obbligo di comunicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente incomba al fornitore, quest’ultimo sarebbe in grado di soddisfarlo solo qualora l’acquirente glielo fornisse. Orbene, qualora il fornitore agisca in buona fede e adotti tutti mezzi a sua disposizione per assicurarsi che l’operazione che si accinge ad effettuare non lo coinvolga in una frode fiscale, non sarebbe logico fargli subire un pregiudizio per un inadempimento derivante dalla mancata collaborazione dell’acquirente e, in ultima analisi, per l’inadempimento da parte di questi del proprio obbligo di disporre di un numero di identificazione IVA nello Stato membro di destinazione dei beni. Le sentenze Dankowski ed Euro Tyre Holding, poc’anzi citate, sottendono altresì l’idea che l’inadempimento di un obbligo formale da parte di un soggetto non può pregiudicare fiscalmente un altro soggetto (21).

3.      Il principio di neutralità ammette eccezioni soltanto per i casi di frode

55.      Infine, il diniego dell’esenzione al fornitore che non riporti il numero di identificazione IVA dell’acquirente, anche qualora tutti gli elementi oggettivi indichino che è stata realizzata una cessione intracomunitaria ai sensi della sesta direttiva, implica un rischio di doppia imposizione e, in ogni caso, presuppone una ridistribuzione del potere impositivo, risultati entrambi contrari al principio di neutralità dell’IVA.

56.      Come è noto, tale principio garantisce la perfetta neutralità «dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dal loro scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’IVA» (22). Nell’ambito di tali attività, quindi, l’imprenditore deve rimanere assolutamente affrancato dall’IVA dovuta o assolta attraverso il sistema di detrazione dell’imposta sopportata. Nel contesto delle operazioni intracomunitarie, la detta neutralità viene garantita dall’applicazione del principio di territorialità, in base al quale la riscossione dell’IVA spetta allo Stato membro in cui avviene il consumo finale del bene. Come ha indicato la giurisprudenza, tale meccanismo consente una rigorosa ripartizione del gettito dell’IVA nelle operazioni intracomunitarie e «assicura una chiara delimitazione dei poteri impositivi degli Stati membri interessati» (23).

57.      Orbene, se, per il suddetto motivo, si negasse l’esenzione al fornitore, riscuotendo l’IVA in Germania, e l’acquirente dichiarasse l’operazione nello Stato membro di destinazione (Finlandia), si verificherebbe una situazione di doppia imposizione, nettamente contraria al detto principio di neutralità. Difatti, a tenore dell’articolo 21 del regolamento (CE) n. 1777/2005 (24)«[l]o Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intracomunitario di beni (...) esercita la propria facoltà impositiva indipendentemente dal trattamento IVA applicato all’operazione nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni». Come ho già osservato nelle conclusioni presentate nella causa R (25), un eventuale rimborso dell’IVA pagata in Germania, in questo caso, non sarebbe idoneo a prevenire la doppia imposizione, ma potrebbe semplicemente porvi rimedio quando essa si sia prodotta, ragion per cui non sembra sufficiente per salvaguardare il principio di neutralità dell’imposta.

58.      D’altra parte, la mancata applicazione dell’esenzione nel paese di origine dei beni (Germania) presupporrebbe la riscossione dell’IVA da parte di quest’ultimo anche in assenza di un qualsiasi credito fiscale, poiché la ratio sottesa al regime delle operazioni intracomunitarie è quella secondo cui spetta al paese in cui il bene viene consumato (Finlandia) percepire integralmente l’imposta. Pertanto, anche in assenza di doppia imposizione (vale a dire, pur se la Finlandia non riuscisse a riscuotere l’IVA), si verificherebbe una redistribuzione del potere impositivo contraria al principio di neutralità.

59.      In base ad una giurisprudenza consolidata i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’articolo 28 quater, punto A, della sesta direttiva, per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni delle cessioni intracomunitarie, nonché per «prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso», non devono eccedere quanto necessario a tal fine né essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA (26).

60.      Orbene, il provvedimento che esiga che il fornitore abbia indicato il numero di identificazione IVA dell’acquirente quale condizione per applicare l’esenzione produrrebbe, come descritto poc’anzi, un effetto contrario al principio di neutralità e sarebbe, di conseguenza, contrario alle disposizioni della sesta direttiva.

61.      Certamente, la Corte di giustizia ha riconosciuto che il detto principio non ha carattere assoluto, ma ammette deroghe in caso di frode o mala fede. Più precisamente, nella citata sentenza R, la Corte ha affermato che i principi di neutralità e di tutela del legittimo affidamento «non possono essere validamente invocati da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune IVA» (27). Nella sentenza essa aggiunge poi che il principio di proporzionalità «non osta a che un fornitore che partecipa ad una frode sia obbligato ad assolvere a posteriori l’IVA sulla cessione intracomunitaria che ha effettuato, purché il suo coinvolgimento nella frode costituisca un elemento determinante da prendere in considerazione in occasione dell’esame della proporzionalità di un provvedimento nazionale» (28).

62.      Le circostanze della causa R erano, tuttavia, notoriamente diverse da quelle controverse nella presente causa. In quella, il sig. R, agendo in qualità di fornitore nell’ambito di operazioni intracomunitarie, aveva emesso fatture false e a nome di acquirenti fittizi, occultando l’identità dei veri acquirenti allo scopo di permettere a questi ultimi di evadere l’IVA nello Stato membro di destinazione. Si trattava quindi di un caso evidente di frode fiscale, a differenza del caso in esame, in cui non sembrano ricorrere le stesse circostanze. Poiché il giudice nazionale, cui spetta la valutazione concreta dei fatti, conclude, come si deduce dai dati forniti dalle parti, che, nella fattura, la VSTR si è limitata ad indicare il numero di identificazione IVA dell’impresa finlandese, senza tuttavia occultare che l’acquirente dei beni era l’ATLANTIC, non si potrebbe applicare l’eccezione prevista dalla giurisprudenza R né, di conseguenza, negare l’esenzione.

63.      Difatti, al di fuori dei casi di frode cui si riferisce la sentenza R, gli Stati membri non possono derogare unilateralmente ai principi fondamentali del sistema comune dell’IVA. Il dispositivo della sentenza in questione si fonda espressamente sull’esistenza di un comportamento fraudolento del fornitore. Dal punto di vista della proporzionalità, come precisa la sentenza, risulta rilevante che «il (…) coinvolgimento [dell’interessato] nella frode costituisca un elemento determinante» (punto 53), per poi aggiungere poco più avanti, che la partecipazione ad una siffatta azione fraudolenta deve essere stata intenzionale e deve aver messo a repentaglio il funzionamento del sistema comune IVA.

64.      In definitiva, la sentenza R ha introdotto un’eccezione al principio di neutralità fiscale, che non può venire estesa oltre il caso contemplato in tale occasione. Disattendere il principio di neutralità per ragioni strettamente preventive, ove il fornitore sia riuscito a dimostrare di non aver agito fraudolentemente, non appare una misura proporzionata che possa essere giustificata alla luce della giurisprudenza.

4.      Soluzione della prima questione pregiudiziale

65.      Alla luce delle precedenti considerazioni, si deve concludere nel senso che la sesta direttiva non subordina il riconoscimento dello status di soggetto passivo – vuoi in via generale, vuoi per determinare l’applicabilità dell’esenzione prevista per le cessioni intracomunitarie – all’indicazione del numero di identificazione IVA, ma lo condiziona unicamente allo svolgimento di un’attività economica, la cui esistenza sarebbe difficilmente confutabile nel presente caso (29).

66.      L’inadempimento, da parte del fornitore impegnato in una operazione intracomunitaria, dell’obbligo di indicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente potrà dar luogo a sanzioni e, qualora venga provato il coinvolgimento di questi in un’operazione fraudolenta, al diniego dell’esenzione corrispondente alla cessione intracomunitaria, in conformità alla sentenza R. Entrambe le suddette misure costituiscono un sistema proporzionato per combattere la frode.

67.      Al contrario, risulterebbe sproporzionato considerare che qualsiasi inadempimento di obblighi formali, senza che siano posti in essere comportamenti fraudolenti, dia luogo ad una trasformazione totale del sistema delle cessioni intracomunitarie e ad un trasferimento unilaterale della potestà tributaria verso uno Stato membro cui non compete esercitarla.

C –    Seconda questione pregiudiziale

68.      Nella seconda questione il Bundesfinanzhof si riferisce a due circostanze diverse che potrebbero influenzare, ciascuna, la soluzione della prima questione.

1.      Prima parte della seconda questione

69.      La prima parte della seconda questione si riferisce, in particolare, all’influenza che potrebbe avere il fatto che l’acquirente sia un imprenditore stabilito in un paese terzo, che ha spedito l’oggetto della cessione da uno Stato membro all’altro, nell’ambito di un’operazione a catena, ma che non è registrato a fini IVA in nessuno Stato membro.

70.      A mio giudizio, si può solo dare una risposta negativa a tale questione. Come giustamente ricorda la Commissione, nessuna delle disposizioni pertinenti nel caso di specie opera distinzioni in funzione del fatto che l’acquirente sia stabilito nel territorio di uno Stato membro oppure in uno Stato terzo.

71.      Il fatto che l’acquirente sia un imprenditore stabilito in un paese terzo che non è registrato a fini IVA non ha un effetto diverso da quello che potrebbero avere altre circostanze in cui l’acquirente sia privo del numero di identificazione IVA o, semplicemente, lo abbia omesso. Gli unici fatti rilevanti ai fini di tale risposta sono la mancata indicazione del detto numero di identificazione, indipendentemente dalle cause di tale omissione, e l’esistenza o meno di un comportamento fraudolento.

2.      Seconda parte della seconda questione

72.      Infine, il giudice del rinvio chiede se la risposta alla prima questione possa essere influenzata dalla circostanza che il soggetto passivo ha dimostrato che l’acquirente aveva dichiarato fiscalmente l’acquisto intracomunitario.

73.      Secondo la mia opinione, tale questione ha un senso solo qualora si pervenga alla conclusione, come in effetti è il caso, che il riconoscimento di una cessione intracomunitaria esente non può essere subordinata alla condizione che il soggetto passivo dimostri di aver registrato contabilmente il numero di identificazione IVA dell’acquirente.

74.      Muovendo da tale conclusione, quest’ultima questione avrebbe l’obiettivo di acclarare se, in alternativa, il riconoscimento dell’esenzione possa essere subordinato alla condizione che il fornitore dimostri che l’acquirente aveva dichiarato il detto acquisto intracomunitario nello Stato membro di destinazione.

75.      Nell’ordinanza di rinvio si invoca, a fondamento di tale questione, la «corrispondenza» che, secondo una giurisprudenza consolidata, deve esistere tra una cessione intracomunitaria esente ed un acquisto intracomunitario soggetto ad imposta e non esente da essa.

76.      Effettivamente, nella giurisprudenza viene ripetutamente dichiarato che «la cessione intracomunitaria di un bene e l’acquisto intracomunitario di quest’ultimo costituiscono in realtà un’unica e medesima operazione economica», e che, pertanto, «[o]gni acquisto intracomunitario tassato nello Stato membro di destinazione della spedizione o del trasporto intracomunitario di beni, ai sensi dell’art. 28 bis, n. 1, lett. a), primo comma, della sesta direttiva comporta come corollario una cessione esente nello Stato membro di partenza di detta spedizione o di detto trasporto, ai sensi dell’art. 28 quater, punto A, lett. a), primo comma, della medesima direttiva» (30).

77.      Ciò significa che la cessione esente e l’acquisto soggetto ad imposta sono strettamente correlati e formano un’unità ai fini della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri e quindi del principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA (31). Non sembra tuttavia che le conseguenze di tale vincolo possano spingersi fino all’estremo di esigere la condizione, ai fini della concessione dell’esenzione in parola, che il fornitore dimostri che l’acquisto è stato dichiarato dall’acquirente nello Stato membro di destinazione. Tale requisito non figura assolutamente nella sesta direttiva e, per ragioni identiche a quelle appena esposte con riferimento al requisito del numero di identificazione IVA, violerebbe il principio di neutralità, oltre a risultare una misura sproporzionata.

78.      Per quanto concerne il principio di neutralità, è opportuno ribadire che l’indissociabilità della cessione e dell’acquisto intracomunitari non può giungere a condizionare l’esercizio, da parte degli Stati membri di origine e di destinazione dei beni, del loro rispettivo potere impositivo.

79.      Tale idea trova conferma, a contrariis, nel citato articolo 21 del regolamento n. 1777/2005, secondo il cui tenore lo Stato membro di destinazione dei beni «esercita la propria facoltà impositiva indipendentemente dal trattamento IVA applicato all’operazione nello Stato membro di partenza». Da tale disposizione si evince che lo Stato membro di destinazione procede alla riscossione dell’IVA senza dover verificare se nello Stato membro di origine sia stata concessa o meno l’esenzione; tuttavia, nella sentenza Teleos e a., citata nei precedenti paragrafi, sembra si voglia estendere tale idea anche al caso inverso, laddove è dichiarato che «[n]ell’ambito del regime transitorio di acquisto e cessione intracomunitari, è necessario, al fine di assicurare una regolare riscossione dell’IVA, che le competenti autorità tributarie verifichino, le une indipendentemente dalle altre, se siano soddisfatti i requisiti di cui all’acquisto intracomunitario nonché ai fini dell’esenzione della corrispondente cessione. Pertanto, anche se la presentazione da parte dell’acquirente di una dichiarazione fiscale relativa all’acquisto intracomunitario può costituire un indizio del trasferimento effettivo dei beni fuori dallo Stato membro di cessione, una dichiarazione siffatta non riveste tuttavia un significato determinante ai fini della prova di una cessione intracomunitaria esentata» (32).

80.      È certamente vero che la dichiarazione dell’acquisto intracomunitario nello Stato membro di destinazione eliminerebbe il problema di origine che si pone nel caso di specie, poiché, con ogni probabilità tale dichiarazione avrebbe come effetto l’attribuzione alla società acquirente di un numero di identificazione IVA in tale Stato membro.

81.      Indipendentemente da ciò, né la mancata prova del fatto che l’operazione in questione sia stata dichiarata nel luogo di destinazione né la mancata indicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente possono comportare, di per sé, il diniego dell’esenzione applicabile alla cessione. In particolare, l’obbligo di dimostrare che l’acquisto intracomunitario è stato dichiarato nello Stato membro di destinazione appare sproporzionato.

82.      Nella stessa sentenza R, precedentemente citata, è stabilito che lo Stato membro di partenza deve, in linea di principio, negare l’esenzione al fornitore «in casi particolari in cui siano presenti valide ragioni per ritenere che l’acquisto intracomunitario corrispondente alla cessione de quo (...) possa sfuggire al pagamento dell’IVA nello Stato membro di destinazione» (33), ma ciò, come si ricorda, in un contesto fraudolento.

83.      Per concludere, ritengo che non si possa esigere dal fornitore, al fine di concedere l’esenzione applicabile ad una cessione intracomunitaria, di dimostrare che l’acquirente ha presentato una dichiarazione fiscale relativa all’acquisto intracomunitario nello Stato membro di destinazione.

VI – Conclusione

84.      Di conseguenza, suggerisco alla Corte di giustizia di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Bundesfinanzhof (Germania) nei seguenti termini:

«1)      La sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, non permette agli Stati membri di subordinare il riconoscimento di una cessione intracomunitaria esente alla condizione che il soggetto passivo dimostri di aver registrato contabilmente il numero di identificazione dell’acquirente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

2)      Ai fini della precedente questione, è ininfluente la circostanza che l’acquirente sia un imprenditore stabilito in un paese terzo il quale, sebbene abbia spedito, nell’ambito di un’operazione a catena, i beni oggetto della cessione da uno Stato membro a un altro Stato membro, non è registrato, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, in alcuno Stato membro.

      La direttiva 77/388 non permette agli Stati membri di subordinare il riconoscimento di una cessione intracomunitaria esente alla condizione che il soggetto passivo dimostri che l’acquirente ha presentato la dichiarazione fiscale relativa all’acquisto intracomunitario nello Stato membro di destinazione».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Sesta direttiva del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), nella versione vigente alla data dei fatti della causa principale.


3 –      BGB1. 1993 I, pag. 565.


4 –      BGB1. 1999 I, pag. 1308.


5 – Causa C-245/04, Racc. pag. I-3227, punto 45.


6 – Causa C-430/09, Racc. pag. I-13335, punto 44.


7 –      Dal fascicolo neppure risulta che il Finanzgericht, giurisdizione investita della causa in primo grado, avesse una diversa opinione al riguardo.


8 –      Sentenza Euro Tyre Holding, cit. (punto 32).


9 –      Sentenza Euro Tyre Holding, cit. (punto 33).


10 – Sentenza Euro Tyre Holding, cit., punto 45 «[i]n circostanze come quelle controverse nella causa principale, nelle quali il primo acquirente, avendo ottenuto il diritto di disporre del bene come un proprietario nel territorio dello Stato membro della prima cessione, manifesta il suo intento di trasportare tale bene in un altro Stato membro e si presenta con il suo numero di partita IVA attribuito da quest’ultimo Stato, il trasporto intracomunitario dovrebbe essere imputato alla prima cessione, a condizione che il diritto di disporre del bene come un proprietario sia stato trasferito al secondo acquirente nello Stato membro di destinazione del trasporto intracomunitario». V. altresì il punto 35.


11 –      Al riguardo, v. sentenza Euro Tyre Holding, cit. (punti 33-39).


12 –      Sentenza Euro Tyre Holding, cit. (punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


13 – V., per tutte, la sentenza del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C-409/04, Racc. pag. I-7797, punto 70).


14 –      Causa C-146/05, Racc. pag. I-7861, punti 29 e 31.


15 –      Lo stesso articolo 28 ter, paragrafo 2, completa tale disposizione, al secondo comma, con un meccanismo inteso ad evitare la doppia imposizione.


16 –      Conformemente a quanto stabilito con la sentenza Teleos e a., cit. (punto 40).


17 –      Riprova di ciò è anche il disposto dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 del Consiglio, del 15 marzo 2011, recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto (GU L 77, pag. 1), a tenore del quale «[s]alvo che disponga di informazioni contrarie, il prestatore può considerare che un destinatario stabilito nella Comunità ha lo status di soggetto passivo: a) se il destinatario gli ha comunicato il proprio numero individuale di identificazione IVA (…); b) se il destinatario non ha ancora ricevuto un numero individuale di identificazione IVA, ma lo informa che ne ha fatto richiesta, qualora ottenga qualsiasi altra prova (…)».


18 – Sentenza Collée, cit. (punto 31).


19 – Sentenza del 22 dicembre 2010 (C-438/09, Racc. pag. I-14009).


20 –      Sentenza Dankowski, cit. (punti 33 e 34 e giurisprudenza ivi citata).


21 – Sentenza Dankowsky, punto 36: «un eventuale inadempimento da parte del fornitore di servizi dell’obbligo di cui all’art. 22, n. 1, della sesta direttiva non può mettere in discussione il diritto a detrazione di cui beneficia il destinatario di detti servizi». Nello stesso senso, v. la sentenza Euro Tyre Holding (punti 37 e 38).


22 – V., per tutte, la sentenza del 14 febbraio 1985, Rompelman (268/83, Racc. pag. 655, punto 19).


23 –      Sentenza EMAG Handel Eder, cit. (punto 40).


24 – Regolamento del Consiglio del 17 ottobre 2005, recante disposizioni di applicazione della direttiva 77/388/CEE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto (GU L 288, pag. 1).


25 –      Presentate il 29 giugno 2010 (paragrafo 64). Sentenza del 7 dicembre 2010 (C-285/09, Racc. pag. I-12605).


26 –      V., per tutte, la sentenza Collée, cit. (punto 26).


27 – Sentenza R, cit. (punto 54)


28 – Sentenza R, cit. (punto 53).


29 –      Date le caratteristiche dei beni venduti (due macchine schiacciasassi) si deve supporre che essi non verranno destinati ad un «consumo personale» che escluda l’esistenza di una «attività economica» ai sensi della direttiva.


30 – V. citate sentenze EMAG Handel Eder (punto 29) e Teleos e a. (punti 23 e 24).


31 – V., a tale proposito, la sentenza Teleos e a., cit. (punto 25).


32 – Punto 71.


33 – Punto 52.