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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 6 novembre 2013 (1)

Causa C-190/12

Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company

contro

Dyrektor Izby Skarbowej w Bydgoszczy

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Wojewódzki Sąd Administracyjny w Bydgoszczy (Polonia)]


«Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Articoli 56 CE, 57 CE e 58 CE – Imposta sul reddito delle persone giuridiche – Dividendi versati ai fondi di investimento stabiliti sul territorio di paesi terzi – Esenzione»





I –    Introduzione

1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il Wojewódzki Sąd Administracyjny w Bydgoszczy (Tribunale amministrativo del voivodato di Bydgoszcz, Polonia) solleva, in sostanza la questione della compatibilità, con la libera circolazione dei capitali, della differenza di trattamento fiscale tra i dividendi versati a fondi di investimento situati in paesi terzi e quelli versati a fondi di investimento stabiliti in Polonia.

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra il fondo di investimento Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, la cui sede si trova negli Stati Uniti d’America, e il Dyrektor Izby Skarbowej w Bydgoszczy (direttore dell’amministrazione tributaria di Bydgoszcz), relativa al rifiuto di tale amministrazione di accertare e rimborsare l’eccedenza d’imposta forfettaria sulle società, per gli anni 2005 e 2006, versata in base alla tassazione dei dividendi distribuiti al ricorrente nel procedimento principale da società di capitali aventi la propria sede nel territorio polacco.

3.        Più precisamente, nel dicembre 2010, il ricorrente nel procedimento principale ha chiesto all’amministrazione fiscale il rimborso dell’eccedenza dell’imposta forfettaria sulle società che aveva colpito i dividendi versatigli con l’aliquota del 15% ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulle società (ustawa z dnia 15 lutego 1992 r. o podatku dochodowym od osób prawnych), del 15 febbraio 1992 (in prosieguo: la «legge sull’IS»), letto in combinato disposto con l’articolo 11, paragrafo 2, lettera b) della convenzione conclusa fra il governo della Repubblica popolare [di Polonia] ed il governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni e prevenire l’evasione fiscale (Umowa miedzy Rządem [Polskiej] Rzeczypospolitej Ludowej a Rządem Stanów Zjednoczonych Ameryki o uniknięciu podwójnego opodatkowania i zapobieżeniu uchylaniu się od opodatkowania w zakresie podatków od dochodu), firmata a Washington l’8 ottobre 1974 (in prosieguo: la «convenzione preventiva del 1974»).

4.        Tale domanda è stata respinta con decisione del 2 maggio 2011, per il motivo che, in quanto fondo di investimento stabilito negli Stati Uniti d’America, il ricorrente nel procedimento principale non soddisfaceva i requisiti di esenzione previsti all’articolo 6, paragrafo 1, punto 10, della legge sull’IS ai sensi del quale solo i fondi di investimento che esercitano la loro attività in conformità delle disposizioni della legge relativa ai fondi di investimento (ustawa z dnia 27 maja 2004 r. o funduszach inwestycyjnych), del 27 maggio 2004 (in prosieguo: la «legge polacca relativa ai fondi di investimento»), sono esenti dall’imposta (2).

5.        Dopo che, il 6 ottobre 2011, tale decisione era stata confermata dal Dyrektor Izby Skarbowej w Bydgoszczy, il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso di annullamento dinanzi al giudice del rinvio.

6.        Dopo aver rilevato, da un lato, che gli investimenti effettuati dal ricorrente nel procedimento principale rivestono la forma di «investimenti di portafoglio», in quanto le partecipazioni assunte nel capitale delle società non consentivano allo stesso di influire sulla direzione delle suddette società e, dall’altro, che i fondi di investimento polacchi non beneficiano automaticamente dell’esenzione soggettiva, ma devono rispettare i requisiti previsti dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento, il giudice del rinvio si chiede se, a causa dello stretto legame fra l’esenzione fiscale e le disposizioni di quest’ultima legge, non sarebbe necessario applicare la libertà di stabilimento invece della libera circolazione dei capitali.

7.        Qualora quest’ultima libertà fosse nondimeno applicabile, il giudice del rinvio solleva una questione sulla compatibilità della portata limitata dell’esenzione prevista dalla legge sull’IS. Segnatamente, a suo avviso un’eventuale restrizione potrebbe essere giustificata dalla necessità di assicurare l’efficacia dei controlli fiscali, in quanto le informazioni necessarie alla concessione dell’esenzione fiscale concernenti lo statuto e le regole di funzionamento dei fondi non ricadono nell’ambito di applicazione dei meccanismi di scambio di informazioni.

8.        Dato quanto precede, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo [63 TFUE] sia applicabile nel caso in cui il giudice adito debba stabilire se, nell’ambito di un’esenzione soggettiva di portata generale, uno Stato membro possa attuare disposizioni di diritto nazionale che differenzino la situazione giuridica dei contribuenti, in modo tale che fondi di investimento con sede in uno Stato membro dell’Unione (…) fruiscano di un’esenzione dal prelievo forfettario dell’imposta in ragione dei dividendi percepiti, laddove non ne fruisca un fondo di investimento residente fiscalmente negli Stati Uniti.

2)      Se la disparità di trattamento tra i fondi di investimento con sede in uno Stato terzo e quelli con sede in uno degli Stati membri dell’Unione, prevista dal diritto nazionale ai fini dell’esenzione soggettiva in materia di imposte sui redditi, possa essere ritenuta giuridicamente fondata alla luce delle disposizioni dell’articolo [65, paragrafo 1, lettera a), TFUE, in combinato disposto con l’articolo 65, paragrafo 3, TFUE]».

9.        Osservazioni scritte sono state presentate dal ricorrente nel procedimento principale, dai governi, polacco, tedesco, spagnolo, francese, italiano e finlandese, nonché dalla Commissione europea. Tali parti interessate, ad eccezione dei governi italiano e finlandese, sono state sentite all’udienza tenutasi il 5 settembre 2013.

II – Analisi

A –    Sulla prima questione pregiudiziale relativa all’applicabilità della libera circolazione dei capitali

10.      Benché la lettera della prima questione pregiudiziale riguardi unicamente l’articolo 56 CE, emerge dalla motivazione della decisione di rinvio, come riassunta al paragrafo 6 delle presenti conclusioni, che il giudice del rinvio formula dubbi circa l’applicabilità della libera circolazione dei capitali a vantaggio della libertà di stabilimento, dato lo stretto legame fra l’esenzione fiscale dei dividendi prevista dalla legge sull’IS e le condizioni di accesso al mercato polacco dei fondi di investimento regolati dalla legge polacca relativa ai fondi d’investimento.

11.      Mentre il ricorrente nel procedimento principale, i governi tedesco ed italiano nonché la Commissione ritengono che la libera circolazione dei capitali sia certamente applicabile (3), il governo polacco sostiene che, al massimo, sarebbero pertinenti o la libertà di stabilimento o la libera prestazione dei servizi. Nell’ottica di quest’ultima libertà, e con riferimento alla sentenza Fidium Finanz (4), tale governo difende la tesi che, poiché l’offerta di azioni di società polacche da parte dei fondi di investimento costituirebbe un’attività di intermediazione finanziaria o di gestione di portafoglio di attivi, i fondi stabiliti sul territorio di paesi terzi sarebbero nell’impossibilità di fruire dell’incentivo fiscale previsto all’articolo 6, paragrafo 1, punto 10 della legge sull’IS.

12.      Da parte mia, non ritengo che possa essere ragionevolmente messa in dubbio l’applicabilità della libera circolazione dei capitali.

13.      Occorre anzitutto riferirsi in proposito all’oggetto della normativa controversa nella controversia principale la quale non concerne le condizioni di accesso dei fondi di investimento di un paese terzo al mercato di uno Stato membro, nella specie la Repubblica di Polonia, bensì disciplina il trattamento fiscale dei redditi dei suddetti fondi.

14.      Questa semplice constatazione consente già di escludere, a mio avviso l’applicabilità della libera prestazione dei servizi.

15.      Infatti, contrariamente alla situazione all’origine della sentenza Fidium Finanz, che verteva sul divieto opposto dalle autorità tedesche ad una società svizzera di concedere crediti a titolo professionale a clienti tedeschi, in quanto essa non disponeva dell’autorizzazione necessaria all’esercizio di una siffatta attività la quale, secondo la Corte, ricadeva nell’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi (5), l’esclusione dal beneficio dell’esenzione fiscale, prevista all’articolo 6, paragrafo 1, punto 10 della legge sull’IS, a svantaggio dei fondi di investimento di paesi terzi che percepiscono dividendi versati da società polacche, non ha per effetto di impedire l’accesso al mercato polacco degli operatori economici in questione.

16.      Quanto alla delimitazione fra la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali, occorre rammentare che il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere tanto nella sfera di applicazione dell’articolo 43 CE, riguardante la prima, quanto in quella dell’articolo 56 CE, relativo alla seconda (6).

17.      Inoltre la Corte ha già avuto l’occasione di dichiarare che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la cui applicazione non dipende dall’entità della partecipazione detenuta dalla società beneficiaria dei dividendi nella società distributrice, può certamente rientrare nell’ambito di applicazione sia dell’articolo 43 CE, sia dell’articolo 56 CE (7).

18.      Quanto al trattamento fiscale dei dividendi «in entrata» originari di paesi terzi, ossia dei dividendi versati da una società di un siffatto paese a favore di una persona stabilita sul territorio di uno Stato membro, la Corte, fino a poco fa, ha ritenuto che una siffatta persona non potesse avvalersi dell’articolo 56 CE, se i fatti del procedimento principale indicavano che essa deteneva delle partecipazioni che le conferivano una sicura influenza sulle decisioni della società del paese terzo interessato (8). In altri termini solo la libertà di stabilimento risultava applicabile in un tale contesto. Siffatta libertà non poteva tuttavia essere invocata dalla suddetta persona, in quanto è pacifico che il Trattato CE non contempla la sua estensione nei rapporti con i cittadini di paesi terzi (9). In pratica, il detentore di tali partecipazioni non poteva dunque invocare nessuna delle due libertà di circolazione.

19.      La Corte, nella sua formazione di Grande Sezione, ha modificato tale posizione nella citata sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation. Essa ha dichiarato che, in rapporto ad una normativa nazionale relativa al trattamento fiscale di dividendi originari di un paese terzo, la quale sia applicabile a prescindere dall’entità delle partecipazioni, una società stabilita in uno Stato membro, che percepisca dividendi di una società distributrice stabilita in un paese terzo, può, indipendentemente dalla partecipazione detenuta, invocare l’articolo 56 CE. Infatti, in una fattispecie del genere, non sussiste alcun rischio che tale società tragga indebitamente vantaggio dalla libertà di stabilimento, in quanto la normativa fiscale in questione non riguarda le condizioni di accesso al mercato di una siffatta società in un paese terzo, ma riguarda unicamente il trattamento fiscale dei dividendi scaturenti da investimenti effettuati dalla suddetta società (10).

20.      Questo nuovo approccio ha il merito di assicurare pieno effetto utile all’articolo 56 CE in contesti nei quali, secondo la giurisprudenza fino ad allora in vigore, operatori di paesi terzi i quali, per definizione, non potevano invocare la libertà di stabilimento e nei quali il rischio di aggiramento di una siffatta libertà era pertanto inesistente, risultavano privati anche della possibilità di far valere la libera circolazione dei capitali.

21.      La valutazione della Corte riportata, in sostanza, al paragrafo 19 delle presenti conclusioni, può, a mio avviso, essere estesa alla situazione dei dividendi «in uscita», ossia dei dividendi versati da una società di uno Stato membro a favore del suo azionista residente in un paese terzo, come avviene nella causa principale, a condizione che l’interpretazione dell’articolo 56 CE non possa portare a trarre indebito vantaggio dalla libertà di stabilimento.

22.      A mio avviso, un rischio del genere può essere escluso nel procedimento principale. Infatti, oltre alla circostanza, già menzionata, che le disposizioni pertinenti della legge sull’IS riguardano non le condizioni di accesso al mercato polacco degli operatori stranieri bensì il trattamento fiscale dei dividendi, è pacifico che il ricorrente nel procedimento principale si è limitato ad effettuare, nei due anni fiscali controversi, un investimento detto «di portafoglio», verosimilmente inferiore al 10% del capitale delle società distributrici polacche, il quale non gli dà la possibilità di influire sulla gestione e sul controllo delle società polacche di cui detiene partecipazioni (11).

23.      Di conseguenza, a mio avviso, l’articolo 56 CE deve essere interpretato nel senso che tale disposizione può essere invocata contro l’applicazione di una normativa fiscale di uno Stato membro, come quella oggetto della controversia principale, in forza della quale i dividendi versati da società stabilite in tale Stato membro a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo non possono beneficiare di un’esenzione fiscale.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale relativa alla compatibilità della differenza di trattamento fiscale con la libera circolazione dei capitali

1.      Sulla restrizione alla libera circolazione dei capitali

24.      Le misure vietate dall’articolo 56, paragrafo 1, CE, in quanto restrizioni ai movimenti di capitali, comprendono segnatamente quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro (12). Il divieto previsto dall’articolo 56, paragrafo 1, CE, si estende inequivocabilmente alle restrizioni alla circolazione dei capitali provenienti da paesi terzi.

25.      Nella specie, secondo la legge sull’IS, applicabile ai fatti del procedimento principale, cioè nella sua versione in vigore nel 2005 e nel 2006 e sino al gennaio 2011, i dividendi distribuiti da una società residente ad un fondo di investimento non residente stabilito in un paese terzo erano tassati, in linea di principio, all’aliquota del 19%, in applicazione di una ritenuta alla fonte, fatta salva l’applicazione di un’aliquota diversa in forza di una convenzione di prevenzione della doppia imposizione, mentre siffatti dividendi erano esentati qualora fossero versati ad un fondo di investimento residente, a condizione che un fondo siffatto soddisfacesse parimenti i requisiti imposti dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento.

26.      Tale differenza di trattamento riguardava anche i fondi di investimento stabiliti in Stati membri diversi dalla Polonia in quanto, come già indicato, solo a partire dal 1° gennaio 2011, a seguito dell’inserimento di un punto 10a all’articolo 6, paragrafo 1, della legge sull’IS, e di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione, il legislatore polacco ha esteso l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi versati ai fondi di investimento degli Stati membri dell’Unione e di altri Stati parti dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3) (in prosieguo: l’«accordo SEE») comparabili ai fondi disciplinati dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento.

27.      Di conseguenza, come giustamente fatto valere dalla Commissione, solo i fondi di investimento che sono stabiliti in Polonia e che esercitano la loro attività nel modo previsto dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento erano esenti da imposta, mentre i fondi non residenti erano sistematicamente esclusi da tale esenzione, anche qualora, come nel procedimento principale, i fondi non residenti fruiscano di una riduzione dell’aliquota di imposizione sui dividendi, in applicazione di una convenzione che previene la doppia imposizione.

28.      In altri termini solo i dividendi versati a fondi di investimento polacchi erano suscettibili di fruire dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla legge sull’IS.

29.      Una simile differenza di trattamento fiscale dei dividendi tra fondi di investimento a seconda, anzitutto, del loro luogo di residenza è idonea a dissuadere, da un lato, i fondi di investimento non residenti dall’effettuare investimenti in società stabilite in Polonia e, d’altra parte, gli investitori residenti in tale Stato membro dall’acquistare quote in fondi di investimento non residenti (13).

30.      Pertanto una siffatta normativa fiscale costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, in linea di principio contraria all’articolo 56 CE.

31.      Tale restrizione potrebbe tuttavia essere ammessa nel diritto dell’Unione se la differenza di trattamento sulla quale essa si fonda riguardi situazioni che non sono oggettivamente comparabili (14), come del resto dedotto da vari governi che hanno presentato osservazioni nella presente causa.

32.      La tesi di tali governi, a sostegno della negazione dell’esistenza di situazioni oggettivamente comparabili poggia sull’affermazione secondo la quale i fondi di investimento di paesi terzi non sarebbero soggetti alla normativa applicabile alla creazione ed al funzionamento dei fondi di investimento europeo, cioè, in particolare alla direttiva 85/611/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) (15) i cui requisiti verrebbero ripresi, in sostanza, dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento, all’osservanza della quale sarebbe subordinata la concessione dell’esenzione prevista dalla legge sull’IS.

33.      Tale argomento deve, a mio avviso, essere respinto per diversi motivi.

34.      In primo luogo, occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, la valutazione della comparabilità oggettiva delle situazioni deve essere effettuata tenendo conto dei soli criteri di distinzione stabiliti dalla normativa nazionale in questione (16).

35.      Nella specie si trattava anzitutto, al momento dei fatti nella controversia principale, del criterio della residenza in quanto nessun fondo di investimento non residente in Polonia poteva fruire dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi distribuiti, prevista dalla legge sull’IS.

36.      Di conseguenza l’argomento dei governi riportato al paragrafo 32 delle presenti conclusioni, è fondato su una premessa erronea secondo l’unico requisito che subordina l’ottenimento dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla legge sull’IS sarebbe il soddisfacimento delle condizioni contemplate dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento e concernenti la creazione ed il funzionamento dei suddetti fondi. Infatti siffatto requisito opererebbe in definitiva solo in via secondaria, esclusivamente in rapporto ai fondi di investimento stabiliti in Polonia.

37.      Parimenti ed in secondo luogo, è secondo me errato, come affermato dal giudice del rinvio là dove evoca, nelle sue questioni, il regime dei «fondi di investimento aventi sede in uno degli Stati membri dell’Unione» e come dedotto dalla maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni nella presente causa, procedere al raffronto fra due fattispecie transfrontaliere, al fine di determinare il carattere oggettivamente comparabile delle situazioni.

38.      Infatti tale approccio non tiene conto del principale criterio di distinzione considerato dalla legge sull’IS applicabile al momento dei fatti del procedimento principale, ossia, in definitiva, la residenza in Polonia dei fondi di investimento.

39.      In terzo luogo, e alla luce del criterio principale del luogo di residenza stabilito dalla legge sull’IS, occorre ricordare che la Corte ha deciso, nella citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. che la differenza di trattamento tra gli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) residenti, che beneficiano di un’esenzione fiscale per quanto riguarda i dividendi di origine nazionale da essi ricevuti, e gli OICVM non residenti (compresi quelli stabiliti in paesi terzi), che subiscono una ritenuta alla fonte su siffatti dividendi, non può essere giustificata da una differenza di situazione pertinente (17).

40.      È vero che una siffatta conclusione è stata tratta in seguito all’esame della questione se, al fine di valutare la comparabilità oggettiva delle situazioni, la situazione dei titolari di quote di OICVM dovesse anch’essa essere presa in considerazione accanto a quella dei suddetti organismi in quanto veicoli di investimento collettivo.

41.      Tuttavia la Corte ha espressamente escluso la presa in considerazione della situazione fiscale del titolare di quote ai fini della determinazione del carattere discriminatorio o meno della normativa fiscale di cui trattasi, in ragione del criterio distintivo considerato da tale normativa, ossia il luogo di residenza degli OICVM (18).

42.      Ora, come già menzionato a più riprese, il luogo di residenza dei fondi di investimento è il criterio principale stabilito dalla legge sull’IS in vigore al momento dei fatti del procedimento principale. Tale situazione è pertanto assimilabile, a mio avviso, a quella della normativa francese all’origine della citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a.

43.      Peraltro il ragionamento particolarmente articolato consacrato alla comparabilità oggettiva delle situazioni degli OICVM residenti e degli OICVM non residenti, inclusi quelli dei paesi terzi, elaborato ai punti da 24 a 44 della suddetta sentenza, non fa trasparire il minimo dubbio circa la pertinenza di una siffatta comparabilità, fondata sul motivo di ordine generale secondo cui i fondi di investimento stabiliti nei paesi terzi sarebbero retti da una disciplina delle loro attività diversa da quella applicabile agli OICVM stabiliti sul territorio dell’Unione.

44.      In definitiva, come si evince dal punto 42 della citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a., ciò conferma, anche in rapporto ad organismi stabiliti in paesi terzi (al di fuori del SEE), la corrente giurisprudenziale ormai consolidata secondo la quale, qualora uno Stato membro eserciti la sua competenza fiscale sui dividenti distribuiti a società stabilite in altri Stati membri o negli Stati terzi parti contraenti dell’accordo SEE, i non residenti beneficiari di tali dividendi si trovano in una situazione analoga a quella dei residenti per quanto riguarda il rischio di doppia imposizione economica o di imposizione a catena dei dividendi distribuiti da società residenti (19).

45.      In sostanza, come sostenuto dalla Commissione in udienza dinanzi alla Corte, tale ragionamento, nella fase della comparabilità oggettiva delle situazioni, deve essere seguito anche nella presente causa. Infatti l’asserita differenza del contesto normativo applicabile ai fondi di investimento polacchi rispetto ai loro omologhi stabiliti nei paesi terzi può essere presa in considerazione più adeguatamente nell’ambito dell’esame dei motivi di interesse generale suscettibili di giustificare la restrizione di natura fiscale.

46.      Infine, in quarto luogo, occorre rilevare che, nell’ambito del presente procedimento, non è stato avanzato alcun argomento secondo il quale l’applicazione delle disposizioni della convenzione preventiva del 1974, consentirebbe in ogni caso di compensare, secondo la giurisprudenza della Corte, la disparità di trattamento derivante dall’applicazione delle disposizioni della legge sull’IS o di quelle disposizioni della suddetta convenzione che hanno per effetto di ridurre l’aliquota della ritenuta alla fonte (20).

47.      Pertanto, in considerazione di una normativa fiscale di uno Stato membro, come la legge sull’IS, che assume come criterio principale di distinzione il luogo di residenza dei fondi di investimento il quale comporta l’applicazione o meno di una ritenuta alla fonte sui dividendi loro versati da società polacche, i fondi di investimento stabiliti in paesi terzi si trovano in una situazione oggettivamente comparabile a quella dei fondi aventi la sede sul territorio polacco.

48.      Resta dunque da accertare, come fatto valere dai governi polacco, tedesco, spagnolo e francese, se la differenza di trattamento possa rientrare nella clausola di «standstill», prevista dall’articolo 57, paragrafo 1, CE, e se sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale.

2.      Sull’applicabilità dell’articolo 57, paragrafo 1, CE

49.      Rammento che il giudice del rinvio non ha né considerato né menzionato, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, l’articolo 57, paragrafo 1, CE, e che questo solo motivo ha talvolta portato la Corte a non includere nelle sue risposte considerazioni relative all’interpretazione di tale disposizione (21).

50.      Occorre tuttavia rilevare che l’articolo 57, paragrafo 1, CE, ha cionondimeno costituito oggetto di osservazioni scritte da parte del governo polacco e della Commissione nonché di una discussione orale tra le parti interessate in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte, su domanda di quest’ultima.

51.      Benché, per motivi che verranno illustrati più tardi, ritenga che l’articolo 57, paragrafo 1, CE, non debba applicarsi nella presente causa – e che il giudice del rinvio abbia in definitiva omesso a ragione di menzionare tale disposizione nella sua domanda – mi sembrano nondimeno utili alcune considerazioni sull’applicabilità dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, in particolare poiché nel corso della discussione dinanzi alla Corte, vari governi, seguendo la posizione del governo polacco, hanno sostenuto la tesi, contraria a quella propugnata dalla Commissione, secondo la quale la legge sull’IS rientrerebbe nell’ambito di applicazione del suddetto articolo, il che implicherebbe che le restrizioni alla libera circolazione dei capitali che tale legge comporta nei confronti dei paesi terzi potrebbero essere mantenute.

52.      Ciò premesso, come è noto, l’articolo 57, paragrafo 1, CE autorizza, alle condizioni ivi elencate e nonostante il divieto delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri ed i paesi terzi sancito dall’articolo 56, paragrafo 1, CE, il mantenimento di quelle in vigore al 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali e qualora i movimenti di capitali in questione implichino «investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari».

53.      Una normativa di uno Stato membro rientrerà pertanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, se, oltre alla sua applicabilità ad un paese terzo, il che è pacifico nel caso degli Stati Uniti d’America, essa soddisfa i criteri temporale e sostanziale stabiliti da tale articolo.

54.      Quanto al primo criterio, ad eccezione del ricorrente nel procedimento principale, le parti interessate le quali si erano espresse sul punto in udienza concordano nel sostenere che esso sia, nel caso di specie, soddisfatto. La ritenuta alla fonte che interessa i dividendi versati al ricorrente nel procedimento principale sarebbe il risultato del combinato disposto della legge sull’IS, datata 15 febbraio 1992, e della convenzione preventiva del 1974, testi che sono dunque entrambi anteriori al 31 dicembre 1993.

55.      Anche se rientra, in linea di principio, nelle competenze del giudice nazionale determinare il contenuto della legislazione vigente ad una data stabilita dal diritto dell’Unione (22), come rilevato dal ricorrente nel procedimento principale e dalla Commissione nelle loro osservazioni, occorre tuttavia ricordare che l’esenzione prevista a favore dei fondi di investimento polacchi è stata introdotta solo nel 1997 (23).

56.      Ammetto che tale modifica della legge sull’IS non ha rimesso in discussione la tassazione dei dividendi versati ai fondi di investimento stabiliti nei paesi terzi.

57.      Ciò posto, non è possibile affermare che, prima del 31 dicembre 1993, esisteva una «restrizione» ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali la quale sarebbe stata mantenuta successivamente a tale data. Infatti, al 31 dicembre 1993, i dividendi versati da società polacche ad enti esteri avrebbero sopportato o la medesima ritenuta alla fonte di quelli versati ad enti stabiliti in Polonia, o un’aliquota ridotta, in applicazione di una convenzione preventiva della doppia imposizione conclusa tra la Repubblica di Polonia e lo Stato di cui trattasi. Introducendo una differenza di trattamento fiscale fra i dividendi versati dalle società polacche a seconda che i loro beneficiari risiedano o meno in Polonia, l’emendamento del 1997 alla legge sull’IS ha dunque modificato in maniera sostanziale il regime fiscale esistente al 31 dicembre 1993. Un emendamento siffatto si basa quindi su una logica diversa, ai sensi della giurisprudenza (24), da quella del diritto anteriore in vigore al 31 dicembre 1993, in quanto essa introduce una differenza di trattamento fra enti polacchi e enti non polacchi, prima sconosciuta, esentando i primi dalla ritenuta alla fonte e dai procedimenti amministrativi connessi al prelievo forfettario dell’imposta sui dividendi loro distribuiti. Tale modifica non potrebbe essere assimilata, a mio avviso, ad una normativa esistente alla data del 31 dicembre 1993.

58.      La suddetta constatazione è sufficiente per escludere l’applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, nella presente causa.

59.      Ad ogni buon fine e in ogni caso, ritengo che la normativa controversa non soddisfa il requisito sostanziale fissato dall’articolo 57, paragrafo 1, CE, cioè che i movimenti di capitali devono implicare «investimenti diretti» oppure «la prestazione di servizi finanziari».

60.      La nozione di investimenti diretti non è definita dal Trattato, come del resto nemmeno quella di movimenti di capitali.

61.      Di fronte a tale constatazione, la Corte si è sistematicamente fondata, finora, sia per l’interpretazione dell’articolo 56 CE sia per quella dell’articolo 57 CE, sulle definizioni contenute nella nomenclatura dell’allegato I della direttiva 88/361/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato CEE (25) e sulle note esplicative ad essa relative (26).

62.      Gli investimenti diretti rientrano nella rubrica I della suddetta nomenclatura e includono, al punto 2, la «[p]artecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli». Secondo le note esplicative, per investimenti diretti si intendono «[g]li investimenti di qualsiasi tipo (…) aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l’imprenditore o l’impresa a cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività economica». Tali note esplicative precisano anche, quanto al suddetto punto 2, applicabile alle società per azioni, che si ha «partecipazione con carattere di investimento diretto, quando il pacchetto di azioni in possesso (…) di qualsiasi (…) detentore, [gli] attribuisce (…) la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo».

63.      Proprio in base a tali definizioni, la Corte distingue, fra i movimenti di capitali, gli investimenti detti «diretti», sotto forma di partecipazione ad un’impresa mediante la detenzione di azioni che conferisce la possibilità di partecipare effettivamente alla sua gestione ed al suo controllo, e gli investimenti «di portafoglio» i quali implicano l’acquisto dei titoli sul mercato dei capitali effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza l’intento di esercitare un’influenza sulla gestione e sul controllo dell’impresa (27).

64.      Se questi due tipi di investimenti rientrano nella nozione di movimenti di capitali, solo gli «investimenti diretti», compreso il pagamento di dividendi che ne derivano (28), costituiscono invece l’oggetto della deroga ammessa dall’articolo 57, paragrafo 1, CE.

65.      Si potrebbe pertanto pensare di tracciare una linea di demarcazione generale tra queste due categorie di investimenti, in particolare nell’interesse della certezza del diritto.

66.      Un siffatto esercizio si dimostrerebbe però vano, in quanto esso dipende dalle circostanze proprie di ciascuna causa.

67.      È vero che nel procedimento principale la legge sull’IS si applica indistintamente al versamento dei dividendi da parte delle società polacche, a prescindere dall’entità della partecipazione detenuta nella suddetta società (29). È tuttavia pacifico che la causa verte unicamente sull’imposizione alla fonte della remunerazione di partecipazioni le quali, stando allo stesso giudice del rinvio, si limitano a riflettere degli investimenti di portafoglio.

68.      L’articolo 57, paragrafo 1, CE non dovrebbe pertanto poter essere invocato nel procedimento principale.

69.      Tale valutazione non è inficiata dai due argomenti supplementari del governo polacco avanzati in udienza dinanzi alla Corte, fondati, da un lato, su un’accezione più ampia della nozione «di investimenti diretti» adottata dalla Corte al punto 21 della sentenza VBV – Vorsorgekasse (30) e, dall’altro, sul fatto che i movimenti di capitali oggetto del procedimento principale implicherebbero, in assenza di «investimenti diretti», «la prestazione di servizi finanziari», ugualmente contemplata dall’articolo 57, paragrafo 1, CE.

70.      Quanto al primo punto, occorre rilevare che la citata sentenza VBV – Vorsorgekasse, la quale verteva unicamente sull’interpretazione dell’articolo 63 TFUE (ex articolo 56 CE), riguardava una normativa nazionale che restringeva l’acquisto, da parte di un cittadino di uno Stato membro, di quote di un fondo comune di investimento stabilito in un altro Stato membro, e non, come nel procedimento principale, l’imposizione dei dividendi versati da una società di uno Stato membro ad un fondo di investimento non residente. È vero che la Corte ha ritenuto, al punto 21 di tale sentenza, che un siffatto acquisto costituiva un «investimento diretto» e, di conseguenza, un movimento di capitali ai sensi dell’articolo 63 TFUE. Essa ha tuttavia fatto riferimento, ammetto non senza ambiguità, alla rubrica IV della nomenclatura dell’allegato I della direttiva 88/361, intitolata «Operazioni su quote di organismi di investimento collettivo», e non alla rubrica I di tale nomenclatura, concernente gli «investimenti diretti», nonché ai punti delle due sentenze precedenti (31) che dal canto loro interpretavano la suddetta rubrica I e ricordavano che l’investimento diretto è caratterizzato dalla possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di una società o al suo controllo.

71.      Mi sembra pertanto che la Corte, al punto 21 della citata sentenza VBV – Vorsorgekasse, non intendesse distinguere gli investimenti diretti dagli investimenti di portafoglio oppure estendere la portata della prima nozione, bensì, tutt’al più, precisare che l’acquisto di quote di un fondo comune di investimento costituiva un investimento rientrante nella nozione di «movimenti di capitali» ai sensi dell’articolo 63 TFUE e della nomenclatura dell’allegato I della direttiva 88/361.

72.      D’altronde, se si può tollerare una certa «fluttuazione» nell’impiego dei termini che designano le diverse categorie di movimenti di capitali che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE, in ragione della vastità di tale ambito, ciò non può accadere, per contro, nel caso degli «investimenti diretti» elencati all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 57, paragrafo 1, CE) il quale, in quanto deroga ad un regime di libertà previsto dal diritto dell’Unione, per giunta particolarmente ampio, deve essere interpretato restrittivamente (32).

73.      Il secondo argomento illustrato dal governo polacco consiste nel sostenere che, non potendo essere considerati come relativi ad «investimenti diretti», i movimenti di capitali oggetto della restrizione prevista dalla legge sull’IS implicherebbero la «prestazione di servizi finanziari», ossia di servizi forniti dal fondo di investimento ai suoi titolari di quote.

74.      Va innanzitutto rilevato che né il Trattato CE, né la giurisprudenza, né la nomenclatura dell’allegato I della direttiva 88/361 definiscono la nozione di «prestazione di servizi finanziari» in quanto le note esplicative di quest’ultima si limitano ad elencare un certo numero di operazioni finanziarie, come le operazioni in conto corrente, i depositi, i prestiti e crediti finanziari e i trasferimenti effettuati in esecuzione di contratti di assicurazione nonché a menzionare gli «istituti finanziari» che rientrano nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva come le banche, le compagnie di assicurazione, le società di investimento e gli altri enti di natura simile. Tuttavia è corretto supporre, secondo me, che tali servizi riguardano quelli resi dai suddetti istituti ai loro clienti.

75.      Ancora, dato il tenore letterale dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, l’ambito di applicazione di tale disposizione comprende unicamente le situazioni che rientrano nell’ambito della libera circolazione di capitali, le quali implichino la prestazione di servizi finanziari e non, viceversa, la prestazione di servizi finanziari che comportano movimenti di capitali. Ritengo pertanto che l’oggetto delle misure nazionali che rientrano nell’ambito dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, verta principalmente su movimenti di capitali e non su una prestazione di servizi finanziari. Se così non fosse, tali misure rientrerebbero nell’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei servizi. Ora, lo ricordo, tali disposizioni non si estendono ai rapporti con i paesi terzi.

76.      Infine, ed è senza dubbio la questione più delicata, si tratta di determinare la natura del nesso che deve intercorrere tra i movimenti di capitali di cui trattasi e la prestazione di servizi finanziari. Si pone la questione se debba ammettersi, nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, ogni restrizione dei movimenti di capitali nei confronti dei paesi terzi connessa ad una prestazione di servizi finanziari, il che avrebbe l’effetto di includervi la quasi totalità delle operazioni finanziarie, o se tale disposizione debba essere interpretata in maniera più restrittiva.

77.      Quest’ultima opzione mi sembra preferibile per due motivi. Da un lato, l’articolo 57, paragrafo 1, CE, prende in considerazione, col suo tenore letterale, i movimenti di capitali che «impliquent» (33), cioè che comportino la prestazione di servizi finanziari. Dall’altro un’interpretazione restrittiva della riserva contenuta all’articolo 57, paragrafo 1, CE, consente anche di preservare l’effetto utile della libertà erga omnes di cui all’articolo 56 CE.

78.      Nella specie, occorre rammentare che l’oggetto della legge sull’IS riguarda l’imposizione dei dividendi percepiti dai fondi di investimento situati in paesi terzi, senza che, a tal riguardo, il rapporto fra i detentori di quote di siffatto fondo e quest’ultimo abbia una qualsivoglia influenza sulla base imponibile o sull’aliquota d’imposizione. La misura nazionale non riguarda pertanto i movimenti di capitali connessi alla prestazione di servizi finanziari resa dal fondo di investimento ai suoi detentori di quote, a prescindere dal fatto che questi ultimi risiedano sul territorio di uno Stato membro o su quello di un paese terzo. Peraltro, di per sé, la partecipazione di un fondo di investimento di un paese terzo al capitale di società di uno Stato membro non comporta una prestazione di servizi finanziari.

79.      Reputo pertanto che i movimenti di capitali di cui trattasi, cioè l’acquisto delle partecipazioni realizzato dal fondo di investimento nel capitale delle società polacche che gli avevano versato i dividendi tassati in conformità della legge sull’IS, non implicano, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, la prestazione di servizi finanziari.

80.      Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dal governo polacco nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, ritengo che una restrizione alla libera circolazione dei capitali come quella di cui al procedimento principale non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 57, paragrafo 1, CE.

81.      Resta da verificare, a questo punto, se la suddetta restrizione possa essere giustificata da una ragione imperativa di interesse generale.

3.      Sul carattere giustificato della restrizione

82.      I governi che hanno depositato osservazioni nella presente causa, hanno addotto una serie di ragioni che giustificherebbero, a loro avviso, la restrizione contenuta nella legge sull’IS fra le quali, in via primaria, quella relativa alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, sottoscritta parimenti dalla Commissione. Peraltro questi stessi governi sostengono che la differenza di trattamento potrebbe essere mantenuta anche in ragione della necessità di preservare la coerenza del sistema fiscale e di assicurare una ripartizione equilibrata del potere impositivo. Il governo tedesco aggiunge che la salvaguardia degli introiti fiscali potrebbe validamente giustificare una restrizione nei confronti dei paesi terzi.

83.      Non mi sembra indispensabile esaminare uno per uno questi motivi in quanto il primo di essi potrebbe in effetti bastare, anche a mio avviso, a giustificare la restrizione controversa. Esaminerò pertanto in via principale la giustificazione fondata sulla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, mentre le altre ragioni, le quali peraltro sono assai meno convincenti, formeranno unicamente oggetto di elaborazioni in via subordinata.

a)      Sulla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali

84.      I governi che hanno partecipato al procedimento nella presente causa fanno valere che, nel caso in cui la restrizione controversa non esistesse, le autorità nazionali non potrebbero verificare presso le autorità competenti degli Stati Uniti che un fondo di investimento stabilito in tale paese esercita la propria attività in condizioni equivalenti a quelle previste dalla legge polacca relativa ai fondi di investimento, alla quale rinvia l’articolo 6, paragrafo 1, punto 10, della legge sull’IS e che trasporrebbe la direttiva 85/611. La necessità di assicurare l’efficacia dei controlli fiscali, che costituisce pacificamente un motivo imperativo di interesse generale (34), giustificherebbe pertanto il rifiuto di accordare l’esenzione fiscale controversa ai fondi di investimento la cui sede si trova negli Stati Uniti, in quanto le convenzioni fiscali che legano la Repubblica di Polonia agli Stati Uniti d’America non sono del resto di alcun aiuto per ottenere le informazioni richieste.

85.      La Commissione condivide essenzialmente tale posizione. Essa ritiene infatti che l’articolo 6, paragrafo 1, punti 10 e 10a della legge sull’IS possa essere mantenuto, in quanto l’assenza di uno strumento giuridico che consenta alle autorità fiscali polacche nonché al giudice del rinvio di esaminare il materiale probatorio e le informazioni presentate dal fondo di investimento americano per valutarne il carattere comparabile a quello di fondi stabiliti in Polonia, nell’Unione o nel SEE non consente di porlo su un piano di parità con questi ultimi.

86.      Pur con qualche sfumatura, condivido in sostanza questo argomento.

87.      È vero che, come ammesso dal governo polacco in udienza dinanzi alla Corte, i fondi di investimento dei paesi terzi sono in ogni caso esclusi dal beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla legge sull’IS, persino qualora essi siano suscettibili di soddisfare i requisiti richiesti per ottenere la suddetta esenzione.

88.      Quanto ai rapporti fra gli Stati membri dell’Unione, la Corte ha già stabilito che non può escludersi a priori che il contribuente sia in grado di produrre i pertinenti documenti probatori che consentano alle autorità tributarie dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, che egli non tenta di evitare o eludere il pagamento di imposte (35).

89.      Pertanto, in seno all’Unione, il rifiuto assoluto di uno Stato membro di accordare un vantaggio fiscale ad un contribuente non residente, vietandogli di dimostrare che quest’ultimo è in grado di soddisfare i requisiti richiesti per ottenere un siffatto vantaggio, non può, in linea di principio, essere giustificato con la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, poiché un siffatto rifiuto sarebbe sproporzionato (36).

90.      Tuttavia tale giurisprudenza, relativa alle restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione, non può essere integralmente e automaticamente trasposta ai rapporti con i paesi terzi, in quanto, secondo la Corte, l’esercizio della libertà di circolazione dei capitali con detti paesi, inclusi quelli dell’accordo SEE, si iscrive in un contesto giuridico differente (37).

91.      Al fine di evidenziare una siffatta differenza di contesto giuridico, la Corte insiste, in linea di principio, sul fatto che, mentre in seno all’Unione le autorità competenti degli Stati membri dispongono di meccanismi di assistenza reciproca, ossia la direttiva 77/799/CEE (38), i quali consentono loro, segnatamente, di verificare le informazioni sottoposte dai contribuenti non residenti al fine di fissare in maniera corretta l’imposta, tali meccanismi non si estendono, allo stato attuale, ai paesi terzi, in quanto il contesto della cooperazione con le autorità competenti di tali paesi dipende da impegni multilaterali o bilaterali (39).

92.      Nelle sue osservazioni scritte la Commissione ha suggerito di seguire tale corrente giurisprudenziale, sostenendo in sostanza che nella misura in cui, nella specie, secondo il giudice del rinvio e la sua analisi, né le disposizioni (articolo 23) della convenzione preventiva del 1974 (40), né quelle (articolo 4) della convenzione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e del Consiglio d’Europa, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1988, sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale (41), della quale gli Stati Uniti d’America sono parte contraente (42), consentirebbero di ottenere le informazioni necessarie relative alla creazione e al funzionamento dei fondi di investimento richieste dalla legge sull’IS per accordare l’esenzione richiesta, una constatazione siffatta sarebbe sufficiente per giustificare la differenza di trattamento controversa.

93.      Questo tipo di ragionamento non mi sembra tuttavia pertinente nella presente causa, come peraltro ammesso alla fine dalla Commissione in udienza.

94.      Infatti la differenza di contesto giuridico fra la cooperazione instaurata in seno all’Unione, da un lato, ed i rapporti con i paesi terzi, dall’altro, non si situa, nella specie, al livello dei meccanismi di cooperazione in materia fiscale giacché, al pari delle pattuizioni convenzionali che legano la Repubblica di Polonia e gli Stati Uniti d’America, neanche la direttiva 77/799 prevede un meccanismo di scambio di informazioni fra le autorità fiscali degli Stati membri relative alle condizioni di autorizzazione, di controllo e di funzionamento dei fondi di investimento. In altri termini, come sottolineato correttamente dal giudice del rinvio, questo tipo di informazioni, richiesto dalla legge sull’IS per accordare l’esenzione controversa, resta al di fuori dell’ambito di applicazione del meccanismo di scambio di informazioni della direttiva 77/799.

95.      Per contro, a mio avviso, la differenza di contesto giuridico si fonda essenzialmente sull’esistenza del regime istituito dalla direttiva 85/611 dal quale sono esclusi i paesi terzi.

96.      Infatti, come ricorda segnatamente il suo quarto considerando, tale direttiva istituisce norme minime comuni per quanto riguarda l’autorizzazione degli OICVM situati negli Stati membri (autorizzazione che vale per l’insieme dei suddetti Stati), il loro controllo, la loro struttura, la loro attività e le informazioni che sono tenuti a pubblicare. Quanto all’autorizzazione degli OICVM, essa non può essere accordata se la società di gestione (qualora l’organismo rivesta la forma contrattuale) o la società di investimento (qualora l’organismo rivesta la forma statutaria) non soddisfano i presupposti stabiliti dalle sezioni III e IV della suddetta direttiva, concernenti le condizioni di accesso e di esercizio di tali attività. Quanto al controllo degli OICVM, la direttiva 85/611 prevede, alla sua sezione IX, che le autorità competenti degli Stati membri, alle quali si devono attribuire tutte le competenze e tutti i poteri di controllo necessari, collaborano strettamente fra loro al fine di assolvere la loro funzione, e le assoggetta all’obbligo di comunicare tutte le informazioni richieste a tal fine. Essa indica inoltre che le sue disposizioni in materia di scambio di informazioni non ostano, a certe condizioni, tanto all’interno di uno Stato membro quanto fra gli Stati membri, alla comunicazione delle informazioni fra le autorità competenti e le autorità investite di una funzione pubblica di vigilanza nei confronti degli enti finanziari e dei mercati finanziari, gli organi che intervengono nella liquidazione, nel fallimento e in altri procedimenti analoghi nei confronti degli OICVM e delle imprese che concorrono alla loro attività, e le persone incaricate della revisione ufficiale dei conti di enti finanziari. Inoltre la direttiva 85/611 prevede, alle condizioni elencate al suo articolo 50 bis, un meccanismo di segnalazione rapido delle autorità competenti riferentesi quanto meno a tutti i fatti o decisioni tali da costituire una violazione sostanziale delle disposizioni legislative o regolamentari relative all’autorizzazione o alle condizioni di esercizio dell’attività degli OICVM o delle imprese che concorrono alla loro attività, o da pregiudicare la continuità della loro attività o di quella dell’impresa che concorre alla loro attività, o da comportare il rifiuto della certificazione dei bilanci o l’emissione di riserve.

97.      Orbene, anche ammettendo che un fondo di investimento situato in un paese terzo possa fornire una serie di informazioni che consentano alle autorità di uno Stato membro di accertare che esso è governato da regole comparabili a quelle in vigore sul territorio di quest’ultimo le quali traspongono le disposizioni della direttiva 85/611, tali autorità non possono, in assenza di un quadro comune analogo a quello applicabile in seno all’Unione, né sincerarsi della veridicità delle informazioni loro trasmesse, rivolgendosi alle autorità competenti del paese terzo in questione, né, ancora, ottenere da queste ultime informazioni relative ad eventuali cambiamenti che interessino lo statuto o la gestione del suddetto fondo di investimento. Ciò è particolarmente importante perché, in seno all’Unione, l’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 85/611, assicura la perennità dello statuto dell’OICVM retto dalle disposizioni di tale atto, imponendo agli Stati membri di vietare a siffatti organismi di trasformarsi in organismi non soggetti alla suddetta direttiva, il che non è affatto garantito nei paesi terzi.

98.      In siffatte circostanze è legittimo, a mio avviso, alla luce dei criteri presi in considerazione dalla legge sull’IS per accordare l’esenzione controversa, rifiutare siffatta esenzione a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo qualora non sussista alcun obbligo di scambio di informazioni con le autorità competenti del suddetto paese il quale sia analogo a quello che si impone nei rapporti fra gli Stati membri dell’Unione europea e gli Stati contraenti dell’accordo SEE vincolati dalle disposizioni della direttiva 85/611.

99.      Tale conclusione non mi sembra rimessa in discussione né dal fatto che solo a partire dal 1° gennaio 2011, con l’introduzione di un punto 10a all’articolo 6, paragrafo 1, della legge sull’IS, il legislatore polacco ha esteso in maniera univoca il beneficio dell’esenzione controversa agli OICVM stabiliti sul territorio di uno Stato membro dell’Unione o di uno Stato contraente dell’accordo SEE, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione, né dalla circostanza che la direttiva 85/611 tace sulla possibilità di scambio di informazioni fra le autorità competenti ai sensi di tale direttiva e le autorità fiscali di uno Stato membro.

100. Circa il primo punto, è sufficiente rilevare che, se precedentemente alla modifica della legge sull’IS, il regime differenziato applicabile agli OICVM stabiliti sul territorio di uno Stato membro dell’Unione o di uno Stato contraente del SEE poteva, come del resto ritenuto dalla Commissione, legittimamente apparire contrario alla libera circolazione dei capitali sancita dal Trattato CE, una siffatta constatazione non poteva essere estesa, a mio avviso, al trattamento differenziato dei fondi di investimento situati nei paesi terzi, a causa, giustamente, dell’assenza di un obbligo di scambio di informazioni incombente alle autorità competenti di tali paesi analogo a quello imposto alle autorità degli Stati membri e degli Stati contraenti dell’accordo SEE, vincolati dalle disposizioni della direttiva 85/611.

101. In altri termini il fatto che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali non possa giustificare una restrizione come quella dell’articolo 6, paragrafo 1, punto 10 della legge sull’IS, nei rapporti fra gli Stati membri e gli Stati contraenti dell’accordo SEE, non può significare che essa non possa essere opposta ad un fondo di investimento situato in un paese terzo.

102. Parimenti, in merito al secondo punto, il silenzio della direttiva 85/611 sullo scambio di informazioni fra le autorità competenti sulla vigilanza degli OICVM ai sensi della direttiva 85/611, e le autorità fiscali degli Stati membri, non significa che, persino in seno all’Unione, non possano essere trasmesse informazioni sufficienti a queste ultime autorità, al fine di poter accordare un vantaggio fiscale di tipo soggettivo, alla stregua dell’esenzione fiscale controversa.

103. Infatti, al fine di accordare un siffatto vantaggio, e ammettendo che le autorità fiscali di uno Stato membro non possano ottenere o verificare direttamente talune informazioni che sono state loro trasmesse sulla base di disposizioni nazionali che traspongono la direttiva 85/611, tali autorità potranno semplicemente accontentarsi della conferma, da parte delle autorità competenti, ai sensi della direttiva 85/611, del proprio Stato membro, della veridicità delle informazioni trasmesse dall’OICVM, eventualmente dopo che queste ultime autorità hanno verificato o ottenuto talune informazioni presso i loro omologhi degli altri Stati membri o degli Stati contraenti dell’accordo SEE. Per contro una siffatta possibilità non esiste nei rapporti con i paesi terzi.

104. Infine, neppure il fatto che, nella citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a., la Corte abbia respinto la giustificazione fondata sulla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali rispetto alla normativa fiscale francese, anche nei suoi rapporti con i paesi terzi, non inficia l’orientamento proposto nelle presenti conclusioni. È sufficiente ricordare sul punto che tale rigetto si fonda sulla circostanza che il governo francese non aveva prodotto elementi atti a dimostrare i motivi per i quali tale obiettivo doveva giustificare un’imposta che colpiva gli OICVM non residenti (43).

105. Dati tali elementi e avuto riguardo al diverso contesto giuridico esistente nei rapporti fra gli Stati membri e gli Stati contraenti dell’accordo SEE rispetto a quelli esistenti con i paesi terzi, ritengo che lo Stato membro di cui trattasi può fondarsi sulla necessità di preservare l’efficacia dei controlli fiscali al fine di giustificare la differenza di trattamento fiscale applicabile alla distribuzione dei dividendi a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo, figurante nella legge sull’IS.

106. Suggerisco pertanto di risolvere la seconda questione sollevata dal giudice del rinvio nel senso che gli articoli 56 CE e 58 CE non ostano all’applicazione di una normativa fiscale di uno Stato membro, come quella oggetto della causa principale, in virtù della quale non possono fruire di un’esenzione fiscale i dividendi versati da società stabilite in tale Stato membro a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo, qualora le autorità del suddetto Stato membro non siano in grado di verificare le informazioni eventualmente trasmesse dal fondo di investimento concernenti, segnatamente, la sua autorizzazione e il suo funzionamento, in assenza di un contesto giuridico e di una cooperazione amministrativa analoghe a quelle esistenti nell’Unione e nel SEE.

107. Alla luce di tale proposta, e come già sottolineato, non sarebbe strettamente necessario esaminare gli altri motivi di giustificazione addotti dai governi che hanno partecipato al presente procedimento. Pertanto, è solo per il caso in cui la Corte non aderisca alla proposta formulata che analizzerò in maniera succinta tali altri motivi.

b)      Sulla preservazione della coerenza del sistema fiscale

108. Secondo il governo polacco, l’esenzione in questione sarebbe strettamente connessa alla tassazione dei versamenti effettuati dai fondi di investimento ai partecipanti a tali fondi. La coerenza del sistema fiscale sarebbe assicurata dalla garanzia di una tassazione uniforme effettiva (reale) dei redditi di un soggetto passivo determinato, indipendentemente dallo Stato membro nel quale essi sono percepiti, e che terrebbe conto dell’importo delle imposte pagate in altri Stati membri.

109. Il governo tedesco aggiunge in sostanza che, in situazioni che coinvolgono paesi terzi, e segnatamente qualora siano interessati fondi di investimento, converrebbe allargare la nozione di coerenza fiscale e valutare congiuntamente le diverse fasi dell’imposizione, supponendo che i dividendi siano versati a detentori di quote stabiliti all’estero. Un siffatto approccio sarebbe complementare all’obiettivo consistente nel preservare la ripartizione dei poteri di imposizione, e si giustificherebbe a maggior ragione per il fatto che il sistema nazionale oggetto del procedimento principale sarebbe inteso ad assimilare gli investimenti effettuati in fondi di investimento diretti. Estendere la nozione di coerenza in maniera tale da considerare nel loro insieme le imposizioni effettuate in capo a diversi soggetti passivi, circoscrivendo tuttavia tale estensione al solo caso dei paesi terzi, consentirebbe di impedire un ricorso eccessivo a tale motivo di giustificazione.

110. Quest’argomento, sostanzialmente analogo a quello addotto dal governo francese e respinto dalla Corte nella causa sfociata nella citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a., dovrebbe, a mio avviso, seguire un identico destino.

111. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, affinché la preservazione della coerenza di un regime fiscale possa giustificare una restrizione alla libertà di circolazione, occorre che sia dimostrata l’esistenza di un nesso diretto tra l’agevolazione fiscale di cui trattasi e la compensazione della stessa con un determinato prelievo fiscale, dovendosi determinare il carattere diretto del suddetto nesso alla luce della finalità della normativa in questione (44).

112. Ora, come ciò non avveniva nel caso della normativa fiscale francese all’origine della citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a., la legge sull’IS non assoggetta l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi alla condizione che i dividendi percepiti da un fondo di investimento siano ridistribuiti da quest’ultimo e che il loro assoggettamento ad imposta in capo ai titolari di quote del suddetto fondo di investimento consenta di compensare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte (45).

113. Inoltre non vedo per quale motivo oggettivo tale interpretazione debba essere resa più flessibile o rimessa in discussione nei rapporti con i paesi terzi, come sostenuto dal governo tedesco. Del resto, tale tesi riposa sulla premessa, non dimostrata, che i detentori di quote di fondi di investimento di paesi terzi risiedano parimenti in questi paesi, o perlomeno al di fuori del territorio nazionale e comporta che la coerenza di una siffatta normativa fiscale di uno Stato membro, indipendentemente dall’obiettivo perseguito, sia subordinata in tutti i casi all’esame del regime applicabile ai detentori in parola di quote nel loro Stato di residenza fiscale. Orbene, sotto questo profilo, tale argomento comporterebbe uno snaturamento dell’esame del motivo della coerenza del regime fiscale di uno Stato membro, in quanto tale esame deve essere effettuato, in linea di principio, con riguardo ad un unico e stesso regime fiscale.

114. Di conseguenza ritengo che lo Stato membro di cui trattasi non possa invocare l’obiettivo di interesse generale fondato sulla necessità di preservare la coerenza del proprio regime fiscale.

c)      Sulla ripartizione equilibrata del potere impositivo e sulla salvaguardia delle entrate fiscali

115. Solo il governo tedesco ha invocato la necessità di preservare la ripartizione dei poteri impositivi fra la Repubblica di Polonia e gli Stati Uniti d’America, nonché la salvaguardia delle entrate fiscali, quali motivi intesi a giustificare la restrizione in questione, motivi che, a mio avviso, occorre esaminare congiuntamente, a tal punto essi sono connessi nell’argomentazione di questo governo.

116. Anche se il ragionamento del governo tedesco aderisce in sostanza alle considerazioni attinenti ad una differenza di contesto giuridico fra i rapporti in seno all’Unione europea e quelli intrattenuti dagli Stati membri con i paesi terzi e già svolte nell’ambito dell’esame della giustificazione fondata sulla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, tale governo ritiene, più in generale, che con riguardo ai movimenti di capitali da e verso i paesi terzi, le persone di cui trattasi possano invocare le regole del mercato interno solo qualora l’apertura reciproca dei mercati sia garantita in un trattato internazionale, in quanto una restrizione della sovranità fiscale di uno Stato membro attraverso la libera circolazione dei capitali comporterebbe automaticamente il trasferimento della materia imponibile verso un paese terzo.

117. Il governo tedesco aggiunge che non si applicherebbero in una situazione che coinvolge paesi terzi gli argomenti addotti dalla Corte nei casi di situazioni interne all’Unione, cioè che uno Stato membro, qualora abbia scelto di non tassare le società beneficiarie stabilite sul suo territorio in relazione a questo tipo di redditi, non può invocare la necessità di assicurare una ripartizione equilibrata del potere impositivo fra gli Stati membri al fine di giustificare l’imposizione delle società beneficiarie stabilite in un altro Stato membro, oppure che la Repubblica di Polonia non dovrebbe rinunciare al suo diritto di tassare un reddito generato da un’attività economica esercitata sul suo territorio per il fatto che i dividendi distribuiti dalle società residenti sono già stati assoggettati all’imposta in capo alle società distributrici, quali utili realizzati dalle stesse.

118. In quest’ottica il governo tedesco sostiene anche che la preservazione delle entrate fiscali nazionali dovrebbe essere riconosciuta quale motivo di giustificazione autonoma nei confronti dei paesi terzi. Infatti il mercato interno sarebbe inteso a garantire un’efficace allocazione delle risorse in seno all’Unione e vieterebbe pertanto una tassazione specifica delle situazioni transfrontaliere rispetto alle situazioni interne, al fine di preservare la neutralità fiscale all’interno del suddetto mercato. Orbene, i paesi terzi che non fanno parte di tale mercato non sono dunque tenuti ad accettare una perdita comparabile di entrate fiscali a fronte degli Stati membri. Di conseguenza la libera circolazione dei capitali non dovrebbe obbligare gli Stati membri a rinunciare alle entrate fiscali a vantaggio dei paesi terzi. Inoltre il contrappeso istituzionale costituito dal ravvicinamento delle legislazioni (articoli 114 e 115 TFUE), il quale può contribuire a coordinare, in seno al mercato interno, gli interessi fiscali dei diversi Stati membri nei confronti degli operatori di mercato, difetta ugualmente nei rapporti con i paesi terzi.

119. Siffatta posizione non mi convince.

120. In primo luogo, un’argomentazione siffatta mira, in maniera generale, a subordinare la libera circolazione dei capitali da e verso i paesi terzi all’esistenza di una condizione di reciprocità, occorre constatare che il Trattato CE (nonché, ormai, il Trattato FUE) non prevede un siffatto requisito. Tale constatazione è stata peraltro esplicitamente ricordata, in termini generali, dalla Corte ai punti 127 e 128 della citata sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen.

121. Inoltre il Trattato CE (ormai il Trattato FUE) prende in considerazione l’adozione di diverse misure a livello dell’Unione, come quelle previste all’articolo 57, paragrafo 3, CE e all’articolo 59 CE le quali si applicano specificatamente ai movimenti di capitali da o verso paesi terzi, e che sono state espressamente instaurate al fine di riflettere la volontà delle Alte Parti contraenti di inquadrare tale libertà, autorizzando il ricorso a misure che costituiscono un regresso nel diritto dell’Unione per quanto riguarda la liberalizzazione di tali movimenti nei rapporti con i paesi terzi o a misure temporanee di salvaguardia (46).

122. L’esistenza stessa di tali disposizioni, le quali limitano specificamente e in maniera esaustiva la libera circolazione dei capitali nei confronti dei paesi terzi, sancita dall’articolo 56 CE, dimostra parimenti che quest’ultima non può essere assoggettata ad una condizione supplementare di reciprocità, non prevista nel Trattato CE.

123. In secondo luogo, occorre rilevare che, nella citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a., la Corte, richiamandosi ad una giurisprudenza ormai consolidata, ha deciso che uno Stato membro, allorché ha scelto di non assoggettare ad imposta gli OICVM residenti beneficiari di dividendi di origine nazionale, non può invocare la necessità di garantire una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri per giustificare l’assoggettamento ad imposta degli OICVM non residenti beneficiari di tali redditi (47). Infatti, qualora uno Stato membro decida, in maniera unilaterale, segnatamente al fine di prevenire la doppia imposizione economica, di rinunciare ad esercitare la propria competenza fiscale nei confronti di redditi percepiti dai suoi residenti in relazione ad attività realizzate sul suo territorio, non è coerente che esso invochi la necessità di assicurare una ripartizione equilibrata del potere impositivo per giustificare, in circostanze identiche, l’esercizio di questa stessa competenza unicamente nei confronti dei redditi percepiti da non residenti.

124. Fatta salva la questione della riduzione delle entrate fiscali, invocata del resto dal governo tedesco e che esaminerò immediatamente qui di seguito, non vedo come siffatta assenza di coerenza di un argomento addotto da uno Stato membro nei confronti di altri Stati membri divenga per contro coerente laddove venga avanzato nei confronti dei paesi terzi. Poiché il governo tedesco non si è espresso sul punto, non ritengo che spetti alla Corte dedicarvi più tempo.

125. Infine, quanto alla riduzione delle entrate fiscali, è vero che la Corte ha già dichiarato che non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una restrizione dei movimenti di capitali a destinazione di Stati terzi o in provenienza da essi sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non potrebbe costituire una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri (48).

126. Finora la Corte si è rifiutata di ammettere, anche nei rapporti con i paesi terzi diversi dagli Stati contraenti dell’accordo SEE, che la riduzione delle entrate fiscali possa costituire un motivo imperativo di interesse generale invocabile per giustificare una misura restrittiva della libera circolazione dei capitali (49).

127. Non credo che tale approccio debba essere invalidato. Non solo le società polacche continuano ad essere assoggettate all’imposta sugli utili, ma, a lungo termine, lo Stato membro di cui trattasi, al fine di assicurare un trattamento non discriminatorio dell’insieme dei fondi di investimento che beneficiano dei dividendi loro distribuiti, da un lato, e di evitare la riduzione delle entrate fiscali, dall’altro, può perfettamente rinunciare a prevenire la doppia imposizione, in quanto il diritto dell’Unione non lo obbliga, finora, ad adottare o a mantenere misure intese ad eliminare le situazioni di doppia imposizione (50).

128. Ritengo dunque che la restrizione in questione non possa essere giustificata dalla necessità di salvaguardare una ripartizione equilibrata del potere impositivo e le entrate fiscali dello Stato membro di cui trattasi.

129. Avuto riguardo alla soluzione che suggerisco di fornire alla seconda questione sollevata dal giudice del rinvio, la quale consiste, in sostanza, nel giustificare la restrizione in questione alla luce della necessità di preservare l’efficacia dei controlli fiscali, non occorre pronunciarsi sulla domanda subordinata del governo polacco di limitare gli effetti nel tempo dell’emananda sentenza.

III – Conclusione

130. Alla luce di tutte le considerazioni svolte, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali proposte dal Wojewódzki Sąd Administracyjny w Bydgoszczy:

«1)      l’articolo 56 CE deve essere interpretato nel senso che tale disposizione può essere invocata nei confronti dell’applicazione di una normativa fiscale di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, in forza della quale i dividendi versati da società stabilite in tale Stato membro a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo non possono beneficiare di un’esenzione fiscale.

2)      Gli articoli 56 CE e 58 CE non ostano all’applicazione di una normativa fiscale di uno Stato membro, come quella oggetto della causa principale in virtù della quale non possono beneficiare di un’esenzione fiscale i dividendi versati da società stabilite in tale Stato membro a favore di un fondo di investimento situato in un paese terzo, qualora le autorità di tale Stato membro non siano in grado di verificare le informazioni eventualmente trasmesse dal fondo di investimento, concernenti, segnatamente, la sua autorizzazione e il suo funzionamento, in assenza di un contesto giuridico e di una cooperazione amministrativa analoghe a quelle esistenti nell’Unione europea e nello Spazio economico europeo».


1 –      Lingua originale: il francese.


2 – Occorre osservare che, a seguito dell’adozione della legge del 25 novembre 2010, entrata in vigore il 1° gennaio 2011, i fondi di investimento situati in uno Stato membro dell’Unione europea o in un altro Stato dello Spazio economico europeo (SEE) beneficiano parimenti dell’esenzione se soddisfano i requisiti elencati all’articolo 6, paragrafo 1, punto 10a, della legge sull’IS.


3 – Si osservi che i governi spagnolo, francese e finlandese non hanno preso esplicitamente posizione sulla prima questione, ma si sono limitati a rispondere alla seconda questione dal punto di vista della libera circolazione dei capitali.


4 – Sentenza del 3 ottobre 2006 (C-452/04, Racc. pag. I-9521).


5 – Sentenza Fidium Finanz, cit. (punti 2 e da 45 a 47). Ovviamente la Corte ha escluso che la società di diritto svizzero possa invocare la libera prestazione dei servizi in quanto persona giuridica stabilita in un paese terzo.


6 – V., in tal senso, sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, Racc. pag. I-305, punto 33); del 15 settembre 2011, Accor (C-310/09, Racc. pag. I-8115, punto 30), nonché del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, punto 89).


7 – V., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, Racc. pag. I-11753, punto 36); del 26 giugno 2008, Burda (C-284/06, Racc. pag. I-4571, punto 71), nonché ordinanza del 4 giugno 2009, KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer (C-439/07 e C-499/07, Racc. pag. I-4409, punto 69).


8 – V., segnatamente, certamente in maniera un po’ ambigua, sentenza del 24 maggio 2007, Holböck (C-157/05, Racc. pag. I-4051, punti da 23 a 29) nonché ordinanza KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer, cit. (punti 70 e 71). V. parimenti, in relazione al trattamento fiscale di una successione fra due cittadini tedeschi che comprendeva la trasmissione di una partecipazione del 100% del capitale sociale di una società situata in Canada, sentenza del 19 luglio 2012, Scheunemann (C-31/11, punti da 31 a 34).


9 – V., in tal senso, citate sentenze Holböck, punto 28, e del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (punto 97).


10 – V., in tal senso, citata sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, (punti 99 e 100).


11 – V., segnatamente, sulla distinzione fra investimenti diretti e investimenti di portafoglio, sentenza del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C-182/08, Racc. pag. I-8591, punto 40 e giurisprudenza citata). A titolo informativo l’applicazione al caso di specie del tasso del 15% dell’importo netto dei dividenti risulta dall’articolo 11, paragrafo 2, lettera b), della convenzione sulla prevenzione della doppia imposizione conclusa fra gli Stati Uniti e la Polonia, disposizione applicabile in casi diversi da quello in cui l’investitore detiene almeno il 10% del capitale della società distributrice polacca.


12 – V., in tal senso, sentenze Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 50, e del 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e a. (da C-338/11 a C-347/11, punto 15).


13 – V., in tal senso, citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punto 17).


14 – V., segnatamente, sentenze del 10 febbraio 2011, Missionswerk Werner Heukelbach (C-25/10, Racc. pag. I-497, punto 29), nonché Santander Asset Management SGIIC e a., cit., punto 23.


15  GU L 375, pag. 3. Occorre notare che, con effetto a partire dal 1° luglio 2011, tale direttiva è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) (GU L 302, pag. 32).


16 – V. sentenze Santander Asset Management SGIIC e a., cit., punti 27 e 28 e giurisprudenza citata, nonché del 25 ottobre 2012, Commissione/Belgio (C-387/11, punto 65).


17 – Punti 44 e 16. Quanto ai paesi terzi, si trattava, nella specie, di OICVM stabiliti negli Stati Uniti, come si evince dal punto 6 della suddetta sentenza.


18 – Citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punti 39 e 41). Come dichiarato dalla Corte al punto 40, la situazione all’origine della stessa si differenziava dunque da quella all’origine della sentenza del 20 maggio 2008, Orange Europe Smallcap Fund (C-194/06, Racc. pag. I-3747) la quale riguardava una normativa fiscale che subordinava l’esenzione fiscale in capo agli OICVM alla condizione che la totalità degli utili di tali organismi fosse distribuita ai loro detentori di quote.


19 – V., segnatamente, sentenze del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C-303/07, Racc. pag. I-5145, punti 43 e 44); del 19 novembre 2009, Commissione/Italia (C-540/07, Racc. pag. I-10983, punti 53 e 54); del 3 giugno 2010, Commissione/Spagna (C-487/08, Racc. pag. I-4843, punto 53) nonché del 20 ottobre 2011, Commissione/Germania (C-284/09, Racc. pag. I-9879, punto 58).


20 – V., in particolare, in tal senso, citate sentenze Commissione/Italia (punto 39), e Commissione/Germania (punto 70).


21 – V., in tal senso, citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punto 54).


22 – V., in tal senso, citata sentenza Holböck (punto 40).


23 – V. punto 6 delle osservazioni scritte della Commissione, reiterate in udienza. Il punto 10 dell’articolo 6, paragrafo 1, della legge sull’IS è stato introdotto dalla legge del 28 agosto 1997.


24 – V., segnatamente, sentenze Holböck, cit., punto 41; del 18 dicembre 2007, A (C-101/05, Racc. pag. I-11531, punto 49), nonché dell’11 febbraio 2010, Fokus Invest (C-541/08, Racc. pag. I-1025, punto 42).


25 – GU L 178, pag. 5. Il suddetto articolo è stato abrogato dal Trattato di Amsterdam.


26 – V., segnatamente, citata sentenza Holböck (punto 34 e giurisprudenza citata).


27 – V., al riguardo, segnatamente, citate sentenze Orange Europe Smallcap Fund (punti da 98 a 102) e Glaxo Wellcome (punto 40 e giurisprudenza citata); v. parimenti, sentenza del 10 novembre 2011, Commissione/Portogallo (C-212/09, Racc. pag. I-10889, punto 47).


28 – V., segnatamente, citata sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation, (punto 103 e giurisprudenza citata).


29 – A titolo informativo rammento che, nella citata sentenza Holböck, la Corte ha ammesso che l’articolo 57, paragrafo 1, CE era suscettibile di comprendere le restrizioni alla libera circolazione dei capitali contenute in una normativa indistintamente applicabile agli Stati membri e ai paesi terzi, e che riguardava il versamento di dividendi. La causa all’origine della suddetta sentenza si riferiva tuttavia a partecipazioni fra l’azionista e la società interessata le quali consentivano a quest’ultimo di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo.


30 – Sentenza del 7 giugno 2012 (C-39/11).


31 – Cioè, rispettivamente, il punto 37 della sentenza del 4 giugno 2002, Commissione/Francia (C-483/99, Racc. pag. I-4781), e il punto 38, di identico tenore, della sentenza dello stesso giorno, Commissione/Belgio (C-503/99, Racc. pag. I-4809).


32 – V., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2013, Welte (C-181/12, punto 29) nonché il paragrafo 51 delle mie conclusioni presentate il 12 giugno 2013 all’origine di tale sentenza.


33 – Se talune versioni di tale articolo, come quella in lingua tedesca e polacca, sembrano piuttosto neutre, le versioni in lingua spagnola («supongan»), inglese («involving»), italiana («implichino») e portoghese («envolva») mi sembrano confermare un certo nesso causale fra il movimento di capitale in questione e la prestazione di servizi finanziari. Le versioni dette «neutre» non ostano, in ogni caso, ad un’interpretazione restrittiva dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, in ragione della necessità di preservare l’effetto utile della libertà sancita all’articolo 56 CE.


34 – V., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo (C-493/09, Racc. pag. I-9247, punto 42 e giurisprudenza citata).


35 – V., segnatamente, citate sentenze A (punto 59), e del 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo (punto 46).


36 – V., in tal senso, segnatamente, citata sentenza del 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo, (punto 46).


37 – V., in tal senso, citate sentenze A (punto 60), nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (punto 65).


38 – Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e di imposte sui premi assicurativi (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva 2004/106/CE del Consiglio, del 16 novembre 2004 (GU L 359, pag. 30) (in prosieguo: la «direttiva 77/799»), nella sua versione applicabile al momento degli esercizi fiscali controversi nel procedimento principale.


39 – V., in tal senso, segnatamente, citate sentenze Commissione/Italia (punti 70 e 71), nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (punti 66 e 67).


40 – L’articolo 23 di tale convenzione stabilisce segnatamente che le autorità competenti procedono allo scambio delle informazioni necessarie alla realizzazione delle disposizioni della convenzione o alla prevenzione delle frodi o, ancora, alla gestione dell’esecuzione delle disposizioni principali concernenti le imposte alle quali si applica la convenzione, a condizione che il carattere delle informazioni consenta la loro trasmissione in conformità del diritto e della prassi amministrativa di ciascuno Stato contraente nei confronti delle proprie imposte.


41 – Questa convenzione è entrata in vigore il 1° aprile 1995. Ai sensi del suo articolo 4, le Parti Contraenti si scambiano le informazioni che appaiono rilevanti per procedere, segnatamente, all’accertamento e alla riscossione delle imposte, al recupero dei crediti tributari o alle relative misure di esecuzione. Il testo della convenzione è accessibile sul sito http://conventions.coe.int.


42 – Gli Stati Uniti d’America hanno firmato tale convenzione il 26 agosto 1989 e l’hanno ratificata il 13 febbraio 1991.


43 – V. citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punto 54).


44 – V. citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punto 51 e giurisprudenza citata).


45 – V., per analogia, citata sentenza Santander Asset Management SGIIC e a. (punto 52). V. parimenti, in tal senso, citata sentenza del 6 ottobre 2011, Commissione/Portogallo (punti da 37 a 39).


46 – Quest’interpretazione viene confermata anche dal tenore dell’articolo 57, paragrafo 1, CE, il quale, contrariamente all’articolo 7, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 88/361, al quale è subentrato, non subordina il mantenimento delle disposizioni nazionali interessate nei confronti dei paesi terzi a «delle eventuali condizioni di reciprocità».


47 – Punto 48 e giurisprudenza citata.


48 – V., segnatamente, citata sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (punto 120 e giurisprudenza citata).


49 – Ibidem (punti 125 e 126).


50 – V., in tal senso, segnatamente, sentenze del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C-298/05, Racc. pag. I-10451, punto 45), e dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C-157/10, Racc. pag I-13023, punto 31). V. anche ordinanza del 19 settembre 2012, Levy e Sebbag (C-540/11, punti da 24 a 29).