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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate l’11 settembre 2014 (1)

Cause riunite C-131/13, C-163/13 e C-164/13

Staatssecretaris van Financiën (C-131/13)

contro

Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti vof

e

Turbu.com BV (C-163/13),

Turbu.com Mobile Phone’s BV (C-164/13)

contro

Staatssecretaris van Financiën

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi)]

«IVA – Regime transitorio degli scambi tra gli Stati membri – Beni spediti o trasportati all’interno dell’Unione europea – Frode commessa nello Stato membro d’arrivo – Presa in considerazione della frode nello Stato membro di spedizione – Esenzione»





 Introduzione

1.        Secondo un recente studio, condotto su iniziativa della Commissione europea, la perdita di entrate provenienti dall’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») ammontava, nel 2011, negli Stati membri, a EUR 193 miliardi, importo costituente il 18% delle entrate dovute e l’1,5% del prodotto interno lordo (PIL) (2). Se è vero che tale perdita è dovuta a molteplici ragioni, l’evasione è comunque una delle principali. Non deve stupire quindi il fatto che la lotta all’evasione dell’IVA divenga una preoccupazione particolarmente pressante per le amministrazioni e per i giudici nazionali. Da un po’ di tempo, tale questione assume una rilevanza sempre maggiore anche nella giurisprudenza della Corte.

2.        Il regime di tassazione degli scambi intracomunitari costituisce un terreno particolarmente propizio per l’evasione, il cui modus operandi consiste nell’utilizzare i meccanismi dell’IVA per conseguire benefici indebiti sotto forma di detrazioni, esenzioni e rimborsi dell’imposta. Sempre di recente, varie sentenze della Corte hanno affrontato il problema in parola. Le cause riunite in esame offrono l’opportunità di sviluppare e di integrare tale giurisprudenza. Infatti, lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte di cassazione dei Paesi Bassi) chiede chiarimenti riguardo alla portata delle competenze e degli obblighi delle autorità e dei giudici degli Stati membri a fronte di questo tipo di frode, e ciò in mancanza di disposizioni espresse, riguardanti tali competenze e obblighi, nell’ambito del diritto nazionale.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

3.        Il diritto a detrazione dell’imposta versata a monte è uno dei principali meccanismi di funzionamento dell’IVA. All’epoca dei fatti nei procedimenti principali, tale diritto era stabilito all’articolo 17 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (3), come modificata dalla direttiva 95/7/CE del Consiglio, del 10 aprile 1995 (4) (in prosieguo: la «sesta direttiva»), nella versione risultante dall’articolo 28 septies della medesima direttiva. I paragrafi 2, lettere c) e d), e 3, lettera b), di detto articolo sono così formulati:

«2.      Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a [detrarre] dall’imposta di cui è debitore:

a)      l’[IVA] dovuta o assolta all’interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;

(…)

d)      l’[IVA] dovuta a sensi dell’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera a).

3.      Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la [detrazione] o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:

(…)

b)      di sue operazioni esenti ai sensi (…) [dell’]articolo 28 quater, part[e] A (…)».

4.        Il regime applicabile alle cessioni di beni tra soggetti passivi dei diversi Stati membri si fonda sul principio dell’esenzione nello Stato membro della cessione (denominata, quindi, cessione intracomunitaria), con mantenimento del diritto a detrazione dell’imposta a monte, e dell’imposizione nello Stato membro dell’acquisto (denominato acquisto intracomunitario) secondo l’aliquota in vigore in tale Stato. Questo tipo di esenzione viene talvolta qualificato come «imposizione con aliquota dello 0%». Occorre distinguerlo dall’esenzione «classica» che non dà diritto a detrazione. Quest’ultimo tipo di esenzione comporta la sottrazione dell’operazione dall’ambito di applicazione del regime dell’IVA. Diversamente accade nel caso dell’esenzione nelle cessioni intracomunitarie, che si limita a spostare la competenza fiscale dallo Stato membro di cessione allo Stato membro di acquisto, continuando, al contempo, ad assoggettare l’operazione al regime dell’IVA. Solo in tale contesto è possibile parlare di un «diritto all’esenzione». Peraltro, dato che l’acquisto intracomunitario dà immediatamente diritto a detrazione, l’importo dell’imposta dovuta per tale acquisto è nullo (auto liquidazione dell’imposta). L’acquirente sarà debitore dell’imposta fatturata in occasione di tale cessione solo dopo aver effettuato una cessione, oggetto di imposta a valle. Tali regole risultano, in particolare, dagli articoli 28 bis, 28 ter e 28 quater della sesta direttiva.

5.        Pertanto, l’articolo 28 bis della sesta direttiva così dispone:

«1.      Sono parimenti soggetti all’IVA:

a)      gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale, che non beneficia della franchigia d’imposta prevista dall’articolo 24 e che non rientra nelle disposizioni previste all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, o all’articolo 28 ter, [parte] B, paragrafo 1.

(…)

3.      È considerata “acquisto intracomunitario di un bene”, l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto del bene.

(...)».

6.        Ai sensi dell’articolo 28 ter, parte A, della medesima direttiva:

«1.      È considerato luogo d’acquisto intracomunitario di beni il luogo in cui questi si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente.

2.      Fatto salvo il paragrafo 1, il luogo di acquisto intracomunitario dei beni di cui all’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera a), si considera tuttavia situato nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di registrazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto, a meno che l’acquirente comprovi che tale acquisto è stato sottoposto all’imposta conformemente al paragrafo 1.

Se tuttavia l’acquisto è soggetto, in applicazione del paragrafo 1, all’imposta nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni dopo essere stato sottoposto all’imposta in applicazione del primo comma, la base imponibile è ridotta in misura adeguata nello Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto.

Ai fini del primo comma, si considera che l’acquisto intracomunitario di beni sia stato assoggettato all’imposta conformemente al paragrafo 1 qualora siano soddisfatte le condizioni seguenti:

–        l’acquirente dimostri di avere effettuato tale acquisto intracomunitario per le esigenze di una successiva cessione che sia effettuata all’interno dello Stato membro di cui al paragrafo 1 e per cui il destinatario sia stato designato come debitore dell’imposta conformemente all’articolo 28 quater, parte E, paragrafo 3,

–        l’acquirente abbia soddisfatto gli obblighi di dichiarazione previsti dall’articolo 22, paragrafo 6, lettera b), ultimo comma».

7.        L’articolo 28 quater, parte A, lettera a), primo comma, della direttiva in parola prevede quanto segue:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:

a)      le cessioni di beni, ai sensi dell’articolo 5, spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».

 Il diritto olandese

8.        Le disposizioni summenzionate della sesta direttiva sono state trasposte nel diritto olandese agli articoli 9, 15, 17 ter e 30 della legge relativa all’imposta sul fatturato (wet op de omzetbelasting), del 28 giugno 1968 (5).

9.        Secondo il giudice del rinvio, il diritto olandese non contiene alcuna disposizione espressa che subordini il diritto a detrazione, esenzione o rimborso dell’imposta alla condizione che l’operazione non rientri in una frode fiscale di cui il soggetto passivo aveva o avrebbe dovuto avere conoscenza.

 Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e svolgimento del procedimento

 La causa C-131/13

10.      La Schoenimport «Italmoda» Mariano Previti vof (in prosieguo: l’«Italmoda»), società di diritto olandese, esercita la sua attività nel settore del commercio delle calzature. All’epoca dei fatti nel procedimento principale, vale a dire tra il 1999 e il 2000, essa ha effettuato anche operazioni riguardanti materiale informatico. Detto materiale, acquistato dall’Italmoda nei Pesi Bassi e in Germania, è stato venduto e consegnato a clienti soggetti ad IVA in Italia. Per quanto riguarda i beni provenienti dalla Germania, essi venivano acquistati dall’Italmoda con il numero di partita IVA olandese (acquisto soggetto all’IVA dello Stato che ha attribuito il numero di identificazione ai sensi dell’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva), ma trasportati direttamente dalla Germania in Italia.

11.      Per quanto riguarda i beni acquistati nei Paesi Bassi, l’Italmoda ha provveduto a effettuare tutte le dichiarazioni necessarie e ha detratto l’imposta a monte sulle sue dichiarazioni IVA. Per quanto attiene, invece, ai beni provenienti dalla Germania, l’Italmoda non ha dichiarato né la cessione intracomunitaria nel suddetto Stato membro né l’acquisto intracomunitario nei Paesi Bassi, benché tale operazione fosse stata esentata in Germania. In Italia, nessuno di tali acquisti intracomunitari è stato dichiarato dagli acquirenti e l’IVA non è stata versata. Le autorità fiscali italiane hanno provveduto alla riscossione dell’imposta dovuta e hanno negato il diritto a detrazione ai suddetti acquirenti.

12.      Le autorità fiscali olandesi, ritenendo che l’Italmoda avesse partecipato consapevolmente a una frode destinata a evadere l’IVA in Italia, le hanno negato il diritto all’esenzione per cessioni intracomunitarie destinate a tale Stato membro, il diritto a detrazione dell’imposta a monte nonché il diritto al rimborso dell’imposta versata per merci provenienti dalla Germania e hanno quindi emesso tre avvisi di rettifica a carico dell’Italmoda. Il ricorso proposto dall’Italmoda contro tali avvisi è stato accolto in primo grado dal Rechtbank te Haarlem che ha dato incarico alle autorità fiscali di pronunciarsi nuovamente. Ciononostante, l’Italmoda ha proposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Gerechtshof te Amsterdam. Quest’ultimo, nella sentenza del 12 maggio 2011, ha annullato la sentenza del Rechtbank te Haarlem nonché gli avvisi di rettifica.

13.      Lo Staatssecretaris van Financiën ha adito il giudice del rinvio con un ricorso per cassazione avverso tale sentenza. È in tali circostanze che lo Hoge Raad der Nederlanden ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le autorità nazionali amministrative e giurisdizionali debbano negare, in forza del diritto dell’Unione, l’esenzione dall’IVA in caso di cessione intracomunitaria, o il diritto alla detrazione dell’IVA in caso di acquisto di beni che, dopo l’acquisto, sono spediti in un altro Stato membro, o infine il rimborso dell’IVA derivante dall’applicazione dell’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, seconda frase, della sesta direttiva, allorché, sulla base di dati oggettivi, è accertato che riguardo a tali beni è stata evasa l’IVA e il soggetto passivo sapeva, o avrebbe dovuto sapere, di partecipare all’evasione, qualora il diritto nazionale non abbia previsto, in siffatte circostanze, la possibilità di negare l’esenzione, la detrazione o il rimborso.

2)      Nel caso in cui si debba rispondere alla prima questione in senso affermativo, se l’esenzione, la detrazione o il rimborso summenzionati debbano essere negati anche se l’evasione dell’IVA ha avuto luogo in uno Stato membro diverso (da quello di spedizione dei beni) e il soggetto passivo era consapevole di detta evasione o avrebbe dovuto esserlo, mentre tale soggetto passivo, nello Stato membro di spedizione, ha soddisfatto tutte le condizioni (formali) imposte dalla normativa nazionale per poter invocare l’esenzione, la detrazione o il rimborso, ed egli ha sempre fornito, in tale Stato membro, tutti i dati necessari relativi ai beni, alla spedizione e agli acquirenti stabiliti nello Stato membro di destinazione.

3)      Nel caso in cui si debba rispondere alla prima questione in senso negativo, cosa si debba intendere all’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, prima frase, della sesta direttiva per “sottoposto all’imposta”: il fatto di denunciare, con documenti giustificativi a sostegno, nella dichiarazione IVA prescritta dalla legge, l’IVA dovuta, in caso di acquisto intracomunitario, nello Stato membro di destinazione o, in mancanza di detta denuncia, il fatto che le autorità fiscali dello Stato membro di destinazione adottino provvedimenti utili al fine di regolarizzare tale mancanza. Se ai fini della risposta a tale questione sia rilevante il fatto che l’operazione di cui trattasi faccia parte di una serie di operazioni volte ad evadere l’IVA nel paese di destinazione e il soggetto passivo ne sia consapevole o avrebbe dovuto esserlo».

 La causa C-163/13

14.      La Turbu.com BV (in prosieguo: la «Turbu.com»), società di diritto olandese, esercita un’attività di commercio all’ingrosso di materiale informatico e di telecomunicazioni, nonché di programmi informatici. Durante il periodo compreso tra l’agosto e il dicembre 2001, la Turbu.com ha effettuato varie cessioni intracomunitarie di telefoni cellulari, applicando l’esenzione prevista e detraendo l’imposta a monte. In seguito a un’indagine dei servizi di investigazione tributaria, l’amministratore delegato della Turbu.com è stato condannato penalmente, nel 2005, per falso in bilancio e deposito di una dichiarazione fiscale incompleta e inesatta.

15.      In occasione di tale indagine, le autorità fiscali hanno ritenuto che l’esenzione applicata dalla Turbu.com alle suddette cessioni non fosse corretta e le hanno inviato un avviso di rettifica. In seguito ai ricorsi proposti dalla società interessata, tale avviso è stato confermato in primo grado dal Rechtbank te Breda, successivamente, in appello, dal Gerechtshof te ’s-Hertogenbosch, nella sentenza del 25 febbraio 2011.

16.      La Turbu.com ha adito il giudice del rinvio con un ricorso per cassazione avverso tale sentenza. È in tali circostanze che lo Hoge Raad der Nederlanden ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione europea imponga alle autorità nazionali amministrative e giurisdizionali di negare il beneficio dell’esenzione dall’IVA a favore di una cessione intracomunitaria, quando elementi oggettivi consentono di dimostrare che è stata evasa l’IVA in occasione di una fornitura di beni e il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a tale operazione, qualora la legge nazionale non preveda di privarlo del beneficio dell’esenzione in circostanze analoghe».

 La causa C-164/13

17.      La Turbu.com Mobile Phone’s BV (in prosieguo: la «TMP»), società di diritto olandese, esercita la sua attività nel settore del commercio dei telefoni cellulari. Nel luglio 2003, essa ha effettuato cessioni intracomunitarie di telefoni cellulari, applicando l’esenzione prevista e chiedendo il rimborso dell’imposta versata a monte per l’acquisto degli stessi telefoni da imprese con sede nel territorio olandese. Le autorità fiscali olandesi, dopo aver accertato varie irregolarità nelle dichiarazioni della TMP sia riguardo alle operazioni a monte sia riguardo alle suddette cessioni intracomunitarie, hanno negato il rimborso. Tale decisione è stata annullata dal Rechtbank te Breda, la cui sentenza è stata a sua volta annullata dal Gerechtshof te ’s-Hertogenbosch nella sentenza del 25 febbraio 2011.

18.      La TMP ha adito il giudice del rinvio con un ricorso per cassazione avverso tale sentenza. È in tali circostanze che lo Hoge Raad der Nederlanden ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione europea imponga alle autorità nazionali amministrative e giurisdizionali di negare il beneficio del diritto a detrazione, quando elementi oggettivi dimostrano che è stata evasa l’IVA in occasione di una fornitura di beni e il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere di aver partecipato a tale operazione, qualora la legge nazionale non preveda la decadenza da tale diritto in circostanze analoghe».

 Il procedimento dinanzi alla Corte

19.      Le domande di pronuncia pregiudiziale sono state depositate nella cancelleria della Corte, rispettivamente, il 18 marzo (C-131/13) e il 2 aprile 2013 (C-163/13 e C-164/13). Le tre cause sono state riunite ai fini delle fasi, scritta e orale, del procedimento e della sentenza con decisione del presidente della Corte del 25 aprile 2013. Osservazioni scritte sono state depositate dall’Italmoda, dalla Turbu.com e dalla TMP, dai governi dei Paesi Bassi e del Regno Unito nonché dalla Commissione. L’Italmoda, la Turbu.com, la TMP, i governi olandese, italiano e del Regno Unito nonché la Commissione sono comparsi all’udienza del 5 giugno 2014.

 Valutazione

 Sulla ricevibilità

 Sulla prima questione nella causa C-131/13

20.      L’Italmoda rimette in discussione la ricevibilità della prima questione nella causa C-131/13, in quanto si tratterebbe, a suo avviso, di una questione di diritto nazionale.

21.      È pacifico che l’interpretazione e l’applicazione del diritto nazionale spettano ai giudici nazionali. Tuttavia, la questione del giudice del rinvio riguarda la portata delle competenze e degli obblighi derivanti, per le autorità amministrative e i giudici degli Stati membri, dalle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di detrazione, esenzione e rimborso dell’IVA. L’affermazione dell’Italmoda è quindi infondata.

 Sulla seconda questione nella causa C-131/13

22.      La Commissione rimette in discussione la ricevibilità della seconda questione nella causa C-131/13. A suo avviso, tale questione si fonda sull’ipotesi secondo la quale il soggetto passivo ha adempiuto correttamente tutti gli obblighi di informazione cui era tenuto nei confronti delle autorità fiscali nello Stato membro della cessione, ipotesi che non ricorrerebbe nel procedimento principale.

23.      Tuttavia, come dimostrerò in prosieguo, in caso di frode concernente l’IVA nell’ambito di cessioni intracomunitarie, il fatto che il soggetto passivo coinvolto in tale frode abbia adempiuto correttamente tutti i suoi obblighi nello Stato membro della cessione non è necessariamente rilevante ai fini della valutazione del suo diritto a detrazione, all’esenzione o al rimborso di detta imposta. Ritengo quindi che la seconda questione nella causa C-131/13 sia ricevibile.

 I rinvii pregiudiziali nelle cause C-163/13 e C-164/13

24.      Secondo la Commissione, i rinvii pregiudiziali nelle cause C-163/13 e C-164/13 sono irricevibili in quanto gli elementi di fatto e di diritto dei procedimenti principali non sono stati ancora definiti e le questioni sollevate siano di natura ipotetica.

25.      È vero che, secondo una giurisprudenza costante, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza (6). Spetta al giudice nazionale decidere in quale fase del procedimento sia necessario sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale (7). Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (8).

26.      Constato al riguardo che, secondo le decisioni di rinvio nelle cause C-163/13 e C-164/13, il giudice del rinvio ha dichiarato fondati tutti i motivi di cassazione perché i fatti asseriti non erano stati provati, o per un difetto di motivazione che inficiava la sentenza impugnata. In particolare, nella causa C-163/13 non è stato dimostrato, secondo il giudice del rinvio, se la cessione intracomunitaria, per la quale era stata richiesta l’esenzione, fosse realmente avvenuta. Il giudice del rinvio ha dichiarato altresì fondato il motivo con il quale la Turbu.com negava di aver partecipato, con cognizione di causa, ad una frode concernente l’IVA. Nella causa C-164/13, l’esistenza stessa di una frode, secondo il giudice del rinvio, non è stata sufficientemente dimostrata e la partecipazione della TMP a tale frode non è stata dedotta in secondo grado dall’amministrazione fiscale.

27.      Il rappresentante della Turbu.com e della TMP ha affermato in udienza che le questioni pregiudiziali nelle due cause in parola erano pertinenti, poiché, in caso di risposta negativa della Corte, il giudice del rinvio avrebbe potuto annullare gli avvisi di rettifica senza rinviare le cause al giudice di secondo grado. Tuttavia, non sembra questo l’intento del giudice del rinvio. Nelle due cause in parola, i motivi di cassazione dedotti dai ricorrenti nel procedimento principale non riguardano affatto il problema sollevato nelle questioni pregiudiziali, ossia l’eventuale competenza dei giudici nazionali a negare ai soggetti passivi, rispettivamente il diritto a detrazione o il diritto all’esenzione. Le questioni pregiudiziali diventerebbero pertinenti solo nel caso in cui «dovesse risultare, dopo il rinvio» (9) (al giudice di secondo grado) che è stata commessa una frode e che i ricorrenti nel procedimento principale sapevano o avrebbero dovuto sapere.

28.      In primo luogo, ritengo quindi che le questioni nelle cause C-163/13 e C-164/13 siano di natura ipotetica. In secondo luogo, constato che, nei due procedimenti principali, i fatti devono essere ancora provati e rimangono controversi. Va osservato che, nella fattispecie, si tratta non già di fatti che illustrerebbero semplicemente l’applicazione di norme giuridiche, bensì di fatti quali la sussistenza della frode, la natura reale o fittizia di una cessione o ancora la partecipazione, con cognizione di causa, dell’interessato a tale frode. Orbene, siffatte circostanze di fatto sono decisive ai fini della valutazione del potere degli organi nazionali di negare ai soggetti passivi i vari diritti derivanti dal sistema comune dell’IVA. Mi sembra pertanto che, in queste due cause, la Corte non disponga degli elementi di fatto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte.

29.      Occorre aggiungere al riguardo che, nel meccanismo complesso dell’IVA, il versamento, la detrazione dell’imposta e l’esenzione dalla stessa spesso corrispondono non già a vere e proprie operazioni finanziarie, bensì a mere scritture contabili. Orbene, le imprese non dispongono di capitali che consentano loro di far fronte ai versamenti imprevisti dell’imposta. Il diniego del diritto a detrazione può quindi rappresentare un grave problema finanziario per l’impresa, potendo comportare addirittura la cessazione dei versamenti. È quindi di primaria importanza che le autorità fiscali e giurisdizionali adottino siffatte decisioni di diniego fondandosi su elementi e indizi che provino la partecipazione consapevole del soggetto passivo alla frode. I diritti derivanti dal sistema dell’IVA non possono essere negati unicamente sulla base di semplici sospetti o presunzioni, rimanendo poi a carico del soggetto passivo l’onere di provare la sua buona fede.

30.      Per tali motivi, ritengo che la Corte debba dichiarare irricevibili le domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause C-163/13 e C-164/13. Da un punto di vista pratico, dato che la prima questione nella causa C-131/13 include le questioni sollevate nelle due cause in oggetto, qualora risultasse che la risposta a tali questioni è utile al giudice di rinvio o, ipotesi ancor più probabile, al giudice di secondo grado, essa potrà essere facilmente desunta dalla risposta fornita, nella stessa sentenza, nella causa C-131/13.

 Analisi delle questioni pregiudiziali nella causa C-131/13

 La frode cosiddetta «dell’operatore mancante»

31.      Si deve proprio riconoscere che il sistema dell’IVA è alquanto complesso. Tale complessità presenta alcuni vantaggi – l’imposizione fiscale su tutti i beni e i servizi, la perfetta neutralità dell’imposta per le imprese e una relativa facilità di riscossione per le autorità fiscali, in quanto sono gli stessi soggetti passivi a svolgere la maggior parte del lavoro. Tuttavia, il corretto funzionamento di tale sistema richiede la buona fede degli operatori. Infatti, il rovescio della medaglia consiste nel fatto che la complessità di tale sistema favorisce le frodi basate sull’utilizzo dei meccanismi che gli sono propri.

32.      Tra i tipi di frode fondata sui meccanismi dell’IVA, uno dei più comuni è la frode cosiddetta «dell’operatore mancante» (indicata in prosieguo con l’espressione inglese «missing trader»). Il modus operandi è stato descritto più volte (10), tuttavia, per meglio comprendere le presenti conclusioni, ritengo utile richiamarne le principali caratteristiche.

33.      All’origine di una frode figura spesso una cessione intracomunitaria. Il regime di tassazione degli scambi tra gli Stati membri, introdotto al capo XVI bis della sesta direttiva, favorisce in modo particolare le frodi, in quanto consente di effettuare una cessione esente, ma che dà diritto a detrazione, senza adempiere le formalità complesse inerenti, ad esempio, all’esportazione. L’operatore 1 effettua quindi una cessione dallo Stato membro A allo Stato membro B. Esso non è in alcun modo debitore nei confronti del fisco dello Stato A, in quanto la cessione intracomunitaria è esente. Per contro, esso ha diritto a detrazione dell’imposta versata a monte sulle stesse merci. Esso può detrarre tale imposta da quella di cui sarà debitore per altre operazioni oppure chiederne il rimborso.

34.      Nello Stato membro B, l’operatore 2 effettua un acquisto intracomunitario. Quest’ultimo è soggetto a imposta secondo l’aliquota in vigore nello Stato B, ma detta imposta è immediatamente detraibile. Nella prassi, in caso di frode, tale acquisto non sarà neppure dichiarato. L’operatore 2 rivende le stesse merci a un operatore 3 nel medesimo Stato membro. Poiché tale operazione è soggetta a imposta, l’operatore 2 fattura all’operatore 3 il prezzo maggiorato dell’IVA e poi, contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, non versa tale imposta al fisco, ma la intasca e scompare. Esso è quindi l’operatore mancante. Di norma, le merci circolano ancora tra più operatori per meglio celare la frode alle autorità fiscali, successivamente sono vendute al mercato nero senza IVA oppure lecitamente, ma a prezzi scontati. Dette merci possono anche essere oggetto di un’altra cessione intracomunitaria o essere esportate in un paese terzo. Quest’ultima vendita deve consentire agli organizzatori della frode di non versare, alla fine, nessuna IVA oppure un importo assai ridotto. Le stesse merci possono anche tornare all’operatore 1 che le immetterà nuovamente nel circuito. Si parla in tal caso di «frode carosello».

35.      Questo tipo di frode può riguardare diverse categorie di beni. Tuttavia, merci quali i componenti dei computer o i telefoni cellulari costituiscono gli oggetti preferiti dagli autori delle frodi, in quanto presentano un elevato valore unitario e sono facili da trasportare.

36.      La difficoltà di prevenire e di combattere questo tipo di frode consiste nel fatto che tutte le operazioni nell’ambito del circuito sono lecite ed effettuate nell’osservanza degli obblighi fiscali. Del resto, taluni operatori nella catena di fornitura possono anche non essere consapevoli della loro partecipazione a una frode e agire in buona fede. È solo l’operatore mancante a commettere una frode propriamente detta, non versando l’imposta dovuta al fisco. Più spesso, tuttavia, tale operatore o agisce celandosi dietro il numero di partita IVA di un’altra impresa, che ne ignora l’esistenza, o si presenta sotto forma di società intestata a un «uomo di paglia», in genere una persona proveniente da un ambiente svantaggiato che abbia acconsentito all’utilizzo della sua identità senza calcolare la portata del suo gesto. Dopo la frode, i suoi organizzatori scompaiono e le autorità fiscali si trovano di fronte a una persona che non possiede alcun patrimonio, incapace di assumere qualsiasi responsabilità di tipo finanziario.

37.      Non si deve considerare questo tipo di frode come una catena di fornitura «normale», in cui si sarebbe inserito l’autore di una frode limitatosi a omettere il versamento dell’imposta dovuta al fisco. Anche se può capitare che imprese normali siano utilizzate, con il loro pieno consenso o a loro insaputa, quali anelli della catena di fornitura, nel complesso si tratta di un’attività organizzata esclusivamente al fine di commettere la frode fiscale. Il fisco non è l’unica vittima del procedimento. Poiché si tratta di operazioni commerciali effettuate esclusivamente al fine di commette la frode e dato che viene evasa l’IVA, l’utile degli autori della frode proviene non già dal margine di profitto, bensì dalla frode stessa. Essi possono quindi permettersi di praticare prezzi ben al di sotto di quelli di mercato, il che risulta pregiudizievole per gli operatori economici onesti. In casi estremi, in un mercato determinato, la regolare attività economica può divenire impossibile a causa della mancanza di redditività, dovuta ai prezzi scontati conseguenza della frode. Inoltre, la frode fiscale va spesso di pari passo con altri atti illeciti, come la contraffazione.

38.      Secondo le autorità olandesi, le operazioni di cui trattasi nel procedimento principale rientrano in una frode dell’operatore mancante. Occorre quindi analizzare le questioni pregiudiziali tenendo a mente le caratteristiche di questo tipo di frode richiamate nei punti precedenti.

 Sulla prima questione pregiudiziale

39.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se a un soggetto passivo, che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode, può essere negato il diritto a detrazione, all’esenzione o al rimborso dell’IVA, relativa a una cessione intracomunitaria, e ciò pur in mancanza di disposizioni specifiche in tal senso nel diritto nazionale. Anche se le disposizioni legislative e lo stato della giurisprudenza riguardanti ciascuno dei diritti in questione (detrazione, esenzione, rimborso) non sono concordi, una risposta unica a tale questione è a mio avviso possibile ed anche auspicabile. Inizierò con una breve panoramica della giurisprudenza rilevante della Corte.

–       La giurisprudenza relativa ai diritti dei soggetti passivi in caso di frode

40.      Il buon funzionamento del sistema dell’IVA impone una demarcazione giusta ed equa tra, da un lato, i principi di neutralità e di territorialità dell’imposta, il cui rispetto deve essere consentito dai diritti alla detrazione, all’esenzione e, eventualmente, al rimborso e, dall’altro, la lotta alla frode fiscale. Pertanto, riguardo al diritto a detrazione, secondo costante giurisprudenza della Corte, tale diritto costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni (11). Per quanto riguarda il diritto all’esenzione delle cessioni intracomunitarie, la Corte ha dichiarato che essa consente di evitare la doppia imposizione e, pertanto, la violazione del principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA (12). La giurisprudenza relativa al rimborso è meno cospicua, ma è stato dichiarato, ad esempio, riguardo al rimborso dell’imposta a monte che non è stato possibile imputare all’imposta dovuta, che se gli Stati membri dispongono di una libertà di manovra certa nello stabilire le modalità di rimborso, dette modalità non possono ledere il principio della neutralità del sistema tributario dell’IVA gravando il soggetto passivo, in tutto o in parte, del peso di tale imposta (13). Dato che qualsiasi rimborso dell’imposta non dovuta contribuisce al rispetto del principio di neutralità, tale regola può avere una portata generale.

41.      Al contempo, la Corte ha ripetutamente sottolineato che la lotta alla frode, all’evasione ed all’abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (14). La Corte ne ha dedotto che il principio giurisprudenziale secondo cui gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario si applica anche al settore dell’IVA (15).

42.      Ne deriva che, in caso di abuso o di frode, il soggetto passivo non può invocare il suo diritto a detrazione dell’imposta a monte (16). Nel caso particolare di una frode carosello, che si ricollega a una frode dell’operatore mancante, tale principio è stato esteso a tutti i soggetti passivi che, pur non essendo essi stessi autori della frode, sapevano o avrebbero dovuto sapere di partecipare a una frode concernente l’IVA. Infatti, tali soggetti passivi devono essere considerati, secondo la Corte, ai fini dell’applicazione della sesta direttiva, quali partecipanti a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che essi ne traggano o meno beneficio (17). Pertanto, spetta ai giudici nazionali negare a tali soggetti passivi il diritto a detrazione (18). Infatti, un’interpretazione siffatta è tale da ostacolare le operazioni fraudolente, rendendone più difficile la realizzazione (19). Questa giurisprudenza è stata ribadita anche di recente (20).

43.      Inoltre, la Corte ha dichiarato che la giurisprudenza relativa al diritto a detrazione era applicabile in via analogica alle cause riguardanti il diritto all’esenzione delle cessioni intracomunitarie. Per riconoscere tale diritto si può imporre al fornitore, di conseguenza, di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una frode fiscale (21).

44.      Il passo decisivo nello sviluppo di tale orientamento giurisprudenziale è stato compiuto in una sentenza della Grande Sezione del 2010 (22). Benché la frode di cui trattasi nella causa che ha dato luogo a tale sentenza non fosse una tipica frode dell’operatore mancante, le conclusioni cui è pervenuta la Corte hanno carattere universale per quanto riguarda il diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria in caso di frode. La questione di diritto, nucleo di tale causa, è stata formulata, assai correttamente a mio parere, dall’avvocato generale Cruz Villalón, nei seguenti termini: «si tratta di stabilire se la buona fede sia un elemento indispensabile per poter beneficiare dell’esenzione da imposta delle cessioni intracomunitarie» (23). L’avvocato generale Cruz Villalón, nelle sue conclusioni, dopo un’analisi dettagliata della giurisprudenza pertinente, ha fornito una risposta negativa a tale questione, invocando i principi di territorialità, di neutralità e di proporzionalità (24). Tuttavia, tale approccio non è stato seguito dalla Corte. Quest’ultima, nella sua sentenza, ha dichiarato che il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di negare l’esenzione in caso di frode, in quanto tale diniego dispiega un effetto deterrente finalizzato a prevenire frodi e evasioni fiscali (25). Inoltre, la Corte ha considerato che, quando sussistono valide ragioni per ritenere che l’acquisto intracomunitario corrispondente alla cessione de quo possa sfuggire al pagamento dell’IVA, lo Stato membro di partenza è tenuto a negare l’esenzione al fornitore (26). Tale constatazione non è rimessa in discussione né dal principio di proporzionalità né dai principi di neutralità, di certezza del diritto o di tutela del legittimo affidamento. Tali principi, infatti, non possono essere validamente invocati da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA (27).

45.      Sebbene il requisito della buona fede, da parte del soggetto passivo, non sia stato espressamente formulato nella sentenza menzionata al punto precedente, esso era tuttavia sotteso a tale sentenza ed è stato ribadito in una sentenza recente, nella quale la Corte ha dichiarato che, in caso di frode commessa dall’acquirente, è giustificato subordinare al requisito della buona fede il diritto del venditore all’esenzione dall’IVA. Il giudice nazionale, pertanto, qualora giungesse alla conclusione che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in una frode posta in essere dall’acquirente e non ha adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare tale frode, dovrebbe negargli il beneficio del diritto all’esenzione dall’IVA (28).

–       La buona fede del soggetto passivo, principio generale in materia di IVA

46.      Esiste quindi nella giurisprudenza un principio secondo il quale, nel caso in cui l’operazione rientri in una frode, si richiede al singolo un comportamento in buona fede affinché possa beneficiare dell’esenzione della sua cessione intracomunitaria. La buona fede è qui intesa in senso ampio, al di là dell’accezione classica di tale nozione. Risponde, infatti, al requisito della buona fede il soggetto passivo che, non solo non ha partecipato attivamente alla frode, ma che non sapeva neppure, né poteva sapere, di esservi coinvolto. Si richiede dunque al soggetto passivo di essere onesto, ma anche, se necessario, di adottare talune precauzioni, al fine di assicurarsi della regolarità delle operazioni effettuate. Questo secondo requisito, che definirò dovere di diligenza ragionevole, trova una spiegazione nel ruolo specifico del soggetto passivo nel sistema dell’IVA, in cui il medesimo è non solo il debitore dell’imposta, ma anche colui che la riscuote. Il buon funzionamento del sistema dipende quindi, in gran parte, dal comportamento degli stessi soggetti passivi.

47.      Inoltre, anche se l’espressione «buona fede» non viene utilizzata nel contesto del diritto a detrazione dell’imposta a monte, tale principio di buona fede può essere desunto dalla giurisprudenza richiamata al paragrafo 42 delle presenti conclusioni. Infatti, secondo tale giurisprudenza, se l’operazione rientra in una frode, il beneficio del diritto a detrazione è subordinato alla buona fede e alla diligenza ragionevole del soggetto passivo, vale a dire al fatto di non aver partecipato consapevolmente alla frode e di aver adottato le misure necessarie per assumere informazioni sulla regolarità dell’operazione effettuata.

48.      Per quanto riguarda il diritto al rimborso, anch’esso menzionato nella questione pregiudiziale, va osservato, in via preliminare, che nel sistema dell’IVA, il rimborso non costituisce un diritto autonomo al pari del diritto a detrazione o all’esenzione. Il rimborso è un meccanismo di correzione, utilizzato quando non è possibile garantire la neutralità dell’imposta mediante l’applicazione dei meccanismi standard del sistema dell’IVA, in particolare la detrazione (29). Lo stesso dicasi a proposito del meccanismo di cui all’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva, che prevede la riduzione della base imponibile nello Stato membro che ha attribuito il numero di partita IVA, qualora l’acquisto sia oggetto di un’imposizione nello Stato membro di destinazione (nel caso in cui si tratti di due Stati diversi). È solo in caso di versamento dell’imposta nel primo Stato membro che si dovrebbe procedere, eventualmente, al suo rimborso.

49.      Il diritto al rimborso è quindi inscindibilmente connesso al meccanismo di cui garantisce la correzione. Pertanto, esso deve essere ovviamente sottoposto al medesimo trattamento previsto per detto meccanismo, sotto il profilo dell’applicazione del principio della buona fede. In altri termini, in caso di operazioni rientranti in una frode, se al soggetto passivo, che non ha agito in buona fede e con diligenza ragionevole, viene negato il diritto a detrazione o il diritto all’esenzione, qualsiasi eventuale rimborso, inerente a tale diritto, dovrebbe essergli parimenti negato.

50.      A mio parere, ciò dovrebbe valere anche per altri diritti derivanti dal sistema dell’IVA, ad esempio il diritto alla riduzione della base imponibile ai sensi dell’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva. Il requisito della buona fede del soggetto passivo che abbia effettuato un’operazione rientrante in una frode, infatti, riflette il principio generale secondo cui nessuno può beneficiare abusivamente o fraudolentemente dei diritti derivanti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Non si deve quindi distinguere tra, da un lato, il diritto a detrazione e il diritto all’esenzione e, dall’altro, gli altri diritti.

51.      Non mi convincono, al riguardo, gli argomenti della Commissione, secondo i quali i diritti del soggetto passivo derivanti dall’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva vanno diversamente considerati in base al rilievo secondo cui tale disposizione prevede unicamente un meccanismo di correzione che consente di garantire la neutralità dell’imposta in talune cessioni intracomunitarie specifiche. In generale, i meccanismi del sistema dell’IVA, quali la detrazione dell’imposta a monte o l’esenzione delle cessioni intracomunitarie, hanno lo scopo di garantire che l’onere dell’imposta gravi sul consumatore e che sia neutro per gli operatori economici. Dalla giurisprudenza citata ai paragrafi da 40 a 45 delle presenti conclusioni, sulla quale mi baso per giungere alla conclusione che esiste un principio generale di buona fede, emerge tuttavia che tale neutralità dell’imposta non può essere utilmente invocata dai soggetti passivi che abbiano partecipato alla frode volontariamente o per negligenza. Pertanto, non colgo, da questo punto di vista, alcuna differenza obiettiva tra i vari diritti derivanti dai meccanismi del sistema dell’IVA, quali il diritto a detrazione, all’esenzione o al rimborso.

52.      A mio avviso, detto principio di buona fede è quindi applicabile non solo al diritto a detrazione e al diritto all’esenzione, ma anche ad altri diritti esistenti nel sistema dell’IVA, nonché al diritto al rimborso dell’imposta versata, eventualmente inerente a tali diritti.

53.      Tuttavia, l’obbligo così imposto ai soggetti passivi non è un obbligo di risultato, ma un semplice obbligo di mezzi. Secondo l’espressione utilizzata dalla Corte, gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni (30). La determinazione delle misure che possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo dipende essenzialmente dalle circostanze del caso di specie. Tuttavia, non si può imporre ai soggetti passivi di effettuare i controlli che spettano normalmente alle autorità fiscali (31). Pertanto, il principio di buona fede non opera solo a scapito dei soggetti passivi. Anzi, nella maggior parte delle cause sottoposte alla Corte, il fatto che il soggetto passivo non sapesse né potesse sapere che la sua operazione rientrava in una frode gli consentiva di mantenere il suo diritto a detrazione o all’esenzione (32). Eventualmente, tale diritto potrebbe anche essergli riconosciuto senza che siano state soddisfatte le condizioni materiali che lo fanno sorgere (33). Pertanto, il principio della buona fede consente di garantire una giusta ripartizione del rischio della frode tra l’amministrazione fiscale e i soggetti passivi nonché tra le diverse parti dell’operazione (34).

54.      Resta da precisare cosa si intenda per «operazione rientrante in una frode» nel contesto della frode dell’operatore mancante. Questo tipo di frode consiste, lo ricordo, in una serie di cessioni, di cui almeno una è una cessione intracomunitaria in seguito alla quale l’IVA è sicuramente percepita (inclusa nel prezzo) al momento della cessione a valle, ma non è poi versata al fisco. Potrebbe quindi sembrare, prima facie, che solo la cessione intracomunitaria di cui trattasi (e, naturalmente, il suo corollario, vale a dire l’acquisto intracomunitario del medesimo bene) sia parte della frode. Tuttavia, ciò equivarrebbe a ignorare la natura complessa della frode in questione. Infatti, il suo modus operandi richiede l’esecuzione di più operazioni, sia a monte sia a valle. Ciò è particolarmente evidente nel caso di una frode carosello, in cui è la stessa merce a passare più volte per le mani degli stessi operatori. Le cessioni successive non hanno quindi altro scopo se non quello di creare occasioni per sottrarre l’imposta dovuta e mascherare successivamente la frode. Sebbene le circostanze inerenti a ciascuna causa debbano essere chiaramente valutate caso per caso, non si esclude tuttavia, prima facie, la possibilità di considerare tutte le operazioni all’interno di una catena contenente una frode dell’operatore mancante quale partecipante a tale frode.

55.      Ovviamente, è possibile che, in tale catena fraudolenta, sia coinvolto inconsapevolmente un operatore per il quale la cessione effettuata costituisce un’attività economica normale. Quest’ultimo, se agisce in buona fede e con la necessaria diligenza, viene quindi tutelato.

–       La necessità di disposizioni espresse nel diritto nazionale

56.      Il giudice del rinvio chiede altresì se vari diritti derivanti dal sistema dell’IVA possano essere negati nonostante la mancanza di disposizioni specifiche in tal senso nell’ordinamento giuridico nazionale. A mio parere, il riconoscimento dell’esistenza, nel suddetto sistema, di un principio generale di buona fede del soggetto passivo quale condizione per l’esercizio di tali diritti consente di rispondere in senso affermativo a tale questione.

57.      Tale requisito della buona fede, infatti, riflette il divieto generale di abuso e di frode nonché il principio secondo cui nessuno può beneficiare abusivamente o fraudolentemente dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Applicato al sistema dell’IVA, tale principio deriva dall’economia stessa di tale sistema, cosicché esso non necessita di essere concretizzato a livello legislativo. Al pari della Corte, che non necessitava di disposizioni specifiche, nella sesta direttiva, per sancire l’esistenza del principio di buona fede, neppure i giudici nazionali necessitano di disposizioni nazionali per applicare tale principio nei casi concreti.

58.      Non mi convince l’argomento, dedotto principalmente dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, secondo cui la situazione del diritto alla detrazione differisce, al riguardo, da quella del diritto all’esenzione delle cessioni intracomunitarie. A suo avviso, la menzione fatta all’articolo 28 quater, parte A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva delle «condizioni fissate [dagli Stati membri] per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso» starebbe ad indicare che il diniego del diritto all’esenzione richiede l’esistenza di una disposizione specifica nel diritto nazionale, contrariamente al diniego del diritto a detrazione, poiché, per la detrazione, nella sesta direttiva non è contenuto alcun riferimento alle norme nazionali.

59.      Siffatta interpretazione non mi sembra conforme alla ratio della disposizione citata. Infatti, dato che il regime di tassazione degli scambi tra gli Stati membri si fonda sulle informazioni fornite dai soggetti passivi, era necessario fissare le varie formalità che consentissero a questi ultimi di provare che le condizioni materiali dell’esenzione erano soddisfatte. La sesta direttiva demanda il compito di fissare tali modalità formali agli Stati membri che, nell’esercizio di tale competenza, devono agire in conformità ai principi di neutralità, di proporzionalità e di certezza del diritto (35). È vero che le norme così stabilite dagli Stati membri hanno proprio come scopo, tra l’altro, di prevenire l’abuso, la frode e l’evasione fiscale. Tuttavia, esse non sono applicabili unicamente alle operazioni rientranti in una frode, ma sono destinate a disciplinare tutte le operazioni, tra le quali figurano al primo posto le operazioni lecite. Per contro, la questione delle conseguenze della violazione o dell’abuso delle norme giuridiche riguardo al funzionamento del sistema ricadono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Pertanto, il diritto all’esenzione in caso di frode rientra nel meccanismo stesso dell’IVA e nei principi generali derivanti dalla giurisprudenza citata nelle presenti conclusioni.

60.      Il diniego dei diritti derivanti dal sistema dell’IVA, in caso di coinvolgimento del soggetto passivo nella frode, non è neppure, come sostiene l’Italmoda nelle sue osservazioni, una «pena in senso materiale», la quale, in forza dell’articolo 7 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere prevista da una disposizione legislativa precedente. Dato che la buona fede del soggetto passivo è una condizione preliminare dell’acquisto di detti diritti, il loro diniego deve essere considerato non già come una sanzione, bensì come un elemento inerente al sistema dell’IVA.

61.      Parimenti, non posso condividere il parere espresso dall’Italmoda, secondo cui l’applicazione alla causa in esame della giurisprudenza derivante dalle sentenze Kittel e Recolta Recycling (36) e R. (37) – in quanto i fatti del procedimento principale erano precedenti a tali sentenze – si risolve in un’applicazione retroattiva della legge. Infatti, l’obbligo di probità e di diligenza nei rapporti commerciali, anche nei confronti delle amministrazioni pubbliche, è inerente a qualsiasi attività economica, cosicché i soggetti passivi non possono invocare validamente l’ignoranza, da parte loro, di siffatto dovere.

62.      Al riguardo, si deve aggiungere che, secondo costante giurisprudenza, l’interpretazione che, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, la Corte dà di una norma del diritto dell’Unione chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione (38). La limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza pregiudiziale è possibile eccezionalmente, qualora siano soddisfatte le condizioni necessarie al riguardo (39). Ciò non è avvenuto nelle sentenze menzionate al paragrafo 61 delle presenti conclusioni.

63.      Alla luce di tali considerazioni, si deve rispondere alla prima questione pregiudiziale nella causa C-131/13 che le disposizioni della sesta direttiva devono essere interpretate nel senso che le autorità nazionali devono negare al soggetto passivo, che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode, il diritto alla detrazione dell’imposta a monte, il diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria e il diritto alla riduzione della base imponibile in forza del meccanismo previsto all’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva, nonché qualsiasi eventuale diritto al rimborso ad esso inerente, anche in caso di mancanza di disposizioni espresse in tal senso nella normativa nazionale.

 Sulla seconda questione pregiudiziale nella causa C-131/13

64.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il fatto che la frode si sia verificata in uno Stato membro diverso da quello che sarebbe competente a negare i vari diritti al soggetto passivo incida sulla facoltà o sull’obbligo di pronunciare siffatto diniego.

65.      A mio avviso la risposta deve essere negativa per tre ragioni.

66.      In primo luogo, atteso che il criterio decisivo per valutare il diritto del soggetto passivo è la sua disposizione mentale, il territorio nel quale si è verificata la frode è irrilevante. Indipendentemente dal fatto che la frode sia stata commessa nello Stato membro competente a negare diversi diritti al soggetto passivo oppure in un altro Stato membro, se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che vi era coinvolto, non ha agito in ogni caso in buona fede e con la necessaria diligenza.

67.      In secondo luogo, se è vero che la materia fiscale rimane di competenza esclusiva degli Stati membri, il sistema dell’IVA è nondimeno un sistema comune, le cui entrate sono in parte riversate al bilancio dell’Unione. Gli Stati membri hanno quindi un obbligo di cooperazione al fine di tutelare il buon funzionamento di tale sistema complessivamente inteso. Non sarebbe conforme a tale obbligo il fatto che essi possano o debbano limitarsi unicamente a prevenire la frode verificatasi nei loro rispettivi territori.

68.      In terzo luogo, infine, alcuni tipi di frode, come la frode dell’operatore mancante, si fondano, giustamente, sui meccanismi del regime di tassazione degli scambi intracomunitari. Infatti, è la differenza tra il prezzo dell’acquisto intracomunitario, non gravato dall’IVA (in quanto la cessione che ne costituisce il corollario è esente), e il prezzo della cessione del medesimo bene effettuata a valle, maggiorato dell’IVA (che non sarà poi versata al fisco), a garantire principalmente la redditività di questo tipo di frode. Inoltre, il fatto di sottoporre l’operazione fraudolenta alla competenza delle autorità fiscali di due Stati diversi rende la frode più difficile da individuare. La stessa frode commessa all’interno di un solo Stato membro renderebbe agli autori della frode soltanto la differenza tra l’imposta versata a monte e quella dovuta e sarebbe rapidamente scoperta dalle autorità fiscali mediante il semplice confronto delle dichiarazioni e delle relative fatture. Pertanto, la prevenzione della frode dell’operatore mancante da parte del solo Stato membro direttamente leso non sarebbe efficace. Peraltro, in caso di catene di cessioni fraudolente, che coinvolgono più Stati membri, potrebbe essere difficile stabilire con precisione le perdite fiscali esatte di ciascuno Stato membro interessato.

 Sulla terza questione pregiudiziale nella causa C-131/13

69.      Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede indicazioni riguardo all’interpretazione dell’espressione «sottoposto all’imposta», contenuta nell’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva, nel caso in cui sia fornita una risposta negativa alla prima questione. La sua questione è diretta, più precisamente, a chiarire se l’assoggettamento all’imposta debba essere il risultato della dichiarazione dell’acquirente oppure se possa risultare da altre circostanze, in particolare da un’azione di recupero da parte delle autorità fiscali. Dato che propongo di rispondere in senso affermativo alla prima questione pregiudiziale, la risposta alla terza questione è priva di oggetto. Infatti, poiché la buona fede del soggetto passivo costituisce l’elemento decisivo ai fini del riconoscimento o del diniego del diritto derivante dalla disposizione in questione, la definizione di tale nozione è irrilevante, giacché, in mancanza di tale buona fede nella fattispecie, il meccanismo previsto dalla suddetta disposizione non sarà applicabile.

70.      Se la Corte rispondesse in senso negativo alla prima questione, almeno per quanto riguarda il diritto derivante dall’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, della sesta direttiva, ritengo che la risposta alla terza questione debba risultare dall’interpretazione, già fornita dalla Corte, dell’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, secondo e terzo comma, della sesta direttiva, in virtù della quale l’applicazione del meccanismo previsto nel secondo comma in parola è subordinata alle condizioni cumulative stabilite nel suddetto terzo comma, tra le quali figura la condizione che «l’acquirente abbia soddisfatto gli obblighi di dichiarazione» (40).

71.      Il giudice del rinvio chiede altresì, nella terza questione, se il fatto che la cessione di cui trattasi rientrasse in una frode di cui il soggetto passivo aveva o avrebbe dovuto avere conoscenza sia rilevante ai fini dell’interpretazione dell’espressione «sottoposto all’imposta». Tuttavia, la questione in oggetto riguarda non già l’interpretazione della suddetta espressione, bensì l’applicazione o meno del meccanismo previsto nella disposizione analizzata. Orbene, tale applicazione dipende dalla risposta alla prima questione pregiudiziale.

 Conclusione

72.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di dichiarare le domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause C-163/13 e C-164/13 irricevibili e di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate nella causa C-131/13 nel modo seguente:

1)      Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 95/7/CE del Consiglio, del 10 aprile 1995, devono essere interpretate nel senso che le autorità nazionali devono negare al soggetto passivo, che sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode, il diritto a detrazione dell’imposta a monte, il diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria e il diritto alla riduzione della base imponibile in forza del meccanismo di cui all’articolo 28 ter, parte A, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva, nonché qualsiasi eventuale diritto al rimborso ad esso inerente, anche in caso di mancanza di disposizioni espresse in tal senso nella normativa nazionale.

2)      Il fatto che la frode si sia verificata in uno Stato membro diverso da quello competente a negare al soggetto passivo il beneficio dei diritti elencati al punto 1) non incide in alcun modo sull’obbligo incombente alle autorità nazionali di pronunciare siffatto diniego.


1 – Lingua originale: il francese.


2 –      V. comunicato stampa della Commissione del 19 settembre 2013, IP/13/844.


3 –      GU L 145, pag. 1.


4 –      GU L 102, pag. 18.


5 –      Staatsblad1968, n. 329.


6 –      Sentenza Melki e Abdeli (C-188/10 e C-189/10, EU:C:2010:363, punto 27).


7 –      Sentenza Schmidberger (C-112/00, EU:C:2003:333, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).


8 –      Sentenza Melki e Abdeli (EU:C:2010:363, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


9 –      Secondo l’esatta formulazione delle decisioni di rinvio nelle cause C-163/13 e C-164/13.


10 –      Mi baso principalmente su un’analisi assai dettagliata di tale fenomeno contenuta in Limbourg, N., «Les différentes typologies répertoriées en matière de carrousel TVA», La fraude à la TVA en matière pénale, Larcier, Bruxelles, 2013, pagg. da 63 a 93. V. anche, in particolare, Griffioen, M., e van der Hel, L., «New European Approach to Combat VAT Fraud?», Intertax, vol. 42, 2014, n. 5, pagg. da 298 a 305; Wolf, R.A., «VAT Carousel Fraud: A European Problem from a Dutch Perspective», Intertax, vol. 39, 2011, n. 1, pagg. da 26 a 37; Pabiański, T., e Śliż, W., «Zorganizowane działania przestępcze wykorzystujące mechanizmy podatku VAT», Przegląd podatkowy, n. 1, 2007, pagg. da 18 a 27, e n. 3, 2007, pagg. da 13 a 23. V. anche conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle cause riunite Kittel e Recolta Recycling (C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:174, paragrafi da 27 a 35).


11 –      V., in particolare, sentenze BP Soupergaz (C-62/93, EU:C:1995:223, punto 18); Sosnowska (C-25/07, EU:C:2008:395, punto 15), e Maks Pen (C-18/13, EU:C:2014:69, punto 24).


12 –      V., in particolare, sentenza Collée (C-146/05, EU:C:2007:549, punto 23).


13 –      Sentenza Sosnowska (EU:C:2008:395, punto 17).


14 –      V., tra l’altro, sentenze Gemeente Leusden e Holin Groep (C-487/01 e C-7/02, EU:C:2004:263, punto 76); Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 71), nonché Sosnowska (EU:C:2008:395, punto 22).


15 –      V., in particolare, sentenze Halifax e a. (EU:C:2006:121, punti da 68 a 70 e giurisprudenza ivi citata), nonché Maks Pen (EU:C:2014:69, punto 26).


16 –      V., in particolare, sentenze Fini H (C-32/03, EU:C:2005:128, punto 32), nonché Halifax e a. (EU:C:2006:121, punto 85).


17 –      Sentenza Kittel e Recolta Recycling (C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:446, punto 56).


18 –      Ibidem (punto 59).


19 –      Ibidem (punto 58).


20 –      Sentenza Maks Pen (EU:C:2014:69, punti 26 e 27).


21 –      Sentenza Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:548, punto 65).


22 –      Sentenza R. (C-285/09, EU:C:2010:742).


23 –      V. le sue conclusioni nella causa R. (C-285/09, EU:C:2010:381, paragrafo 43).


24 –      Ibidem (paragrafi da 57 a 109).


25 –      Sentenza R. (EU:C:2010:742, punti 49 e 50).


26 –      Ibidem (punto 52).


27 –      Ibidem (punti 53 e 54).


28 –      Sentenza Mecsek-Gabona (C-273/11, EU:C:2012:547, punti 50 e 54).


29 –      Ad esempio, nel caso in cui l’importo dell’imposta versata a monte superi l’importo dell’imposta dovuta durante il periodo d’imposta considerato.


30 –      Sentenza Kittel e Recolta Recycling (EU:C:2006:446, punto 51).


31 –      Sentenza Mahagében e Dávid (C-80/11 e C-142/11, EU:C:2012:373, punti da 59 a 65).


32 –      V., tra l’altro, sentenze Optigen e a. (C-354/03, C-355/03 e C-484/03, EU:C:2006:16); Mahagében e Dávid (EU:C:2012:373), nonché VSTR (C-587/10, EU:C:2012:592).


33 –      Sentenza Teleos e a. (EU:C:2007:548, punto 2 del dispositivo). V., altresì, la causa che ha dato luogo alla sentenza Mecsek-Gabona (EU:C:2012:547), nella quale non era certo che le merci oggetto della cessione intracomunitaria in questione avessero lasciato effettivamente il territorio nazionale. Malgrado ciò, la Corte ha subordinato la possibilità del diniego del diritto all’esenzione alla condizione che il venditore sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione rientrava in una frode.


34 –      V., in tal senso, sentenza Teleos e a. (EU:C:2007:548, punto 58).


35 –      V., in tal senso, sentenza Teleos e a. (EU:C:2007:548, punti 44 e 45).


36 – EU:C:2006:446.


37 – EU:C:2010:742.


38 –      V., in particolare, sentenze Denkavit italiana (61/79, EU:C:1980:100, punto 16), e Brzeziński (C-313/05, EU:C:2007:33, punto 55).


39 –      V., in particolare, sentenza Brzeziński (EU:C:2007:33, punto 56).


40 –      Sentenza X e fiscale eenheid Facet-Facet Trading (C-536/08 e C-539/08, EU:C:2010:217, punto 36).