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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 5 luglio 2017 ( 1 )

Cause riunite C-374/16C-375/16

RGEX GmbH, in liquidazione, rappresentata da Rochus Geissel, liquidatore

contro

Finanzamt Neuss (C-374/16)

e

Finanzamt Bergisch Gladbach

contro

Igor Butin (C-375/16)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof (Corte federale tributaria, Germania)]

«Sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 178, lettera a) – Diritto a detrazione – Presupposti per l’esercizio – Articolo 226, punto 5 – Indicazioni richieste in fattura – Indirizzo del soggetto passivo – Buona fede in relazione al soddisfacimento delle condizioni per la detrazione dell’imposta assolta a monte – Elusione della legge o abuso di diritto – Procedure nazionali – Principio di effettività»

I. Introduzione

1.

Le cause in esame sollevano due questioni concernenti l’interpretazione delle disposizioni di diritto dell’Unione in materia di imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»).

2.

La prima questione verte sull’interpretazione da fornire in merito al requisito, di cui all’articolo 226, punto 5, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «direttiva IVA») ( 2 ), concernente l’indicazione in fattura dell’indirizzo del soggetto passivo. Il giudice del rinvio, costituito da due diverse sezioni del Bundesfinanzhof (Corte federale tributaria, Germania), chiede se la nozione di «indirizzo» debba essere interpretata nel senso che indica il luogo in cui il soggetto passivo svolge la propria attività economica o se sia sufficiente che questi possa essere semplicemente ivi contattato.

3.

Con la seconda questione sollevata ci si chiede se e nell’ambito di quali procedimenti un soggetto passivo possa eccepire di essere stato in buona fede in ordine alla correttezza formale delle fatture, quando l’autorità rileva che l’autore delle medesime è coinvolto in un caso di evasione o abuso finalizzato alla detrazione dell’IVA assolta a monte.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

4.

L’articolo 168 della direttiva IVA dispone quanto segue:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)

l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo;

(…)».

5.

L’articolo 178 della direttiva citata, applicabile all’epoca dei fatti di cui alla causa C-375/16, così stabilisce ( 3 ):

«Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti:

a)

per la detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente al titolo XI, capo 3, sezioni da 3 a 6;

(…)».

6.

L’articolo 226 della direttiva IVA così dispone:

«Salvo le disposizioni speciali previste dalla presente direttiva, nelle fatture emesse a norma degli articoli 220 e 221 sono obbligatorie ai fini dell’IVA soltanto le indicazioni seguenti:

(…)

5)

il nome e l’indirizzo completo del soggetto passivo e dell’acquirente o del destinatario;

(…)».

B. Diritto nazionale

7.

L’articolo 14 dell’Umsatzsteuergesetz (legge relativa all’imposta sulla cifra d’affari; in prosieguo: l’«UStG») stabilisce quanto segue:

«(1)

Costituisce una fattura qualsiasi documento emesso per regolare una cessione o altra prestazione, indipendentemente da come tale documento viene definito in commercio. Devono essere garantite l’autenticità della provenienza della fattura, l’integrità del suo contenuto e la sua leggibilità. L’autenticità della provenienza significa la certezza dell’identità del soggetto che emette la fattura (…)

(…)

(4)

La fattura deve obbligatoriamente contenere i seguenti elementi:

1.

il nome e l’indirizzo completo del fornitore e del cliente; (…)».

8.

L’articolo 15 dell’UStG così dispone:

«(1)

L’imprenditore può detrarre i seguenti importi come imposta assolta a monte:

1.

l’imposta dovuta per legge per cessioni di beni o prestazioni di servizi eseguite da un altro operatore per la sua impresa. L’esercizio del diritto alla detrazione presuppone che l’imprenditore sia in possesso di una fattura redatta ai sensi degli articoli 14 e 14a».

9.

L’articolo 163 dell’Abgabenordnung (codice tributario tedesco; in prosieguo: l’«AO») così stabilisce:

«Qualora la riscossione delle imposte dovesse risultare iniqua nel singolo caso specifico, le imposte possono essere liquidate in misura inferiore ed i singoli elementi di reddito, che comportano un aumento d’imposta, possono non essere considerati nella liquidazione (…)».

10.

L’articolo 227 dell’AO così stabilisce:

«Le autorità finanziarie possono rimettere in tutto o in parte i crediti derivanti dall’obbligazione tributaria, se la riscossione risulta non equa secondo le circostanze del singolo caso; per gli stessi presupposti possono rimborsare o compensare gli importi già versati».

III. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

A. Causa C-374/16

11.

La RGEX GmbH è una società a responsabilità limitata che commercializzava autovetture. La società di cui trattasi, costituita nel 2007, è in liquidazione dal 2015. Socio unico e amministratore della GmbH era il sig. Rochus Geissei che, attualmente, rappresenta la società quale liquidatore.

12.

Nella sua dichiarazione IVA originaria per il 2008 la RGEX dichiarava, in particolare, cessioni di veicoli all’interno dell’Unione esenti da imposta e un importo, a titolo di detrazioni di imposta assolta a monte, pari a EUR 1985443,42 relativo a 122 veicoli acquistati dalla EXTEL GmbH.

13.

Il Finanzamt (Ufficio delle entrate, Germania) competente non accoglieva all’epoca le indicazioni della RGEX e, con avviso di accertamento del 31 agosto 2010, quantificava l’imposta sul valore aggiunto per il 2008 sulla base delle risultanze di due verifiche compiute in materia di IVA. Le cessioni di autovetture all’interno dell’Unione verso la Spagna che erano state dichiarate come esenti da imposta venivano considerate imponibili poiché i veicoli di cui trattasi non erano stati portati in Spagna ma commercializzati in Germania. Gli importi a titolo di imposta a monte fatti valere sulla base delle fatture emesse dalla EXTEL venivano dichiarati non detraibili dal momento che quest’ultima veniva considerata una «società di comodo» priva di una sede presso l’indirizzo indicato in fattura.

14.

La RGEX contestava, senza successo, la suddetta decisione, impugnandola poi dinanzi al Finanzgericht (Tribunale tributario, Germania) competente.

15.

Il Finanzgericht (Tribunale tributario) respingeva in buona parte l’azione come infondata. Pur ritenendo che la sede legale si trovasse presso l’indirizzo indicato dalla EXTEL sulle fatture, a suo avviso si trattava soltanto di una «casella postale». A quell’indirizzo la EXTEL poteva essere contattata soltanto per posta. Benché i locali all’indirizzo in questione ospitassero un ufficio di servizi contabili, nessuna delle attività commerciali della EXTEL veniva ivi svolta. Il Finanzgericht (Tribunale tributario) respingeva altresì gli argomenti sollevati dalla RGEX sulla base dell’asserito legittimo affidamento. A suo giudizio, l’articolo 15 dell’UStG non prevede alcuna tutela della buona fede riguardo al soddisfacimento dei requisiti per il diritto a detrazione dell’imposta. Di conseguenza, questioni attinenti al legittimo affidamento potrebbero essere prese in considerazione, tutt’al più, solo nell’ambito di una procedura speciale per la concessione di una misura equitativa ai sensi degli articoli 163 e 227 dell’AO.

16.

La RGEX impugnava la sentenza del Finanzgericht dinanzi al Bundesfinanzhof (Corte federale tributaria). Nutrendo dei dubbi in ordine alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, detto giudice decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se una fattura necessaria ai fini dell’esercizio del diritto a detrazione ai sensi dell’articolo 168, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 178, lettera a), della [direttiva IVA], contenga l’«indirizzo completo» ai sensi dell’articolo 226, punto 5, della medesima direttiva, quando l’impresa fornitrice indica, nella fattura da essa emessa a fronte della prestazione, un indirizzo presso il quale essa è raggiungibile per posta ma in cui non svolge alcuna attività economica.

2)

Se l’articolo 168, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 178, lettera a), della [direttiva IVA], osti, alla luce dell’esigenza di effettività, a una prassi nazionale che tiene conto della buona fede riposta dal destinatario della prestazione riguardo al soddisfacimento delle condizioni per la detrazione solo al di fuori del procedimento di accertamento dell’imposta nell’ambito di un separato procedimento secondo equità. Se sia possibile richiamare al riguardo l’articolo 168, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 178, lettera a), della [direttiva IVA]».

B. Causa C-375/16

17.

Il sig. Igor Butin, che gestisce un autosalone in Germania, detraeva, sulla base di una serie di fatture, l’IVA a monte su alcuni autoveicoli acquistati dall’impresa «Z» e destinati alla rivendita. Dal momento che la Z opera esclusivamente in Internet, i veicoli venivano consegnati al sig. Butin o ai suoi dipendenti, talvolta sulla strada in cui la Z detiene la propria sede sociale – pur non gestendo ivi un autosalone – e, in altre circostanze, in luoghi pubblici come, ad esempio, piazzali antistanti le stazioni.

18.

Nel corso di una verifica IVA condotta a carico del sig. Butin, l’ispettore perveniva alla conclusione che gli importi versati a monte riportati nelle fatture emesse dalla Z non potevano essere portati in detrazione, in quanto l’indirizzo del fornitore indicato dalla Z su dette fatture era errato. Nulla a tale indirizzo indicherebbe la presenza di un’impresa: il recapito servirebbe come casella postale dalla quale la Z ritirerebbe soltanto la posta. A detta dell’ispettore, la Z era priva di una stabile organizzazione in Germania.

19.

Il Finanzamt (Ufficio delle entrate) competente condivideva tale posizione e, il 13 settembre 2013, emetteva degli avvisi di liquidazione IVA modificati per gli anni dal 2009 al 2011. Con provvedimento del 1o ottobre 2013, esso respingeva la domanda del sig. Butin che, per ragioni di equità, chiedeva una diversa liquidazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 163 dell’AO.

20.

Il Finanzgericht (Tribunale tributario), adito dal sig. Butin con l’impugnazione avverso la decisione dell’Ufficio delle entrate, accoglieva il ricorso. Esso dichiarava che l’indicazione dell’indirizzo nell’ambito di una fattura, come richiesta dall’articolo 14, paragrafo 4, primo periodo, punto 1, dell’UStG, non implicava l’esercizio in loco dell’attività economica. Detto giudice constatava che, alla luce del progresso tecnico e delle mutate prassi commerciali, la preesistente giurisprudenza nazionale doveva considerarsi superata. Inoltre, secondo il Tribunale tributario l’azione fondata anche rispetto alla domanda, proposta in via subordinata, di procedere per ragioni di equità a una diversa liquidazione dell’imposta. Il sig. Butin avrebbe fatto tutto quanto si poteva ragionevolmente pretendere per verificare lo status di imprenditore della Z e la correttezza delle indicazioni presenti nelle fatture.

21.

L’Ufficio delle entrate impugnava la suddetta sentenza dinanzi al Bundesfinanzhof (Corte federale tributaria). Nutrendo dubbi quanto alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, quest’ultimo giudice decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 226, punto 5, della [direttiva IVA] presupponga l’indicazione di un recapito del soggetto passivo presso il quale esso svolga le proprie attività economiche.

2)

In caso di risposta negativa alla prima questione:

a)

Se, ai fini dell’indicazione dell’indirizzo ai sensi dell’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA sia sufficiente un recapito di casella postale.

b)

Quale recapito debba indicare in fattura un soggetto passivo che gestisca un’impresa (per esempio per la vendita su Internet), ma non disponga di locali commerciali.

3)

Se, in assenza dei requisiti formali per l’emissione delle fatture specificati all’articolo 226 della direttiva IVA, sia già sufficiente, ai fini della concessione della detrazione dell’imposta versata a monte, l’insussistenza di evasione fiscale ovvero che il soggetto passivo non fosse al corrente di una frode né potesse esserlo, o se il principio del legittimo affidamento presupponga, in questo caso, che il soggetto passivo abbia fatto tutto quanto possa essergli ragionevolmente richiesto per verificare la veridicità delle indicazioni sulle fatture».

C. Procedimento dinanzi alla Corte

22.

Con ordinanza del 22 luglio 2016, il presidente della Corte ha riunito le cause C-374/16C-375/16 ai fini della trattazione scritta e della decisione.

23.

Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Butin, il governo tedesco, il governo austriaco e la Commissione.

IV. Analisi

A. Osservazioni preliminari

24.

In via preliminare, occorre rammentare che la Corte ha ripetutamente dichiarato che il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il principio della neutralità fiscale posto alla base del sistema comune dell’IVA garantisce la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’IVA ( 4 ). Il principio in questione costituisce la traduzione in materia di IVA del principio della parità di trattamento ( 5 ).

25.

L’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA elenca le condizioni sostanziali richieste per la detrazione dell’imposta a monte. Affinché gli operatori possano beneficiare di tale diritto è necessario il soddisfacimento di tre condizioni. In primis, l’interessato deve essere un soggetto passivo ai sensi della direttiva di cui trattasi. In secondo luogo, i beni o i servizi invocati a base del suddetto diritto devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta. In terzo luogo, a monte, i beni utilizzati devono essere ceduti o i servizi forniti da un altro soggetto passivo ( 6 ).

26.

Quanto alle condizioni formali del diritto a detrazione, l’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA dispone che il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura redatta ai sensi del titolo XI, capo 3, sezioni da 3 a 6, di detta direttiva ( 7 ). Tra le suddette disposizioni, l’articolo 226 della direttiva assume particolare rilevo ai fini dei presenti procedimenti fornendo un elenco di elementi da inserire in fattura. Al quinto punto dell’elenco figurano il «nome e l’indirizzo completo del soggetto passivo e dell’acquirente o del destinatario».

27.

Le condizioni sostanziali della detrazione dell’imposta a monte non formano oggetto dei presenti procedimenti. Le questioni pregiudiziali vertono soltanto sul soddisfacimento delle condizioni formali del diritto a detrazione sotto due profili. In primis, il giudice del rinvio chiede che sia interpretata la nozione di «indirizzo» ai sensi dell’articolo 226 della direttiva IVA. In secondo luogo, ove la Corte interpreti la suddetta nozione nel senso che indica l’indirizzo presso il quale il fornitore di beni o servizi svolge la propria attività economica, il giudice del rinvio chiede a quali condizioni il soggetto passivo possa comunque invocare la propria buona fede rispetto al soddisfacimento delle condizioni di cui all’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA.

B. Sulla prima questione nella causa C-374/16 e sulle prime due questioni nella causa C-375/16

28.

Con la prima questione sollevata nella causa C-374/16 e con le prime due questioni sollevate nella causa C-375/16, che affronterò congiuntamente, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se l’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA osti a una normativa nazionale che subordina il diritto alla detrazione dell’IVA all’indicazione in fattura dell’indirizzo presso il quale l’emittente esercita la propria attività economica.

29.

Infatti, in base all’ordinanza di rinvio, l’UStG – come tradizionalmente interpretato dai giudici nazionali – impone che «l’indirizzo» apposto sulle fatture sia quello presso il quale l’emittente svolge la propria attività economica. In ragione della suddetta giurisprudenza, nell’ambito dei procedimenti principali, le fatture di due imprese sono state considerate come emesse in violazione dell’UStG, in quanto l’emittente aveva indicato soltanto una casella postale. Di conseguenza, i clienti di detto imprenditore, quali i ricorrenti nei procedimenti principali, non potevano azionare la detrazione dell’imposta a monte fondandosi sulle fatture da esso emesse.

30.

Per i motivi che illustrerò in prosieguo, ritengo che l’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA osti a una normativa nazionale che subordina il diritto a detrarre l’IVA a monte all’indicazione in fattura dell’indirizzo presso il quale l’emittente svolge la sua attività economica.

1.  Principi pertinenti

31.

In primo luogo, la nozione di «indirizzo» deve essere valutata nel contesto di taluni principi rilevanti che discendono da una giurisprudenza consolidata.

32.

La Corte ha ripetutamente statuito che il diritto a detrazione dell’IVA costituisce un elemento chiave del sistema dell’IVA istituito dalla direttiva IVA e che di conseguenza, in linea di principio, non può essere assoggettato a limitazioni ( 8 ). La detrazione dell’IVA a monte deve essere accordata se le condizioni sostanziali sono soddisfatte, anche se i soggetti passivi non si sono attenuti a talune condizioni formali. Più nello specifico, la Corte ha rilevato che il possesso di una fattura contenente le indicazioni previste dall’articolo 226 della direttiva IVA costituisce una condizione formale e non una condizione sostanziale del diritto a detrazione dell’IVA ( 9 ).

33.

Inoltre, l’articolo 226 della direttiva IVA precisa che, salvo le disposizioni speciali previste da tale direttiva, nelle fatture emesse a norma dei suoi articoli 220 e 221, sono obbligatorie ai fini dell’IVA soltanto le indicazioni contenute in tale articolo. Pertanto, secondo una giurisprudenza consolidata, gli Stati membri non possono subordinare il diritto alla detrazione dell’IVA al rispetto di condizioni riguardanti il contenuto delle fatture che non siano espressamente previste dalle disposizioni della direttiva IVA ( 10 ).

34.

Nei casi succitati, la Corte ha sempre adottato un approccio realistico e pragmatico all’interpretazione delle norme in materia di IVA, in luogo di un approccio più formalistico. Tale approccio sembra porsi in contrasto con le misure nazionali che non solo interpretano il requisito dell’«indirizzo» sulla fattura in modo particolarmente restrittivo e formalistico, ma prevedono anche conseguenze significative in caso di suo mancato rispetto.

2.  Interpretazione testuale dell’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA

35.

In secondo luogo, come osservato dalla Commissione, nel testo della direttiva IVA non si riscontrano elementi a supporto di una siffatta interpretazione restrittiva del requisito di cui trattasi.

36.

Nella sua accezione comune ( 11 ), la nozione de qua fa riferimento a ogni tipologia di indirizzo, compresa una «casella postale», a condizione che il soggetto possa essere effettivamente ivi contattato.

37.

Anche l’ampia formulazione impiegata nell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA nel definire il soggetto passivo ( 12 ) conferma tale posizione.

3.  Interpretazione teleologica dell’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA

38.

In terzo luogo, soprattutto, un’interpretazione restrittiva della nozione di «indirizzo» non appare giustificata alla luce della funzione della fattura nell’ambito del sistema dell’IVA.

39.

Come rilevato dalla Corte, la fattura rende conto della transazione economica, permettendo all’amministrazione finanziaria competente, in primis, di controllare il pagamento dell’imposta e la dichiarazione dell’importo dell’imposta dovuta dal soggetto che emette la fattura e, in secondo luogo, l’esistenza del diritto a detrarre l’IVA in capo al soggetto passivo destinatario dei beni e dei servizi ( 13 ). In quanto tale, per quest’ultimo, la fattura costituisce uno strumento essenziale inteso a dimostrare il suo diritto a detrarre l’IVA a monte.

40.

L’obbligo di cui all’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA di inserire in fattura l’indirizzo dell’emittente deve essere inteso alla luce della doppia funzione della fattura. L’indicazione dell’indirizzo dell’emittente della fattura, unitamente al suo nome e al numero di identificazione IVA, mira a creare un collegamento tra una determinata transazione economica e uno specifico operatore economico, l’emittente della fattura ( 14 ). In altri termini, essa consente l’identificazione del soggetto che ha emesso la fattura.

41.

La suddetta identificazione è fondamentale affinché l’amministrazione finanziaria possa effettuare i controlli necessari per stabilire se l’importo dovuto a titolo di IVA sia stato dichiarato e versato ( 15 ). Di contro, l’identificazione permette anche al soggetto passivo di verificare se l’emittente sia un soggetto passivo ai fini delle disposizioni in materia di IVA.

42.

In tale contesto, non posso condividere la posizione espressa dai governi austriaco e tedesco secondo cui, onde poter correttamente identificare il soggetto che emette la fattura e contattarlo, è necessaria l’esistenza di attività economiche concrete oppure la presenza tangibile dell’attività dell’imprenditore all’indirizzo indicato in fattura. Infatti, conformemente all’articolo 226 della direttiva IVA, la fattura deve anche contenere una serie di altri elementi diretti a tale scopo. Tra di essi, assume particolare rilievo il numero di identificazione IVA del fornitore dei beni o dei servizi. Tale numero può essere agevolmente verificato dalle autorità. Inoltre, chiunque può verificare la validità del suddetto numero, anche online.

43.

Non si deve dimenticare che, al fine di ottenere un numero di identificazione IVA, le imprese devono completare un processo di registrazione nell’ambito del quale esse sono chiamate a presentare un modulo di registrazione ai fini dell’IVA locale, unitamente alla documentazione di supporto. In base alle disposizioni in materia di IVA, gli Stati membri sono tenuti ad archiviare determinati dati ( 16 ). Ai medesimi è quindi richiesto di raccogliere una serie di informazioni concernenti tutti gli operatori economici cui è stato attribuito un numero di identificazione IVA ( 17 ). È chiaro che, al fine di identificare l’emittente e stabilire dove e come quest’ultimo possa essere contattato, essi non sono tenuti a considerare – soltanto o specialmente – l’indirizzo che compare su una fattura.

4.  Interpretazione alla luce delle condizioni attuali

44.

In quarto luogo, come osservato dal giudice del rinvio, il requisito dell’esercizio di attività economiche (o, in alternativa, della disponibilità di locali) all’indirizzo indicato in fattura non convince alla luce delle diverse modalità secondo cui attualmente possono essere organizzate le imprese e svolte le attività economiche. Ciò è particolarmente vero in considerazione dei recenti sviluppi economici dovuti, segnatamente, all’e-commerce, alla condivisione degli uffici e al telelavoro.

45.

Tenendo presenti i suddetti sviluppi, talvolta è difficile ricondurre un’attività economica a uno specifico luogo fisico. Come rilevato dal sig. Butin nelle sue osservazioni scritte, oggi è possibile gestire un’attività di acquisto e rivendita di beni praticamente da qualsiasi parte del mondo su una piattaforma Internet avvalendosi meramente di un computer e di un collegamento online.

46.

Pertanto, il requisito dell’esercizio di attività economiche (o della disponibilità di locali) all’indirizzo indicato in fattura sarebbe problematico rispetto a quelle imprese che non svolgono la loro attività (interamente o principalmente) da un luogo specifico.

47.

Non è possibile sostenere che tale «sganciamento» dei locali commerciali da un determinato luogo costituisca un fenomeno nuovo di cui il legislatore dell’Unione non ha tenuto conto nella direttiva IVA attualmente in vigore. Quest’ultima è stata oggetto di rifusione nel 2006, quando il processo di digitalizzazione aveva già profondamente segnato l’economia dell’Unione europea. Infatti, varie disposizioni di tale direttiva vertono su aspetti quali, ad esempio, le comunicazioni elettroniche e i servizi erogati per via elettronica ( 18 ).

5.  Interpretazione alla luce della giurisprudenza della Corte

48.

In quinto luogo, come osserva lo stesso giudice del rinvio, l’interpretazione «tradizionale» dell’UStG risulta difficilmente conciliabile con la recente giurisprudenza della Corte e, in particolare, con la sentenza PPUH Stehcemp ( 19 ).

49.

Nell’ambito della suddetta causa, la Corte aveva rilevato che il richiedente aveva diritto a detrarre l’IVA sulla base di fatture emesse da quello che, secondo il giudice nazionale, era un soggetto inesistente. Nel valutare i fatti di causa, il giudice nazionale aveva osservato che l’immobile indicato come sua sede sociale nel registro delle imprese era «in stato fatiscente». Tuttavia, secondo la Corte, il fatto che nella sede sociale non potesse essere svolta alcuna attività economica «non esclude[va] che tale attività potesse essere svolta in altri luoghi diversi dalla sede sociale». Detta Corte aggiungeva che «[s]egnatamente, quando l’attività economica in questione consiste nella cessione di beni effettuati nell’ambito di varie vendite successive, il primo acquirente e rivenditore di tali beni può limitarsi a dare ordine al primo venditore di trasportare i beni in questione direttamente al secondo acquirente, senza che disponga egli stesso necessariamente dei mezzi di stoccaggio e di trasporto indispensabili per effettuare la cessione dei beni in questione» ( 20 ).

50.

La sentenza in questione corrobora l’idea che, ai fini del riconoscimento di un diritto a detrarre l’IVA in capo al destinatario di beni o servizi, non è richiesto che all’indirizzo indicato in fattura siano svolte attività economiche. È sufficiente quindi che il fornitore possa essere ivi contattato rapidamente ed efficacemente.

51.

Contrariamente alle osservazioni formulate dai governi tedesco e austriaco, tale posizione non è posta in discussione dalla sentenza della Corte pronunciata nella causa Planzer Luxembourg ( 21 ).

52.

La suddetta causa verteva su una questione giuridica differente da quella di cui alle cause in esame. In essa la Corte era chiamata a dichiarare se un’impresa fosse effettivamente stabilita nel territorio dell’Unione europea. A tale scopo, detta Corte ha interpretato, segnatamente, i termini «sede dell’attività economica» e «centro di attività stabile» ai fini della tredicesima direttiva ( 22 ). I criteri menzionati dalla Corte in detta causa – richiamati dai governi tedesco e austriaco – sono pertanto rilevanti nel valutare l’effettiva sede di un’impresa all’interno dell’Unione europea, ma non forniscono alcun elemento interpretativo utile per stabilire quale indirizzo possa essere indicato in fattura.

53.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione sollevata nella causa C-374/16 e alle prime due questioni sollevate nella causa C-375/16 nel senso che l’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA osta a una normativa nazionale che subordina il diritto a detrazione dell’IVA all’indicazione in fattura dell’indirizzo in cui l’emittente svolge la propria attività economica.

C. Seconda questione nella causa C-374/16 e terza questione nella causa C-375/16

54.

La seconda questione nella causa C-374/16 e la terza questione nella causa C-375/16 concernono le conseguenze potenzialmente derivanti dalla buona fede di un soggetto passivo nella correttezza formale delle fatture emesse da un altro soggetto passivo. In sostanza, il giudice del rinvio chiede alla Corte se e come un soggetto passivo possa invocare la propria buona fede quando l’indirizzo indicato in fattura è incompleto o errato.

55.

Dal momento che le suddette questioni si fondano sulla premessa che un soggetto passivo deve esercitare un’attività economica all’indirizzo indicato in fattura, non occorre rispondere ad esse alla luce della soluzione proposta per la prima questione nella causa C-374/16 e per le prime due questioni nella causa C-375/16.

56.

Tuttavia, affronterò le problematiche in esse sollevate qualora la Corte, nel rispondere alle questioni precedenti, si discosti dall’opinione da me espressa supra. In particolare, mi concentrerò sulla questione se e come un soggetto passivo possa invocare la buona fede da esso nutrita nella correttezza formale dell’indirizzo indicato in fattura dall’emittente quando l’autorità constati che quest’ultimo è potenzialmente coinvolto in un caso di evasione o in irregolarità.

1.  Buona fede rispetto all’integrità del contenuto della fattura

57.

La questione dell’evasione o delle irregolarità sembra assumere rilievo nelle cause in esame dal momento che, secondo quanto emerge da entrambe le ordinanze di rinvio, nei procedimenti principali sono insorte questioni attinenti alla natura fraudolenta dell’emissione delle fatture da parte dell’emittente o delle transazioni poste alla loro base.

58.

A tale riguardo occorre rammentare che, nella sentenza PPUH Stehcemp, la Corte ha recentemente stabilito che un soggetto passivo perde il suo diritto a detrazione quando sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. Per contro, quando ricorrono le condizioni sostanziali e formali previste per il sorgere e l’esercizio del diritto a detrazione, non è compatibile con la direttiva IVA «sanzionare, con il diniego di tale diritto, un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA» ( 23 ). Si tratta dell’espressione, nel diritto dell’Unione, del principio che il giudice del rinvio indica come «buona fede» o «legittimo affidamento».

59.

Di conseguenza, è possibile negare il diritto a detrazione a un soggetto passivo se emerge che ha agito in maniera incauta senza mostrare la diligenza che è legittimo attendersi da un operatore ragionevolmente avveduto ( 24 ). Chiaramente, le misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte a un soggetto passivo per assicurarsi che le operazioni non si iscrivano in un’evasione o un abuso dipendono essenzialmente dalle circostanze di detta fattispecie ( 25 ). Tuttavia, è irragionevole obbligare un soggetto passivo a compiere lunghi o approfonditi controlli sull’esattezza e correttezza dei dati formali inseriti in ciascuna delle fatture emesse da tutti i suoi fornitori. Ciò non sarebbe né praticamente né economicamente fattibile.

60.

Inoltre, la Corte ha già statuito, che in linea di principio, «spetta (…) alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di IVA nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni» ( 26 ).

61.

Ovviamente, da un soggetto passivo che rileva elementi concreti potenzialmente indicanti un caso di evasione o di abusi, ci si può attendere che assuma talune informazioni aggiuntive sul suo fornitore, al fine di sincerarsi della sua affidabilità ( 27 ). Tuttavia, anche in tal caso, l’amministrazione finanziaria non può imporre a un soggetto passivo, in ragione del rischio di un diniego del diritto a detrazione, di compiere controlli approfonditi e complessi, trasferendo di fatto su di esso i propri compiti di controllo ( 28 ). È, ad esempio, impensabile che un soggetto passivo sia tenuto a verificare la coincidenza dell’indirizzo indicato in fattura da un fornitore con il luogo in cui quest’ultimo svolge realmente le sue attività economiche o in cui dispone di locali commerciali o a stabilire se detto fornitore sia legalmente o effettivamente stabilito a tale indirizzo.

62.

Pertanto, il diritto a detrazione può essere negato se il soggetto passivo non era in buona fede rispetto all’esistenza di un’evasione o abuso collegato (perché ne era a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo). Tuttavia è importante osservare che ciò vale a prescindere dal rispetto delle condizioni formali all’interno delle fatture riguardanti le transazioni di cui trattasi.

63.

In altri termini, se è vero che a determinate condizioni può insorgere un obbligo di diligenza più articolato che impone a un soggetto passivo una maggiore cautela nelle sue attività commerciali con un fornitore, tale obbligo può derivare soltanto dal fatto che il soggetto passivo fosse o avrebbe dovuto essere a conoscenza di possibili evasioni o irregolarità commesse dal fornitore. Tale obbligo non può per contro essere giustificato dal solo fatto che l’indirizzo indicato in una fattura è incompleto, errato o falso. In primis, salvo che si tratti di un errore manifesto, è difficile accertare la correttezza dell’indirizzo. In secondo luogo, un errore può anche sembrare una mera svista che il soggetto passivo difficilmente può notare.

64.

Pertanto, la giurisprudenza della Corte non ammette un’interpretazione delle norme in materia di IVA come proposta dal giudice del rinvio, secondo cui, in caso di mancato rispetto delle relative condizioni formali, la detrazione potrebbe essere concessa soltanto laddove il soggetto passivo abbia adottato tutte le misure che potevano essergli ragionevolmente richieste per sincerarsi della correttezza del contenuto della fattura. Tale interpretazione implicherebbe, di fatto, una significativa limitazione del diritto di detrazione che le norme IVA non suffragano.

65.

La suddetta interpretazione avrebbe inoltre l’effetto di far indebitamente gravare sul destinatario delle fatture l’onere della prova circa un eventuale coinvolgimento nell’evasione o una conoscenza della medesima. Facendo seguito a quanto indicato supra al paragrafo 60, la Corte ha stabilito che «[s]petta all’amministrazione tributaria, che abbia constatato evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’IVA» ( 29 ). In tale contesto, occorre anche osservare che, talvolta, il soggetto passivo può incontrare difficoltà nel provare, nella misura dovuta, di aver fatto, per citare il giudice del rinvio nella causa C-375/16, «tutto quanto possa essergli ragionevolmente richiesto per verificare la veridicità delle indicazioni sulle fatture».

66.

Diversamente da quanto suggerito dal giudice del rinvio, ciò non significa privare di significato le condizioni formali fissate nell’articolo 226 della direttiva IVA. Come osserva correttamente la Commissione, anche se non è indispensabile che un soggetto passivo soddisfi tutte le suddette condizioni perché sia autorizzato ad esercitare il diritto a detrazione, gli Stati membri possono ancora obbligare i soggetti passivi a provvedere affinché siano completate e/o corrette le fatture, nonché prevedere sanzioni in caso di inosservanza dei requisiti formali, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta sul valore aggiunto ed evitare evasioni e non compromettano la neutralità del regime IVA ( 30 ).

2.  Tutela giurisdizionale effettiva del diritto a detrazione

67.

Nell’ambito della causa C-374/16 il giudice del rinvio ha altresì sollevato la questione se il fatto che il ricorrente possa azionare il diritto a detrazione soltanto in un separato procedimento secondo equità sia conforme all’articolo 168, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, tenuto conto del principio di effettività. Detto giudice spiega che, in base alle norme nazionali, il ricorrente non può invocare la buona fede o il legittimo affidamento in un ordinario procedimento di accertamento dell’imposta ma deve avviare un separato procedimento.

68.

Poiché l’indicazione di una casella postale è in linea con le disposizioni dell’articolo 226, punto 5, della direttiva IVA, tale questione non assume alcun rilievo nell’ambito dei procedimenti principali. Infatti, se ho compreso correttamente, i ricorrenti nei procedimenti principali dovrebbero poter far valere la detrazione nel procedimento ordinario di accertamento dell’imposta senza dover ricorrere al procedimento speciale secondo equità.

69.

Ad ogni modo affronterò ancora tale questione nell’eventualità che talune fatture oggetto dei procedimenti principali non rispettino i requisiti formali di cui all’articolo 226 della direttiva IVA per ragioni diverse.

70.

Conformemente al principio di autonomia procedurale, in mancanza di una disciplina dell’Unione, la previsione di procedure interne dirette a prevenire l’evasione dell’IVA è rimessa agli Stati membri. Al riguardo, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare l’amministrazione competente a combattere l’evasione dell’IVA e stabilire le modalità procedurali intese a garantire la tutela dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione. Tuttavia tali modalità non possono essere meno favorevoli di quelle riguardanti ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) ( 31 ).

71.

Per quanto attiene al principio di effettività, la Corte ha stabilito che la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o difficile per i singoli esercitare diritti derivanti dall’ordinamento giuridico dell’Unione deve essere esaminata tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si devono prendere in considerazione i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento ( 32 ). In linea di principio, spetta al giudice del rinvio valutare la compatibilità dei provvedimenti nazionali con tali principi alla luce di tutte le circostanze del procedimento principale ( 33 ).

72.

Nella specie, la Corte non dispone di informazioni sufficientemente dettagliate sul procedimento speciale secondo equità (e sulle differenze tra tale procedimento e il procedimento ordinario di accertamento delle imposte) per poter stabilire se disposizioni procedurali nazionali come quelle oggetto dei procedimenti principali rispettino le disposizioni della direttiva IVA. Così, in linea con la giurisprudenza succitata, spetta al giudice del rinvio stabilire, alla luce dei principi individuati dalla giurisprudenza della Corte, se il diritto di un soggetto passivo di invocare la propria buona fede per quanto riguarda la correttezza formale delle fatture sia efficacemente tutelato nell’ambito di un procedimento quale il procedimento speciale secondo equità di cui agli articoli 163 e 227 dell’AO.

73.

A mio giudizio, nella sua analisi, il giudice del rinvio dovrebbe valutare in particolare se la durata, la complessità e i costi connessi al suddetto procedimento speciale determinino, a carico del soggetto passivo, difficoltà sproporzionate. Verosimilmente, tali difficoltà risultano ancora maggiori se, rispetto a domande concernenti in sostanza le medesime questioni giuridiche o questioni collegate e/o le medesime transazioni o transazioni collegate, il soggetto passivo è chiamato ad avviare in parallelo due o più procedimenti giudiziari ( 34 ).

74.

Pur non potendo fornire indicazioni più precise, alla luce di taluni elementi menzionati nell’ordinanza di rinvio, nutro tuttavia alcuni dubbi circa la compatibilità delle disposizioni procedurali nazionali con il diritto dell’Unione. Il diritto del soggetto passivo a detrarre l’IVA a monte trae origine dalle disposizioni della direttiva IVA e non dal principio di equità. Ciò vale a prescindere dalla piena conformità delle fatture considerate con l’articolo 226 della direttiva citata.

75.

In altri termini, anche in tali casi, le autorità non godono di alcuna discrezionalità nello stabilire se il soggetto passivo debba essere autorizzato a detrarre l’IVA. Di conseguenza, sotto il profilo procedurale, non ravviso alcuna differenza sostanziale tra la situazione di un soggetto passivo che vanta un diritto di detrazione quando sono soddisfatti i requisiti formali delle fatture e il caso di una persona che vanti tale diritto malgrado la non conformità formale delle fatture di cui trattasi. Non comprendo il motivo per cui a un soggetto passivo debba essere precluso l’esercizio di un siffatto diritto nell’ambito del procedimento ordinario di accertamento dell’imposta.

76.

Tuttavia, la decisione su tale questione spetta al giudice nazionale.

77.

Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla seconda questione nella causa C-374/16 e alla terza questione nella causa C-375/16 che gli articoli 168, lettera a), e 178, lettera a), della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale secondo cui, in caso di mancato soddisfacimento dei requisiti formali previsti per le fatture, la detrazione è concessa soltanto se il soggetto passivo prova di aver adottato ogni misura che poteva essergli ragionevolmente richiesta per accertarsi della correttezza del contenuto della fattura. Spetta al giudice nazionale valutare se le disposizioni procedurali nazionali in base alle quali un soggetto passivo può invocare la propria buona fede rispetto all’integrità della fattura siano compatibili con il principio di effettività alla luce, in particolare, della durata, della complessità e dei costi connessi ai procedimenti di cui trattasi.

V. Conclusione

78.

In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Bundesfinanzhof (Corte federale tributaria, Germania) nei seguenti termini:

L’articolo 226, punto 5, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto (la «direttiva IVA») osta a una normativa nazionale che subordina il diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto all’indicazione nella fattura dell’indirizzo in cui l’emittente svolge la propria attività economica.

Gli articoli 168, lettera a), e 178, lettera a), della direttiva IVA ostano a una normativa nazionale secondo cui, in caso di mancato soddisfacimento dei requisiti formali previsti per le fatture, la detrazione è concessa soltanto se il soggetto passivo prova di aver adottato ogni misura che poteva essergli ragionevolmente richiesta per accertarsi della correttezza del contenuto della fattura.

Spetta al giudice nazionale valutare se le disposizioni procedurali nazionali in base alle quali un soggetto passivo può invocare la propria buona fede rispetto all’integrità della fattura siano compatibili con il principio di effettività alla luce, in particolare, della durata, della complessità e dei costi connessi ai procedimenti di cui trattasi.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) GU 2006, L 347, pag. 1.

( 3 ) La disposizione applicabile ratione temporis alla causa C-374/16 era quella in vigore anteriormente alla revisione della direttiva IVA nel 2010. Tuttavia, tale revisione è irrilevante ai fini del presente procedimento, dal momento che non ha interessato l’obbligo di inserire in fattura l’indirizzo ai sensi dell’articolo 226 della direttiva.

( 4 ) Sentenza del 14 febbraio 1985, Rompelman (268/83, EU:C:1985:74, punto 19).

( 5 ) Sentenza del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punto 49).

( 6 ) Sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 28).

( 7 ) V. sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 29).

( 8 ) V. sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

( 9 ) Sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 38).

( 10 ) V., in proposito, sentenze del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 25), e del 15 luglio 2010, Pannon Gép Centrum (C-368/09, EU:C:2010:441, punti 40 e 41).

( 11 ) V., per analogia, sentenza del 4 giugno 2015, Commissione/Polonia (C-678/13, non pubblicata, EU:C:2015:358, punto 46 e la giurisprudenza ivi citata).

( 12 ) La disposizione è formulata nei seguenti termini: «Si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività» (il corsivo è mio).

( 13 ) V., in proposito, sentenza del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 27), che richiama le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella medesima causa (EU:C:2016:101).

( 14 ) V., in proposito, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:101, paragrafi 34 e 35).

( 15 ) V., sul punto, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:101, paragrafo 34).

( 16 ) V., in particolare, l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU 2010, L 268, pag. 1). La disposizione di cui trattasi impone agli Stati membri di archiviare in un sistema elettronico, in particolare, «i dati riguardanti l’identità, l’attività, l’organizzazione e l’indirizzo delle persone a cui ha attribuito un numero di identificazione IVA, raccolti in applicazione dell’articolo 213 della direttiva 2006/112/CE, nonché la data di attribuzione di tale numero».

( 17 ) V., per analogia, sentenza del 1o marzo 2012, Kopalnia Odkrywkowa Polski Trawertyn P. Granatowicz, M. Wąsiewicz (C-280/10, EU:C:2012:107, punti 48 e 49). Inoltre, in forza del regolamento n. 904/2010, le autorità nazionali possono richiedere alle autorità amministrative di altri Stati membri ogni informazione che possa consentire di accertare correttamente l’IVA, di verificarne la corretta applicazione, in particolare sulle transazioni all’interno dell’Unione, e di lottare contro la frode all’IVA.

( 18 ) V., in particolare, considerando 46, 47, 56 e 57 della direttiva IVA.

( 19 ) Sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719).

( 20 ) V. sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 35).

( 21 ) Sentenza del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg (C-73/06, EU:C:2007:397).

( 22 ) Tredicesima direttiva 86/560/CEE del Consiglio, del 17 novembre 1986, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità (GU 1986, L 326, pag. 40).

( 23 ) V. sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punti 48 e 49).

( 24 ) V., in particolare, sentenze del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:548, punti 65 e 66); del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C-271/06, EU:C:2008:105, punti 24, 25 e 27), e del 21 dicembre 2011, Vlaamse Oliemaatschappij (C-499/10, EU:C:2011:871, punti 25 e 26).

( 25 ) V. sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 51).

( 26 ) V., in particolare, sentenza del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid (C-80/11C-142/11, EU:C:2012:373, punto 62).

( 27 ) V. sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid (C-80/11C-142/11, EU:C:2012:373, punto 60), e del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 52).

( 28 ) V. sentenze del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid (C-80/11C-142/11, EU:C:2012:373, punto 65), e del 31 gennaio 2013, LVK (C-643/11, EU:C:2013:55, punto 62).

( 29 ) V. sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C-277/14, EU:C:2015:719, punto 50), nonché sentenza del 6 dicembre 2012, Bonik (C-285/11, EU:C:2012:774, punto 43).

( 30 ) V. sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punti 41 e 42), e le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella medesima causa (C-518/14, EU:C:2016:91, paragrafo 45).

( 31 ) Sentenza del 12 febbraio 2015, Surgicare (C-662/13, EU:C:2015:89, punto 26).

( 32 ) Sentenza del 12 febbraio 2015, Surgicare (C-662/13, EU:C:2015:89, punto 28).

( 33 ) Sentenza del 12 febbraio 2015, Surgicare (C-662/13, EU:C:2015:89, punto 27).

( 34 ) V., in tal senso, sentenza del 15 aprile 2008, Impact (C-268/06, EU:C:2008:223, punto 51).