Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

Share

Highlight in text

Go

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 25 luglio 2018 (1)

Causa C-310/16

Spetsializirana prokuratura

contro

Petar Dzivev,

Galina Angelova,

Georgi Dimov,

Milko Velkov

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea – Lotta contro la frode in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) – Reati fiscali – Riscossione effettiva dell’IVA – Portata degli obblighi degli Stati membri – Limiti derivanti dai diritti fondamentali, dell’Unione o nazionali – Prova ottenuta in violazione della legge nazionale – Intercettazione di telecomunicazioni – Incompetenza del giudice che ha autorizzato le intercettazioni»






I.      Introduzione

1.        Il sig. Petar Divez è accusato di dirigere un’organizzazione criminale che ha commesso frodi in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA). Al fine di raccogliere prove del suo coinvolgimento, sono state intercettate le sue telecomunicazioni (intercettazioni telefoniche). Tuttavia, alcune registrazioni sono state ordinate da un giudice che, a quanto pare, non era competente a disporle. Inoltre, alcuni provvedimenti non erano adeguatamente motivati. Secondo il diritto bulgaro, le prove raccolte in tal modo sono illegittime e non possono essere utilizzate nel procedimento penale a carico del sig. Dzivev.

2.        È in tale contesto fattuale e giuridico che lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria) chiede se, in un caso come quello di specie, il diritto dell’Unione osti all’applicazione di una norma del diritto nazionale che vieta di utilizzare le prove ottenute mediante intercettazioni disposte da un giudice incompetente e/o non adeguatamente motivate, tenuto conto del fatto che, asseritamente, tali prove potrebbero dimostrare il concorso del sig. Dzivev in un reato relativo all’IVA.

3.        Fin dove si estende l’obbligo di proteggere gli interessi finanziari dell’Unione europea imposto agli Stati membri dall’articolo 325 TFUE? Una norma nazionale può, o addirittura deve, essere disapplicata qualora ostacoli la piena ed esatta riscossione dell’IVA, anche attraverso un procedimento penale e l’imposizione di sanzioni per frode o altre attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione?

4.        È innegabile che la rapida evoluzione della recente giurisprudenza della Corte in tale materia non sia stata esente da contrasti né, quanto meno, da dissonanze interne. La Corte ha pronunciato dapprima la sentenza Taricco (2). Sono poi seguite le sentenze M.A.S. e M.B. (3)e Scialdone (4), che sembrano orientate in una direzione diversa (e, almeno a mio parere, più ragionevole). Più recentemente è stata pronunciata la sentenza Kolev (5). Considerate le altre decisioni della Corte che orbitano intorno a questo filone principale della giurisprudenza, potrebbe non essere semplicissimo stabilire l’attuale stato del diritto. Pertanto, nelle presenti conclusioni tenterò di spiegare perché ritenga che l’approccio corretto alla sentenza Taricco e alle sue conseguenze passi attraverso la lente delle sentenze M.A.S. e Scialdone, e non della sentenza Kolev.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Carta dei diritti fondamentali

5.        L’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») stabilisce che «[o]gni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».

6.        Ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, «[i]l rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

2.      Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

7.        Ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in prosieguo: il «TFUE»), «[l]’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».

3.      Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee

8.        L’articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (in prosieguo: la «Convenzione PIF») (6) dispone quanto segue:

«Ai fini della presente convenzione costituisce frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee:

(...)

b)      in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:

–        all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse;

–        alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto;

–        alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto».

9.        L’articolo 2, paragrafo 1, enuncia che «[o]gni Stato membro prende le misure necessarie affinché le condotte di cui all’articolo 1 nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’articolo 1, paragrafo 1 siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione, rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a [EUR] 50 000».

4.      Decisione 2007/436

10.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2007/436/CE, Euratom (7):

«Costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione europea le entrate provenienti:

(...)

b)      fatto salvo il paragrafo 4, secondo comma, dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie. L’imponibile da prendere in considerazione a tal fine è limitato al 50% [del reddito nazionale lordo] di ciascuno Stato membro, come stabilito al paragrafo 7;

(...)».

5.      Direttiva IVA

11.      L’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE (in prosieguo: la «direttiva IVA») (8) prevede che «[o]gni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».

12.      L’articolo 273 così recita: «[g]li Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera (…)».

B.      Diritto nazionale

13.      L’articolo 32, paragrafo 2, della Costituzione bulgara sancisce il divieto di intercettare le telecomunicazioni delle persone, salvo nei casi previsti dalla legge.

14.      L’articolo 121, paragrafo 4, di detta Costituzione stabilisce l’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie.

15.      L’intercettazione delle telecomunicazioni è disciplinata dagli articoli 1, 2, 3, 6 e da 12 a 18 dello Zakon za spetsialnite razuznavatelni sredstva (legge sui metodi investigativi speciali; in prosieguo: lo «ZSRS») nonché dagli articoli da 172 a 177 del Nakazatelen kodeks (codice di procedura penale). Come spiegato dal giudice del rinvio, le intercettazioni possono essere effettuate sia prima dell’apertura del procedimento penale (indagini preliminari) che in seguito. Se vengono effettuate prima, ne richiede la disposizione un organo del Ministerstvo na vatreshnite raboti (Ministero dell’Interno, Bulgaria) [(nella presente fattispecie il Direktor na Glavna direktsia za borba s organiziranata prestapnost (direttore della Direzione generale per la lotta alla criminalità organizzata, Bulgaria)]. Dopo l’avvio del procedimento, la richiesta è presentata dalla Procura. La domanda deve indicare la persona (oppure l’utenza telefonica) interessata dal controllo e il reato per il quale è stata disposta l’indagine.

16.      Le intercettazioni delle telecomunicazioni possono essere legittimamente eseguite solo se autorizzate in anticipo, dal presidente o dal vicepresidente del tribunale competente a pronunciarsi sulla richiesta, con decisione non impugnabile.

17.      Il 1° gennaio 2012 è entrato in vigore lo Zakon za izmenenie i dopalnenie na Nakazatelno-protsesualnia kodeks (legge sulla modifica e integrazione del codice di procedura penale; in prosieguo: lo «ZIDNPK») riguardante l’istituzione e il funzionamento dello Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali). Detta legge ha trasferito allo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali) le competenze relative ai procedimenti contro le organizzazioni criminali. Ai sensi dell’articolo 5 dello ZIDNPK, a detto giudice è stata trasferita altresì la competenza a disporre, in taluni casi, l’intercettazione delle telecomunicazioni.

18.      Conformemente all’articolo 9, paragrafo 2, dello ZIDNPK, i procedimenti penali esistenti e in corso proseguivano dinanzi agli organi fino a quel momento competenti. A decorrere dal 6 marzo 2012 detta disposizione è stata riformulata in modo tale che il controllo giurisdizionale delle intercettazioni continuasse ad essere esercitato dal giudice competente prima del 1° gennaio 2012.

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

19.      Il sig. Dzivev, la sig.ra Galina Angelova, il sig. Georgi Dimov e il sig. Milko Velkov (in prosieguo: gli «imputati») sono accusati di avere preso parte, nel periodo compreso tra il 1° giugno 2011 e il 31 marzo 2012, ad un’organizzazione criminale. Essi avrebbero compiuto illeciti tributari per proprio profitto tramite la società Karoli Kepital EOOD (in prosieguo: la «Karoli»). A tale proposito, non avrebbero dichiarato e versato le imposte dovute dalla suddetta società ai sensi dello Zakon za danak varhu dobavenata stoynost (legge relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: la «legge sull’IVA»). Le quattro persone sopra menzionate sono inoltre accusate di reati tributari specifici, che sarebbero stati compiuti mediante la Karoli tra il 1° giugno 2011 e il 31 gennaio 2012. Le imposte non dichiarate e non versate in questione ammontano in totale a 372 667,99 lev bulgari (BGN) (oltre EUR 190 000).

20.      Prima dell’avvio del procedimento penale a carico degli imputati, tra il 10 novembre 2011 e il 2 febbraio 2012 l’autorità competente, il direttore della Direzione generale per la lotta alla criminalità organizzata, ha chiesto che fosse disposta l’intercettazione delle comunicazioni degli imputati. Il presidente del Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia, Bulgaria) ha autorizzato con provvedimento l’intercettazione richiesta.

21.      Dopo la riforma del 1° gennaio 2012, la competenza a chiedere le intercettazioni telefoniche spettava al procuratore. A marzo 2012 il procuratore ha chiesto e ottenuto una decisione del presidente dello Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, giudice del rinvio). Detta decisione autorizzava l’intercettazione di specifiche utenze telefoniche in relazione a tutti e quattro gli imputati.

22.      Lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali) solleva questioni relative alla legittimità di tali intercettazioni autorizzate in precedenza, rilevando due punti problematici in relazione a tali misure. In primo luogo, i provvedimenti non erano adeguatamente motivati. Il giudice a quo indica nell’ordinanza di rinvio che i provvedimenti con i quali sono state disposte le intercettazioni controverse si limitano a riprodurre il testo delle disposizioni di legge, ma non contengono alcuna motivazione (individuale e specifica). Secondo il giudice del rinvio, ciò equivale, nel diritto bulgaro, a una carenza di motivazione. In secondo luogo, alcuni di tali provvedimenti (quelli assunti a gennaio e febbraio 2012) sarebbero stati adottati da un’autorità giurisdizionale priva della necessaria competenza, ossia il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia). Quest’ultimo avrebbe dovuto trasferire le richieste di intercettazione allo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali), in quanto, in quel momento, non era più competente a disporre le autorizzazioni in parola.

23.      Inoltre, il giudice del rinvio rileva che in un momento successivo sono stati accertati da funzionari a livello nazionale errori sistemici nell’adozione di provvedimenti che ordinano l’applicazione di metodi investigativi speciali, in particolare delle intercettazioni telefoniche. Ciò ha indotto in definitiva ad apportare modifiche alla normativa applicabile.

24.      Il giudice del rinvio indica che non era chiaro se la norma transitoria di cui all’articolo 9 dello ZIDNPK fosse applicabile anche alle indagini preliminari in corso. Sembra che su detta disposizione esista un’ampia e contraddittoria giurisprudenza. Tuttavia, nella decisione interpretativa (9) n. 5/14, il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione, Bulgaria) ha confermato il principio della competenza esclusiva dell’organo incaricato di amministrare la giustizia penale. Non esistono deroghe a tale principio. Secondo il giudice del rinvio, detto principio assume particolare importanza nel diritto nazionale. Ciò vale in special modo nei casi in cui vengono utilizzati metodi investigativi speciali, comprese le intercettazioni telefoniche. Così, in questi casi il provvedimento può essere disposto esclusivamente dal presidente (o dal vicepresidente autorizzato) del tribunale a tal fine competente. Se è stato disposto da un altro giudice di tale tribunale o dal presidente o vicepresidente di un altro tribunale, ne consegue chiaramente che tale provvedimento è illegittimo e nessuna delle prove può essere utilizzata. La valutazione avviene sulla base di un criterio meramente formale, ovvero se l’ordine sia stata impartito dall’organo competente.

25.      Come ulteriormente spiegato dal giudice del rinvio, le prove ottenute mediante le intercettazioni autorizzate dal giudice incompetente, il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia), rivestono un’importanza fondamentale nel caso di specie. Esse dimostrano in modo evidente e indubitabile i numerosi contatti telefonici tra il sig. Dzivev e gli altri imputati nonché il suo ruolo di comando. Tuttavia, ai sensi del diritto nazionale, tali prove non possono essere utilizzate nel procedimento penale in quanto ottenute illegalmente, dal momento che sono state autorizzate da un giudice non più competente e che, a quanto risulta, non avrebbe motivato a sufficienza i propri provvedimenti. Il giudice del rinvio conclude che il sig. Dzivev potrebbe essere effettivamente condannato solo se le conversazioni telefoniche in questione potessero essere utilizzate come prove. In caso contrario, il sig. Dzivev dovrebbe essere assolto.

26.      È in tale contesto giuridico e fattuale che lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«1)      Se sia compatibile con:

–        l’articolo 325, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ai sensi del quale gli Stati membri adottano misure tali da permettere una protezione efficace contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione;

–        l’articolo 2, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della [Convenzione PIF] in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione [2007/436], secondo cui ciascuno Stato membro prende le misure necessarie per assicurare un’efficace repressione dell’evasione dell’IVA;

–        l’articolo 47, paragrafi 1 e 2, della Carta, che garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice precostituito per legge;

il fatto che ai sensi del diritto nazionale non possano essere utilizzate le prove ottenute con l’impiego di “metodi investigativi speciali”, segnatamente attraverso intercettazioni telefoniche nei confronti di persone che successivamente sono state accusate di frode in materia di IVA, in quanto disposte da un giudice incompetente, tenendo conto a tale riguardo delle seguenti circostanze:

–        in un momento precedente (tra uno e tre mesi prima) è stato richiesta, e disposta dallo stesso giudice, che a quella data era ancora competente, l’intercettazione di una parte di tali telecomunicazioni;

–        il provvedimento relativo alle intercettazioni telefoniche in questione (per il prolungamento delle precedenti intercettazioni e per il controllo di nuove utenze telefoniche) è stato richiesto allo stesso giudice, nel frattempo non più competente, poiché la sua competenza è stata trasferita poco prima a un altro giudice; il giudice originario, nonostante la propria incompetenza, ha esaminato la domanda nel merito e ha emesso il provvedimento;

–        in un momento successivo (circa un mese dopo) è stato nuovamente richiesto di disporre l’intercettazione delle stesse utenze telefoniche al giudice divenuto al riguardo competente, che ha adottato il relativo provvedimento;

–        di fatto tutti i provvedimenti adottati sono privi di motivazione;

–        la norma di legge che dispone il trasferimento di competenza non era chiara, è stata oggetto di numerose decisioni giudiziarie tra loro contrastanti e ha indotto il Varhoven [kasatsionen] sad [(Corte suprema di cassazione)], circa due anni dopo il trasferimento di competenza avvenuto per legge e le intercettazioni telefoniche in questione, a adottare una decisione interpretativa vincolante;

–        il giudice investito del presente procedimento non è autorizzato a decidere in merito alle richieste volte a far disporre l’impiego di metodi investigativi speciali (intercettazioni telefoniche); esso è tuttavia competente a decidere sulla legittimità di intercettazioni telefoniche eseguite, e ad accertare che un provvedimento non è conforme ai requisiti di legge, rinunciando pertanto a esaminare le prove raccolte in questo modo; tale competenza sussiste solo se il provvedimento che dispone le intercettazioni telefoniche è stato validamente adottato;

–        l’utilizzo delle prove in discussione (conversazioni telefoniche degli imputati, la cui intercettazione è stata disposta da un giudice che aveva già perso la competenza in materia) riveste una fondamentale importanza ai fini di decidere sulla questione della responsabilità della persona che dirige un’organizzazione criminale, costituita al fine di compiere reati tributari di cui alla legge sull’IVA, ovvero istiga al compimento di reati tributari concreti, tenuto conto che è possibile emettere un verdetto di assoluzione o condanna solo se le conversazioni telefoniche possono essere utilizzate come prove; in caso contrario l’imputato dovrebbe essere prosciolto.

2)      Se la sentenza pronunciata nel procedimento pregiudiziale C-614/14 sia applicabile alla presente fattispecie».

27.      Il 25 luglio 2016, in seguito alla sentenza della Corte nella causa C-614/14 (10), il giudice del rinvio ha deciso di ritirare la seconda questione. Esso ha ritenuto che tale questione fosse divenuta irrilevante in quanto la Corte gli aveva già fornito una risposta utile.

28.      Con decisione del 12 maggio 2017, il presidente della Corte ha sospeso il procedimento dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di procedura, in attesa della decisione nella causa M.A.S. e M.B. (11) Il procedimento è ripreso il 12 dicembre 2017 in seguito alla pronuncia della sentenza della Corte in detta causa.

29.      Hanno presentato osservazioni scritte il governo polacco e la Commissione europea.

IV.    Analisi

30.      Le presenti conclusioni sono così strutturate. In primo luogo, verificherò quali disposizioni di diritto dell’Unione siano applicabili alla presente causa e, alla luce di tali disposizioni, riformulerò la questione pregiudiziale (A). In secondo luogo, illustrerò la giurisprudenza pertinente sugli obblighi degli Stati membri relativi alla protezione degli interessi finanziari dell’Unione (B). In terzo luogo, sulla base di tale giurisprudenza, suggerirò alcune limitazioni (ragionevoli) all’obbligo (altrimenti piuttosto vasto) di tutela (effettiva) degli interessi finanziari dell’Unione (C). Infine, esaminerò la questione specifica posta dal giudice del rinvio (D).

A.      Diritto applicabile e riformulazione della questione pregiudiziale

1.      Disposizioni di diritto dell’Unione applicabili nella fattispecie

31.      Nella sua questione, il giudice del rinvio menziona varie disposizioni di diritto dell’Unione, ossia l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione PIF, l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2007/436 nonché l’articolo 47, paragrafi 1 e 2, della Carta.

32.      In primo luogo, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE sancisce l’obbligo dell’Unione e degli Stati membri di combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure che siano dissuasive ed efficaci. È costante giurisprudenza che la nozione di «interessi finanziari dell’Unione» comprende le entrate e le spese rientranti nel bilancio dell’Unione e quelle facenti parte del bilancio di altri organi o organismi istituiti dai Trattati. Le entrate che provengono dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati sono incluse nelle risorse proprie dell’Unione.

33.      Su tale base, la Corte ha confermato l’esistenza di un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione europea delle risorse IVA: «qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde» (12). Pertanto, la protezione del bilancio dell’Unione richiede la piena ed esatta riscossione dell’IVA. Poiché è stato affermato che nel caso di specie gli asseriti illeciti hanno compromesso la riscossione dell’IVA, ne consegue che è applicabile l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

34.      In secondo luogo, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione PIF fornisce un’interpretazione estensiva della nozione di «entrate», facendo riferimento alle «risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse». La Corte ha confermato nella sentenza Taricco che ciò «include (…) le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione» (13). Spetta in definitiva al giudice del rinvio stabilire se, in base ai fatti di causa, i reati fiscali oggetto del procedimento principale rientrino effettivamente nella nozione di frode quale definita all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione PIF. Tuttavia, sulla scorta dei fatti esposti dal giudice a quo, si può presumere che sia realmente così, tenuto conto dell’interpretazione ampia della nozione di frode relativa all’IVA di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della Convenzione PIF.

35.      In terzo luogo, oltre all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e alla Convenzione PIF, il giudice del rinvio menziona anche la decisione 2007/436. Dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2007/436 risulta che le risorse proprie dell’Unione comprendono, tra l’altro, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole dell’Unione. Tuttavia, detta decisione non riguarda la natura e i limiti dell’obbligo degli Stati membri di tutelare tali interessi. Pertanto, la decisione in parola sarebbe pertinente soltanto per determinare la portata della nozione di interessi finanziari dell’Unione ai fini dell’applicazione al caso di specie di altre disposizioni di diritto dell’Unione.

36.      In quarto luogo, sebbene ciò non sia stato espressamente indicato dal giudice del rinvio, la direttiva IVA è pertinente anche nel contesto di casi come quello in esame (14). L’articolo 206 di detta direttiva sancisce l’obbligo dei soggetti passivi di pagare l’IVA al momento della presentazione della dichiarazione fiscale prevista all’articolo 250, paragrafo 1, della medesima direttiva. L’articolo 273 della direttiva IVA lascia agli Stati membri la libertà di adottare misure volte ad assicurare il pagamento. Essi possono stabilire altri obblighi che ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni. La scelta delle eventuali sanzioni resta affidata alla discrezionalità degli Stati membri, purché le sanzioni imposte siano effettive, proporzionali e dissuasive (15). Tali disposizioni sembrano essere pertinenti nel caso di specie nella misura in cui obbligano gli Stati membri anche a garantire l’esatta riscossione dell’IVA e a tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione.

37.      A mio parere, da quanto precede risulta che l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF nonché l’articolo 206, l’articolo 250, paragrafo 1, e l’articolo 273 della direttiva IVA sono le disposizioni pertinenti nel caso di specie. A fini pratici, sebbene esistano alcune differenze (16), i doveri e gli obblighi derivanti da dette disposizioni sono molto simili e possono quindi essere analizzati congiuntamente.

38.      Occorre svolgere un’ultima osservazione riguardo all’applicabilità della Carta. La Commissione sostiene che non può sussistere violazione dei diritti fondamentali se il diritto dell’Unione non osta all’applicazione della normativa nazionale controversa. Pertanto, la questione sollevata dal giudice del rinvio sarebbe ipotetica nella parte in cui si riferisce ad una possibile violazione della Carta.

39.      Comprendo la logica di tale argomento: qualora la Corte statuisse, come proposto dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, che il diritto dell’Unione non osta alla normativa nazionale controversa, non occorrerebbe esaminare anche la questione se la disapplicazione di tale normativa rispetti i diritti fondamentali.

40.      Tuttavia, non ritengo che, in un caso come quello in esame, la Carta operi, metaforicamente parlando, soltanto come una «diga secondaria» nell’eventualità che sia già stata elaborata una determinata interpretazione, magari piuttosto discutibile, delle norme sostanziali dell’Unione su una certa materia. La Carta e le sue disposizioni permeano l’intero ordinamento giuridico dell’Unione. Così, la Carta è già applicabile e pertinente per l’«interpretazione originaria» delle norme sostanziali in questione: nella presente causa, gli articoli 325, paragrafo 1, TFUE, la Convenzione PIF e la direttiva IVA, che devono essere interpretati alla luce della Carta. In tal modo, al primo livello, già il rispetto della Carta limita la possibile gamma delle opzioni interpretative per dette disposizioni, in particolare l’argomento pressoché illimitato dell’effettività.

41.      Per tali motivi, la questione sollevata in relazione ai diritti fondamentali non è ipotetica. Le disposizioni pertinenti della Carta, segnatamente gli articoli 7 (rispetto della vita privata) e 48, paragrafo 2 (rispetto dei diritti della difesa), sono applicabili al caso di specie.

2.      Riformulazione della questione sollevata dal giudice del rinvio

42.      La questione sottoposta alla Corte dal giudice del rinvio è piuttosto dettagliata. Mi sembra che, ove la si legga nel contesto dell’ordinanza di rinvio, ne emerga una particolare preoccupazione per due aspetti delle modalità con cui sono state autorizzate le intercettazioni controverse. In primo luogo, alcune intercettazioni sono state ordinate da un giudice che, a quanto risulta, non disponeva più della necessaria competenza: il contenuto e la portata esatti di tale competenza apparivano poco chiari dopo l’introduzione di una modifica legislativa. In secondo luogo, i provvedimenti non erano adeguatamente motivati nel modo richiesto dal diritto nazionale.

43.      Da questi due elementi di fatto, che spetta esclusivamente al giudice nazionale verificare, il giudice del rinvio ha tratto la seguente conclusione sotto il profilo del diritto interno: le prove sono state ottenute illegalmente e non possono essere utilizzate in un procedimento penale. Di nuovo, ricondurre i fatti alle pertinenti disposizioni di diritto nazionale rientra nell’esclusiva competenza e responsabilità del giudice nazionale.

44.      Ai fini del presente procedimento pregiudiziale, questi due elementi sono dati per acquisiti. Desidero evidenziarlo chiaramente, tenuto conto delle apparenti divergenze interpretative esistenti fra i tribunali bulgari riguardo all’individuazione, in seguito alla modifica legislativa, del giudice competente a disporre le intercettazioni telefoniche. Non spetta alla Corte interpretare il diritto nazionale, né comporre i contrasti tra i giudici nazionali circa la sua corretta interpretazione.

45.      Pertanto, senza voler in alcun modo accogliere o approvare una delle tesi riguardo a quale giudice nazionale fosse competente a disporre le intercettazioni controverse, né discutere le norme relative alla motivazione dei provvedimenti che dispongono le intercettazioni, muoverò dal presupposto che, secondo il diritto nazionale, le prove siano state acquisite illegalmente mediante le intercettazioni e che, di conseguenza, fosse validamente applicabile la versione nazionale della «regola di esclusione», secondo la quale prove siffatte non possono essere utilizzate in un procedimento penale.

46.      Alla luce di tali precisazioni, la questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi può essere riformulata come segue: se, nelle specifiche circostanze del procedimento principale, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF e gli articoli 206, 250 e 273 della direttiva IVA, interpretati alla luce della Carta, ostino all’applicazione di una normativa nazionale sull’ammissibilità delle prove in base alla quale le prove ottenute illegalmente non devono essere ammesse.

B.      Giurisprudenza pertinente

47.      La questione della riscossione effettiva dell’IVA è stata esaminata in un certo numero di sentenze della Corte (17). Tuttavia, più recentemente, la Corte ha dedicato particolare attenzione a situazioni nelle quali erano stati avviati procedimenti penali a carico di persone imputate di reati relativi all’IVA o ai dazi doganali e in detti procedimenti si poneva la questione dell’(in)efficacia di norme o prassi nazionali. Nella presente sezione illustrerò le considerazioni principali formulate dalla Corte nelle sentenze relative a quest’ultima serie di casi.

48.      In primo luogo, nella sentenza Åkerberg Fransson (18), la Corte ha dichiarato che, ai sensi dell’articolo 325 TFUE, degli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA nonché dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia riscossa nel suo territorio, di lottare contro la frode e di contrastare le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione (19).

49.      Tuttavia, la Corte ha precisato altresì che, nell’ottemperare a tali obblighi, gli Stati membri devono rispettare i diritti fondamentali dell’Unione, in conformità con l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (20). Inoltre, in una situazione in cui l’operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell’Unione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione (21).

50.      Successivamente, nelle cause Taricco (22) e M.A.S. e M.B. (in prosieguo: «M.A.S.») (23), è stato chiesto alla Corte se il principio di legalità possa compromettere l’effettiva riscossione dell’IVA.

51.      Nella sentenza Taricco, la Corte ha anzitutto ribadito gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza dell’articolo 325 TFUE e dell’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF (24). Essa ha concluso che disposizioni nazionali in materia di interruzione della prescrizione, le quali comporterebbero, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave, sono incompatibili con il diritto dell’Unione in quanto non sono effettive e dissuasive (25).

52.      La Corte ha poi esaminato le conseguenze dell’incompatibilità di tali disposizioni nazionali con il diritto dell’Unione e il ruolo del giudice nazionale e ha dichiarato che l’articolo 325 TFUE, paragrafi 1 e 2, ha effetto diretto. Di conseguenza, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale esistente deve essere disapplicata (26). Tuttavia, la Corte ha ricordato che il giudice nazionale, ove decidesse di disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati (27). In ogni caso, siffatta disapplicazione del diritto nazionale non lederebbe i diritti degli imputati, quali garantiti dall’articolo 49 della Carta, in quanto non ne deriverebbe affatto una loro condanna per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato punito dal diritto nazionale, né l’applicazione di una sanzione che, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto (28).

53.      Circa un anno dopo, nella causa M.A.S., la Corte è stata invitata a riconsiderare il suo approccio. Il giudice del rinvio in detta causa, la Corte costituzionale (Italia), aveva espresso dubbi in ordine alla compatibilità dell’approccio adottato nella sentenza Taricco con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano, in particolare con il principio (nazionale) di legalità (delle sanzioni). Detto giudice riteneva che il primato del diritto dell’Unione non dovesse spingersi fino al punto di recare pregiudizio all’identità nazionale insita nella struttura fondamentale dello Stato membro, tutelata dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

54.      Nella sua risposta, la Corte ha ribadito gli obblighi degli Stati membri derivanti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, norma dotata di effetto diretto, e l’obbligo dei giudici nazionali di disapplicare le disposizioni nazionali sulla prescrizione (29). Tuttavia, la Corte ha anche aggiunto due importanti precisazioni rispetto alla sentenza Taricco. In primo luogo, ha sottolineato che è anzitutto responsabilità del legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall’articolo 325 TFUE (30). In secondo luogo, la Corte ha rilevato che, alla data dei fatti, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione (31). In tale contesto, le autorità e i giudici nazionali potevano applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali alle condizioni definite nella sentenza Åkerberg Fransson (32).

55.      La Corte ha inoltre osservato che i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile, inerenti al principio di legalità (33), si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano, anche al regime della prescrizione. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che i giudici nazionali, ove ritenessero che l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali in questione contrasti con il principio di legalità, non sarebbero tenuti a conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (34).

56.      Dopo la sentenza M.A.S., la Grande Sezione della Corte ha pronunciato altre tre sentenze relative agli obblighi degli Stati membri risultanti dal diritto dell’Unione per quanto riguarda la tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione in generale e la riscossione dell’IVA in particolare.

57.      In primo luogo, nella sentenza Scialdone, la Corte ha ricordato che, in mancanza di armonizzazione delle sanzioni applicabili in materia di IVA, spetta agli Stati membri, in ossequio all’autonomia procedurale e istituzionale, stabilire le sanzioni applicabili alle violazioni delle norme in materia di IVA, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (35). In secondo luogo, nella sentenza Menci, la Corte ha dichiarato che gli Stati membri dispongono di libertà di scelta quanto alle sanzioni delle infrazioni in materia di IVA, purché rispettino i diritti fondamentali, in particolare il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta. Ha quindi concluso che il cumulo di procedimenti e sanzioni di natura amministrativa e penale è compatibile, a determinate condizioni, con il menzionato articolo 50 (36).

58.      In terzo luogo, nel caso di specie assume particolare rilevanza anche la recentissima sentenza nella causa Kolev (37). Anche in detta causa la domanda di pronuncia pregiudiziale era stata proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali) bulgaro. Tuttavia, essa verteva su una norma nazionale che prevedeva l’archiviazione del procedimento penale, su richiesta dell’imputato, ove trascorressero due anni dall’avvio delle indagini preliminari senza che le medesime fossero state concluse dal pubblico ministero.

59.      Dopo avere ribadito che l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE impone agli Stati membri di adottare sanzioni effettive e dissuasive per le violazioni della normativa doganale, la Corte ha sottolineato che gli Stati membri devono altresì garantire che le norme di procedura penale consentano una repressione effettiva di tali reati (38). Ha poi aggiunto che spetta in primis al legislatore nazionale garantire che il regime procedurale applicabile al perseguimento dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione non comportino, per motivi ad esso inerenti, un rischio sistemico d’impunità per i fatti costitutivi di infrazioni del genere, nonché tutelare i diritti fondamentali degli imputati. Tuttavia, il giudice nazionale deve immediatamente dare efficacia agli obblighi derivanti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e, al contempo, tutelare i diritti fondamentali (39). In ogni caso, il giudice nazionale non può disporre l’archiviazione del procedimento penale per il solo motivo che essa sarebbe più favorevole per l’imputato (40).

60.      Infine, vi è anche la sentenza espressamente richiamata dal giudice del rinvio: la sentenza nella causa WebMindLicences (41). Detta causa verteva sul nesso esistente tra un procedimento amministrativo e un procedimento penale e sui diritti riconosciuti nella fattispecie ai soggetti passivi. Era inoltre stata espressamente sollevata una questione relativa all’utilizzo di prove raccolte tramite intercettazioni al fine di accertare l’esistenza di una pratica abusiva in materia di IVA. Il giudice del rinvio chiedeva alla Corte se l’amministrazione tributaria potesse utilizzare le prove acquisite nel contesto di un procedimento penale, comprese quelle ottenute mediante intercettazioni, per fondare la propria decisione.

61.      La Corte ha dichiarato che l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’articolo 325 TFUE nonché gli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA non ostano a che l’amministrazione tributaria possa, al fine di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, utilizzare prove ottenute, all’insaputa del soggetto passivo, nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso. Ciò è possibile a condizione che siano rispettati i diritti garantiti dal diritto dell’Unione, in special modo quelli sanciti dalla Carta (42).

62.      Riassumendo, pare essere costante giurisprudenza che l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, in via autonoma o in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF, oppure con gli articoli 2, 250 e 273 della direttiva IVA, imponga agli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione, comprese sanzioni amministrative o penali efficaci e dissuasive.

63.      La portata degli obblighi incombenti in proposito agli Stati membri è ampia. Essi comprendono, oltre alle sanzioni individuali, tutte le norme di diritto nazionale pertinenti, incluse le norme di procedura penale (43). Il diritto dell’Unione mira a garantire che le norme nazionali in questione, a prescindere dalla loro natura processuale o sostanziale e dalla circostanza che siano previste dal diritto nazionale o dal diritto dell’Unione, non abbiano l’effetto di ostacolare l’imposizione di sanzioni efficaci e dissuasive.

64.      Tuttavia, dalla giurisprudenza emerge altrettanto chiaramente che, in linea di principio, gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza del diritto dell’Unione trovano un limite nei diritti fondamentali (44). A prescindere dalla circostanza che vi sia stata un’armonizzazione delle norme riguardanti direttamente o indirettamente le sanzioni in materia di IVA o di dogane, dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta discende che l’Unione e gli Stati membri devono rispettare i diritti fondamentali nell’esercizio delle loro rispettive competenze.

C.      La riscossione effettiva dell’IVA e i suoi limiti

65.      In massima sintesi, la questione (ri)aperta dal presente caso è essenzialmente se un giudice nazionale possa, in nome della «riscossione effettiva» dell’IVA (o di altre risorse proprie dell’Unione), disapplicare selettivamente norme nazionali, quali le norme sulla prescrizione e sui termini (sentenze Taricco e M.A.S.), sulle soglie economiche di rilevanza penale (sentenza Scialdone), sui termini per la conclusione della fase preliminare dei procedimenti penali (sentenza Kolev) o, come nel presente caso, norme nazionali relative all’ammissibilità delle prove ottenute illegalmente nei procedimenti penali, se l’osservanza di tali norme comporterebbe l’impunità dell’imputato.

66.      La risposta della Corte a tale questione specifica, di nuovo semplificando in una certa misura, oscilla tra «sì, se accade in un numero considerevole di casi» (sentenza Taricco), «no, spetta al legislatore nazionale porre rimedio a siffatte carenze sistemiche» (sentenze M.A.S. e Scialdone) e «no in linea di massima, ma sì se accade sistematicamente, purché siano rispettati i diritti fondamentali dell’imputato» (sentenza Kolev).

67.      Fatico a comprendere come quest’ultimo approccio, adottato nella sentenza Kolev, potrebbe essere applicato dai giudici nazionali a livello pratico. Si suppone che il giudice nazionale disapplichi le norme nazionali applicabili nei procedimenti penali che esso ritenga incompatibili con l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, disposizione munita di effetto diretto, ma dovrebbe disapplicare solo quelle che non ledano i diritti fondamentali dell’imputato. Tuttavia, in che modo sono individuati tali diritti? Tutti i diritti dell’imputato e la loro meticolosa osservanza non sono forse inerenti al diritto a un processo (penale) equo e/o ai diritti della difesa? Oppure esistono diritti meno importanti, «diritti di second’ordine», per così dire, che devono essere individuati singolarmente da ciascun giudice nazionale e poi esclusi selettivamente qualora si frappongano a una condanna?

68.      Sembrerebbe dunque che tale specifico aspetto della giurisprudenza sia ancora «in fase di elaborazione». Nella presente sezione formulerò alcuni suggerimenti su come concettualizzare e far progredire tale giurisprudenza. Nel far questo, si dà certamente per scontato che gli Stati membri debbano rispettare gli obblighi loro incombenti in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e di tutte le altre disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione discusse in precedenza (45). Inoltre, è pienamente riconosciuto che tali obblighi possono estendersi a qualsiasi elemento di diritto nazionale che dia loro effettiva attuazione (46). Oltre a ciò, gli obblighi in parola devono essere assolti in maniera efficace. Nella presente sezione si esamineranno le origini e la portata dei limiti di tali obblighi altrimenti molto estesi (sezioni 1, 2 e 3), la questione se detti limiti varino in funzione del tipo di norma nazionale considerata (sezione 4) e infine, e forse soprattutto, la questione dei rimedi: supponendo che sia stata rilevata un’incompatibilità di tal genere, quali siano le sue conseguenze sul singolo caso pendente (e sugli altri eventuali casi ancora aperti) (sezione 5).

69.      È corretto riconoscere sin da subito che l’impostazione proposta in questa sede si fonda sulla ferma convinzione che l’approccio corretto alle potenziali carenze (sistemiche) degli Stati membri nella riscossione effettiva dell’IVA (o nella tutela di altri interessi finanziari dell’Unione) sia quello adottato nelle sentenze M.A.S. e Scialdone, e non quello delle sentenze Taricco e Kolev.

1.      Misura di armonizzazione dell’Unione

70.      L’esame volto a stabilire quale tipo di norme, valori o interessi possa essere utilizzato per bilanciare o limitare l’esigenza della tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione, e in che modo, inizia necessariamente con l’analisi della natura della disposizione applicabile nel caso di specie.

71.      Nella sentenza M.A.S., la Corte ha sottolineato che, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione, armonizzazione che era successivamente avvenuta in modo solo parziale (47).

72.      Che cosa significa esattamente «armonizzazione» in tale contesto, e che cosa comporta l’esistenza o la mancanza di una misura di armonizzazione dell’Unione?

73.      In primo luogo, va rilevato che impostare la discussione in termini di «armonizzazione» può risultare, in qualche modo, fuorviante. Il problema è che la nozione di «armonizzazione» implica una sorta di analisi settoriale, che tiene conto dell’intero settore del diritto o di uno specifico strumento normativo. Inoltre, un’«armonizzazione parziale» o un’«armonizzazione minima» in tale ambito particolare, qualunque esso sia, produrrebbe i medesimi effetti di un’«armonizzazione completa»?

74.      La vera natura del test sembra quindi essere piuttosto se esista nel diritto dell’Unione una norma o una serie di norme chiara intesa a disciplinare in maniera esaustiva un aspetto specifico di un determinato settore, privando così di fatto gli Stati membri della possibilità di adottare norme autonome. Un test siffatto mira più a una microanalisi, incentrata su una norma specifica o, tutt’al più, su un aspetto specifico e chiaramente definito del diritto dell’Unione.

75.      La sentenza Melloni (48) e le norme sui motivi di non esecuzione di un mandato di arresto europeo in caso di condanna pronunciata in contumacia previsti dall’articolo 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI (49) possono costituire un esempio in tal senso. Infatti, le norme contenute in detta disposizione disciplinano esaustivamente un aspetto della procedura relativa al mandato d’arresto europeo e ostano quindi a norme nazionali aventi il medesimo oggetto. Il criterio dell’esistenza di una «misura di armonizzazione» dell’Unione nel senso sopra descritto è stato applicato a livello dell’articolo 4 bis della decisione quadro 2002/584 e alle situazioni ivi disciplinate. Tuttavia, non è stato affermato, ovviamente, che detta decisione quadro disciplini l’intera materia (comunque la si definisca e a prescindere dalla circostanza che essa comprenda l’intera procedura di consegna in base al mandato di arresto europeo o l’intera procedura penale in quanto tale).

76.      È vero che un simile effetto ostativo non presuppone sempre una piena «corrispondenza testuale» tra la norma (o le norme) di diritto dell’Unione e le norme nazionali. Siffatta «armonizzazione» e il conseguente effetto ostativo potrebbero anche avere una natura più funzionale. Pur senza costituire una regola esplicita, l’esistenza di altre norme chiare, ove queste riguardino questioni connesse, può impedire o limitare l’applicazione di determinate norme degli Stati membri nella misura in cui l’oggetto fattuale della controversia rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (50).

77.      In secondo luogo, l’esistenza di norme chiare che disciplinano esaustivamente un determinato aspetto ha una conseguenza naturale: essa esclude l’azione autonoma da parte degli Stati membri. Una volta che il legislatore dell’Unione abbia adottato misure che disciplinano completamente una determinata questione, non vi è più alcuno spazio normativo entro il quale gli Stati membri possano adottare norme proprie, salvo che tali misure siano semplicemente dirette ad attuare norme di diritto dell’Unione e nel far questo non oltrepassino quanto consentito da tale diritto.

78.      In terzo luogo, va sottolineato che ciò che occorre accertare in ogni singolo caso è quanto la situazione di fatto oggetto del procedimento principale si avvicini alla misura di armonizzazione considerata. A prescindere da quanto chiara, precisa e completa sia la norma dell’Unione applicabile, se i fatti del procedimento principale risultano solo lontanamente connessi a detta norma, gli Stati membri conservano un margine di discrezionalità per adottare norme autonome proprie, sebbene la controversia rientri ancora formalmente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

79.      Pertanto, esiste chiaramente una scala. A un estremo si trovano i casi nei quali una norma nazionale rientra nell’ambito di uno standard dell’Unione «armonizzato», direttamente in virtù della sua formulazione, o in quanto è tanto vicina da essere funzionalmente interconnessa (come nella causa Melloni). Spostandosi verso l’estremo della scala più lontano da una norma chiara dell’Unione si trovano i casi nei quali la norma di livello nazionale presenta ancora una connessione con una disposizione dell’Unione, ma più flebile. Tra gli esempi di tale categoria rientrerebbe la giurisprudenza della Corte sulle sanzioni nel settore dell’IVA, quali le sentenze Åkerberg Franssono Scialdone. Il termine «sanzioni», abbinato agli aggettivi appropriati, è effettivamente menzionato nelle disposizioni pertinenti di diritto dell’Unione, ma certamente queste ultime non sono abbastanza dettagliate per fornire regole chiare di diritto dell’Unione sulle specifiche questioni inerenti alla sanzione degli illeciti in materia di IVA sollevate in questo genere di casi. Infine, all’estremo più remoto della scala vi sono casi che, pur rientrando ancora nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, riguardano norme nazionali molto lontane da qualsiasi regola chiara di diritto nell’Unione in materia. Così, ad esempio, le questioni sollevate nelle cause Ispas (accesso al fascicolo in un procedimento relativo all’IVA), Kolev (termini per la conclusione della fase preliminare dei procedimenti penali) o nella presente causa, sono ancora in qualche modo connesse alla riscossione dell’IVA. Tuttavia, occorre uno sforzo di immaginazione per collegare il termine «riscossione» a tali situazioni di fatto.

80.      Più una situazione si avvicina a un requisito chiaramente definito del diritto dell’Unione, minore è la discrezionalità da parte degli Stati membri e più dovrebbe esservi uniformità. Per contro, più un caso si allontana da una norma di diritto dell’Unione chiara e specifica, pur rientrando ancora nell’ambito di applicazione di tale diritto, più è ampia la discrezionalità da parte degli Stati membri e quindi maggiore può essere la diversità. Per riprendere una metafora già utilizzata in un contesto leggermente diverso (51), ma che capta la stessa idea: più ci si avvicina a un faro, più forte diventa la luce che proviene da tale fonte, tanto da oscurare tutte le altre. Più ci si allontana dal faro, più la luce si fa debole, confondendosi gradualmente con quella proveniente da altre fonti.

2.      L’origine nazionale o dell’Unione dei limiti alla riscossione effettiva dell’IVA

81.      Nella sentenza M.A.S., la Corte ha inoltre rilevato che, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione. Subito dopo tale osservazione, la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana era quindi libera, a tale data, di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale e fosse a questo titolo soggetto, come queste ultime norme, al principio di legalità dei reati e delle pene (52).

82.      Con tale affermazione la Corte ha ammesso, in un settore non ancora armonizzato, l’applicazione di un’interpretazione nazionale, specifica, di un diritto fondamentale (il principio di legalità), che è tutelato sia dal diritto dell’Unione sia dal diritto nazionale.

83.      Ciò significa che la riscossione effettiva dell’IVA risulta sempre limitata per effetto di disposizioni sia dell’Unione che nazionali sui diritti fondamentali? La risposta dipenderà dal contenuto della norma nazionale in questione e, come rilevato nella sezione precedente, dalla sua sovrapposizione o prossimità a una norma «armonizzata».

84.      In sintesi, si possono prospettare due situazioni: nella prima, la norma nazionale applicabile di cui trattasi rientra chiaramente nell’ambito di applicazione di norme armonizzate a livello dell’Unione per il suo tenore, oppure è tanto vicina funzionalmente a dette norme che queste ultime prevalgono su di essa. In tal caso, le riserve, le limitazioni e la ponderazione con tali norme saranno di natura «orizzontale», ossia riguarderanno interessi, valori e diritti fondamentali di origine dell’Unione (53). Nella seconda situazione, la norma nazionale di cui trattasi non è soggetta a tale prevalenza testuale o funzionale (ragionevolmente ristretta), ma rientra ancora nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. In tal caso, i suddetti limiti, compresi quelli inerenti ai diritti fondamentali, deriveranno da entrambi gli ordinamenti: standard (minimi) di diritto dell’Unione, in quanto lo Stato membro agisce nel quadro di tale diritto e non può esservi un’azione imposta dal diritto dell’Unione fuori dal campo di applicabilità dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, e anche limiti di diritto nazionale, i quali, peraltro, possono garantire in questi casi un livello di protezione più elevato.

85.      Tale distinzione spiega perché, nella sentenza Melloni, la Corte abbia escluso l’applicazione di uno standard di protezione nazionale, mentre l’ha espressamente ammessa nella sentenza M.A.S.

86.      Nella causa Melloni, la situazione oggetto del procedimento principale era effettivamente determinata da una serie chiara di norme contenuta nella decisione quadro 2002/584 (54). Non era quindi possibile, sulla base di una disposizione nazionale letta in combinato disposto con l’articolo 53 della Carta, aggiungere un nuovo motivo di non esecuzione a quelli previsti dalla decisione quadro 2002/584, ancorché detto motivo traesse origine dalla Costituzione dello Stato membro. Secondo la Corte, ciò comporterebbe, rimettendo in discussione l’uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali definito da tale decisione quadro, una lesione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che essa mira a rafforzare e, pertanto, un pregiudizio per l’effettività della suddetta decisione quadro (55).

87.      In altri termini, salvo in circostanze del tutto eccezionali (56), lo standard di diritti fondamentali dell’Unione si applica unicamente in una situazione di uniformità legislativa a livello dell’Unione, nella quale un atto dell’Unione abbia fissato requisiti chiari ed esaustivi in ordine a una determinata questione. In tal caso, si presume che il legislatore dell’Unione abbia già proceduto alla ponderazione tra, da un lato, la tutela dei diritti fondamentali e, dall’altro, l’efficacia complessiva della misura di cui trattasi rispetto ai suoi obiettivi. Se del caso, tale ponderazione può essere contestata dinanzi alla Corte sulla base dello standard dell’Unione di tutela dei diritti fondamentali in quanto parametro per il riesame della controversa misura di armonizzazione dell’Unione. Così, in definitiva, i diritti fondamentali saranno tutelati dalla Corte, rammentando che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, lo standard di tutela dell’Unione non può essere inferiore a quello stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

88.      Per contro, nelle cause M.A.S. e Scialdone (o nella causa Åkerberg Fransson) non vi era una simile «armonizzazione», nel senso che le norme nazionali controverse in tali cause non ricadevano direttamente nell’ambito di un’analoga disposizione chiara di diritto dell’Unione o non erano funzionalmente precluse da essa. Pertanto, l’esercizio di tale potere discrezionale incontrava due tipi di limiti. Da un lato, gli Stati membri restano soggetti ai requisiti dell’Unione di equivalenza e di effettività (57) e allo standard minimo di tutela dei diritti fondamentali garantito dalla Carta (58). Dall’altro, poiché esercitano il proprio potere discrezionale, gli Stati membri possono anche applicare, ai fini del riesame delle norme adottate nell’esercizio di tale discrezionalità, la propria concezione di un diritto fondamentale, purché non forniscano una protezione inferiore a quella della Carta, conformemente all’articolo 53 della stessa.

89.      Occorre svolgere un’ultima osservazione riguardo al grado di «unità» o «uniformità» richiesto in queste ultime situazioni. La Corte ha ripetutamente dichiarato che resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione (59).

90.      Devo ammettere che ho qualche difficoltà a concettualizzare l’applicazione pratica di tali condizioni, in particolare i requisiti relativi all’«unità» contenuti nella seconda condizione. I termini per la presentazione della dichiarazione IVA possono fornire un esempio a tale riguardo. Mentre il fatto che debbano esservi dichiarazioni IVA periodiche è previsto dall’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA, le modalità esatte di dette dichiarazioni (quali frequenza, formato o termini) non lo sono. Ne consegue che tali questioni non sono «armonizzate» nel senso illustrato nella sezione precedente e ricadono quindi nel campo in cui gli Stati membri mantengono la propria discrezionalità. Per definizione, le norme nazionali saranno diverse e divergenti; tuttavia, purché esse non minaccino il primato, l’efficacia complessiva e gli standard minimi di tutela previsti dalla Carta, siffatta differenziazione nazionale è certamente possibile.

91.      Così, pur essendo naturalmente rilevanti ai fini dell’applicazione nazionale di norme armonizzate dell’Unione, i requisiti del primato, dell’unità e dell’effettività, e in special modo quello dell’«unità», forse non andrebbero presi alla lettera nei settori in cui gli Stati membri mantengono la loro discrezionalità.

3.      Il ruolo della Carta

92.      A seconda che la situazione in esame sia o meno interamente disciplinata dal diritto dell’Unione nel senso illustrato nelle sezioni precedenti, la Carta svolge un interessante duplice ruolo come limite alla riscossione effettiva dell’IVA. Nei casi che ricadono chiaramente nell’ambito di applicazione di una norma o di un insieme di norme dell’Unione, essa definisce lo standard massimo comune. Nei casi che si collocano al di fuori di tale armonizzazione di diritto dell’Unione, la Carta fornisce la soglia minima di protezione dei diritti fondamentali.

93.      In primo luogo, nel caso dell’armonizzazione, la Carta opera come limite massimo. Dal momento che è esclusa l’applicazione, attraverso l’articolo 53, di standard di tutela nazionali, la Carta costituisce l’unico parametro in relazione ai diritti fondamentali sulla base del quale saranno valutate le misure di armonizzazione dell’Unione – o le misure nazionali che le attuano rigorosamente. In tale contesto, l’articolo 52, paragrafo 3, richiede che lo standard di protezione risultante dalla Carta sia almeno altrettanto elevato quanto lo standard della CEDU, mentre l’articolo 52, paragrafo 1, assicura che le restrizioni ai diritti fondamentali siano chiaramente limitate e non oltrepassino quanto necessario per garantire, ad esempio, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Tali disposizioni implicano che la Carta debba garantire essa stessa un livello elevato di protezione dei diritti fondamentali ponendo limiti effettivi alla riscossione dell’IVA. Essendo parte integrante del diritto primario dell’Unione, anche la Carta beneficia dei requisiti del primato, dell’unità e dell’effettività. Essa ha lo stesso rango delle altre disposizioni di diritto primario dell’Unione, quale l’articolo 325 TFUE, e spetta alla Corte assicurare il corretto bilanciamento tra diritti fondamentali e valori o interessi concorrenti.

94.      In secondo luogo, in mancanza di armonizzazione, anche quando il diritto dell’Unione lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri ai fini dell’adozione delle loro norme legislative o di attuazione (60), la Carta fissa una soglia minima. Risulta dall’articolo 53 che le costituzioni degli Stati membri – ma anche il diritto internazionale – possono prevedere standard di tutela più elevati rispetto a quelli stabiliti dalla Carta.

95.      Di nuovo, in una situazione del genere, risultano compromessi «il primato, l’unità e l’effettività» del diritto dell’Unione? Minore è l’armonizzazione, meno è probabile, per definizione, che possano essere lesi il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. Certamente, l’applicazione di uno standard nazionale di protezione implica diversità, anziché uniformità. Tuttavia, in mancanza di armonizzazione, lo standard nazionale di protezione si applica soltanto al margine di discrezionalità – più o meno ampio – lasciato agli Stati membri dallo stesso diritto dell’Unione. Ciò che viene valutato sulla base del parametro più stringente della costituzione nazionale è quindi l’azione nazionale, e non quella dell’Unione. In altri termini, più è ampio il margine di discrezionalità degli Stati membri, minore è il rischio per il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione.

4.      La natura sostanziale o processuale delle norme nazionali di diritto penale

96.      Nella causa M.A.S. si poneva la questione se la controversa norma sulla prescrizione avesse natura sostanziale o processuale e se, pertanto, fosse anch’essa soggetta al principio di legalità. Poiché l’ordinamento giuridico italiano attribuisce natura sostanziale a questo tipo di norme, la Corte ha ammesso che, in mancanza di una loro armonizzazione, si applicava l’interpretazione del principio di legalità adottata nel diritto italiano. Nella causa M.A.S., così come, in precedenza, nella causa Taricco, tale questione è sorta nel contesto specifico dell’articolo 49 della Carta e dell’interrogativo se le garanzie di detta disposizione riguardino le norme penali «meramente sostanziali» oppure anche quelle «processuali».

97.      Nel frattempo, tuttavia, tenuto conto anche del presente caso, la questione si è posta in termini più ampi, travalicando il contesto particolare delle garanzie di cui all’articolo 49 della Carta. Il ragionamento sopra esposto in ordine alla tipologia di limitazioni alla «riscossione effettiva dell’IVA» sarebbe (o dovrebbe essere) diverso se la norma nazionale in questione fosse di natura «sostanziale» anziché meramente «processuale»? Inoltre, con riguardo alla successiva questione su come debba porsi rimedio a tali possibili carenze a livello nazionale, le conseguenze dovrebbero essere diverse anche sotto questo aspetto, sempre in funzione della circostanza che l’oggetto dell’eventuale disapplicazione nel singolo caso sia una norma (di diritto penale) processuale oppure sostanziale?

98.      La mia risposta a tali questioni è chiaramente negativa, per almeno tre motivi.

99.      In primo luogo, qualsiasi classificazione di questo tipo è problematica e molto difficile da attuare. Ciò è chiaramente evidente già nel contesto dell’articolo 49 della Carta (61), ma diventa ancora più complesso al di fuori dell’ambito di tale disposizione, in relazione ad altri diritti della Carta. Inoltre, una simile classificazione sarebbe soggetta alle tassonomie nazionali o ad una dell’Unione? E quest’ultima richiederebbe allora che fosse definita una «nozione propria dell’Unione» di ogni norma giuridica?

100. In secondo luogo, sono piuttosto stupito per l’implicita (e spregiativa) facilità con cui si potrebbero disapplicare le norme «meramente processuali». Una norma che imponga al pubblico ministero di promuovere l’azione penale o di rinunciarvi entro un certo periodo di tempo, di modo che una persona non debba trovarsi per sempre nella fase preliminare delle indagini penali, è un mero «elemento della procedura» accessorio? O, ad esempio, è un mero «orpello processuale» il requisito del giudice imparziale in un procedimento penale? Di fatto, le norme processuali possono in molti casi tutelare i diritti fondamentali in misura pari o perfino superiore rispetto alle norme sostanziali. Come ha osservato Rudolf von Jhering, «la forma è il nemico giurato dell’arbitrarietà, la sorella gemella della libertà» (62). Risulta quindi molto difficile comprendere come i giudici nazionali possano validamente invocare il diritto (e la giurisprudenza) dell’Unione al fine di limitare effettivamente i diritti fondamentali attraverso la disapplicazione di tali norme «processuali» di diritto penale (63).

101. In terzo luogo, e soprattutto, per i motivi che ho già esposto in altra sede (64), lo studio delle sottigliezze delle tassonomie giuridiche, nazionali o europee, è intrinsecamente inadatto al tipo di analisi che occorre svolgere allorché si esaminano le restrizioni ai diritti fondamentali. Tale esame andrebbe orientato sull’impatto. Dovrebbe essere questo l’oggetto della tutela effettiva dei diritti fondamentali: l’individuo e gli effetti di una norma sulla sua situazione, e non le etichette tassonomiche apposte a tale norma.

5.      Rimedi

102. Le sentenze M.A.S. e Kolev hanno chiarito che, in caso di incompatibilità tra norme nazionali e il diritto dell’Unione, spetta in primis al legislatore nazionale porvi rimedio (65), in modo da scongiurare un rischio sistemico di impunità (66). Tuttavia, in dette sentenze è stato altresì dichiarato, in riferimento alla sentenza Taricco, che, in linea di principio, l’effetto diretto dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con il principio del primato, consente ai giudici nazionali di disapplicare le norme incompatibili (67). Infine, dalla sentenza Kolev sembra emergere che tale mandato non comporta soltanto la disapplicazione delle suddette norme, ma apparentemente anche l’adozione da parte dei giudici nazionali di ulteriori provvedimenti positivi che non trovano riscontro testuale nel diritto interno, ad esempio prorogare i termini entro i quali il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale, o porre rimedio essi stessi alle irregolarità in questione (68).

103. Per vari motivi, sono dell’avviso che il ruolo dei giudici nazionali in relazione alle norme nazionali che potrebbero rappresentare un ostacolo alla riscossione effettiva dell’IVA, quanto meno nei procedimenti (penali) in corso, andrebbe inteso diversamente. In sintesi, qualsiasi constatazione del genere dovrebbe essere limitata a un provvedimento di accertamento dell’incompatibilità, la cui applicazione ai procedimenti in corso dovrebbe essere preclusa dai principi di certezza del diritto e della tutela dei diritti fondamentali dell’imputato. Una constatazione siffatta dovrebbe produrre effetti solo per il futuro, al livello strutturale e procedurale potenzialmente associato ad un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE.

104. In primo luogo, come punto di partenza, occorre rammentare che, nel complesso, la ponderazione tra la tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione, da un lato, e i diritti fondamentali, dall’altro, significa ponderazione tra obiettivi e valori (certamente almeno) di pari rango. Anche se l’interpretazione di tali diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta deve essere garantita nel quadro della struttura e degli obiettivi dell’Unione europea (69), le restrizioni ai diritti fondamentali sono esse stesse limitate dalla Carta, a prescindere dall’esistenza di un’armonizzazione. L’articolo 52, paragrafo 1, vieta ogni ingerenza nella sostanza delle libertà e dei diritti ivi sanciti. L’articolo 52, paragrafo 3, richiede un livello minimo di tutela dei diritti dell’uomo corrispondente agli standard della CEDU.

105. In secondo luogo, come ricordato nella sentenza M.A.S., un giudice nazionale non può, nel corso di un procedimento penale, aggravare il regime di responsabilità penale di coloro che sono oggetto di un procedimento siffatto (70). In tale contesto, non vedo come potrebbe non essere in contrasto con queste affermazioni la disapplicazione selettiva di norme nazionali di diritto o di procedura penale al fine di poter proseguire, ad esempio, un’azione penale prescritta o illegittima.

106. In terzo luogo, simili effetti sui procedimenti penali in corso sono incompatibili con qualsiasi esigenza, ragionevolmente intesa, di prevedibilità della legge e di certezza del diritto, e tali principi rivestono un’importanza particolare nel contesto dei procedimenti penali. Quello dell’Unione è un ordinamento giuridico diffuso. Ogni singolo giudice degli Stati membri agisce in qualità di organo giurisdizionale che assicura l’applicazione del diritto dell’Unione. Nell’ambito di tale mandato giurisdizionale, ogni giudice nazionale può e deve trarre le necessarie conseguenze processuali da un accertamento di incompatibilità che può operare esso stesso, senza rinvio pregiudiziale alla Corte. Se ciò comprendesse la disapplicazione di norme nazionali di procedura penale da parte di singoli giudici degli Stati membri, sulla base di una loro autonoma valutazione, la giustizia penale rischierebbe di diventare una lotteria (sponsorizzata dall’Unione).

107. Tale pericolo è ulteriormente aggravato dal fatto che, anche dopo la sentenza Kolev, rimane poco chiaro il punto catalizzatore fissato dalla Corte per siffatta disapplicazione selettiva di norme nazionali incompatibili. Nella sentenza Taricco, sebbene il giudice del rinvio avesse affermato che la durata dei procedimenti penali in Italia è tale che, in questo tipo di casi, «l’impunità di fatto costituirebbe (…) non un’evenienza rara, ma la norma», la Corte ha fissato il punto catalizzatore nel momento in cui il giudice nazionale ha concluso che l’applicazione delle disposizioni interne avrebbe tale effetto «in un numero considerevole di casi» (71). Nella sentenza Kolev, tale elemento decisivo consiste apparentemente nelle «violazioni sistematiche e continuate delle norme doganali» dalle quali sembra derivare un «rischio sistemico» d’impunità per fatti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (72).

108. Tuttavia, nella causa Kolev, l’unica «violazione sistematica e continuata» nel procedimento principale consisteva nel fatto che un determinato pubblico ministero non aveva potuto notificare validamente i necessari provvedimenti all’imputato nell’ambito di uno specifico procedimento penale. Sotto questo aspetto, in effetti, il pubblico ministero era stato sistematicamente e continuativamente inadempiente. Per il resto, però, tutto il problema «sistemico» sembra basato su un’affermazione del giudice del rinvio. È abbastanza chiaro quali problemi (questa volta realmente sistemici) ponga, nel contesto del diritto penale, la «licenza di disapplicazione» concessa in tal modo dalla Corte (73).

109. In quarto luogo, la risposta (costituzionalmente verificata e testata) a tale problema e alle questioni ad esso connesse è il rispetto del principio della separazione dei poteri. Spetta chiaramente al legislatore, in caso di incompatibilità tra norme nazionali e il diritto dell’Unione, intervenire e adottare in prospettiva norme di applicazione generale, conformemente al principio di legalità. In quanto espressione della separazione dei poteri nel settore sensibile del diritto penale, il principio di legalità richiede l’adozione di norme sia sostanziali che processuali da parte del Parlamento europeo. Oltre all’intrinseco valore costituzionale di tale argomento, questo approccio presenta anche un vantaggio pratico: si tratterà per definizione dell’unico insieme di norme applicabili.

110. In quinto luogo, vi è ciò che si potrebbe definire il paradosso generale del «dove possono condurre le carenze sistemiche negli Stati membri». In casi quali le cause N.S. (74) o Aranyosi e Căldăraru (75), l’esistenza di talune carenze sistemiche nei sistemi giudiziari, amministrativi o penitenziari di uno Stato membro hanno condotto, in nome della tutela effettiva dei diritti fondamentali, alla possibilità di sospendere temporaneamente alcuni dei principi più fondamentali sui quali è fondata l’Unione europea, quali il reciproco riconoscimento e la fiducia reciproca. Viceversa, le (apparenti) carenze sistemiche in questioni concernenti la riscossione dell’IVA e dei dazi doganali, in relazione alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione, hanno un’importanza talmente superiore da condurre, questa volta, all’effettiva sospensione di diritti fondamentali, nonché della legalità e dello Stato di diritto. Mi chiedo che cosa possa implicare una simile stratificazione di valori in termini di gerarchia tra l’articolo 2 TUE e l’articolo 325 TFUE.

111. Per tutti questi motivi, a mio parere, l’approccio della Corte alle conseguenze di una potenziale incompatibilità di una norma nazionale relativa alla riscossione effettiva dell’IVA o di altre risorse proprie dell’Unione, in particolare per quanto riguarda i procedimenti penali vertenti su tali questioni, dovrebbe essere strutturato diversamente. Quand’anche una norma nazionale applicabile in detti procedimenti dovesse essere dichiarata incompatibile con le disposizioni dell’Unione applicabili, tale dichiarazione dovrebbe produrre effetti solo per il futuro. Alla luce dei principi di certezza del diritto, di legalità e di tutela dei diritti fondamentali (in quanto pertinenti nel caso specifico), una simile constatazione non può essere applicata ai procedimenti in corso, qualora ciò si ripercuota negativamente sul singolo imputato. Uno Stato membro che applicasse una norma siffatta sarebbe tenuto ad introdurre immediatamente nel diritto interno le modifiche necessarie a garantire la compatibilità con le statuizioni della Corte. In mancanza, un procedimento per inadempimento, eventualmente accelerato, a norma dell’articolo 258 TFUE costituirebbe il rimedio (strutturale) appropriato.

112. Infine, dovrebbe essere irrilevante la circostanza che le potenziali carenze siano o meno sistemiche oppure meramente individuali. Se tali carenze sono effettivamente strutturali, nel senso che ricorrono su vasta scala e in maniera ripetuta, ciò rappresenta di fatto un ulteriore argomento per affermare che occorre anche una risposta «strutturata» sotto forma di procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, in cui anche lo Stato membro di cui trattasi possa difendere adeguatamente le proprie tesi.

D.      La questione sollevata dal giudice del rinvio

113. Applicando tali suggerimenti generali al caso in esame, mi sembra che la risposta alla questione specifica posta dal giudice del rinvio, vale a dire se la tutela effettiva delle risorse proprie dell’Unione imponga di disapplicare norme nazionali che escludono l’utilizzo di prove ottenute illegalmente, sia piuttosto chiara: certamente no.

114. In primo luogo, non sembra che all’epoca dei fatti esistesse un’armonizzazione a livello dell’Unione(76) delle norme in materia di prove, o di intercettazioni, finalizzata alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione nel contesto dell’IVA o in generale. Pertanto, gli Stati membri mantenevano il potere discrezionale di adottare norme proprie a tale riguardo.

115. In secondo luogo, pur in assenza di una specifica normativa dell’Unione in materia, nel senso che la situazione in esame non è disciplinata dal diritto dell’Unione, quest’ultima rientra ancora nell’ambito di applicazione di tale diritto. Infatti, gli Stati membri sono soggetti agli obblighi generali derivanti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, dall’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF e dagli articoli 206, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, relativamente a tutte le norme di diritto penale che incidono sulle sanzioni nel settore dell’IVA.

116. Rispetto alle norme nazionali in discussione nelle cause M.A.S. o Kolev, il grado di prossimità delle norme nazionali esaminate in questa sede alle norme applicabili di diritto dell’Unione è forse piuttosto modesto, ma certamente non assente (77). Invero, le norme in materia di prove, in combinato disposto con le norme sulla competenza giurisdizionale, nonché le condizioni cui è subordinata l’autorizzazione delle intercettazioni, hanno un impatto evidente sulle sanzioni, in quanto la loro attuazione rende queste ultime più o meno probabili o efficaci. Ciò risulta chiaramente evidente laddove l’applicazione delle norme bulgare in materia di prove impedisce di utilizzare le prove che avrebbero dimostrato la colpevolezza del sig. Dzivev nel procedimento principale.

117. In terzo luogo, ne consegue che gli Stati membri, quando elaborano ed applicano questo tipo di norme, devono esercitare il loro potere discrezionale rispettando due serie di limiti, inclusi i limiti relativi ai diritti fondamentali: quelli derivanti dal diritto nazionale e quelli derivanti dal diritto dell’Unione.

118. Da un lato, essi devono rispettare il proprio diritto nazionale, comprese le pertinenti disposizioni costituzionali sul diritto penale in generale, nonché sulle prove e le intercettazioni in particolare. Ne consegue, sulla base della sentenza M.A.S., che le autorità bulgare possono esaminare le norme nazionali di cui trattasi alla luce di specifiche interpretazioni dei diritti fondamentali (ad esempio il principio di legalità delle pene), anche se questi ultimi sono parimenti garantiti dal diritto dell’Unione, purché la costituzione nazionale preveda uno standard più elevato di tutela degli imputati. A tale proposito, spetta unicamente al giudice del rinvio valutare se le norme nazionali in questione siano conformi alle norme di rango superiore del diritto nazionale.

119. Dall’altro lato, poiché la situazione in esame rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, l’autonomia istituzionale e procedurale di cui dispongono gli Stati membri ai fini della configurazione delle loro regole in materia di prove trova un limite non solo nel duplice requisito dell’Unione di equivalenza e di effettività, ma anche nella Carta (78).

120. Il requisito dell’equivalenza limita la libertà di scelta degli Stati membri imponendo loro di provvedere affinché tali sanzioni rispondano a requisiti analoghi a quelli applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza (79). Nel caso di specie, tuttavia, non sembrano sorgere questioni relative all’equivalenza.

121. Il requisito dell’effettività impone agli Stati membri di garantire la riscossione effettiva dell’IVA, in particolare imponendo sanzioni effettive e dissuasive in caso di violazione delle norme sull’IVA (80).

122. L’effettività del diritto dell’Unione è un argomento discutibile, in quanto, di per sé, non ha limiti interni. Portando tale argomento alle sue massime conseguenze, ogni possibile risultato diviene giustificabile. Certamente, se l’«effettività della tutela delle risorse proprie dell’Unione» dovesse equivalere alla «carcerazione per frode e omesso versamento dell’IVA» (81), si dovrebbe disapplicare qualsiasi norma nazionale che si frapponesse a una condanna. Ma se così fosse, non sarebbe ancora più effettivo non dover chiedere affatto l’autorizzazione di un giudice per effettuare un’intercettazione telefonica? Analogamente, l’effettiva riscossione dei pagamenti dell’IVA migliorerebbe se il giudice nazionale potesse ordinare la fustigazione in piazza per le frodi tributarie?

123. Tali esempi chiaramente paradossali spiegano bene perché l’argomento potenzialmente illimitato dell’«effettività» debba essere subito limitato e ponderato con argomenti e valori identificati nella fase precedente: dai limiti dell’Unione e nazionali derivano altri valori, interessi e obiettivi, compresa la tutela dei diritti fondamentali. L’eventuale ponderazione con i limiti e le norme processuali di origine nazionale spetta al giudice nazionale.

124. Sotto il profilo del diritto dell’Unione e dei requisiti minimi che ne derivano, si può ripetere ancora che il diritto dell’Unione non richiede solo sanzioni efficaci e dissuasive. Esso impone anche il rispetto dei diritti fondamentali nell’imposizione di dette sanzioni. Le disposizioni della Carta e l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE hanno il medesimo rango delle disposizioni di diritto primario dell’Unione. Infatti, in ossequio al duplice obbligo derivante dal diritto dell’Unione nell’ambito di applicazione del secondo, gli Stati membri devono ponderare l’effettività con i diritti fondamentali. È quindi essenziale che, nel valutare l’effettività, essi tengano conto dell’esigenza di tutela dei diritti fondamentali (82).

125. Nelle circostanze specifiche del caso di specie, è abbastanza chiaro che le intercettazioni delle telecomunicazioni di qualsiasi tipo, comprese quelle telefoniche, rappresentano un’ingerenza significativa nel rispetto della vita privata (articolo 7 della Carta) (83) e, ove siano utilizzate illegalmente nel contesto di un processo penale, anche nei diritti della difesa (articolo 48, paragrafo 2, della Carta).

126. Così, una norma nazionale che vieti l’utilizzo di prove ottenute mediante un’intercettazione che non sia stata regolarmente autorizzata riconosce la dovuta importanza ad entrambi i termini dell’equazione: non solo all’obiettivo dell’effettività nella riscossione dell’IVA (consentendo in generale l’utilizzo di siffatte ingerenze nel diritto alla vita privata), ma anche al rispetto dei diritti fondamentali interessati (subordinando l’utilizzo di tali prove a una serie di condizioni, compresa quella che esse siano state ottenute legittimamente sulla base di un provvedimento giudiziario).

127. Ritengo che, nel caso di specie, l’analisi possa concludersi qui. Credo che, in una fattispecie come quella in esame, la questione se le norme nazionali controverse siano o meno processuali e di quanti problemi analoghi sorgano a livello nazionale non dovrebbe influire in alcun modo sulla valutazione della Corte. Tuttavia, per assistere appieno la Corte, risponderei brevemente come segue alle due questioni rimanenti, applicando al presente caso l’analisi generale svolta in precedenza (84).

128. In quarto luogo, sebbene una norma nazionale che determini il giudice nazionale competente ad autorizzare un’intercettazione telefonica in un singolo caso possa essere considerata di natura «processuale», la norma secondo cui il provvedimento che autorizza detta intercettazione deve essere motivato è un po’ più complessa. Se non viene fornita una motivazione (definita, specifica per il singolo caso), tale esigenza è una «mera» norma di procedura? Le difficoltà, in questo come in altri casi (85), inerenti alla classificazione di siffatte norme «borderline» evidenzia soltanto, ancora una volta, perché tale distinzione non sia realmente utile in casi come quello di specie.

129. In quinto luogo, ritengo che, al fine di valutare la compatibilità delle norme, non dovrebbe avere alcuna rilevanza il numero di casi in cui una norma opera in un certo modo. Quand’anche l’avesse, la risposta strutturale a siffatte possibili carenze dovrebbe essere unicamente prospettica e orientata al futuro, e non applicabile ai casi ancora aperti, a detrimento di coloro a carico dei quali sia già stato avviato un procedimento penale. Tuttavia, nell’ipotesi in cui la Corte stabilisse comunque che le carenze sistemiche sono rilevanti in questo genere di casi, nel senso indicato dalle sentenze Taricco e Kolev, rilevo quanto segue.

130. Come suggerito dalla Commissione, dai fatti di causa, quali illustrati dal giudice del rinvio, non risulta che l’applicazione delle norme nazionali controverse determini un rischio sistemico di impunità nel senso indicato nella sentenza Kolev, o che ostacoli l’esatta riscossione dell’IVA in un numero considerevole di casi nel senso indicato nella sentenza Taricco.

131. Qualunque sia il parametro in tal modo stabilito, è corretto ritenere che «sistemico» e «considerevole» significhino più di uno (più di un singolo caso). Inoltre, a mio parere, ma sempre in linea con altri casi nei quali sono state esaminate carenze sistemiche, come nelle sentenze N.S. o Aranyosi e Căldăraru, qualsiasi affermazione di così ampia portata dovrebbe essere sostenuta da prove (86) che oltrepassino ciò che apparirebbe un’interpretazione individuale della normativa e della prassi nazionale da parte di un singolo giudice (87).

132. Nella presente causa vi sono quattro imputati. Come rilevato dal giudice del rinvio, le prove ottenute possono essere utilizzate per dimostrare la colpevolezza di tutti gli imputati nel procedimento principale, ma non del sig. Dzivev. Sembrerebbe, dunque, che in tre dei quattro casi, «nonostante» la normativa nazionale controversa, il pubblico ministero abbia potuto raccogliere legittimamente le prove ai sensi del diritto nazionale a carico degli altri tre imputati. Dai fatti di causa non emerge quindi chiaramente perché l’applicazione di detta normativa costituirebbe un grave ostacolo all’imposizione di sanzioni efficaci su larga scala. Inoltre, anche il problema derivante dall’incertezza circa il giudice competente ad autorizzare le intercettazioni sembra essere di natura temporanea.

V.      Conclusione

133. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni sollevate dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale speciale per i procedimenti penali, Bulgaria):

–      L’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, nonché l’articolo 206, l’articolo 250, paragrafo 1, e l’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, interpretati alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non ostano a una normativa nazionale, quale quella in discussione nel procedimento principale, che vieti l’utilizzo di prove ottenute in violazione del diritto nazionale, come quella acquisita mediante un’intercettazione di telecomunicazioni autorizzata da un giudice privo della necessaria competenza.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555).


3      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936).


4      Sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295).


5      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392).


6      Convenzione elaborata sulla base dell’articolo K.3 del trattato sull’Unione europea (GU 1995, C 316, pag. 49).


7      Decisione del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17).


8      Direttiva del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).


9      La decisione interpretativa è un atto giuridico del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) che fornisce indicazioni vincolanti sul significato effettivo di una norma di legge.


10      Sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C-614/14, EU:C:2016:514).


11      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936).


12      V. sentenze del 15 novembre 2011, Commissione/Germania (C-539/09, EU:C:2011:733, punto 72); del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26); dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punto 38); del 7 aprile 2016, Degano Trasporti (C-546/14, EU:C:2016:206, punto 22), e del 16 marzo 2017, Identi (C-493/15, EU:C:2017:219, punto 19).


13      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punto 41), confermata dalla Corte con sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punto 36).


14      Per altri casi concernenti procedimenti penali a carico di presunti autori di reati relativi all’IVA nei quali è stata considerata pertinente anche la direttiva IVA, v. sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105); del 20 marzo 2018, Menci (C-524/15, EU:C:2018:197), e del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295).


15      V., a titolo d’esempio, sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia (68/88, EU:C:1989:339, punto 24), e del 3 maggio 2005, Berlusconi e a. (C-387/02, C-391/02 e C-403/02, EU:C:2005:270, punto 65 e giurisprudenza citata).


16      In particolare, la Convenzione PIF richiede chiaramente che la rilevanza penale di un determinato comportamento lesivo degli interessi finanziari dell’Unione superi una certa soglia, mentre sia l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE sia la direttiva IVA lasciano, a tale riguardo, maggiore discrezionalità agli Stati membri – sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punti da 34 a 36).


17      Per esempi recenti relativi all’effettiva riscossione dell’IVA, ma non nel contesto di un procedimento penale, v., ad esempio, sentenze del 7 aprile 2016, Degano Trasporti (C-546/14, EU:C:2016:206), e del 16 marzo 2017, Identi (C-493/15, EU:C:2017:219).


18      Sentenza del 26 febbraio 2013 (C-617/10, EU:C:2013:105).


19      Sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punti 25 e 26). In tal senso v. altresì sentenze del 17 luglio 2008, Commissione/Italia (C-132/06, EU:C:2008:412, punti 37 e 46), e del 28 ottobre 2010, SGS Belgium e a. (C-367/09, EU:C:2010:648, punti da 40 a 42).


20      Sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punto 27).


21      Sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punto 29). V. altresì, nel contesto del mandato d’arresto europeo, sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (C-399/11, EU:C:2013:107, punto 60).


22      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a.(C-105/14, EU:C:2015:555).


23      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936).


24      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punti 36 e 37).


25      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punto 47).


26      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punti 51 e 52).


27      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punto 53).


28      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punti da 55 a 57).


29      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punti da 30 a 36, 38 e 39).


30      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B.(C-42/17, EU:C:2017:936, punto 41).


31      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 44).


32      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B.C-42/17, EU:C:2017:936, punti 46 e 47).


33      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B.(C-42/17, EU:C:2017:936, punti 51 e 52).


34      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punti da 58 a 61).


35      Sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punti 25 e 29).


36      Sentenza del 20 marzo 2018, Menci (C-524/15, EU:C:2018:197, punti da 40 a 62).


37      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392).


38      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punti 53 e 55).


39      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punto 65).


40      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punto 75).


41      Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832).


42      Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 68).


43      V. in tal senso, segnatamente, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punto 55).


44      V. anche, in relazione al principio del ne bis in idem, sentenza del 20 marzo 2018, Menci (C-524/15, EU:C:2018:197, punto 21).


45      Supra, paragrafi da 31 a 37.


46      Operando in tal modo nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione; per un’analisi approfondita nel contesto specifico della riscossione dell’IVA, v. le mie conclusioni nella causa Ispas(C-298/16, EU:C:2017:650, paragrafi da 26 a 65).


47      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 44). V. altresì, successivamente, sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punti 25 e 33).


48      Sentenza del 26 febbraio 2013 (C-399/11, EU:C:2013:107).


49      Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri - Dichiarazioni di alcuni Stati membri sull’adozione della decisione quadro (GU 2002, L 190, pag. 1).


50      V., a titolo d’esempio, sempre nel contesto del mandato d’arresto europeo, sentenza del 30 maggio 2013, F. (C-168/13 PPU, EU:C:2013:358, punti 37, 38 e 56).


51      V. le mie conclusioni nella causa Ispas (C-298/16, EU:C:2017:650, paragrafi da 61 a 65).


52      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punti 44 e 45).


53      Ciò vale del pari nelle situazioni interamente determinate dal diritto dell’Unione attraverso misure di armonizzazione nelle quali, tuttavia, uno Stato membro si basi invece sull’articolo 4, paragrafo 2, TUE per tutelare norme o principi fondamentali del suo ordinamento giuridico, quale un valore nazionale o un diritto fondamentale, compresa una particolare interpretazione di diritti tutelati dal diritto dell’Unione. Invero, mediante siffatta disposizione di diritto primario, lo stesso diritto dell’Unione impone il rispetto di tali norme e principi.


54      V. supra, paragrafo 75.


55      Sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (C-399/11, EU:C:2013:107, punto 63).


56      V. supra, nota 53.


57      V., in tal senso, sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punto 29).


58      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 47).


59      V., in particolare, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punto 29); del 26 febbraio 2013, Melloni (C-399/11, EU:C:2013:107, punto 60); del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 47), e del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punto 75).


60      Nella scala descritta supra ai paragrafi 79 e 80, tale situazione coprirebbe quindi sia il punto intermedio (come nelle cause Åkerberg Fransson e Scialdone) sia, ovviamente, i punti più remoti dello spettro (come nelle cause Ispas e Kolev).


61      Ulteriormente analizzato nelle mie conclusioni relative alla causa Scialdone (C-574/15, EU:C:2017:553, paragrafi da 146 a 163).


62      «Die Form ist die geschworene Feindin der Willkür, die Zwillingsschwester der Freiheit» e «Denn die Form hält dem Versucher, der die Freiheit zur Zügellosigkeit zu verleiten sucht, das Gegengewicht, sie lenkt die Freiheitssubstanz in feste Bahnen (…) und kräftigt sie dadurch nach innen und schützt sie nach außen». – Rudolf von Jhering, Geist des römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung. Teil 2, Bd. 2. Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1858, pag. 497.


63      Anche alla luce del fatto che, a norma dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali limitazioni ai diritti fondamentali devono essere previste dalla legge. Secondo quanto dichiarato recentemente dalla stessa Corte, «solo una norma di portata generale può soddisfare i requisiti di chiarezza, di prevedibilità, di accessibilità e, in particolare, di protezione contro l’arbitrarietà» (v. sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor, C-528/15, EU:C:2017:213, punto 43). Mi domando come possa soddisfare siffatti requisiti un’interpretazione puramente giudiziale e piuttosto «dinamica» delle condizioni di cui all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.


64      V. le mie conclusioni nella causa Scialdone (C-574/15, EU:C:2017:553, paragrafi 151 e 152).


65      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 41).


66      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punto 65).


67      V. sentenze dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punti 49 e 58), e del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B.(C-42/17, EU:C:2017:936, punti 38 e 39).


68      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punti 68 e 69).


69      V., in tal senso, sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 4); del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C-402/05 P e C-415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 281 a 285), e conclusioni nella causa 2/13 (Adesione dell’Unione europea alla CEDU) del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, paragrafo 170).


70      Sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C-42/17, EU:C:2017:936, punto 57). V. altresì, per quanto riguarda l’applicabilità delle direttive, sentenze dell’8 ottobre 1987, Kolpinghuis Nijmegen (80/86, EU:C:1987:431, punto 13), e del 22 novembre 2005, Grøngaard e Bang (C-384/02, EU:C:2005:708, punto 30).


71      Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C-105/14, EU:C:2015:555, punti 24 e 47).


72      Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C-612/15, EU:C:2018:392, punti 57 e 65).


73      È certamente corretto ribattere che tali conseguenze sono sempre state insite nel funzionamento dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Qualsiasi dichiarazione di incompatibilità da parte di un giudice nazionale può essere contestata da altri attori nello Stato membro di cui trattasi, il che renderebbe la legge meno prevedibile (almeno per qualche tempo), con la conseguenza che, in tale periodo transitorio, qualcuno potrebbe, ad esempio, ottenere un certo vantaggio, mentre la stessa possibilità sarebbe preclusa ad altri. Temo che questa osservazione (generalmente valida) incontri chiari limiti nel contesto specifico della i) attribuzione effettiva della responsabilità penale ii) sulla base dell’alquanto «testualmente economico» articolo 325, paragrafo 1, TFUE. La differenza fondamentale, di nuovo, è la ragionevole prevedibilità e chiarezza delle norme applicabili. V. le mie conclusioni nella causa Scialdone (C-574/15, EU:C:2017:553, paragrafi 165 e 166 e da 173 a 178).


74      Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 86).


75      Sentenza del 5 aprile 2016 (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti da 82 a 88).


76      Nel senso di una norma o di una serie di norme dell’Unione che dovrebbero disciplinare tale questione specifica, discusso supra ai paragrafi da 70 a 80.


77      E pertanto si trova, nella scala descritta supra al paragrafo 79, più vicino agli scenari Ispas e Kolev.


78      V., a titolo d’esempio, per quanto riguarda il rispetto dovuto alla Carta nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punto 27), e del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti (C-217/15 e C-350/15, EU:C:2017:264, punto 16).


79      V., ad esempio, sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-574/15, EU:C:2018:295, punto 53).


80      Sentenza del 2 maggio 2018, Scialdone (C-399/15, EU:C:2018:295, punto 33).


81      Ciò anche se, con una buona dose di cinismo, si potrebbe contestare la precisione fattuale di tale affermazione: la carcerazione per il mancato pagamento potrebbe servire lo scopo (più remoto) della deterrenza, ma a malapena l’obiettivo (forse più immediato) di costringere le persone ad assolvere i loro obblighi nei confronti dell’Erario. Anche per tale motivo la condanna del debitore a una pena detentiva, pur essendo forse parimenti giustificabile in termini di deterrenza, potrebbe avere avuto, in passato, solo un limitato successo nell’indurre le persone a pagare – v., insieme ai pertinenti riferimenti bibliografici, le mie conclusioni nella causa Nemec (C-256/15, EU:C:2016:619, paragrafi da 63 a 65).


82      V. anche, in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punti 65 e 66). La Corte ha insistito in particolare sul fatto che l’intercettazione di telecomunicazioni attraverso la quale erano state raccolte le prove controverse doveva essere prevista dalla legge ed essere necessaria sia nel contesto penale che in quello amministrativo. Inoltre, occorreva verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo avesse avuto la possibilità, nel contesto del procedimento amministrativo, di valutare le prove e di essere sentito a tale riguardo.


83      Per quanto riguarda il diritto alla vita privata, nel contesto delle intercettazioni, v. ad esempio sentenze della Corte EDU del 24 aprile 1990, Kruslin c. Francia (CE:ECHR:1990:0424JUD001180185); del 18 maggio 2010, Kennedy c. Regno Unito (CE:ECHR:2010:0518JUD002683905), e del 4 dicembre 2015, Roman Zakharov c. Russia (CE:ECHR:2015:1204JUD004714306). In quest’ultimo caso, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato alcune carenze nella normativa russa che disciplina l’intercettazione delle telecomunicazioni nelle procedure di autorizzazione delle intercettazioni. V. anche, più in generale sul corretto bilanciamento tra lotta al crimine e tutela della vita privata e dei dati personali, sentenza del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C-203/15 e C-698/15, EU:C:2016:970).


84      V. supra, paragrafi da 96 a 101 e da 102 a 112.


85      Ad esempio, la norma secondo cui le procedure di ricorso in materia ambientale non devono essere eccessivamente onerose è una norma procedurale o sostanziale? Per un approfondimento su questo punto, v. le mie conclusioni nella causa Klohn (C-167/17, EU:C:2018:387, paragrafi da 82 a 91).


86      In entrambe le sentenze, dette prove sono state non soltanto esaminate alla luce degli argomenti di alcune parti e di alcuni Stati membri intervenienti, ma anche corroborate da autorevoli affermazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia (v. sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punti da 88 a 90, e del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 43 e 60). Non sto certamente suggerendo che gli argomenti relativi alle carenze sistemiche debbano sempre essere sostenuti in ogni caso da questo tipo o numero di prove. Il confronto proposto mira piuttosto a dimostrare il livello concettualmente molto diverso delle prove prodotte.


87      Come già accennato supra ai paragrafi 24 e 44, sembrano esservi divergenze tra i giudici nazionali quanto alla corretta interpretazione del diritto nazionale. Si potrebbe aggiungere, diplomaticamente, che il livello di disaccordo risultante dall’ordinanza di rinvio tra, da un lato, il giudice a quo e, dall’altro, il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) e il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia), sembra essere perfino più profondo.