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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

del 22 gennaio 2015 (1)

Causa C-686/13

X AB

contro

Skatteverket

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Högsta förvaltningsdomstol, Svezia)

«Normativa tributaria – Imposta nazionale sugli utili – Libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE – Libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE – Mancata considerazione sotto il profilo fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze risultanti dalla cessione di una partecipazione – Partecipazione in una controllata con sede in un altro Stato membro – Cessazione dell’attività della controllata – Considerazione sotto il profilo fiscale di una perdita derivante da una cessione, nella misura in cui essa è basata su una perdita valutaria»





I –    Introduzione

1.        La controversia svedese in materia fiscale alla base della presente domanda di pronuncia pregiudiziale muove le mosse dal fatto che nel Regno di Svezia le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di talune partecipazioni in società non sono prese in considerazione nell’ambito dell’imposta sul reddito. Per alcuni favorevole, la suddetta normativa è svantaggiosa per coloro che devono mettere in conto una perdita. Nella misura in cui una siffatta perdita sia dovuta ad un rischio valutario e il suddetto rischio si presenti soprattutto nell’attività transfrontaliera, tuttavia, le libertà fondamentali potrebbero imporre che la perdita sia presa in considerazione. Ciò è quanto intende chiarire il giudice nazionale prima che il ricorrente nel procedimento principale proceda alla cessazione dell’attività svolta dalla propria controllata con sede in un altro Stato membro.

2.        La Corte di giustizia ha già affrontato una volta una situazione analoga nella causa Deutsche Shell, relativa ad una perdita valutaria nel contesto della liquidazione di un centro di attività stabile all’estero. In quell’occasione la Corte di giustizia ha constatato una violazione della libertà di stabilimento (2). Nel presente procedimento, pertanto, si dovrà ora discutere in quale misura i dettami della sentenza Deutsche Shell possano essere trasposti alle perdite valutarie in relazione alla cessazione dell’attività di una controllata.

II – Contesto normativo

3.        Il Regno di Svezia applica un’imposta sul reddito. In linea di principio, sono tassati anche gli utili derivanti dalla cessione di partecipazioni in società per azioni.

4.        Si applica tuttavia un’eccezione per le partecipazioni detenute da talune società, soprattutto le società per azioni, e che sono utili all’attività dell’impresa. Ai sensi del capo 25bis, articolo 5, paragrafo 1, della legge svedese relativa all’imposta sul reddito (inkomstskattelag 1999:1229), in linea di principio una plusvalenza generata dalla cessione delle suddette partecipazioni non deve essere presa in considerazione. Per contro, ai sensi del paragrafo 2 della norma, una minusvalenza risultante dalla cessione può essere dedotta solo se è stata tassata una plusvalenza corrispondente.

5.        Ai sensi del capo 24, articolo 14, paragrafo 1, della legge svedese relativa all’imposta sul reddito, la condizione affinché le plusvalenze e le minusvalenze risultanti da cessioni non siano prese in considerazione ai fini fiscali è che la partecipazione soddisfi uno dei seguenti requisiti:

«1.      Il titolo non deve formare oggetto di quotazioni;

2.      Il numero complessivo dei diritti di voto derivanti dall’insieme dei titoli detenuti dalla società detentrice nella società controllata corrisponde ad almeno il 10% del numero di voti relativi all’insieme dei titoli della società detenuta;

3.      Il possesso dei titoli è collegato all’attività svolta dall’impresa detentrice o da una delle imprese che per rapporti di proprietà o organizzativi può essere considerata ad essa vicina».

6.        Norme analoghe sono applicabili ai dividendi derivanti da una siffatta partecipazione, i quali sono del pari in linea di principio esentati dall’imposta. La mancata presa in considerazione sotto il profilo fiscale dei dividendi e delle plusvalenze derivanti dalle cessioni ha lo scopo di evitare l’imposizione multipla degli utili delle società.

III – Procedimento principale

7.        La controversia principale riguarda la domanda di parere preliminare della società svedese X AB nell’ambito dell’imposta sul reddito da essa dovuta.

8.        Nel 2003 X aveva costituito una società controllata inglese, i cui titoli erano stati emessi in dollari americani. Nel periodo compreso fra il 2003 e il 2009 X ha aumentato più volte il proprio capitale nella controllata.

9.        Dopo la costituzione, inoltre, X ha ceduto titoli detenuti nella controllata alla propria controllante, per cui a tutt’oggi X detiene soltanto il 45% dei titoli.

10.      X progetta la – non meglio qualificata – cessazione dell’attività della propria controllata inglese, considerata dalla normativa svedese, a quanto risulta, analogamente alla cessione della partecipazione alla controllata. Da tale operazione essa si attende una perdita valutaria a causa dell’intercorsa fluttuazione del tasso di cambio della corona svedese rispetto al dollaro americano. Una siffatta perdita non potrebbe essere fatta valere ai fini fiscali in base alle disposizioni svedesi relative alle minusvalenze derivanti da cessioni di titoli di partecipazione.

11.      In questo contesto, X ha chiesto un parere preliminare allo Skatterättsnämnd (commissione tributaria svedese), per chiarire se la mancata presa in considerazione, ai fini fiscali, di una perdita valutaria fosse contraria al diritto dell’Unione. Dopo aver ricevuto una risposta negativa dello Skatterättsnämnd, X ha adito le vie legali.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

12.      Il 27 dicembre 2013 l’Högsta förvaltningsdomstol, intanto investito della controversia, ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

Se gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE ostino ad una normativa nazionale in base alla quale lo Stato in cui abbia sede una società non conceda la deduzione di una perdita valutaria inerente ad una minusvalenza derivante da titoli di partecipazione detenuti in una società con sede in un altro Stato membro, nel caso in cui lo Stato di residenza della prima impresa applichi un sistema in cui le plusvalenze e le minusvalenze relative a tali titoli non vengano prese in considerazione in sede di calcolo del reddito imponibile.

13.      Nei mesi di marzo e aprile 2014 le parti nel procedimento principale, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte alla Corte.

V –    Valutazione giuridica

14.      Con la sua questione il giudice nazionale intende chiarire se uno Stato membro, nell’ambito dell’applicazione di un’imposta sui redditi, possa omettere di considerare plusvalenze e minusvalenze risultanti dalla cessione di titoli di partecipazione in società senza in tal modo violare la libertà di stabilimento o la libera circolazione dei capitali. Il giudice nazionale ritiene possibile una violazione in quanto, in base alla normativa, non sono considerate dal punto di vista fiscale neanche le perdite valutarie.

15.      Prima che io dia la mia risposta è d’uopo evidenziare che spetta al giudice nazionale chiarire la questione se e in quale misura la società X possa effettivamente subire una perdita valutaria (3). Dalle informazioni presenti nell’ordinanza di rinvio non si riesce tuttavia ad evincere se si registri una perdita valutaria. La semplice circostanza che un titolo di partecipazione in una società sia emesso in valuta estera, infatti, non comporta necessariamente, all’atto della cessazione dell’attività, la possibilità di una perdita valutaria. Posso ammettere incondizionatamente una siffatta possibilità solo se la titolare della partecipazione X, all’atto della cessazione dell’attività della propria controllata, avesse solo diritto al pagamento in valuta estera del capitale nominale di quest’ultima. Qualora, invece, nella fattispecie vi fosse un diritto al patrimonio della controllata, non dovrebbe essere semplice stabilire isolatamente una perdita valutaria anche qualora il patrimonio dovesse essere ceduto nel contesto della liquidazione della società in una valuta estera. Il livello dei prezzi delle economie interessate e il tasso di cambio delle loro valute, infatti, si influenzano reciprocamente, per cui non dovrebbe essere semplice operare una distinzione fra le fluttuazioni reali del valore degli elementi patrimoniali e le semplici fluttuazioni dei cambi.

16.      Pertanto, in prosieguo – come ha già fatto la Corte nella sentenza Deutsche Shell (4) – per rispondere alla questione pregiudiziale partirò dall’ipotesi che nella fattispecie possa essere definita isolatamente una perdita valutaria in occasione della cessazione dell’attività della controllata.

A –    Libertà fondamentale applicabile

17.      Si pone in primo luogo la questione se una normativa come quella svedese debba essere valutata secondo il parametro della libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE o della libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63, paragrafo 1, TFUE. In linea di principio, infatti, nel presente caso di partecipazione in una società avente sede in un altro Stato potrebbero essere interessate entrambe le libertà fondamentali.

18.      A tale fine deve essere esaminato in primo luogo l’oggetto della normativa nazionale. Secondo la giurisprudenza, infatti, quando una normativa nazionale è intesa ad essere applicata solo alle partecipazioni che consentano di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinare le attività di quest’ultima, essa ricade esclusivamente nel campo d’applicazione dell’articolo 49 TFUE. Per contro, eventuali disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (5).

19.      In forza del capo 24, articolo 14, paragrafo 1, della legge svedese relativa all’imposta sul reddito, la disciplina svedese si applica, fra l’altro, a titoli di partecipazione non quotati in borsa indipendentemente dall’entità della partecipazione. Essa, pertanto, non è applicabile né esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società né semplicemente alle partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario.

20.      In una siffatta situazione, al fine di stabilire se la fattispecie oggetto della controversia principale ricada nell’articolo 49 TFUE o nell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE occorre tenere conto degli elementi di fatto del caso di specie (6). A questo riguardo, la libertà di stabilimento è più specifica in quanto, ai sensi dell’articolo 49, secondo comma, TFUE, essa riguarda solo le partecipazioni che consentono la costituzione e la gestione di imprese.

21.      Nel caso di specie, X inizialmente era l’unica proprietaria dei titoli di partecipazione della propria controllata britannica. Per quanto attiene alla costituzione della controllata, X ricade quindi inequivocabilmente nel campo d’applicazione della libertà di stabilimento.

22.      Il presente procedimento, tuttavia, riguarda il diniego di considerare, sotto il profilo fiscale, una perdita valutaria in occasione della cessazione dell’attività della controllata. In questo momento X ha già ridotto la propria partecipazione nella controllata al 45%. Dopo la perdita della maggioranza dei titoli di partecipazione si potrebbe porre la questione se X ora non possa più esercitare una sicura influenza sulle decisioni della controllata e determinarne le attività, per cui X non sarebbe più tutelata dalla libertà di stabilimento.

23.      Nel caso di specie, tuttavia, ritengo che la libertà di stabilimento sia applicabile in via prioritaria. In primo luogo, infatti, già solo la prospettiva di uno svantaggio in occasione della cessazione dell’attività potrebbe far desistere dalla costituzione di una controllata, circostanza in cui peraltro X rientrava nel campo d’applicazione della libertà di circolazione. In secondo luogo, la Corte non richiede obbligatoriamente la maggioranza delle quote di partecipazione per ritenere applicabile la libertà di stabilimento. Così, in un caso essa ha ritenuto pacificamente sufficiente una partecipazione del 34% per affermare una «sicura influenza» (7). In un’altra causa, per essa è stata sufficiente sotto questo profilo, a determinate condizioni, persino una partecipazione appena superiore al 25% (8).

24.      In conclusione, nel caso di specie si deve dunque verificare se sussista una violazione della libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE, che per motivi di specialità fa recedere l’applicazione delle disposizioni sulla libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63, paragrafo 1, TFUE.

B –    Restrizione alla libertà di stabilimento

25.      Si pone pertanto la questione se sia contraria alla libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE l’impossibilità, per talune società svedesi, di fare valere, nell’ambito della tassazione del reddito di queste ultime, una perdita valutaria risultante dalle minusvalenze subite in occasione di cessioni con riferimento a determinate quote di partecipazione in una società con sede in un altro Stato membro.

26.      Ai sensi dell’articolo 54 TFUE anche le società possono godere della libertà di stabilimento nell’Unione. L’articolo 49, paragrafo 1, TFUE vieta in particolare le restrizioni alla costituzione e alla gestione di filiali in un altro Stato membro. A questo proposito, secondo una costante giurisprudenza, la libertà di stabilimento non preclude solo allo Stato ospitante ma anche allo Stato di origine di ostacolare lo stabilimento di una società in un altro Stato membro (9).

27.      Pertanto la Svezia, Stato di origine, potrebbe frapporre ostacoli ad una società come X, soggetta alla sua imposta sul reddito, nella costituzione o nella gestione di una controllata in un altro Stato membro impedendole che sia riconosciuta ai fini fiscali una perdita valutaria subita nel contesto della cessazione dell’attività della controllata.

28.      Secondo una giurisprudenza costante, devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (10). La Corte presuppone che una restrizione mediante una normativa dello Stato di origine sussista di norma quando lo stabilimento all’estero sia trattato meno favorevolmente dello stabilimento sul territorio nazionale (11). Sussiste pertanto una restrizione alla libertà di stabilimento da parte dello Stato di origine quando lo stabilimento all’estero è discriminato rispetto allo stabilimento sul territorio nazionale. Ciò può verificarsi in modo palese (v. al riguardo punto 1.) o dissimulato (v. al riguardo punto 2.). Se nel caso di specie possa configurarsi anche una violazione della libertà di stabilimento mediante una restrizione dello Stato di origine esente da discriminazioni dovrà essere chiarito al punto 3.

1.      Discriminazione palese

29.      Nel caso di specie non è ravvisabile alcun trattamento sfavorevole palese dello stabilimento all’estero. La normativa svedese, che non prende in considerazione sotto il profilo fiscale né le plusvalenze né le minusvalenze risultanti dalla cessione di quote in una società, infatti, è applicabile indipendentemente dal fatto che si tratti di titoli di partecipazione in una società stabilita sul territorio nazionale o all’estero. Sotto questo profilo non vi è, in linea di principio, alcuna differenza nel trattamento fiscale dello stabilimento sul territorio nazionale o estero di una controllata.

2.      Discriminazione dissimulata

30.      Secondo una giurisprudenza consolidata, tuttavia, le disposizioni in materia di parità di trattamento vietano non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, o alla sede per quanto riguarda le società, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato (12). Le disposizioni in materia di parità di trattamento si intendono comprendere soprattutto le libertà fondamentali nella misura in cui contemplano il principio della parità di trattamento con i cittadini nazionali, come la libertà di stabilimento di cui all’articolo 49, secondo comma, TFUE.

31.      Vero è che la suddetta giurisprudenza riguarda in primo luogo solo gli obblighi dello Stato ospitante. Infatti lo Stato di origine solitamente non ostacola una libertà fondamentale dettando normative differenti per diversi cittadini, bensì prevedendo per tutti i soggetti residenti sul proprio territorio la medesima disciplina, che, tuttavia, opera una distinzione fra il trattamento dell’attività transfrontaliera o interna. Sotto questo profilo, tuttavia, le libertà fondamentali richiedono anche da parte dello Stato di origine una parità di trattamento. Inoltre, come per le discriminazioni dello Stato ospitante in base alla cittadinanza o alla sede di una società, anche una forma dissimulata di disfavore delle attività transfrontaliere da parte dello Stato di origine può impedire l’esercizio della libertà fondamentale. Pertanto, il citato principio giurisprudenziale deve essere applicato in forma modificata anche in sede di verifica della restrizione alla libertà di stabilimento da parte dello Stato di origine.

32.      Conseguentemente si deve verificare se con l’esclusione della presa in considerazione ai fini fiscali delle plusvalenze e delle minusvalenze in occasione della cessione di partecipazioni siano trattati meno favorevolmente in forma dissimulata soggetti passivi che detengano partecipazioni in una società residente in un altro Stato membro rispetto a soggetti passivi che detengano partecipazioni in una società stabilita sul territorio nazionale.

33.      Secondo la formula della Corte, per discriminazione dissimulata in base alla nazionalità (13) si deve presumere un siffatto trattamento sfavorevole dissimulato qualora la normativa svedese sia pregiudizievole nella maggioranza dei casi per i soggetti passivi che cedano partecipazioni in una società avente sede in un altro Stato membro.

34.      Orbene, la questione può essere considerata sotto un duplice profilo. Da un lato, si potrebbe ritenere determinante il fatto che probabilmente – spettando in ogni caso la decisione definitiva al giudice del rinvio (14) – si subiscono maggiormente perdite valutarie nel caso di partecipazioni detenute in una società stabilita in un altro Stato membro. Sebbene sia vero che anche nel valore delle partecipazioni nazionali può essere insito un rischio valutario, e ciò non solo quando l’investimento finanziario sia denominato in valuta estera, ma anche quando la stessa società nazionale abbia investito in valute estere, al contempo il valore della partecipazione di una società estera può essere influenzato più facilmente dal valore delle valute estere, in quanto tale società potrebbe investire più frequentemente di una società nazionale in elementi patrimoniali espressi in valuta estera.

35.      D’altro canto una siffatta valutazione, tuttavia, trascurerebbe completamente di considerare che la normativa svedese di cui trattasi esclude, sotto il profilo fiscale, non solo le minusvalenze derivanti dalla cessione di quote di partecipazione, ma anche le plusvalenze. Conseguentemente, le fluttuazioni del tasso di cambio che influenzano il valore di una partecipazione non sono prese in considerazione sotto il profilo fiscale sia nel caso delle risultanti perdite sia nel caso degli utili derivanti. Sotto questo profilo, un trattamento sfavorevole dissimulato dello stabilimento transfrontaliero si dovrebbe presupporre solo se, a causa del rischio di cambio, le partecipazioni estere determinassero complessivamente perdite molto più rilevanti rispetto alle partecipazioni nazionali.

36.      Non posso, tuttavia, sottoscrivere questa ipotesi. Vero è che, in ultima analisi, spetta al giudice del rinvio, sulla base della situazione effettiva vigente nel Regno di Svezia, verificare se, sotto questo profilo, si debba constatare che la normativa svedese determina un trattamento svantaggioso dissimulato dello stabilimento estero. A questo proposito, il giudice del rinvio dovrebbe prendere in considerazione nel caso di cui trattasi anche la particolarità dovuta al fatto che i titoli di partecipazione di X nella propria controllata britannica non sono stati emessi nella valuta dello Stato ospitante, ossia in sterline britanniche, bensì in una valuta terza, ossia in dollari americani. Una siffatta condotta non esclude peraltro l’ipotesi di un trattamento svantaggioso dissimulato dell’attività transfrontaliera, poiché potrebbe essere riscontrabile più frequentemente nel caso di uno stabilimento transfrontaliero rispetto ad uno stabilimento nazionale. Indipendentemente da ciò, tuttavia, sulla base dei dati di fatto disponibili nel presente procedimento, non vi sono indicazioni circa il fatto che un rischio legato al tasso di cambio si concretizzi più frequentemente rispetto ad altri rischi dell’attività economica, cui sono esposte società nazionali al pari delle società estere.

37.      Pertanto, sulla base delle informazioni a disposizione, si deve concludere che la normativa svedese in questione non determina alcun trattamento sfavorevole dissimulato dello stabilimento transfrontaliero.

3.      Restrizione senza discriminazioni

38.      Rimane quindi da verificare se una restrizione alla libertà di stabilimento possa essere del pari riscontrata ove la normativa svedese ostacoli lo stabilimento di X in un altro Stato membro pur senza trattarlo, palesemente o dissimulatamente, in modo più svantaggioso rispetto allo stabilimento nazionale.

39.      Per lo Stato ospitante vale il principio che esso sostanzialmente può limitare la libertà di stabilimento anche mediante una normativa applicabile senza discriminazioni in base alla cittadinanza o alla sede di una società (15). Inoltre, secondo la formula generale, devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (16).

40.      In passato, tuttavia, ho espresso ripetutamente i miei dubbi circa la possibilità, nel settore del diritto tributario, di una restrizione ad una libertà fondamentale senza discriminazione (17). L’applicazione di qualsiasi imposta ostacola l’attività economica o la scoraggia. Se, tuttavia, un’imposta può motivare un controllo sotto il profilo del diritto dell’Unione alla luce delle libertà fondamentali anche nei casi in cui non è applicata né palesemente né dissimulatamente in modo discriminatorio e, pertanto, viene applicata allo stesso modo a tutti cittadini dell’Unione, anche la decisione di uno Stato membro di applicare un’imposta ad una determinata fattispecie e qualsiasi aumento di tale imposta avrebbero una rilevanza sotto il profilo del diritto dell’Unione. Con ciò si finirebbe col violare la potestà impositiva degli Stati membri, loro spettante in base alla vigente ripartizione delle competenze dell’Unione. Un’imposta applicata in modo assolutamente non discriminatorio, pertanto, non può comportare, in linea di principio, una restrizione ad una libertà fondamentale.

41.      Questo punto di vista, tuttavia, potrebbe essere confutato dalla sentenza Deutsche Shell, con cui si sono confrontate ampiamente anche le parti intervenute nel presente procedimento. In tale sentenza la Corte – basandosi sulle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston – ha affermato l’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento dovuta alla mancata presa in considerazione sotto il profilo fiscale di una perdita valutaria nel caso in cui una società fondi una succursale in uno Stato membro qualora si utilizzi una valuta diversa da quella dello Stato di origine e una risultante perdita valutaria si manifesti in occasione della cessazione dell’attività solo nello Stato d’origine. La società, infatti, sopporta un maggiore rischio economico (18). La Corte, per contro, non ha affermato l’esistenza di una discriminazione collegata a ciò.

42.      L’avvocato generale Sharpston, tuttavia, ha basato la propria proposta di decisione sulla circostanza che nelle operazioni fra la controllante di una società e la sua succursale vi può essere un rischio valutario esclusivamente qualora la succursale si trovi all’estero. Conseguentemente, è stato identificato un trattamento sfavorevole dissimulato della situazione transfrontaliera rispetto alla situazione interna, mentre non è stata identificata alcuna restrizione esente da discriminazioni. Nel caso di specie non è ravvisabile un siffatto trattamento sfavorevole dissimulato. Diversamente dalle operazioni fra entità della società, infatti, anche il valore di una partecipazione nazionale può essere soggetto ad un rischio valutario (19).

43.      Indipendentemente da ciò, tuttavia, nella sentenza Deutsche Shell non mi convince l’enfasi posta esclusivamente su una perdita valutaria. Se la mancata considerazione, sotto il profilo fiscale, di una siffatta perdita rappresenta una restrizione alla libertà di stabilimento, specularmente – nel caso in cui lo Stato membro tassi gli utili valutari – la tassazione di un siffatto utile valutario dovrebbe costituire del pari una restrizione. La conseguenza paradossale sarebbe che uno Stato membro limiterebbe la libertà di stabilimento sia tassando sia esentando dall’imposta simili fattispecie.

44.      Infine, anche qualora si volesse accettare la possibilità di una restrizione ad una libertà fondamentale esente da discriminazione nel diritto tributario, nel caso di specie non sarebbe ravvisabile una restrizione alla libertà di stabilimento. La Corte, infatti, non ritiene che la libertà di stabilimento sia ostacolata da parte dello Stato ospitante nei casi in cui una normativa valga nei confronti di tutti gli operatori economici, non miri a disciplinare le condizioni riguardanti lo stabilimento e gli eventuali effetti restrittivi siano troppo aleatori e troppo indiretti per essere considerati atti ad ostacolare l’esercizio della libertà di stabilimento (20). Sotto questo profilo, infine, è decisivo se una normativa esente da discriminazioni sia in grado di influenzare seriamente la decisione di investimento di un operatore economico (21). Anche qualora si trasponga la suddetta giurisprudenza ad una restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento da parte dello Stato di origine, non sarebbe ravvisabile nel caso di specie alcuna restrizione alla libertà di stabilimento a causa della irrilevanza fiscale di una perdita valutaria. Al momento della decisione di investimento, infatti, vi è la probabilità sia di un’eventuale perdita valutaria, che non può essere fatta valere sotto il profilo fiscale, sia di un utile, che non dovrebbe essere tassato. Gli effetti restrittivi della mancata deducibilità di un’eventuale perdita valutaria legata ad una partecipazione sono in questo contesto troppo incerti ed indiretti per costituire un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento.

45.      Conseguentemente, da ciò risulta che la libertà di stabilimento non è limitata dalla normativa svedese in questione.

C –    In subordine: giustificazione di una restrizione alla libertà di stabilimento

46.      Qualora la Corte, contrariamente alla mia opinione, dovesse ritenere sussistente nel caso di specie una restrizione alla libertà di stabilimento sulla base della mancata considerazione, sotto il profilo fiscale, di una perdita valutaria, si dovrebbe procedere col verificare se la suddetta restrizione possa essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

47.      Le parti che sono intervenute nel procedimento hanno dedotto due motivi: tutelare la coerenza fiscale (in proposito, sub 1.) e tutelare la ripartizione dei poteri impositivi fra gli Stati membri (in proposito, sub 2.).

1.      Coerenza fiscale

48.      Secondo una costante giurisprudenza, la necessità di salvaguardare la coerenza di un regime fiscale nazionale può giustificare una limitazione dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato (22). Su questo fondamento, gli Stati membri devono evitare che un soggetto fiscale si avvalga di un beneficio fiscale, da un lato, senza al contempo accettare di subire un corrispondente svantaggio fiscale.

 Nesso diretto fra vantaggio e svantaggio

49.      Vi può essere, tuttavia, una giustificazione, solo qualora esista un nesso diretto fra un vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio mediante un prelievo fiscale determinato (23). A questo proposito, il carattere diretto di tale nesso dev’essere valutato con riguardo all’obiettivo della normativa di cui trattasi (24).

50.      Nel caso di specie potrebbe esistere un siffatto nesso fra il prelievo fiscale derivante dalla mancata presa in considerazione delle perdite valutarie dovute ad una cessione di quote di partecipazione e il vantaggio fiscale derivante dal fatto che neanche gli utili valutari vengono presi in considerazione.

51.      Nella sentenza Deutsche Shell la Corte ha anche affermato che fra la presa in considerazione, sotto il profilo fiscale, delle perdite e degli utili valutari non vi era un nesso diretto. La mancata considerazione della perdita valutaria subita dal soggetto fiscale in questione, infatti, non era compensata da alcun beneficio fiscale a suo favore (25).

52.      Nella successiva sentenza K la Corte, tuttavia, ha valutato le cose in modo diverso. Anche nella suddetta causa la controversia verteva sulla presa in considerazione ai fini fiscali di una perdita derivante da una cessione di un investimento estero. In questo caso, tuttavia, la Corte ha riconosciuto un nesso diretto fra la presa in considerazione delle perdite derivanti da un investimento di capitale e l’imponibilità dei redditi derivanti dall’investimento medesimo (26). In proposito essa ha sottolineato che sia il beneficio che lo svantaggio sussistevano in capo allo stesso soggetto fiscale (27), sebbene la mancata considerazione della perdita subita dal soggetto fiscale a seguito della cessione – a causa dell’unicità della procedura di cessione – non potesse essere compensata a suo favore neanche mediante un successivo beneficio fiscale.

53.      Queste diverse pronunce si basano su una diversa concezione del vantaggio collegato all’applicazione dell’imposta. Mentre la sentenza Deutsche Shell intende accettare come vantaggio esclusivamente la mancata considerazione ai fini fiscali di un reddito effettivamente prodotto in capo al soggetto fiscale, nella sentenza K, invece, per la Corte è sufficiente che il soggetto fiscale non abbia subito la tassazione di un utile, qualora questo si sia prodotto. In altre parole, la sentenza Deutsche Shell considera la situazione del soggetto fiscale ex post, la sentenza K, invece, ex ante. Così, prima di iniziare ad investire in uno Stato membro, il soggetto fiscale riterrà vantaggioso il non doversi vedere tassato un eventuale utile che potrà conseguire. Questo vantaggio, tuttavia, svanirà per esso qualora il suo investimento terminerà in perdita.

54.      Nel contesto della finalità delle libertà fondamentali è preferibile l’approccio della sentenza K. Le libertà fondamentali dovrebbero produrre l’effetto di non far astenere un operatore economico dal porre in essere un’attività transfrontaliera nel mercato interno. Nella misura in cui – come nel caso di specie la costituzione di una controllata – la decisione di investimento preceda l’inizio dell’attività, anche per questo motivo rileva la situazione in quel momento.

55.      Da ciò discende che la mancata considerazione di una perdita valutaria risultante dalla cessione di quote di partecipazione in una società estera è giustificata in linea di principio dalla coerenza del sistema fiscale svedese, in quanto neanche un utile valutario verrebbe tassato.

 Proporzionalità

56.      Uno Stato membro, tuttavia, non può eccedere con una normativa a salvaguardia della coerenza fiscale quanto è necessario per il conseguimento di questo obiettivo.

57.      Sotto questo profilo, si pone la domanda se il Regno di Svezia non possa preservare la coerenza del proprio sistema fiscale anche – e in modo più vantaggioso per X – prendendo in considerazione sia le perdite sia gli utili valutari derivanti dalla cessione di quote di società nell’ambito della sua imposta sul reddito.

58.      Riguardo a questo aspetto non vedo, tuttavia, alcuna misura meno restrittiva per preservare la coerenza fiscale. Ciò, infatti, comporterebbe che qualora un soggetto passivo realizzi un utile valutario, quest’ultimo dovrebbe essere tassato. Ma ciò equivarrebbe comunque ad una restrizione alla libertà di stabilimento, qualora si presuma che essa sussista nel caso di specie di X.

59.      Un altro approccio, inoltre, implicherebbe che gli Stati membri non potrebbero decidere liberamente a quali fattispecie, in generale, applicare le imposte. Questo esito mi sembrerebbe incompatibile con la potestà impositiva loro spettante nel contesto della ripartizione delle competenze dell’Unione.

60.      La normativa svedese di cui trattasi sarebbe pertanto giustificata dall’obiettivo di preservare la coerenza fiscale ancorché la Corte dovesse ravvisare nella fattispecie – contrariamente al mio parere – una restrizione alla libertà di stabilimento.

2.      Ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri

61.      La giustificazione della salvaguardia della potestà impositiva fra gli Stati membri dedotta inoltre da alcune parti, invece, non è in grado di giustificare una eventuale restrizione alla libertà di stabilimento.

62.      Nella fattispecie la ripartizione della potestà impositiva fra gli Stati membri non viene toccata. È fuori discussione, infatti, che una plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione in una società avente sede in un altro Stato membro è soggetta alla potestà impositiva svedese. Il Regno di Svezia, tuttavia, si astiene dall’esercitare la propria capacità impositiva.

D –    Conclusione

63.      Alla luce di quanto precede va constatato che la normativa svedese di cui trattasi non ostacola la libertà di stabilimento. Tuttavia, anche se si concludesse che la normativa svedese determina una siffatta restrizione, essa sarebbe giustificata dalla finalità di preservare la coerenza fiscale.

VI – Conclusione

64.      Suggerisco pertanto alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale posta dallo Högsta förvaltningsdomstol nei seguenti termini:

L’articolo 49 TFUE, che si applica ad un caso come quello di cui al procedimento principale, non osta ad una normativa nazionale in base alla quale lo Stato in cui ha sede una controllante non concede deduzioni per una perdita valutaria integrata in una minusvalenza relativa a titoli di partecipazione in una controllata con sede in un altro Stato membro, nel caso in cui lo Stato della sede della controllante applichi un sistema in cui le plusvalenze e le minusvalenze relative alla cessione di tali titoli non vengono prese in considerazione in sede di calcolo del reddito imponibile.


1 –      Lingua originale: il tedesco.


2 –      Sentenza Deutsche Shell (C-293/06, UE:C:2008:129).


3 –      V. anche sentenza Deutsche Shell (C-293/06, UE:C:2008:129, punto 25).


4 –      V. sentenza Deutsche Shell (C-293/06, UE:C:2008:129, punto 27).


5 –      V., inter alia, sentenza Kronos International (C-47/12, UE:C:2014:2200, punti da 30 a 32 e giurisprudenza ivi cit.).


6 –      V. sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation (C-35/11, UE:C:2012:707, punti 93 e 94) Beker e Beker (C-168/11, EU:C:2013:117, punti 27 e 28), Bouanich (C-375/12, EU:C:2014:138, punti 29 e 30) nonché Kronos International (C-47/12, UE:C:2014:2200, punti 36 e 37).


7 –      V. sentenza SGI (C-311/08, UE:C:2010:26, punti 34 e 35).


8 –      V. sentenza Scheunemann (C-31/11, UE:C:2012:481, punti da 25 a 30).


9 –      V., ex multis, sentenze Daily Mail e General Trust (81/87, UE:C:1988:456, punto 16), National Grid Indus (C-371/10, UE:C:2011:785, punto 35) e Nordea Bank Danmark (C-48/13, UE:C:2014:2087, punto 18).


10 –      Sentenza National Grid Indus (C-371/10, UE:C:2011:785, punto 36 e giurisprudenza ivi cit.).


11 –      V., ex multis, sentenze AMID (C-141/99, UE:C:2000:696, punto 27), Marks & Spencer (C-446/03, UE:C:2005:763, punti da 32 a 34); Papillon (C-418/07, UE:C:2008:659, punti 21 e 22); National Grid Indus (C-371/10, UE:C:2011:785, punto 37); DI VI Finanziaria SAPA di Diego della Valle (C-380/11, UE:C:2012:552, punti da 34 a 36), e Nordea Bank Danmark (C-48/13, UE:C:2014:2087, punto 19).


12 –      V., inter alia, sentenza Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, UE:C:2014:47, punto 30 e giurisprudenza ivi cit.).


13 –      V. sentenza Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, UE:C:2014:47).


14 –      V. sentenza Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, UE:C:2014:47, punto 40).


15 –      V., ex multis, sentenze Commissione/Paesi Bassi (C-299/02, UE:C:2004:620, punto 15), del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez (C-570/07 e C-571/07, UE:C:2010:300, punto 53), nonché Venturini (da C-159/12 a C-161/12, UE:C:2013:791, punto 30).


16 –      V. supra, paragrafo 28.


17 –      V. le conclusioni da me presentate nelle cause X (C-498/10, UE:C:2011:870, paragrafo 28) e Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C-385/12, UE:C:2013:531, paragrafi 83 e 84).


18 –      Sentenza Deutsche Shell (C-293/06, UE:C:2008:129, punto 30).


19 –V. supra paragrafo 34.


20 –      V. sentenza Semeraro Casa Uno e a. (da C-418/93 a C-421/93, da C-460/93 a C-462/93, C-464/93, da C-9/94 a C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-23/94, C-24/94 e C-332/94, UE:C:1996:242, punto 32); v., sulla libera prestazione dei servizi, sentenza Pelckmans Turnhout (C-483/12, UE:C:2014:304, punto 24) e, sulla libera circolazione delle merci, sentenza DIP e a. (da C-140/94 a C-142/94, UE:C:1995:330, punto 29 e giurisprudenza ivi cit.).


21 –      V. le conclusioni da me presentate nella causa Sky Italia (C-234/12, UE:C:2013:323, paragrafi 60 e 61).


22 –      V. inter alia, sentenze Bachmann (C-204/90, UE:C:1992:35, punto 21), Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C-524/04, EU:C:2007:161, punto 68) e SCA Group Holding e a. (da C-39/13 a C-41/13, UE:C:2014:1758, punto 33).


23 –      V., inter alia, sentenze Svensson e Gustavsson (C-484/93, EU:C:1995:379, punto 18), ICI (C-264/96, EU:C:1998:370, punto 29), Rewe Zentralfinanz (C-347/04, UE:C:2007:194, punto 62) e SCA Group Holding u.a. (da C-39/13 a C-41/13, UE:C:2014:1758, punto 33).


24 –      V., inter alia, sentenze Deutsche Shell (C-293/06, EU:C:2008:129, punto 39), Presidente del Consiglio dei Ministri (C-169/08, EU:C:2009:709, punto 47) e Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company (C-190/12, EU:C:2014:249, punto 92).


25 –      Sentenza Deutsche Shell (C-293/06, UE:C:2008:129, punto 40).


26 –      Sentenza K (C-322/11, UE:C:2013:716, punto 69).


27 –      V. sentenza K (C-322/11, UE:C:2013:716, punto 69 e 70).