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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 7 settembre 2017 ( 1 )

Causa C-251/16

Edward Cussens

John Jennings

Vincent Kingston

contro

T.G. Brosnan

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta della Supreme Court (Corte suprema, Irlanda)]

«IVA – Elusione fiscale – Applicabilità diretta del principio del divieto di abuso del diritto riconosciuto nella causa Halifax e a. (C-255/02

I. Introduzione

1.

Le amministrazioni finanziarie non si innamorano facilmente. Vi è (probabilmente almeno) un’eccezione degna di nota a tale regola: la sentenza Halifax ( 2 ) del 2006, in cui la Corte ha confermato l’esistenza del principio del divieto di pratiche abusive nel settore della normativa relativa all’imposta sul valore aggiunto (IVA). Sembra che tale sentenza sia stata accolta con entusiasmo dalle amministrazioni finanziarie di tutti gli Stati membri.

2.

Tuttavia, come spesso accade, la vera natura dell’oggetto di legami emotivi sorti all’improvviso tende a rimanere, per qualche tempo, vaga e indefinita ( 3 ). Lo stesso vale per il divieto di pratiche abusive – detto anche divieto di abuso del diritto – in materia di IVA. Benché esso sia stato espressamente confermato oltre un decennio orsono e da allora sia stato oggetto di ampie discussioni e analisi dottrinali, si può affermare che le modalità di attuazione di tale principio, compreso lo specifico criterio da applicare ai fini dell’accertamento dell’abuso, sono ancora poco sviluppate.

3.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale invita la Corte a precisare i presupposti applicativi e gli effetti pratici del suddetto principio nel contesto di un rinvio disposto dalla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda).

4.

I signori Edward Cussens, John Jennings e Vincent Kingston (in prosieguo: i «ricorrenti») hanno costruito quindici case per vacanze su un fondo sito in Cork, Irlanda. Essi hanno ceduto in locazione gli immobili a una società ad essi collegata per un periodo di venti anni e un mese. In base al diritto irlandese, la locazione ventennale è stata considerata una prima cessione di beni immobili. L’IVA è stata applicata sul valore capitalizzato della locazione. Detto accordo è stato risolto un mese più tardi e gli immobili sono stati venduti ai ricorrenti a terzi. Conformemente al diritto irlandese, tali vendite non erano soggette ad IVA, poiché l’imposta era dovuta soltanto sulla prima cessione originaria, vale a dire sulla locazione di lunga durata. Successivamente, l’amministrazione finanziaria irlandese ha ritenuto che la prima cessione, ossia la locazione di lunga durata, costituisse una costruzione puramente artificiosa e un abuso del diritto. Pertanto, essa doveva essere ignorata ai fini dell’IVA e l’imposta andava liquidata sulla successiva vendita a terzi, come se si fosse trattato della prima cessione. Ciò avrebbe comportato un debito IVA molto maggiore a carico dei ricorrenti.

5.

La decisione dell’amministrazione finanziaria è stata impugnata e la controversia è infine giunta dinanzi alla Supreme Court of Ireland (Corte suprema, Irlanda). Quest’ultima ha sottoposto alla Corte otto questioni. La prima e la seconda questione sono dirette a stabilire se il principio del divieto di abuso del diritto sancito dal diritto dell’Unione abbia effetto diretto e prevalga sui principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. Supponendo che il menzionato principio abbia effetti diretti, con la quarta e la settima questione si chiedono chiarimenti in merito ai suoi presupposti applicativi. Qualora tali presupposti ricorrano nel caso di specie, con la terza questione si chiede come debbano essere reinterpretate e riaccertate le operazioni ai fini dell’IVA. La quinta, la sesta e l’ottava questione vertono sulle conseguenze dell’incompatibilità di una specifica disposizione del diritto nazionale con la sesta direttiva IVA 77/388/CEE ( 4 ).

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

1.  Direttiva 77/388 (in prosieguo: la «sesta direttiva IVA»)

6.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della sesta direttiva IVA ( 5 ), sono soggette all’IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».

7.

L’articolo 4, paragrafo 3, così dispone:

«Gli Stati membri possono considerare soggetti passivi anche chiunque effettui a titolo occasionale un’operazione relativa alle attività di cui al paragrafo 2 e in particolare una delle operazioni seguenti:

a)

la cessione, effettuata anteriormente alla prima occupazione, di un fabbricato o di una frazione di fabbricato e del suolo attiguo; gli Stati membri possono determinare le modalità di applicazione di questo criterio alla trasformazione di edifici nonché il concetto di suolo attiguo.

Gli Stati membri possono applicare criteri diversi dalla prima occupazione, quali ad esempio il criterio del periodo che intercorre tra la data di completamento dell’edificio e la data di prima consegna, oppure del periodo che intercorre tra la data di prima occupazione e la data della successiva consegna, purché tali periodi non superino cinque e due anni rispettivamente.

Si considera fabbricato qualsiasi costruzione incorporata al suolo;

b)

la cessione di un terreno edificabile.

Si considerano terreni edificabili i terreni, attrezzati o no, definiti tali dagli Stati membri».

8.

L’articolo 5, dal titolo «Cessioni di beni», stabilisce quanto segue:

«1.   Si considera “cessione di un bene” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.

(…)

3.   Gli Stati membri possono considerare beni materiali:

a)

determinati diritti su beni immobili;

b)

i diritti reali che conferiscono al loro titolare un potere d’uso sui beni immobili;

c)

le quote d’interessi e le azioni il cui possesso assicura, di diritto o di fatto, l’attribuzione in proprietà o in godimento di un bene immobile o di una sua parte».

9.

L’articolo 13 della sesta direttiva IVA, rubricato «Esenzioni all’interno del paese», così prevede:

«(…)

B. Altre esenzioni

Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

(…)

g)

le cessioni di fabbricati o di una frazione di fabbricato e del suolo ad essi attiguo, diversi da quelli di cui all’articolo 4, paragrafo 3, lettera a)».

B. Diritto irlandese

10.

L’articolo 4 del Value Added Tax Act 1972 [legge del 1972 relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: la «legge sull’IVA»], nella versione vigente all’epoca dei fatti, stabilisce quanto segue:

«(1)

(a)

Il presente articolo si applica ai beni immobili

(i)

costruiti da o per conto del cedente (…)

(b)

Nel presente articolo, con riferimento ai beni immobili, si intende per “diritto” un diritto su tali beni, ad esclusione dell’ipoteca, costituito per un periodo di almeno dieci anni (…) [e] i riferimenti alla cessione di un diritto si intendono fatti anche alla costituzione dello stesso (…)

(2)

(…) ai fini della presente legge sussiste una cessione di immobili se, e soltanto se, il titolare di un diritto su beni immobili cui si applica il presente articolo cede (anche per rinuncia o trasferimento), in relazione a tutti i suddetti beni o a una loro parte, tale diritto o un diritto da esso derivante.

(…)

(4)

Qualora il titolare di un diritto su beni immobili soggetti al presente articolo ceda, per tutti i suddetti beni o per una loro parte, un diritto derivante dal suddetto diritto, con modalità per le quali egli mantenga un diritto alla restituzione del diritto ceduto, ai fini dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera f), si considera, in relazione al diritto di restituzione così mantenuto, che detto titolare abbia destinato i beni o parte di essi, a seconda dei casi, a fini diversi dalla sua attività economica.

(…)

(6)

In deroga alle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 2, l’imposta non si applica alle cessioni di beni immobili

(a)

per i quali non sia sorto e, fatta eccezione per i casi di cui all’articolo 3, paragrafo 5, lettera b), punto (iii), non sarebbe sorto a favore del cedente alcun diritto a detrazione, ai sensi dell’articolo 12, di imposte dovute o assolte sulla cessione o sulla costruzione dei beni, oppure

(b)

che siano stati occupati prima della data indicata e non siano stati oggetto di alcun tipo di opera fra tale data e la data della cessione, salvo che si tratti di una cessione di beni immobili rientrante nell’ambito di applicazione del paragrafo 5.

(…)

(9)

Qualora una cessione della proprietà di beni immobili sia soggetta a imposizione e detti beni non siano stati oggetto di alcun tipo di opera dalla data di cessione di quel diritto (indicato nel prosieguo del presente paragrafo come il “diritto tassabile”) ogni attribuzione del diritto su quei beni successiva a tale data da parte di un soggetto diverso da quello che ha acquisito il diritto tassabile, ai fini della presente legge, è considerata una cessione di beni immobili cui si applica il paragrafo 6».

11.

L’articolo 10, paragrafo 9, della legge citata (nella versione applicabile nel 2002), così dispone:

«(a)

In caso di cessione di beni immobili o di prestazione di servizi consistente nella costruzione di beni immobili, il corrispettivo deve tenere conto di tutti i diritti sui suddetti beni che siano stati alienati nell’ambito della cessione o della prestazione.

(b)

Il valore di un diritto su beni immobili è il prezzo di mercato di tale diritto. Qualora la rinuncia a un diritto su beni immobili o il suo trasferimento costituisca una cessione di beni immobili soggetta ad imposta, il prezzo di mercato di tale diritto è determinato come avverrebbe nel caso in cui la persona che vi ha rinunciato o l’ha trasferito cedesse un diritto su tali beni da lei costituito per il periodo compreso tra la data della rinuncia o del trasferimento e la data in cui il diritto rinunciato o trasferito si sarebbe estinto in mancanza di rinuncia o trasferimento».

12.

Ulteriori disposizioni relative alla valutazione ai fini dell’IVA di operazioni aventi ad oggetto beni immobili erano contenute nell’articolo 19 del Value Added Tax Regulations 1979 (regolamento sull’IVA, S.I. n. 63 del 1979), ai sensi del quale:

«(2)

Qualora il titolare di un diritto su beni immobili (indicato nel presente articolo come il “cedente”) ceda, per tutti i suddetti beni o per una loro parte, un diritto derivante dal suddetto diritto, con modalità per le quali egli mantenga un diritto alla restituzione (indicato nel presente paragrafo come il “diritto restitutorio”) del diritto ceduto, si applicano le seguenti disposizioni:

(a)

il valore del diritto restitutorio si determina detraendo il valore del diritto ceduto dal valore, al momento della cessione, del pieno diritto sui beni di cui il cedente era titolare o della parte di tale diritto oggetto della cessione, e

(b)

se, in base alle condizioni di cessione, il diritto ceduto è – o si considera – di durata pari o superiore a venti anni, non si tiene conto del valore del diritto restitutorio».

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

13.

I ricorrenti erano comproprietari di un fondo sito in Cork sul quale hanno costruito quindici case per vacanze (in prosieguo: gli «immobili»). Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, per ridurre l’importo che sarebbe stato versato a titolo di IVA sulla vendita degli immobili, i ricorrenti realizzavano una serie di operazioni preliminari con una società collegata, la Shamrock Estates Limited («SEL») (in prosieguo: le «operazioni preliminari alla vendita»).

14.

L’8 marzo 2002 i ricorrenti stipulavano con la SEL un contratto di locazione di lunga durata avente ad oggetto gli immobili per un periodo di venti anni e un mese (in prosieguo: la «locazione di lunga durata»). Gli immobili venivano retrolocati ai ricorrenti per la durata di due anni (in prosieguo: la «locazione di breve durata»).

15.

Il 3 aprile 2002 le parti risolvevano, per mutua rinuncia, entrambi i rapporti di locazione e i ricorrenti riacquistavano la piena proprietà degli immobili. Nel maggio 2002 i ricorrenti vendevano gli immobili ad acquirenti terzi.

16.

In Irlanda, come regola base, le prime cessioni di beni immobili sono soggette a IVA, mentre le cessioni successive ne sono esenti. In caso di cessione sotto forma di vendita della proprietà, l’IVA viene calcolata in base al prezzo di vendita. In Irlanda, le locazioni di durata superiore a venti anni sono considerate alla stregua di cessioni di beni immobili ( 6 ). In tali casi, l’IVA viene calcolata in base al loro valore capitalizzato.

17.

Se gli immobili fossero stati venduti dai ricorrenti direttamente (cioè senza le operazioni preliminari alla vendita), l’IVA su tale vendita sarebbe ammontata a EUR 125746. Tuttavia, i ricorrenti hanno dichiarato IVA per un importo pari a EUR 40000 sulla locazione di lunga durata, che costituiva la prima cessione degli immobili, mentre la locazione di breve durata, la restituzione intervenuta a seguito della rinuncia alle locazioni e la successiva vendita degli immobili effettuata nel maggio 2002 erano tutte esenti da IVA.

18.

L’amministrazione finanziaria irlandese riteneva che le operazioni preliminari alla vendita fossero una costruzione puramente artificiosa e dovessero essere ignorate ai fini dell’accertamento dell’IVA. L’imposta dovuta sulla vendita degli immobili ammontava quindi a EUR 125746 (detratti gli EUR 40000 già versati).

19.

I ricorrenti hanno impugnato tale accertamento e la controversia è stata rimessa in ultima istanza alla Supreme Court of Ireland (Corte suprema, Irlanda), la quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il principio dell’abuso del diritto, come riconosciuto nella sentenza della Corte nella causa Halifax, applicabile nel settore IVA, abbia effetto diretto nei confronti di un singolo in assenza di un provvedimento nazionale, legislativo o giudiziario, attuativo di tale principio, in circostanze in cui, come nel caso di specie, la ridefinizione delle operazioni preliminari alla vendita e delle operazioni di compravendita (in prosieguo, complessivamente: le “operazioni dei ricorrenti”), come auspicata dai Commissioners, dia adito a un assoggettamento dei ricorrenti all’IVA, ove, sulla base della corretta applicazione delle disposizioni della normativa nazionale vigente al momento delle operazioni dei ricorrenti, tale assoggettamento non sia previsto.

2)

Se, qualora si risponda alla prima questione nel senso che il principio dell’abuso del diritto ha effetto diretto nei confronti di un singolo, anche in assenza di un provvedimento nazionale, legislativo o giudiziario, attuativo di tale principio, detto principio sia sufficientemente chiaro e preciso da essere applicato alle operazioni dei ricorrenti, che sono state completate prima che fosse emanata la sentenza della Corte nella causa Halifax e, in particolare, con riguardo ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento dei ricorrenti.

3)

Qualora il principio dell’abuso del diritto si applichi alle operazioni dei ricorrenti cosicché queste debbano essere ridefinite:

a)

quale sia il meccanismo giuridico per mezzo del quale è accertata e riscossa l’IVA dovuta sulle operazioni dei ricorrenti, posto che l’IVA non è dovuta, accertabile o riscuotibile ai sensi del diritto nazionale, e

b)

in che modo i giudici nazionali debbano imporre tale assoggettamento.

4)

Se il giudice nazionale, nel determinare se lo scopo essenziale delle operazioni dei ricorrenti fosse o meno quello di ottenere un vantaggio fiscale, debba considerare le operazioni preliminari alla vendita (che, stando agli accertamenti, sono state effettuate solo per motivi fiscali) separatamente, o se debba essere considerato lo scopo delle operazioni dei ricorrenti nel loro complesso.

5)

Se l’articolo 4, paragrafo 9, della [legge sull’IVA] debba essere inteso quale misura nazionale attuativa della sesta direttiva, nonostante sia incompatibile con la disposizione legislativa prevista all’articolo 4, paragrafo 3, della sesta direttiva, sulla cui corretta applicazione i ricorrenti, relativamente alla cessione anteriore alla prima occupazione degli immobili, sarebbero intesi come soggetti passivi, sebbene vi fosse stata una previa cessione soggetta a IVA.

6)

Nel caso in cui l’articolo 4, paragrafo 9, sia incompatibile con la sesta direttiva, se i ricorrenti, applicando detto paragrafo, siano coinvolti in un abuso del diritto contrario ai principi riconosciuti nella sentenza della Corte nella causa Halifax.

7)

In subordine, nel caso in cui l’articolo 4, paragrafo 9, non sia incompatibile con la sesta direttiva, se i ricorrenti abbiano ottenuto un vantaggio fiscale contrario allo scopo della direttiva e/o dell’articolo 4.

8)

Anche nell’ipotesi in cui l’articolo 4, paragrafo 9, non debba essere inteso come attuativo della sesta direttiva, se il principio dell’abuso del diritto come stabilito nella sentenza della Corte nella causa Halifax si applichi comunque alle operazioni in questione con riferimento ai criteri stabiliti dalla Corte nella causa Halifax».

20.

Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti, il rappresentante del governo irlandese e dell’amministrazione finanziaria irlandese (quest’ultima indicata in prosieguo come la «resistente»), il governo italiano e la Commissione. Le parti interessate che hanno partecipato alla fase scritta, ad eccezione del governo italiano, hanno presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 27 aprile 2017.

IV. Analisi

21.

Le otto questioni sollevate dal giudice del rinvio possono essere suddivise in quattro diversi gruppi tematici:

se il principio del divieto di abuso del diritto si applichi al caso di specie (questioni 1 e 2) (v. infra, sezione B);

i presupposti applicativi del principio, vale a dire: come si debbano determinare lo scopo essenziale dell’operazione (questione 4) e lo scopo della sesta direttiva IVA e della normativa nazionale di recepimento (questione 7) (v. infra, sezione C);

le conseguenze dell’abuso in termini di ridefinizione e riaccertamento delle operazioni (questione 3) (v. infra, sezione D);

le conseguenze del fatto che l’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA sia ritenuto incompatibile con la direttiva o non sia considerato attuativo della stessa (questioni 5, 6 e 8) (v. infra, sezione E).

22.

Esaminerò in successione ciascuno di questi temi. Tuttavia, prima di addentrarsi in un’analisi dettagliata, occorre svolgere due osservazioni introduttive di carattere terminologico.

A. Nota terminologica

23.

Nella sua ordinanza di rinvio, il giudice nazionale utilizza l’espressione «abuso del diritto». In effetti, tale espressione viene spesso impiegata dalla Corte, sia in materia di IVA, sia in altri settori. Tuttavia, da un punto di vista globale, la Corte di fatto ricorre nella sua giurisprudenza a un’ampia gamma di espressioni per indicare fenomeni analoghi o identici. Vi rientrano i riferimenti al «principio di divieto di pratiche abusive» ( 7 ) oppure al fatto che «i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione» o che «[l’applicazione della normativa dell’Unione non può] estendersi fino a comprendere le pratiche abusive» ( 8 ). Sono comuni anche espressioni alternative quali, ad esempio, «elusione» ( 9 ), «sottrazione» ( 10 ) o «costruzioni puramente artificiose» ( 11 ).

24.

A mio parere, l’espressione «abuso del diritto» è più appropriata per le fattispecie relative a rapporti tra privati, nelle quali si ritenga che una parte eserciti, ad esempio, diritti di proprietà esistenti o diritti derivanti da un contratto in maniera irragionevole, impropria o lesiva. Pertanto, non vi è dubbio che una parte sia portatrice di diritti (nel senso della titolarità legale); l’aspetto potenzialmente problematico è il modo in cui li esercita.

25.

Tale situazione non coincide con il tipo di asserito abuso in discussione nel caso di specie, in cui si controverte in realtà sull’ambito di applicazione delle disposizioni di diritto dell’Unione e sulla questione se esse vengano invocate in maniera «artificiosa», non in linea con lo scopo normativo ( 12 ).

26.

In altre parole, nel settore del diritto pubblico, la nozione più pertinente per descrivere ciò che s’intende realmente è quella di «elusione» e non quella essenzialmente privatistica di «abuso del diritto». Tuttavia, poiché il termine «abuso» è ormai ampiamente utilizzato nella giurisprudenza e nel linguaggio dell’Unione, mi vi atterrò. Tuttavia, ritengo preferibile, e utilizzerò nelle presenti conclusioni, l’espressione «abuso della legge», che quanto meno rimanda in modo leggermente più marcato al contesto di diritto pubblico della nozione.

27.

Inoltre, la mancanza di una terminologia standardizzata tradisce una più profonda eterogeneità nell’approccio e nell’applicazione del divieto di abuso nella giurisprudenza della Corte. Ne emerge infatti una questione più fondamentale: se esista un principio generale di divieto di abuso della legge, o esistano invece specifici principi settoriali.

28.

In materia di IVA, ad esempio, il carattere «artificioso» delle operazioni costituisce un presupposto essenziale. Infatti, la posizione fondamentale assunta a tale riguardo dalla Commissione – ancorché espressa in maniera piuttosto velata – è in sostanza che il carattere artificioso delle operazioni equivale a un abuso se determina una riduzione del debito IVA. Per contro, ad esempio nel campo della libera circolazione, al carattere artificioso viene attribuita minore importanza (e talvolta, in pratica, nessuna importanza) ( 13 ).

29.

Ritengo che si debba prendere atto dell’esistenza di tale diversità senza sostenere che nel diritto dell’Unione esista un principio monolitico di divieto di abuso della legge ( 14 ). Ciò significa che vi è comunque un unico principio di divieto di abuso della legge che viene applicato diversamente nei vari settori, o significa invece che esiste una pluralità di specifici principi settoriali?

30.

Per quanto intrigante possa risultare tale questione, ritengo che non occorra esaminarla approfonditamente in questa sede. Sotto il profilo pratico, la sua soluzione è essenzialmente una questione di definizione e del relativo grado di astrazione da scegliere a questo scopo. Infatti, a un livello elevato di astrazione, potrebbe esistere effettivamente una protoidea unificatrice del principio di abuso, la cui ombra sfuocata appare tremolante in qualche punto sul muro della caverna allegorica di Platone. Tuttavia, non appena si tenti di ottenere un’immagine più definita e si guardi in particolare alle condizioni individuali dell’abuso nei settori specifici del diritto, emergono differenze notevoli.

31.

Per tali motivi, nelle presenti conclusioni – che certamente non riguardano l’elaborazione di nuovi principi fondamentali, bensì ordinarie questioni attinenti a dettagli pratici – farò riferimento al «principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA», analizzandone i presupposti e la sua applicazione nell’ambito specifico di tale imposta.

B. Prima e seconda questione: applicabilità del principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA

32.

La prima e la seconda questione sollevate dal giudice del rinvio vertono essenzialmente sul grado di precisione del principio di diritto dell’Unione che vieta l’abuso della legge in materia di IVA e sulla sua applicazione nel tempo. Occorre stabilire se, all’epoca dei fatti oggetto del procedimento principale, il principio e i suoi presupposti applicativi fossero sufficientemente precisi per essere applicabili in pratica nel caso di specie.

33.

Si tratta di una domanda del tutto legittima, in particolare se si considera che la sentenza nella causa Halifax – che per la prima volta ha definito le condizioni e applicato il principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA – è successiva ai fatti del procedimento principale. Tuttavia, le questioni del giudice del rinvio sono espresse in termini di effetto diretto, assenza di provvedimenti di attuazione e possibilità che un principio generale di diritto abbia effetti diretti nei confronti di un singolo. Come spiegherò nella presente sezione, la questione dell’effetto diretto, tecnicamente, non è rilevante in relazione alla giurisprudenza della Corte, inclusa la giurisprudenza che conferma l’esistenza di un principio generale del diritto.

34.

La presente sezione è articolata come segue. Anzitutto, esaminerò, in generale, la natura e la mancata attuazione (a livello normativo) della giurisprudenza della Corte e dei principi generali di diritto dell’Unione ivi sanciti (1); analizzerò poi i potenziali limiti temporali delle decisioni della Corte (2); infine, riunirò questi due filoni e li applicherò al caso di specie (3).

1.  Attuazione ed efficacia nel tempo della giurisprudenza e dei principi generali

35.

In primo luogo, per quanto riguarda l’applicazione nel tempo della giurisprudenza della Corte, vige la regola generale della retrospettività incidentale: la Corte fornisce l’interpretazione delle disposizioni di diritto dell’Unione ex tunc, che diviene quindi immediatamente applicabile a tutti i casi ancora aperti (ed eccezionalmente anche chiusi ( 15 )) in cui è applicata la medesima disposizione. La giurisprudenza precisa e definisce il senso e la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione, quali devono o avrebbero dovuto essere intese ed applicate fin dalla loro entrata in vigore. Ne consegue che tali disposizioni, così interpretate, possono essere applicate anche a rapporti giuridici sorti e costituitisi prima della sentenza o delle sentenze pertinenti della Corte ( 16 ).

36.

Per quanto attiene alla potenziale attuazione della giurisprudenza della Corte, le interpretazioni da essa fornite delle disposizioni giuridiche «si innestano» sulle disposizioni stesse. Conformemente al principio della separazione ( 17 ) o della «ripartizione orizzontale e verticale» dei poteri ( 18 ), il compito della Corte consiste nell’individuare il diritto, non nel crearlo ( 19 ).

37.

Per tali ragioni, la giurisprudenza dell’Unione non necessita di essere «attuata» per produrre effetti. Talvolta essa può essere (parzialmente) codificata. In altri casi viene presa in considerazione al momento di adottare nuove versioni della normativa pertinente o in sede di modifica di quest’ultima. Tutto ciò è ben possibile, ma certamente non costituisce un prerequisito per l’applicazione della giurisprudenza. Quest’ultima non richiede un’attuazione a livello normativo per spiegare effetti.

38.

In secondo luogo, per quanto attiene ai principi generali, si potrebbe certamente ipotizzare che, dal momento che sono generali e costituiscono dei principi, essi si applichino senza limiti temporali a partire dal momento in cui ne sia stata «scoperta» l’esistenza. In quanto tali, essi sono indipendenti da qualsiasi normativa che li istituisca o riconosca loro effetti, nonché dai limiti temporali propri di detta normativa.

39.

Tuttavia, ritengo che siffatta esclusione assoluta di qualunque limite temporale nell’applicazione di principi generali non sia una tesi particolarmente valida, sotto vari aspetti. Tralasciando tutte le questioni di carattere teorico e ontologico, si pongono anche diversi problemi di natura pratica. Ne spicca uno in particolare: se l’esistenza di un principio generale di diritto dell’Unione trova autorevole conferma solo in una decisione della Corte, i cui effetti temporali sono limitati, il principio generale sancito dalla medesima decisione può godere non solo della stessa retrospettività incidentale, ma essenzialmente della piena applicazione retroattiva al di là delle regole generalmente applicabili alla giurisprudenza della Corte?

40.

Pertanto, a tutti i fini pratici, un principio generale di diritto dell’Unione la cui esistenza sia stata confermata da una decisione della Corte condivide, per quanto riguarda i due elementi fondamentali esaminati in questa sede, le medesime caratteristiche della giurisprudenza della Corte: si applica del pari ai casi pendenti e non richiede, per produrre effetti, specifiche misure di attuazione.

41.

Per tali motivi, l’«effetto diretto» e la specifica trasposizione non costituiscono prerequisiti per l’applicazione dei principi generali di diritto dell’Unione ( 20 ). Ai fini dell’accertamento delle operazioni, le norme di diritto dell’Unione in materia di IVA e le disposizioni nazionali che le recepiscono devono essere applicate alla luce e in conformità dei principi generali elaborati dalla giurisprudenza, compreso il principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA. Ciò vale anche per le operazioni effettuate prima della sentenza Halifax ma il cui accertamento era ancora in corso alla data in cui è stata resa detta sentenza.

2.  Limiti temporali

42.

In alcune occasioni, la Corte ha limitato gli effetti nel tempo delle sue sentenze. Tali limitazioni hanno carattere eccezionale ( 21 ). La Corte procede in tal senso solo per ragioni imperative di certezza del diritto ( 22 ) e qualora ricorrano due condizioni, vale a dire «la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti [derivanti della sentenza]» ( 23 ). Inoltre, la Corte non impone tali limiti qualora esista già una giurisprudenza in materia ( 24 ).

43.

Tutti i suddetti presupposti e le loro applicazioni sono accomunati da una caratteristica: la prevedibilità. Questo è anche il motivo per cui, ad esempio, la Corte potrebbe eccezionalmente fissare limiti temporali solo quando fornisca una determinata interpretazione del diritto per la prima volta, ma non nelle successive decisioni che confermino il medesimo approccio. D’altro canto, occorre riconoscere altresì che, in generale, quanto più la Corte sviluppa il diritto al di là del testo specifico delle disposizioni interpretate, tanto più difficile diviene verosimilmente mantenere la regola della piena applicazione ex tunc di tali pronunciamenti giudiziari ( 25 ).

3.  Applicazione al caso di specie

44.

Le osservazioni generali svolte nelle precedenti sezioni 1 e 2 forniscono i criteri per rispondere alla prima e alla seconda questione sollevate dal giudice del rinvio.

45.

A partire dalla causa Halifax, il principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA è divenuto applicabile (sempre che ne ricorressero i presupposti «oggettivi» e «soggettivi») a tutte le cause pendenti nelle quali risultava pertinente, senza che gli Stati membri dovessero adottare specifiche misure di attuazione di tale principio.

46.

In termini concreti, ai fini dell’accertamento delle operazioni, l’amministrazione finanziaria dello Stato membro deve interpretare e applicare la sesta direttiva IVA e le relative misure nazionali di recepimento alla luce del suddetto principio. Lo stesso vale per gli accertamenti che erano ancora in corso alla data della sentenza della Corte nella causa Halifax ma riguardavano operazioni anteriori a detta sentenza.

47.

Comprendo la preoccupazione del giudice del rinvio secondo cui un simile approccio, ancorché pienamente conforme alle regole generali in materia di effetti nel tempo della giurisprudenza della Corte accennate in precedenza, potrebbe sollevare problemi sotto il profilo della certezza del diritto. Tuttavia, a mio parere, è evidente che quello in esame non sia un caso eccezionale tale da poter giustificare una limitazione degli effetti temporali della sentenza Halifax. A questo proposito, desidero evidenziare in particolare cinque aspetti.

48.

In primo luogo, il divieto di «pratiche abusive» o di «abuso del diritto» è stato applicato dalla Corte a partire dagli anni settanta in un’ampia gamma di settori e non con modalità specifiche per essi ( 26 ). Questo ampio ricorso alla nozione ne conferma il «carattere generale per definizione inerente ai principi generali di diritto» ( 27 ).

49.

In secondo luogo, fin dal 1977, una serie di disposizioni della sesta direttiva IVA, compreso l’articolo 13, parte B, conteneva espliciti riferimenti alla prevenzione degli abusi ( 28 ). Così, solo leggendo le disposizioni di detta direttiva, non sorprende che esista un divieto di elusione e di abuso inerente al sistema della direttiva stessa. Più in generale, il divieto di abuso della legge è stato anche espressamente sancito dal legislatore oltre due decenni orsono nel regolamento n. 2988/95 in quanto requisito della tutela degli interessi finanziari dell’Unione ( 29 ).

50.

In terzo luogo, il divieto previsto dal succitato regolamento subordinava l’accertamento di un abuso a due presupposti: uno oggettivo (il raggiungimento o meno dello scopo normativo) e uno soggettivo (il carattere artificioso delle operazioni) ( 30 ). Nel 2000 (ossia prima dei fatti oggetto del procedimento principale), la Corte aveva già individuato, nella sentenza Emsland-Stärke, esattamente le medesime condizioni soggiacenti al divieto generale di abuso della legge. Nel 2006, allorché ha confermato, nella sentenza Halifax, che tali condizioni trovavano applicazione anche in materia di IVA, la Corte non è intervenuta per modificarle ( 31 ).

51.

Come già rilevato ( 32 ), esistono talune differenze nella specifica applicazione del principio del divieto di abuso della legge ai diversi settori. La sentenza Halifax della Corte è stata effettivamente la prima a confermare le condizioni e ad applicare tale principio in materia di IVA. Tuttavia, tenuto conto di tutti gli aspetti già esaminati, non si trattava certamente di un’interpretazione del principio sorprendente o rivoluzionaria, che si discostasse dalla giurisprudenza esistente. Detta interpretazione era peraltro coerente con i riferimenti alla prevenzione degli abusi già contenuti nella sesta direttiva IVA e con il regolamento sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

52.

In quarto luogo, la limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza solleva difficoltà già sotto il profilo dell’obiettività del diritto ( 33 ). Pertanto, la decisione di limitare gli effetti temporali di una sentenza dovrebbe essere assunta unicamente nell’ambito della sentenza medesima. Poiché una siffatta limitazione non era stata imposta nella stessa causa Halifax, è difficile comprendere perché, salvo circostanze davvero eccezionali, dovrebbe esserlo un decennio dopo e in relazione a un caso diverso.

53.

In quinto luogo, come accennato sopra ( 34 ), uno dei prerequisiti per limitare gli effetti temporali di una sentenza è che le parti che intendono beneficiare di tale limitazione abbiano agito in buona fede. È vero che la «malafede» non costituisce un presupposto distinto dell’accertamento di un abuso (e invero i ricorrenti non sono sospettati di avere agito in malafede). Tuttavia, se ricorrono i presupposti oggettivi e soggettivi per dichiarare l’esistenza di un abuso, sembra piuttosto incongruo concludere che il contribuente ha comunque agito del tutto in buona fede per giustificare la misura eccezionale della limitazione degli effetti temporali di una sentenza della Corte.

54.

Infine, come già confermato dalla Corte, se ricorrono i presupposti dell’abuso, il contribuente non può invocare la certezza del diritto o il legittimo affidamento per giustificare in qualche modo tale comportamento ( 35 ).

55.

Pertanto, non ravviso alcun motivo per limitare gli effetti temporali della sentenza Halifax nel caso in esame.

4.  Conclusione

56.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alla prima e alla seconda questione sollevate dal giudice del rinvio:

Le disposizioni della sesta direttiva IVA e i provvedimenti nazionali di attuazione di detta direttiva devono essere interpretati alla luce del principio generale di diritto dell’Unione del divieto di abuso della legge in materia di IVA. Ciò vale del pari:

in assenza di un provvedimento nazionale, legislativo o giudiziario, «attuativo» di tale principio;

nei casi, come quello pendente dinanzi al giudice del rinvio, in cui le operazioni pertinenti sono state completate prima della sentenza della Corte del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121).

C. Quarta e settima questione: presupposti applicativi del principio dell’abuso della legge in materia di IVA

57.

Con la quarta e la settima questione, il giudice del rinvio chiede chiarimenti in merito ai presupposti necessari per dichiarare l’esistenza di un abuso della legge. Sebbene spetti in definitiva al giudice nazionale stabilire se ricorrano tali presupposti ( 36 ), la Corte può fornire assistenza precisando come essi debbano essere interpretati e applicati.

1.  I due presupposti necessari per dichiarare l’esistenza di un abuso della legge nelle controversie in materia di IVA

58.

Per poter dichiarare l’esistenza di una pratica abusiva, l’amministrazione finanziaria dello Stato membro deve dimostrare che ricorrono due presupposti.

59.

In primo luogo, deve risultare che «le operazioni controverse (…), nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurar[ano] un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni» (il «presupposto oggettivo»). In secondo luogo, «[d]eve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale» ( 37 ) (il «presupposto soggettivo»).

60.

Questi due presupposti sono separati, distinti e cumulativi. Ciò emerge chiaramente, a mio avviso, dal modo in cui essi sono generalmente definiti dalla giurisprudenza della Corte e interpretati alla luce di specifiche situazioni di fatto. Il presupposto «oggettivo» riguarda lo scopo giuridico perseguito dal legislatore e la questione se esso sia stato raggiunto. Il presupposto «soggettivo» attiene alla finalità pratica delle operazioni effettuate. Li esaminerò in successione nel prosieguo.

2.  Presupposto oggettivo: se il vantaggio fiscale sia contrario allo scopo delle «pertinenti disposizioni»

61.

Con la settima questione si chiede se i ricorrenti abbiano ottenuto un vantaggio fiscale contrario allo scopo della normativa nazionale e della direttiva. La Corte è competente a rispondere a tale questione solo nella misura in cui riguarda lo scopo della direttiva.

62.

Va rilevato preliminarmente che un’autorità amministrativa potrebbe essere tentata di affermare che lo scopo della sesta direttiva IVA consiste nel trasferire denaro dai contribuenti allo Stato. Pertanto, ogni contrazione del gettito fiscale, e quindi ogni «ottimizzazione fiscale», contrasterebbe con siffatto scopo generale della normativa tributaria.

63.

Tale affermazione sarebbe chiaramente errata. La Corte ha confermato in varie occasioni che «un imprenditore che ha la scelta tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’IVA (…). [I]l soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale» ( 38 ).

64.

In altri termini, non esiste un obbligo di pagare la massima imposta possibile. Pertanto, lo «scopo» perseguito nell’ambito del presupposto oggettivo del test Halifax non può essere semplicemente lo scopo generale di tutta la normativa fiscale, ossia la riscossione delle imposte. Quale potrebbe essere allora, in tale contesto, lo «scopo»specifico?

a)  Giurisprudenza relativa allo scopo delle «pertinenti disposizioni»

65.

Inizierò con una considerazione di fondo relativa alla formulazione del quesito, fondamentale ai fini del ragionamento che segue: la giurisprudenza fa riferimento al mancato raggiungimento dello scopo non della «direttiva» in generale, ma semmai delle sue «pertinenti disposizioni» ( 39 ). Ciò trova ampio riscontro nel modo in cui la Corte ha applicato in pratica tale presupposto ( 40 ). Pertanto, per constatare la sussistenza del presupposto oggettivo, in linea di principio occorrono i) l’identificazione delle «pertinenti disposizioni» e ii) del loro scopo, nonché iii) la prova che detto scopo non è stato raggiunto ( 41 ).

66.

Da un’analisi più approfondita della giurisprudenza emerge che il suddetto test dello scopo viene applicato in modi leggermente diversi. Per illustrare tale aspetto e preparare il terreno per la valutazione dello scopo delle pertinenti disposizioni nel caso di specie, illustrerò in prosieguo tre esempi tratti dal settore dell’IVA: le sentenze Halifax, Part Service e WebMindLicences ( 42 ).

67.

Nella causa Halifax, il timore di un abuso traeva origine essenzialmente dal fatto che le operazioni erano configurate in modo che le società del gruppo Halifax potessero continuare a rientrare nel regime di esenzione dall’imposta a valle e cionondimeno detrarre la totalità dell’imposta a monte su dette operazioni. La Corte ha interpretato l’articolo 17, paragrafi 2, 3 e 5, della sesta direttiva IVA nel senso che il diritto di detrarre l’imposta assolta a monte, letto alla luce del principio di neutralità fiscale, richiede un nesso tra un’operazione a monte e un’operazione a valle ( 43 ). Qualora un soggetto passivo di norma non effettui alcuna operazione conforme alle disposizioni del sistema delle detrazioni che gli consenta di detrarre totalmente l’imposta, sarebbe contrario allo scopo di dette disposizioni permettergli di detrarre la totalità dell’IVA assolta a monte ( 44 ).

68.

Nella causa Part Service ( 45 ), le società coinvolte avevano suddiviso i contratti di locazione finanziaria dei veicoli in parti distinte (ivi compresi assicurazione, finanziamento, intermediazione e noleggio). La Corte si è basata sul principio secondo cui, qualora vi siano più operazioni formalmente separate, queste devono comunque essere esaminate congiuntamente se «al termine di un’analisi anche solo oggettiva, si constati che [sussiste un’unica operazione]» ( 46 ). In tali casi, un trattamento separato a fini IVA delle prestazioni di cui trattasi sarebbe «contrario all’obiettivo dell’[articolo] 11, parte A, [paragrafo] 1, [lettera a)] della sesta direttiva, cioè l’imposizione di tutto ciò che costituisce la contropartita ottenuta o da ottenere da parte dell’utilizzatore» ( 47 ).

69.

Nella causa WebMindLicences ( 48 ), le società coinvolte avevano effettuato una serie di operazioni dalle quali risultava, prima facie, che le licenze in questione venivano fornite a partire dal Portogallo e non dall’Ungheria (dove vige un’aliquota IVA molto più elevata per il medesimo tipo di operazioni). Nella sua sentenza in detta causa, la Corte ha concentrato l’attenzione sullo scopo delle specifiche disposizioni della direttiva 2006/112 che definiscono il luogo della prestazione di servizi ( 49 ). Essa ha dichiarato che non vi sarebbe stato alcun abuso se i servizi fossero stati effettivamente prestati a partire dal Portogallo. Per contro, «la situazione [sarebbe stata] diversa se la prestazione di servizi fosse in realtà [stata] resa in [Ungheria]».

70.

È quindi evidente che, in tutti i casi sopra citati, è stato preso in considerazione lo scopo di disposizioni specifiche della direttiva applicabile, come invero risulta necessario per poter stabilire se ricorra il «presupposto oggettivo».

b)  L’accorpamento dei due presupposti proposto dalla Commissione

71.

Le memorie delle parti non indicano chiaramente ed espressamente quali siano le «pertinenti disposizioni» al fine di individuare un potenziale abuso nel caso in esame.

72.

In udienza, la Commissione ha fatto riferimento al complesso o alla serie di disposizioni in materia di IVA pertinenti nella fattispecie e ha richiamato l’articolo 2, paragrafo 1, l’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e l’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA. Essa ha inoltre affermato in udienza che lo scopo di tali disposizioni era garantire la «corretta applicazione» o il «normale trattamento fiscale» delle operazioni.

73.

Concordo sul fatto che quelle citate siano le disposizioni applicabili ( 50 ). Tuttavia, ritengo che tale definizione dello scopo non sia convincente. L’argomento della Commissione è semplicemente circolare.

74.

Naturalmente, è auspicabile che tutte le disposizioni della sesta direttiva IVA siano applicate correttamente in modo da garantire che le operazioni siano sottoposte al normale trattamento fiscale. Tuttavia, nel caso in esame, la questione è, per l’appunto: che cos’è un accertamento corretto? Nella fattispecie, l’intera questione trae origine dal fatto che l’accertamento è «tecnicamente» corretto. Per riprendere i termini della sentenza Halifax, vi è stata un’«applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva» ( 51 ) a tutte le operazioni.

75.

Interrogata in udienza su questo punto, la Commissione ha precisato che intendeva sostenere che lo scopo delle pertinenti disposizioni è la tassazione dell’operazione reale, sostanziale. Non essendo reali ma fittizie, la locazione di lunga durata e la locazione di breve durata dovrebbero essere ignorate.

76.

Per il momento, supporrò che l’affermazione Commissione sia corretta e che lo scopo delle suddette disposizioni sia la tassazione delle «operazioni reali, sostanziali». Se è così, allora, in pratica, l’attenzione si sposta completamente sul secondo presupposto, quello «soggettivo» o della «artificiosità», del test dell’esistenza dell’abuso elaborato nelle sentenze Emsland-Stärke e Halifax. Pertanto, se ricorre tale presupposto e un’operazione risulta effettivamente artificiosa (non «reale» o «sostanziale»), allora, a fortiori, l’applicazione a tali operazioni delle disposizioni in materia di IVA non può soddisfare lo scopo da queste perseguito ( 52 ).

77.

La questione dell’individuazione delle operazioni «reali» o «sostanziali» e di quelle, per contro, «artificiose» o «fittizie» diviene assolutamente decisiva. I due presupposti si riducono a uno soltanto.

78.

A mio avviso, tale approccio comporta una serie di problemi rilevanti. Ne evidenzierò quattro.

79.

In primo luogo, esso effettivamente elimina la prima fase del test Halifax. Ritengo che non sia l’approccio corretto, ma se lo fosse, sarebbe importante dichiararlo espressamente. Come confermato, ad esempio, nella sentenza Halifax, «[c]ome la Corte ha più volte dichiarato, (…) la normativa comunitaria dev’essere certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti. (…) Tale necessità di certezza del diritto s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l’estensione degli obblighi che essa impone loro» ( 53 ).

80.

Non si può celare il fatto che il principio del divieto di abuso della legge stride con quelli di legalità e di certezza del diritto. È quindi importante che i suoi presupposti siano quanto più chiari possibile ( 54 ). Osservo inoltre che il ragionamento svolto in precedenza per giustificare l’applicazione diretta della sentenza Halifax ai casi ancora pendenti si basava, in parte, sulla premessa secondo cui le condizioni necessarie per dichiarare l’esistenza di un abuso risultavano chiare quanto meno dal 2000, ossia dalla data della sentenza Emsland-Stärke ( 55 ). Se i due presupposti enunciati in quella causa si riducono ora ad uno, tale premessa, a mio avviso, cessa di essere valida.

81.

In secondo luogo, quand’anche si affermasse che, tecnicamente, i due presupposti continuano a trovare applicazione ( 56 ), sebbene l’«artificiosità» sia il fattore determinante per entrambi, ritengo che siffatto approccio sarebbe quanto meno difficilmente conciliabile con quello adottato nella giurisprudenza pregressa, quali le sentenze Halifax, Parts Service e WebMindLicences ( 57 ), che hanno identificato più chiaramente le disposizioni in questione e il loro scopo.

82.

In terzo luogo, i due presupposti sono stati enunciati per la prima volta nella causa Emsland-Stärke. In detta causa, e nella loro forma più comune nelle cause successive, essi costituiscono di fatto un «copia-incolla» delle condizioni previste dalla disposizione antielusiva contenuta nel regolamento n. 2988/95, relativo alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione (articolo 4, paragrafo 3) ( 58 ). Potrebbe essere solo una congettura, ma è forse corretto presumere che tale disposizione avrebbe trovato applicazione nella causa Emsland-Stärke se detto regolamento fosse stato applicabile ratione temporis ( 59 ). Infatti, a partire da quel momento, l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 2988/95 e i due presupposti dell’abuso sono stati considerati dalla Corte come intercambiabili ( 60 ). In un settore già oltremodo complesso, un’evoluzione del test dell’abuso come quello suggerito dalla Commissione – che implica l’accorpamento dei presupposti oggettivo e soggettivo – solleverebbe complesse questioni relative al modo in cui il regolamento e il principio debbano interagire in futuro.

83.

Infine, l’applicazione dei presupposti del principio del divieto di abuso della legge in materia di IVA deve essere necessariamente adattata, in una certa misura, ai diversi settori. Tuttavia, a mio parere, diviene ancora più difficile (forse perfino impossibile) conciliare la nozione di abuso come ridefinita nel modo suggerito (un test di artificiosità) con la nozione di abuso applicata in altri casi. Così, in materia di libera circolazione e di cittadinanza, in varie occasioni la questione dell’artificiosità non solo non è stata ritenuta decisiva, ma è stata considerata, in pratica, pressoché irrilevante ( 61 ).

c)  Valutazione della conformità allo «scopo» nel caso di specie

84.

Alla luce di quanto precede, propongo di respingere l’approccio suggerito dalla Commissione e di mantenere invece un approccio che rispecchi con maggiore precisione la giurisprudenza esistente della Corte.

85.

Nel caso di specie, l’asserito abuso consiste nel soddisfacimento fittizio dei presupposti relativi a i) una prima cessione degli immobili e ii) all’esenzione delle cessioni successive (che sono in realtà due facce della stessa medaglia).

86.

Occorre quindi esaminare lo scopo dell’applicazione dell’IVA a cessioni effettuate «anteriormente alla prima occupazione» e della loro successiva esenzione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA.

87.

In termini crudi, l’approccio di base all’applicazione dell’IVA alle cessioni di immobili può essere sintetizzato così: tassa la prima vendita, esenta il resto. L’obiettivo di tale approccio emerge dalla proposta originaria della Commissione e dalla giurisprudenza della Corte.

88.

La relazione esplicativa della proposta originaria della Commissione affermava la necessità di «assoggettare all’imposta tutto il settore della produzione e della commercializzazione di immobili nuovi, comunque si configuri il venditore. Per risolvere le difficoltà di distinzione tra immobile nuovo e vecchio, il criterio della prima occupazione è stato considerato come determinante il momento in cui il prodotto esce dalla catena produttiva ed entra nel settore del consumo, viene cioè utilizzato dal proprietario o da un inquilino». La relazione esplicativa fa poi riferimento al fatto che gli immobili sono «consumati» in conseguenza della loro prima occupazione e alla possibilità di «reinserimento nel circuito commerciale» o di «nuova commercializzazione» dell’immobile ( 62 ).

89.

Tali espressioni indicano che la nozione di «prima occupazione» è assimilata a quelle di «uscita dell’immobile dalla catena produttiva», «entrata nel settore del consumo» o «inserimento dell’immobile nel circuito commerciale».

90.

Nella sentenza Goed Wonen I, la Corte ha concepito l’esenzione in termini analoghi dichiarando che, «come la vendita di un edificio nuovo, successiva alla sua prima consegna ad un consumatore finale, che segna la fine del processo di produzione, la locazione di un bene immobile deve quindi, in via di principio, essere esente da imposta» (il corsivo è mio) ( 63 ).

91.

Pertanto, lo scopo dell’applicazione congiunta dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA, può essere riformulato come l’applicazione dell’IVA nel momento in cui l’immobile entra per la prima volta nel circuito commerciale.

92.

A mio avviso, una cessione come quella descritta nel procedimento principale non risponde a tale obiettivo.

93.

Diversi elementi portano a concludere in tal senso e, in particolare, i seguenti (secondo la mia comprensione del rinvio pregiudiziale): i) il fatto che il contratto di locazione di lunga durata sia stato stipulato con un’entità controllata dai ricorrenti, ii) il fatto che la locazione di lunga durata sia stata oggetto di rinuncia poco tempo dopo la stipula, considerata anche la sua durata totale, e iii) il fatto che, durante tale breve periodo, sia sussistito un rapporto di retrolocazione sotto forma di locazione di breve durata, con la conseguenza che i ricorrenti non hanno mai effettivamente perduto il controllo sugli immobili, cosicché, tenuto conto di tutte le circostanze sopra indicate, detti immobili non sembrano essere usciti dal processo di produzione.

94.

Alla luce di quanto precede, e fatta salva la valutazione definitiva del giudice nazionale, in casi come quelli oggetto del procedimento principale, la qualificazione come «cessione anteriore alla prima occupazione» di una locazione di lunga durata tra parti collegate, che sia stata oggetto di rinuncia poco dopo la sua costituzione e senza che gli immobili siano stati utilizzati, sarebbe in contrasto con lo scopo dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA.

3.  Presupposto soggettivo: lo scopo essenziale consisteva nell’ottenere un vantaggio fiscale?

95.

Per quanto riguarda il «presupposto soggettivo», con la quarta questione il giudice del rinvio chiede essenzialmente se, per determinare lo scopo essenziale, le operazioni preliminari alla vendita debbano essere esaminate isolatamente o in quanto parte delle operazioni «nel loro complesso».

96.

Può essere utile iniziare esaminando in maniera più approfondita il significato dell’espressione «scopo essenziale».

97.

Nella giurisprudenza, il criterio soggettivo viene presentato in una gamma di modi diversi. Accanto allo «scopo essenziale» ( 64 ), alcune sentenze fanno riferimento al «solo scopo» (in inglese: «sole aim» ( 65 ) o «sole purpose» ( 66 )) di beneficiare di un «vantaggio fiscale [indebito]» ( 67 ). Altre mescolano i due riferimenti [«lo scopo (…) è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale]» ( 68 ). Altre ancora fanno invece riferimento a operazioni commerciali non «normali» ( 69 ).

98.

Tutte queste diverse espressioni del criterio soggettivo hanno un elemento in comune. Esse riguardano tutte la questione se ricorra una ragione economica per agire in tal senso diversa dalla riduzione delle imposte. L’asticella è posta a livelli diversi.

99.

Nella sentenza Part Service, la Corte ha statuito che può sussistere un abuso se lo scopo «principale» è l’ottenimento di un vantaggio fiscale ( 70 ). Ciò implica una nozione di abuso potenzialmente molto ampia. In netto contrasto, nelle sentenze Halifax e Weald Leasing è stato dichiarato che non ricorre abuso «ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali» (il corsivo è mio) ( 71 ). Nella sentenza Malvi, l’abuso presupponeva che le operazioni fossero «prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale» ( 72 ).

100.

Queste ultime sentenze, che di fatto adottano un approccio più restrittivo alla nozione di abuso, sono preponderanti. Esse riflettono inoltre le espressioni utilizzate più comunemente «scopo essenziale», «solo scopo» o costruzioni «puramente artificiose».

101.

A mio avviso, il criterio soggettivo deve essere applicato restrittivamente in linea con l’approccio adottato, ad esempio, nelle cause Halifax e RBS. Se le operazioni in questione possono avere una giustificazione economica diversa dal vantaggio fiscale, allora il criterio non è soddisfatto. Tale approccio non solo riflette la giurisprudenza prevalente, ma è altresì conforme al principio di legalità ( 73 ), che «s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l’estensione degli obblighi che essa impone loro» ( 74 ).

102.

Tenendo a mente tale approccio allo «scopo essenziale», passo ora ad esaminare il punto specifico sollevato dalla quarta questione del giudice del rinvio: lo scopo essenziale precisamente di quali operazioni?

103.

Il giudice del rinvio propone due alternative: i) le operazioni preliminari alla vendita, oppure ii) congiuntamente, le operazioni preliminari alla vendita e la vendita finale.

104.

A mio parere, il secondo costituisce in ogni caso il quadro di riferimento errato. Mi sembra chiaro che, fatta eccezione per le fattispecie di frode fiscale (che non è stata asserita nel caso in esame), se la rete è sufficientemente ampia da ricomprendere l’intero processo di costruzione e la successiva vita dell’immobile, è sempre possibile ravvisare una motivazione economica che vada al di là di un «mero» vantaggio fiscale. Un approccio siffatto potrebbe implicare, di fatto, che il presupposto soggettivo non ricorra in alcun caso.

105.

Così, nel contesto della presente causa, possono assumere rilievo una o più operazioni preliminari alla vendita. A parte questa osservazione di carattere generale, ritengo che spetti in definitiva al giudice del rinvio determinare l’operazione o la serie di operazioni in relazione alle quali occorre individuare uno «scopo essenziale» e stabilire quale sia tale scopo.

106.

A tal fine, tuttavia, è necessario che il giudice del rinvio prenda in considerazione tutti i fatti e le circostanze del caso di specie, incluse le operazioni precedenti e successive ( 75 ). In altri termini, per valutare pienamente lo «scopo essenziale» delle operazioni preliminari alla vendita in sé, il giudice del rinvio deve tenere conto del più ampio contesto di fatto.

107.

Infatti, nel caso di specie, se le operazioni preliminari alla vendita fossero esaminate astraendo completamente dal loro più ampio contesto, non esisterebbe alcun vantaggio fiscale ma semmai un onere fiscale (dal momento che il vantaggio è relativo e si produce solo per effetto della successiva vendita a terzi).

4.  Conclusione

108.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere come segue alla quarta e alla settima questione:

Quarta questione

In un caso come quello oggetto del procedimento principale, lo «scopo essenziale» non va determinato in base alle operazioni preliminari alla vendita e alla vendita finale considerate congiuntamente. Spetta al giudice del rinvio individuare la specifica operazione preliminare (o le specifiche operazioni preliminari) alla vendita rispetto alla quale (o alle quali) risulti più appropriato valutare lo «scopo essenziale» al fine di accertare un potenziale abuso della legge in materia di IVA.

Settima questione

In casi come quello oggetto del procedimento principale, in cui:

è stato stipulato un contratto di locazione di lunga durata tra un soggetto passivo e un altro soggetto passivo a questo collegato,

la locazione di cui trattasi è stata oggetto di rinuncia poco dopo la stipula, considerata anche la sua durata totale, e

durante tale breve periodo è intercorso un rapporto di retrolocazione, con la conseguenza che, di fatto, il soggetto passivo che ha concesso la locazione di lunga durata non ha mai perduto il controllo sugli immobili locati,

sarebbe contrario allo scopo dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA considerare la locazione di lunga durata come una «cessione anteriore alla prima occupazione» ai sensi della prima disposizione citata.

D. Terza questione: ridefinizione e riaccertamento delle operazioni

109.

Con la terza questione, il giudice a quo chiede essenzialmente come debbano essere ridefinite le operazioni pertinenti nell’ipotesi in cui il principio del divieto di abuso della legge trovi applicazione nel caso di specie,.

110.

Ove si constati una violazione del principio del divieto di abuso della legge, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato ( 76 ). Tuttavia, la ridefinizione non deve eccedere quanto è necessario al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi ( 77 ).

111.

In primo luogo, spetta dunque al giudice del rinvio stabilire, in base alle indicazioni fornite in risposta alle questioni prima, seconda, quarta e settima, se determinati elementi delle operazioni in discussione nel procedimento principale costituissero una pratica abusiva.

112.

Qualora ricorresse effettivamente tale ipotesi, spetterebbe, in secondo luogo, a detto giudice ridefinire le operazioni considerate in modo da ristabilire la situazione che si sarebbe determinata in assenza degli elementi costitutivi dell’abuso.

113.

Così, se il giudice nazionale concludesse, ad esempio, che le operazioni preliminari alla vendita integravano una violazione del principio del divieto di abuso della legge, tali operazioni dovrebbero essere ignorate al fine di accertare se i ricorrenti dovessero essere assoggettati all’IVA.

114.

Alla luce dei fatti descritti nella domanda di rinvio pregiudiziale e fatta salva la valutazione definitiva da parte del giudice a quo, la successiva vendita degli immobili sarebbe quindi considerata come una loro prima cessione. Tale vendita andrebbe valutata, ai fini dell’IVA, in conformità con le disposizioni nazionali applicabili, lette alla luce del diritto dell’Unione, in particolare dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA.

115.

Per quanto attiene alla dimensione istituzionale della terza questione posta dal giudice del rinvio, si può solo ribadire che spetta al diritto nazionale individuare l’istituzione competente a ridefinire e riaccertare le operazioni pertinenti, conformemente al principio dell’autonomia processuale nazionale, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività.

116.

Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alla terza questione:

ove si constati una violazione del principio del divieto di abuso della legge, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato;

in casi come quello oggetto del procedimento principale, qualora le operazioni preliminari alla vendita vengano ignorate in applicazione del principio del divieto di abuso della legge e le successive vendite degli immobili siano pertanto considerate come una prima cessione degli stessi, tali vendite devono essere valutate, ai fini dell’IVA, in conformità con le disposizioni nazionali applicabili, lette alla luce del diritto dell’Unione, in particolare degli articoli 4, paragrafo 3, lettera a), e 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA.

E. Questioni quinta, sesta e ottava: compatibilità dell’articolo 4, paragrafo 9, dell legge sull’IVA con la sesta direttiva IVA

117.

La quinta, la sesta e l’ottava questione del giudice del rinvio si basano sul presupposto secondo cui l’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA sia incompatibile con la sesta direttiva IVA e (pertanto) non ne sia attuativa.

118.

Tuttavia, la causa dell’incompatibilità o la natura della mancata attuazione della direttiva non emerge chiaramente né dall’ordinanza di rinvio, né dalle osservazioni scritte e orali presentate dinanzi alla Corte.

119.

In caso di assenza totale di trasposizione di una direttiva, la situazione normativa è, per certi versi, relativamente chiara. Non esistono misure di attuazione e la legge nazionale è quindi incompatibile con la direttiva di cui trattasi. Per contro, nel caso di specie, l’Irlanda ha adottato misure intese a dare attuazione alla sesta direttiva. Inoltre, non è stato sostenuto che in tutti i casi pratici, senza eccezioni, l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA non «raggiunga il risultato» perseguito dalla direttiva in questione (per riprendere i termini dell’articolo 288 TFUE). Non si può quindi asserire, in maniera generale e assoluta, che l’incompatibilità (parziale) sia equiparabile all’assenza di misure di attuazione.

120.

A mio parere, per esaminare tali questioni in maniera più approfondita occorrerebbe comprendere meglio la natura dell’asserita incompatibilità dell’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA.

121.

In udienza, i ricorrenti hanno dichiarato che, a loro avviso, l’incompatibilità traeva origine principalmente dall’articolo 4, paragrafo 6, della legge sull’IVA. Tale disposizione esenta tutte le prime cessioni di beni immobili nei casi in cui non sia possibile recuperare l’imposta a monte. I ricorrenti ritengono che una siffatta esenzione sia incompatibile con l’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e l’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA, nella misura in cui dette disposizioni di diritto dell’Unione impongono di tassare tutte le prime cessioni di beni immobili. Inoltre, poiché l’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA rinvia al paragrafo 6 dello stesso articolo, l’incompatibilità con la sesta direttiva IVA di quest’ultima disposizione comporta anche quella dell’altra.

122.

La resistente e il governo irlandese contestano tale lettura della normativa. Essi espongono nelle loro osservazioni scritte la propria interpretazione della disposizione in parola e le ragioni della sua adozione.

123.

Così, in relazione alle questioni quinta, sesta e ottava, la Corte si trova in una posizione dalla quale è difficile comprendere, sulla base della domanda di pronuncia pregiudiziale, in cosa consisterebbe esattamente l’incompatibilità dell’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA con la sesta direttiva IVA; il governo irlandese nega risolutamente qualsiasi potenziale incompatibilità del genere. Perfino i ricorrenti hanno difficoltà a spiegare quale problema specifico ponga detta disposizione, a parte il fatto che essa rinvia all’articolo 4, paragrafo 6, della legge sull’IVA. Inoltre, quand’anche si accogliesse la spiegazione dell’incompatibilità fornita dai ricorrenti, mi sarebbe difficile considerarla rilevante ai fini del presente procedimento, dato che, come confermato in udienza, nel caso di specie l’imposta a monte poteva essere recuperata.

124.

Non spetta alla Corte interpretare il diritto nazionale. Tanto meno le spetta mediare tra le diverse interpretazioni datene dalle parti nei casi in cui l’esistenza e la natura dell’asserita incompatibilità e/o mancata attuazione, non appaiono evidenti e siano chiaramente contestate.

125.

Di conseguenza, e alla luce di quanto precede, ritengo che la Corte non disponga degli elementi di fatto necessari per fornire una risposta utile, che non sia fondata su ipotesi e congetture circa la natura dell’asserita incompatibilità dell’articolo 4, paragrafo 9, della legge sull’IVA con la sesta direttiva IVA.

126.

Propongo pertanto di respingere la quinta, la sesta e l’ottava questione in quanto irricevibili.

V. Conclusione

127.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni sollevate dalla Supreme Court of Ireland (Corte suprema, Irlanda):

Questioni 1 e 2

Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, e i provvedimenti nazionali di attuazione di detta direttiva devono essere interpretati alla luce del principio generale di diritto dell’Unione del divieto di abuso della legge in materia di IVA. Ciò vale del pari

in assenza di un provvedimento nazionale, legislativo o giudiziario, «attuativo» di tale principio;

nei casi, come quello pendente dinanzi al giudice del rinvio, in cui le operazioni pertinenti sono state completate anteriormente alla sentenza della Corte del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121).

Questione 3

Ove si constati una violazione del principio del divieto di abuso della legge, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno fondato quel comportamento.

In casi come quello oggetto del procedimento principale, qualora le operazioni preliminari alla vendita vengano ignorate in applicazione del principio del divieto di abuso della legge e le successive vendite degli immobili siano pertanto considerate come una prima cessione degli stessi, tali vendite devono essere valutate, ai fini dell’IVA, in conformità con le disposizioni nazionali applicabili, lette alla luce del diritto dell’Unione, in particolare dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA.

Questione 4

In un caso come quello oggetto del procedimento principale, lo «scopo essenziale» non va determinato in base alle operazioni preliminari alla vendita e alla vendita finale considerate congiuntamente. Spetta al giudice del rinvio individuare la specifica operazione preliminare (o le specifiche operazioni preliminari) alla vendita rispetto alla quale (o alle quali) risulti più appropriato valutare lo «scopo essenziale» al fine di accertare un potenziale abuso della legge in materia di IVA.

Questione 7

In casi come quello oggetto del procedimento principale, in cui:

sarebbe contrario allo scopo dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), e dell’articolo 13, parte B, lettera g), della sesta direttiva IVA considerare la locazione di lunga durata come una «cessione anteriore alla prima occupazione» ai sensi della prima disposizione citata.

Questioni 5, 6 e 8

La quinta, la sesta e l’ottava questione sono respinte in quanto irricevibili.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121).

( 3 ) Un commentatore cinico (o realista, a seconda delle prospettive) potrebbe aggiungere che la seconda circostanza costituisce perfino un presupposto affinché perduri la prima.

( 4 ) Sesta direttiva del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1).

( 5 ) Attualmente sostituita dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).

( 6 ) Più precisamente, le locazioni di durata superiore a dieci anni sono considerate alla stregua di cessioni di beni immobili soggette ad IVA. Tuttavia, se la durata è inferiore a venti anni, l’IVA viene calcolata tenendo conto anche del diritto restitutorio.

( 7 ) Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 35).

( 8 ) V., in particolare, sentenze del 21 febbraio 2006, University of Huddersfield (C-223/03, EU:C:2006:124, punto 52); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punti 68 e 69 e giurisprudenza ivi citata); del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804, punto 25); del 13 marzo 2014, SICES e a. (C-155/13, EU:C:2014:145, punti 29 e 30), e del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 32). V. altresì sentenza del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C-277/09, EU:C:2010:810, punto 47).

( 9 ) Sentenza del 10 gennaio 1985, Association des Centres distributeurs Leclerc e Thouars Distribution (229/83, EU:C:1985:1, punto 27).

( 10 ) Sentenze del 3 dicembre 1974, van Binsbergen (33/74, EU:C:1974:131, punto 13), e del 5 ottobre 1994, TV10 (C-23/93, EU:C:1994:362, punto 21).

( 11 ) Su tale varietà terminologica, v., in particolare, Cerioni, L., «The “Abuse of Rights” in EU Company Law and EU Tax Law: A Re-reading of the ECJ Case Law and the Quest for a Unitary Notion», vol. 21, European Business Law Review, 2010, pag. 783.

( 12 ) Per una tassonomia più ampia dei comportamenti abusivi e un’analisi delle distinzioni tra abuso della legge e abuso del diritto, v. Saydé, A., Abuse of EU Law and Regulation of the Internal Market, Hart Publishing, Oxford, 2014, pagg. da 16 a 31.

( 13 ) V., ad esempio, sentenze del 23 settembre 2003, Akrich (C-109/01, EU:C:2003:491), e del 17 luglio 2014, Torresi (C-58/13C-59/13, EU:C:2014:2088). In proposito, v. altresì de la Feria, R., «Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC law through Tax», vol. 45, Common Market Law Review, 2008, pagg. 395 e 429.

( 14 ) Per una conferma delle notevoli differenze esistenti tra i diversi settori del diritto dell’Unione, v., ad esempio, de la Feria, R., e Vogenauer, S. (a cura di), Prohibition of Abuse of Law: A New General Principle of EU Law? Hart Publishing, Oxford, 2011.

( 15 ) V., a tale proposito, sentenze del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz (C-453/00, EU:C:2004:17, punto 28), e del 18 luglio 2007, Lucchini (C-119/05, EU:C:2007:434, punto 63).

( 16 ) Sentenza del 6 marzo 2007, Meilicke e a. (C-292/04, EU:C:2007:132, punto 34).

( 17 ) V., ad esempio, Steiner, E., Comparing the Prospective Effect of Judicial Rulings across Jurisdictions, Springer International Publishing, Svizzera, 2015, pagg. 12 e 13, e Lang, M., «Limitation of temporal effects of CJEU judgments: Mission impossible for the governments of EU Member States», in Popelier, P. e a. (a cura di) The Effects of Judicial Decisions in Time, Intersentia, Cambridge, 2014, pag. 245.

( 18 ) Lenaerts, K. e Gutiérrez-Fons, J.A., «The Constitutional Allocation of Powers and General Principles of EU law», vol. 47, Common Market Law Review, 2010, pag. 1629 e pagg. da 1645 a 1649.

( 19 ) In quest’ottica, saldamente radicata nella percezione della funzione delle decisioni dei giudici superiori dei suoi Stati membri, v., ad esempio, le relazioni comparative generali esposte in MacCormick, D.N. e Summers, R.S. (a cura di), Interpreting Precedents: A Comparative Study, Ashgate Publishing, Dartmouth, 1997. Per contro, quando, in un singolo caso, cessa l’individuazione della legge e inizia la sua creazione, si pone una questione diversa, ma certamente non inedita. Già nel 1934, Arthur Goodhart vi faceva riferimento come a qualcosa che ha permeato la dottrina giuridica inglese e americana per secoli (Goodhart, A.L., Precedent in English and Continental Law, Stevens and Sons, Londra, 1934, pag. 14). V. anche Cross, R. e Harris, J.W., Precedent in English Law, 4a ed., Clarendon Press, Oxford, 1991, pagg. da 27 a 34.

( 20 ) In tal senso, v., per quanto riguarda l’abuso della legge in materia di IVA, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a. (C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punti da 54 a 60).

( 21 ) V., ad esempio, sentenze dell’8 aprile 1976, Defrenne (43/75, EU:C:1976:56, punto 72), e del 28 settembre 1994, Vroege (C-57/93, EU:C:1994:352, punto 21).

( 22 ) Sentenze dell’8 aprile 1976, Defrenne (43/75, EU:C:1976:56, punto 74), e del 28 settembre 1994, Vroege (C-57/93, EU:C:1994:352, punto 21).

( 23 ) Sentenza del 28 settembre 1994, Vroege (C-57/93, EU:C:1994:352, punto 21). V. anche sentenza del 12 ottobre 2000, Cooke (C-372/98, EU:C:2000:558, punto 42). In generale, v., ad esempio, Düsterhaus, D., «Eppur Si Muove! The Past, Present and (possible) Future of Temporal Limitations in the Preliminary Ruling Procedure», Yearbook of European Law, 2016.

( 24 ) Sentenza del 23 maggio 2000, Buchner e a. (C-104/98, EU:C:2000:276, punto 40).

( 25 ) Si potrebbe aggiungere che il problema non è certamente nuovo né limitato all’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Per una panoramica comparativa, v. ad esempio, Steiner, E., op. cit. supra alla nota 17, o Popelier, P. e a., op. cit. supra alla nota 17.

( 26 ) Per un elenco di esempi, v. nota 41 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2005:200), o i singoli capitoli relativi a profili sostanziali in de la Feria, R. e Vogenauer, S. (op. cit. supra alla nota 14). Come affermato da Schammo, P., «la giurisprudenza in materia di abuso del diritto attraversa ormai l’intero spettro della normativa comunitaria» (traduzione libera) (Schammo, P, «Arbitrage and Abuse of Rights in EC Legal System», vol. 14, European Law Journal, 2008, pag. 359). Oppure, in termini più «twittabili», ma forse non pienamente ottimistici: «l’abuso è ovunque nel diritto dell’Unione» (traduzione libera) (Saydé, A., op cit. supra alla nota 12, pag. 13).

( 27 ) Sentenza del 15 ottobre 2009, Audiolux e a. (C-101/08, EU:C:2009:626, punto 50).

( 28 ) V. altresì articoli 13, parte A, 14 e 15, che menzionano «frode, evasione ed abuso». Gli articoli 13, 14, 15 e 27, l’articolo 28 quater e l’articolo 28 duodecies (nella versione applicabile all’epoca dei fatti) fanno parimenti riferimento all’«evasione».

( 29 ) V. articolo 4, paragrafo 3, del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 del Consiglio, del 18 dicembre 1995, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU 1995, L 312, pag. 1).

( 30 ) L’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 2988/95 dispone che «[g]li atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso».

( 31 ) Sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, EU:C:2000:695).

( 32 ) V. supra, paragrafo 29 delle presenti conclusioni.

( 33 ) Sentenza dell’8 aprile 1976, Defrenne (43/75, EU:C:1976:56, punto 71).

( 34 ) Paragrafo 42 delle presenti conclusioni.

( 35 ) V. sentenze dell’8 giugno 2000, Breitsohl (C-400/98, EU:C:2000:304, punto 38), e del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a. (C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punto 60), che riflettono la massima latina nemo propriam turpitudinem allegare potest.

( 36 ) Sentenze del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, EU:C:2000:695, punto 54), e del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 76).

( 37 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 86).

( 38 ) V., ad esempio, sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 73), e del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804, punto 27).

( 39 ) V., ad esempio, sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 74), e del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804, punto 29). Esistono tuttavia alcune limitate eccezioni in altri ambiti applicativi del principio del divieto di abuso della legge [v., ad esempio, sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 33), che fa riferimento alla «normativa» anziché alle «pertinenti disposizioni»].

( 40 ) V., ad esempio, in materia di IVA, sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punti 79 e 80) (articolo 17 della sesta direttiva IVA); del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108, punto 60) (articolo 11, parte A, paragrafo 1, lettera a), della sesta direttiva IVA), e del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punti 38 e 41) [articolo 43 e articolo 56, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2006/112, sostituiti dall’articolo 45 e dall’articolo 59, lettera k), come sostituiti dalla direttiva 2008/8/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008 (GU 2008, L 44, pag. 11) (la direttiva 2006/11 ha sostituito la sesta direttiva IVA)]. Tale aspetto si riflette probabilmente anche nella genesi del «presupposto oggettivo», nei limiti in cui la si può ricostruire a posteriori. Così, nei casi vertenti su un asserito abuso, già prima che fosse elaborato il test a due fasi nella sentenza Emsland-Stärke e, successivamente, nel settore dell’IVA, nella sentenza Halifax, la Corte verificava se fosse stato raggiunto lo scopo di disposizioni specifiche [v., ad esempio, sentenze del 12 maggio 1998, Kefalas e a. (C-367/96, EU:C:1998:222, punto 22), e del 23 marzo 2000, Diamantis (C-373/97, EU:C:2000:150, punti 33 e 34), entrambe concernenti l’articolo 25, paragrafo 1, della seconda direttiva 77/91/CEE del Consiglio, del 13 dicembre 1976, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (GU 1977, L 26, pag. 1)].

( 41 ) Rilevo che, nella causa Emsland-Stärke, da cui ha tratto origine il presupposto in parola, la Corte non ha esaminato tale presupposto, limitandosi a dichiarare che «[i]l Bundesfinanzhof sostiene che le circostanze di fatto descritte nella prima questione pregiudiziale dimostrerebbero che l’obiettivo della normativa comunitaria non è stato raggiunto». Sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, EU:C:2000:695, punto 55).

( 42 ) Sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121); del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108), e del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832).

( 43 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 79).

( 44 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 80). V., tuttavia, le pronunce nelle cause Weald Leasing e RBS, nelle quali sembra essere stato adottato un approccio piuttosto diverso: sentenze del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C-277/09, EU:C:2010:810, punti 44 e 45).

( 45 ) Sentenza del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108).

( 46 ) Sentenza del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108, punto 52).

( 47 ) Sentenza del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108, punto 60).

( 48 ) Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832).

( 49 ) Inizialmente l’articolo 43 e l’articolo 56, paragrafo 1, lettera k), della direttiva 2006/112 e successivamente, in seguito alle modifiche introdotte dalla direttiva 2008/8, l’articolo 45 e l’articolo 59, lettera k).

( 50 ) Ciò sebbene l’articolo 2, paragrafo 1, aggiunga poco e sia potenzialmente citabile in quanto pertinente in tutti i casi vertenti sulla cessione di beni (avrebbe potuto essere richiamato, ad esempio, nelle sentenze Halifax o Part Service esaminate in precedenza, ma non è accaduto).

( 51 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 74).

( 52 ) Tale affermazione presenta forti analogie con la soluzione suggerita dalla Commissione per la questione oggetto della causa Emsland-Stärke, che tuttavia non era stata accolta dalla Corte. La Commissione aveva sostenuto che è ravvisabile un abuso quando «le operazioni commerciali in questione hanno come scopo il conseguimento di un vantaggio che contravviene agli obiettivi delle disposizioni comunitarie in materia, in quanto i presupposti per il conseguimento di tale vantaggio sono stati creati artificiosamente» [v. sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C-110/99, EU:C:2000:695, punto 43)] (il corsivo è mio).

( 53 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 72).

( 54 ) Diversamente, si potrebbe sostenere che, sotto il profilo degli effetti pratici, il divieto di abuso della legge nel diritto pubblico contravviene al principio di legalità. Il sogno positivista della prevedibilità della legge, unito al principio costituzionale di legalità di qualsiasi azione pubblica, implica che un singolo, nel rapportarsi alla pubblica amministrazione, ivi compresa ovviamente l’amministrazione finanziaria, debba poter prevedere, sulla base del diritto vigente, se il suo comportamento sarà consentito (lecito) o meno (illecito). Inoltre, nell’ambito di tale dicotomia, tutto ciò che non forma oggetto di un esplicito divieto è consentito. Rispetto a questa dicotomia classica, il divieto di abuso della legge – i cui presupposti non sono certamente chiari – aggiunge probabilmente una terza zona grigia che potrebbe risultare profondamente inquietante per un avvocato positivista dall’approccio più tradizionale. In effetti, essa implica l’esistenza una terza serie di operazioni le quali, pur essendo formalmente consentite ex ante, possono essere riconsiderate sostanzialmente illecite ex post. In tono scherzoso, siffatta zona grigia dai contorni poco chiari potrebbe essere efficacemente definita come la «legalità di Schrödinger»: solo in un secondo momento, aprendo la «scatola», l’interessato scoprirà se l’operazione al suo interno fosse lecita o meno.

( 55 ) V. supra, paragrafo 50 delle presenti conclusioni.

( 56 ) Si tratterebbe, a mio avviso, di una lettura piuttosto «forzata».

( 57 ) Come esaminato supra ai paragrafi da 66 a 69 delle presenti conclusioni.

( 58 ) V. anche supra, paragrafi da 49 a 51. Vale la pena di aggiungere che, nella causa Emsland-Stärke, l’avvocato generale Alber ha esposto la questione in senso inverso, dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 3, «non crea di per sé un nuovo istituto giuridico, ma codifica un principio generale di diritto vigente nel diritto comunitario» [conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa Emsland-Stärke (C-110/99, EU:C:2000:252, paragrafo 80)].

( 59 ) In casi successivi, nei quali risultavano pertinenti sia il principio del divieto di abuso della legge, sia l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 2988/95, la Corte ha applicato in primo luogo il principio generale [v. sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255)].

( 60 ) La Corte si è espressa piuttosto esplicitamente in tal senso nella sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 52). V. anche sentenza del 9 luglio 2015, Cimmino e a. (C-607/13, EU:C:2015:448).

( 61 ) V. supra, paragrafo 28 delle presenti conclusioni.

( 62 ) Proposta di sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme [COM(73) 950 def., del 20 giugno 1973, bollettino delle Comunità europee, supplemento 11/73, pag. 5].

( 63 ) Sentenza del 4 ottobre 2001, Goed Wonen (C-326/99, EU:C:2001:506, punto 52). Segnalo l’apparente equiparazione effettuata in quel caso dalla Corte tra la nozione di «prima cessione» e quella di «prima occupazione». V. anche sentenza del 12 luglio 2012, J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard (C-326/11, EU:C:2012:461, punto 21), nella quale viene impiegata l’espressione «vecchi fabbricati».

( 64 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punti 75 e 86).

( 65 ) Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 35).

( 66 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, University of Huddersfield (C-223/03, EU:C:2006:124, punto 51).

( 67 ) Sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punti 69 e 70), e del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804, punto 25).

( 68 ) Sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 75), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C-277/09, EU:C:2010:810, punto 49).

( 69 ) Sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 32).

( 70 ) Sentenza del 21 febbraio 2008, Part Service (C-425/06, EU:C:2008:108, punto 45).

( 71 ) Sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 75), e del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C-103/09, EU:C:2010:804, punto 30).

( 72 ) Sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 47).

( 73 ) Per i potenziali rischi connessi alla sua inosservanza, v. ancora supra, nota 54.

( 74 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 72).

( 75 ) Sentenza del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi (C-131/14, EU:C:2016:255, punto 35).

( 76 ) Sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 98); del 20 giugno 2013, Newey (C-653/11, EU:C:2013:409, punto 50), e del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 52).

( 77 ) Sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 92).