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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate l’11 settembre 2019(1)

Cause riunite C-13/18 e C-126/18

Sole-Mizo Zrt.

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria)]

nonché

Dalmandi Mezőgazdasági Zrt.

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Inadempimento di uno Stato membro – Responsabilità degli Stati membri – Diritto a un risarcimento integrale o diritto a un risarcimento adeguato – Calcolo degli interessi dovuti per risarcire i danni causati – Principi di effettività e di equivalenza – Ambito di applicazione»






1.        Le due domande di pronuncia pregiudiziale in esame, presentate dallo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) e dallo Szekszárdi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szekszárd, Ungheria) riguardano la portata del diritto ad essere risarciti per l’inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.

2.        Le domande sono state presentate nei procedimenti tra la Sole-Mizo Zrt. (C-13/18), la Dalmandi Mezőgazdasági Zrt. (C-126/18) e Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (Direzione dei ricorsi dell’Amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria). Esse riguardano la legittimità di una prassi nazionale stabilita dal governo ungherese al fine di compensare i soggetti passivi dell’IVA per l’applicazione di una condizione stabilita da una legge nazionale che è stata successivamente dichiarata dalla Corte contraria al diritto dell’Unione. Come propongo di chiarire, questa prassi nazionale sembra per taluni aspetti andare oltre quanto richiesto dal diritto dell’Unione, mentre per altri aspetti non soddisfa tali requisiti.

3.        Prima di prendere in considerazione le questioni sollevate, è tuttavia necessario esporre, anzitutto, le disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione e del diritto nazionale.

I.      Diritto dell’Unione

A.      Direttiva 2006/112

4.        Articolo 183 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA») prevede quanto segue:

«Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.

Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante».

B.      Diritto nazionale

1.      Norme che disciplinano la procedura di recupero dellIVA

5.        L’általános forgalmi adóról szólóló 2007. évi CXXVII. törvény jogharmonizációs célú módosításáról és az adó-visszaigénylés különös eljárási szabályairól szólóló 2011. évi CXXIII. törvény (legge CXXIII del 2011 che modifica, a fini di armonizzazione, la legge CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto e che stabilisce norme sulla procedura speciale per le domande di rimborso dell’imposta; in prosieguo: la «legge di modifica») contiene le seguenti disposizioni:

«Articolo 1

1)      Gli importi per i quali il soggetto passivo non ha potuto far valere, nell’ultima dichiarazione IVA che era tenuto a presentare prima dell’entrata in vigore della presente legge (in prosieguo: la «dichiarazione»), il suo diritto alla restituzione ai sensi dell’articolo 186, paragrafi da 2 a 4, dell’általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény [(legge CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: la legge sull’IVA)], abrogata dalla presente legge – solo per l’importo che il soggetto passivo ha iscritto come imposta sugli acquisti non pagati – possono essere oggetto di una domanda di restituzione presentata all’amministrazione tributaria dal soggetto passivo fino al 20 ottobre 2011, utilizzando il modulo previsto a tal fine; indipendentemente da tale periodo, il soggetto passivo può, nella dichiarazione corrispondente al regime cui è soggetto, conteggiare gli importi di cui sopra come voce che riduce l’importo dell’imposta di cui è debitore, o esercitare il diritto al rimborso nella sua dichiarazione. Tale richiesta è considerata una dichiarazione ai fini delle disposizioni dell’adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény [(legge XCII del 2003, che istituisce il codice di procedura fiscale)]. Il termine per la presentazione di tale richiesta non può essere prorogato.

2)      Nella domanda presentata entro il 20 ottobre 2011 il soggetto passivo può chiedere all’amministrazione fiscale di effettuare una nuova verifica di una dichiarazione per un periodo precedente all’entrata in vigore della presente legge al fine di riesaminare le conseguenze giuridiche precedentemente accertate solo quando gli è stata inflitta, con decisione divenuta definitiva a seguito della precedente verifica, un’ammenda fiscale o interessi di mora in base all’articolo 186, paragrafi da 2 a 4, della [legge sull’IVA], abrogata dalla presente legge, o all’articolo 48, paragrafo 7, dell’általános forgalmi adóról szóló 1992. évi LXXIV. törvény [(legge LXXIV del 1992 relativa all’imposta sul valore aggiunto; in prosieguo: la «precedente legge sull’IVA»]. Il soggetto passivo può presentare tale richiesta anche quando non si avvale delle disposizioni del precedente comma 1. Il termine per presentare tale richiesta è un termine di prescrizione a partire dal quale il soggetto passivo non può essere esentato.

(...)

Articolo 3

L’articolo 186, paragrafi da 2 a 4, della [legge sull’IVA], abrogato dalla presente legge, e l’articolo 48, paragrafo 7, della [precedente legge sull’IVA] non sono applicabili alle cause pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge o a quelle avviate dopo tale data».

2.      Codice di procedura fiscale ungherese

6.        L’articolo 37, paragrafi 4 e 6, dell’adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény (legge XCII del 2003, che istituisce il codice di procedura fiscale; in prosieguo: il «codice di procedura fiscale»), ha previsto nella versione iniziale, che è quella citata dal governo ungherese nelle sue osservazioni ed è l’unica ad essere stata presentata alla Corte (2), quanto segue:

«4)      La data di scadenza per il pagamento di un finanziamento di bilancio dovuto al soggetto passivo è disciplinata dagli allegati alla presente legge o da una legge specifica. La sovvenzione di bilancio o l’IVA di cui si chiede il rimborso deve essere pagata entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta (dichiarazione), ma non prima della data di scadenza, termine che può essere esteso a 45 giorni se l’importo dell’IVA recuperabile supera 500 000 fiorini ungheresi [(HUF)]. (...)

(...)

6)      Qualora effettui un pagamento tardivo, l’amministrazione fiscale paga interessi di mora ad un tasso equivalente a quello di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo. (...)».

7.        L’articolo 124/C del codice di procedura fiscale, nella versione citata dai giudici del rinvio (3) prevede quanto segue:

«1)      Qualora l’Alkotmánybíróság [(Corte costituzionale, Ungheria)], la Kúria [(Corte suprema, Ungheria)] o la Corte di giustizia dell’Unione europea constatino, con effetto retroattivo, che una norma giuridica che prescrive un obbligo fiscale è contraria alla legge fondamentale o a un atto imperativo dell’Unione europea o, nel caso di un regolamento comunale, a qualsiasi altra norma di legge, e che tale decisione giudiziaria dà diritto a un rimborso per il soggetto passivo ai sensi delle disposizioni del presente articolo, l’autorità tributaria iniziale procede al rimborso su richiesta del soggetto passivo, secondo le modalità specificate nella decisione in questione.

2)      Il soggetto passivo può presentare la sua domanda scritta all’autorità tributaria entro 180 giorni dalla pubblicazione o dalla notifica della decisione dell’Alkotmánybíróság [(Corte costituzionale)], della Kúria [(Corte suprema)] o della Corte di giustizia dell’Unione europea; nessuna domanda di esenzione dal pignoramento è ammissibile alla scadenza del termine. L’autorità tributaria respinge la domanda qualora, alla data di pubblicazione o di notifica della decisione, il diritto di chiedere un risarcimento sia scaduto.

(...)

6)      Se il diritto del soggetto passivo al rimborso è fondato, l’autorità tributaria paga, al momento del rimborso, gli interessi sull’imposta da rimborsare, ad un tasso pari al tasso di base della banca centrale e calcolato dalla data di pagamento dell’imposta fino al giorno in cui la decisione che concede il rimborso è divenuta definitiva. Il rimborso è dovuto alla data in cui è divenuta definitiva la decisione che lo concede e deve essere effettuato entro 30 giorni dalla data di scadenza. Le disposizioni relative al pagamento dei finanziamenti di bilancio si applicano mutatis mutandis al rimborso disciplinato dal presente paragrafo, ad eccezione dell’articolo 37, paragrafo 6».

8.        L’articolo 124/D, paragrafi da 1 a 3, del codice di procedura fiscale, nella versione citata dai giudici del rinvio, così recita:

«1)      Salvo disposizione contraria del presente articolo, le disposizioni dell’articolo 124/C si applicano alle domande di rimborso basate sul diritto a detrazione dell’IVA.

2)      Il soggetto passivo può esercitare il diritto di cui al precedente paragrafo 1 mediante una dichiarazione di regolarizzazione – presentata entro 180 giorni dalla pubblicazione o dalla notifica della decisione dell’Alkotmánybíróság [(Corte costituzionale)] o della Corte di giustizia dell’Unione europea – della dichiarazione o delle dichiarazioni corrispondenti all’esercizio fiscale o agli esercizi fiscali in cui il diritto a detrazione in questione è stato creato. Nessuna richiesta di dichiarazione di pignoramento sarà accettata alla scadenza del termine.

3)      Se dalla dichiarazione, come rettificata nella dichiarazione di regolarizzazione, risulta che il soggetto passivo ha diritto al rimborso o a causa della riduzione dell’imposta che deve pagare o a causa dell’aumento dell’importo recuperabile – anche tenuto conto delle condizioni di rimborso dell’imposta da registrare come negativa previste dalla normativa IVA in vigore alla data in cui sorge il diritto a detrazione – l’autorità tributaria applica all’importo da rimborsare un tasso di interesse equivalente al tasso di base della banca centrale, calcolato per il periodo compreso tra la data fissata per il pagamento nella dichiarazione o nelle dichiarazioni in questione dalla dichiarazione di regolarizzazione, o la data di scadenza – o la data di pagamento dell’imposta, se successiva – e la data di presentazione della dichiarazione di regolarizzazione. Il rimborso – cui si applicano le disposizioni relative al pagamento dei finanziamenti di bilancio – deve essere effettuato entro 30 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di regolarizzazione».

9.        L’articolo 135, paragrafo 4, prima frase, dello stesso codice, nella versione citata dai giudici del rinvio, stabilisce quanto segue:

«Qualora una decisione dell’autorità tributaria o la determinazione dell’imposta, da parte della stessa, sulla base delle informazioni comunicatele sia illegittima e il soggetto passivo abbia pertanto diritto al rimborso, l’autorità tributaria paga gli interessi sull’importo da rimborsare allo stesso tasso della penalità di mora, salvo che l’errore nella determinazione dell’imposta sia imputabile ad una causa verificatasi nell’ambito della responsabilità del soggetto passivo o di una persona soggetta all’obbligo di fornire i dati».

10.      Ai sensi dell’articolo 164, paragrafo 1, del codice di procedura fiscale, nella versione citata dai giudici del rinvio:

«Il diritto all’accertamento dell’imposta si prescrive 5 anni dopo l’ultimo giorno dell’anno civile in cui la dichiarazione o la notifica relativa a tale imposta avrebbe dovuto essere effettuata o, in mancanza di tale dichiarazione o notifica, durante il quale l’imposta avrebbe dovuto essere pagata. Salvo disposizioni di legge contrarie, il diritto di chiedere un finanziamento di bilancio e il diritto al rimborso dei pagamenti in eccesso si prescrive 5 anni dopo l’ultimo giorno dell’anno civile in cui è stato riconosciuto il diritto di chiedere il finanziamento o il rimborso. (...)».

11.      L’articolo 165, paragrafo 2, di tale codice, nella versione citata dai giudici del rinvio, prevede quanto segue:

«Il tasso della penalità di mora per ogni giorno di calendario è pari a 1/365esimo del doppio del tasso di base della banca centrale in vigore alla data della sua applicazione. Una penalità per ritardo non può dar luogo, di per sé, all’applicazione di una penalità per ritardo. L’amministrazione centrale fiscale e doganale non ordina il pagamento di penalità di mora inferiori a HUF 2 000».

II.    Contesto della controversia

12.      L’articolo 48, paragrafo 7, della precedente legge sull’IVA in vigore tra il 1° gennaio 2005 e il 31 dicembre 2007 e, successivamente, l’articolo 186, paragrafo 2, della legge sull’IVA, in vigore tra il 1° gennaio 2008 e il 26 settembre 2011, subordinavano il rimborso dell’IVA detraibile eccedente (ossia l’importo che residua dopo che l’IVA dovuta è stata sottratta da quella detraibile) al pagamento integrale delle operazioni che avevano generato l’IVA detraibile (in prosieguo: la «condizione degli acquisti pagati»). In mancanza di tale pagamento, tale eccedenza doveva essere riportata al periodo d’imposta successivo, il che significa che veniva detratta dall’importo dell’IVA da pagare nel periodo successivo.

13.      La Corte, nella sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530), ha dichiarato che l’articolo 186, paragrafo 2, della legge sull’IVA era contrario all’articolo 183 della direttiva IVA.

14.      La legge di modifica, adottata dal Parlamento ungherese a seguito di tale sentenza, ha abrogato, con effetto dal 27 settembre 2011, l’articolo 186, paragrafi da 2 a 4, della legge sull’IVA. Essa consente ora il rimborso dell’IVA detraibile eccedente senza dover attendere il pagamento del corrispettivo dovuto per le operazioni riguardo alle quali l’IVA è detraibile. A tal riguardo, il giudice del rinvio nella causa C-126/18 ha dichiarato che, conformemente a tale normativa, i soggetti passivi possono:

–        chiedere un rimborso speciale mediante domanda di pagamento dell’IVA trattenuta, presentata entro un termine di prescrizione,

–        richiedere tale pagamento nelle proprie dichiarazioni dei redditi, o

–        utilizzare l’IVA trattenuta nelle dichiarazioni dei redditi per ridurre l’imposta dovuta.

15.      In un’ordinanza del 17 luglio 2014, pronunciata nella causa Delphi Hungary Autóalkatrész Gyártó (C-654/13, non pubblicata, EU:C:2014:2127, punto 39; in prosieguo: l’«ordinanza Delphi»), la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 183 della direttiva IVA, deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa e alla prassi di uno Stato membro che esclude il pagamento di interessi sull’importo relativo all’IVA detraibile eccedente che non era recuperabile entro un termine ragionevole a causa di una disposizione nazionale considerata contraria al diritto dell’Unione. La Corte ha inoltre affermato tuttavia che, in mancanza di una normativa dell’Unione in questo settore, spetta al diritto nazionale determinare, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, le modalità di pagamento di tali interessi.

16.      A seguito dell’ordinanza Delphi, l’amministrazione fiscale ungherese ha elaborato una prassi amministrativa, sulla quale si è pronunciata la Kúria (Corte suprema) nella decisione n. Kfv.I.35.472/2016/5 del 24 novembre 2016, che a sua volta è servita da base per l’adozione di una decisione di principio (n. EBH2017.K18) intitolata «Esame (quanto al tasso e al termine di prescrizione) della questione degli interessi sull’IVA necessariamente maturati a causa della condizione relativa al pagamento» («decisione di principio della Corte suprema n. 18/2017»).

17.      Secondo la decisione di principio della Corte suprema n. 18/2017, ai fini del calcolo degli interessi di mora sull’importo dell’IVA che non è stato debitamente recuperato a causa della precedente condizione degli acquisti pagati, occorre distinguere due periodi.

–        Per il periodo compreso tra il giorno successivo all’ultimo giorno del termine per la presentazione della dichiarazione IVA e la data di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione successiva, sono applicabili per analogia gli articoli 124/C e 124/D del codice di procedura fiscale, che disciplinano la situazione in cui l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) o la Kúria (Corte suprema) constatano che una norma viola una norma nazionale superiore. Infatti, in entrambe le situazioni, l’autorità tributaria, secondo tale decisione, non aveva commesso una violazione della legge, ma aveva applicato le norme di diritto nazionale allora in vigore. Secondo queste due disposizioni legislative, il tasso di interesse applicabile è pari al tasso di base semplice della banca centrale.

–        Per il periodo che ha inizio alla data di scadenza degli interessi dovuti dall’autorità tributaria e termina alla data in cui l’autorità tributaria competente ha effettivamente pagato gli interessi, si applica l’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale. Di conseguenza, il tasso di interesse è equivalente a quello di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo, ossia il doppio del tasso di base della banca centrale. Tali interessi devono essere calcolati a decorrere dalla data di ricezione, da parte dell’autorità tributaria, della domanda di rimborso straordinario o della dichiarazione dei redditi contenente la domanda di rimborso.

III. Fatti e domande di pronuncia pregiudiziale

A.      Causa C-13/18

18.      Il 30 dicembre 2016 la Sole-Mizo ha presentato all’autorità tributaria, in base all’ordinanza Delphi, una richiesta di pagamento di interessi sugli importi dell’IVA detraibile eccedente che non erano stati rimborsati in tempo a causa dell’applicazione della precedente condizione degli acquisti pagati. Tale richiesta riguardava diversi periodi di riferimento dal dicembre 2005 al giugno 2011. Sono stati inoltre richiesti interessi composti dovuti al pagamento tardivo di tali interessi.

19.      Con decisione del 3 marzo 2017, l’autorità tributaria di primo grado ha parzialmente accolto la richiesta della Sole-Mizo e ha ordinato il pagamento di interessi per un importo di HUF 99 630 000 (EUR 321 501 circa), respingendo al contempo la richiesta della società di interessi composti dovuti al pagamento tardivo di tali interessi.

20.      In una decisione del 19 giugno 2017, adottata a seguito di un reclamo presentato dalla Sole-Mizo, l’autorità tributaria di secondo grado ha modificato la prima decisione decidendo a favore della Sole-Mizo e ordinando il pagamento di HUF 104 165 000 (EUR 338 891 circa) a titolo di interessi. Ciò è stato effettuato applicando un tasso corrispondente al tasso di base semplice della banca centrale. Per quanto riguarda la parte della prima decisione relativa al rigetto della richiesta di pagamento di interessi composti, l’autorità tributaria di secondo grado l’ha annullata e ha rinviato il calcolo di tali interessi all’autorità tributaria iniziale.

21.      La Sole-Mizo ha proposto un ricorso dinanzi al giudice nazionale contro la decisione del 19 giugno 2017 dell’autorità tributaria superiore, sostenendo che anche gli interessi dovuti per risarcire il danno subito a causa dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati dovrebbero essere determinati ad un tasso corrispondente al doppio del tasso di base della banca centrale, conformemente all’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale.

22.      Il giudice nazionale chiede pertanto se gli interessi dovuti debbano essere calcolati applicando un tasso corrispondente al tasso di base semplice della banca centrale o applicando un tasso corrispondente al doppio di tale tasso. In particolare, il giudice esprime dubbi circa la conformità al principio di equivalenza, sancito dal diritto dell’Unione, della decisione di principio della Corte suprema n. 18/2017, secondo cui l’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale non è applicabile per analogia al «primo periodo», in quanto l’amministrazione finanziaria non aveva commesso alcuna violazione, essendosi limitata ad applicare le disposizioni del diritto nazionale allora in vigore. Secondo il giudice nazionale, il diritto dell’Unione osta a tale ragionamento.

23.      In tali circostanze, lo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia conforme alle disposizioni del diritto [dell’Unione], a quelle della [direttiva IVA] (tenendo conto segnatamente dell’articolo 183), e ai principi di effettività, di efficacia diretta e di equivalenza una prassi di uno Stato membro in forza della quale, nell’esaminare le pertinenti disposizioni in materia di [interessi], si muove dal presupposto che l’autorità tributaria nazionale non abbia commesso una violazione (omissione) – ossia, non sia incorsa in alcuna mora per quanto attiene alla parte non recuperabile dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo, l’«IVA») (…) dovuta sugli acquisti non pagati dei soggetti passivi – in quanto, all’epoca della decisione dell’autorità tributaria nazionale, la normativa nazionale in contrasto con il diritto [dell’Unione] era in vigore e la Corte di giustizia ha dichiarato solo in seguito l’incompatibilità con il diritto [dell’Unione] del presupposto in essa stabilito.

2)      Se sia conforme al diritto [dell’Unione], in particolare alle disposizioni della direttiva IVA (tenendo conto segnatamente dell’articolo 183) e ai principi di equivalenza, di effettività e di proporzionalità, una prassi di uno Stato membro che, nell’esaminare le pertinenti disposizioni in materia di [interessi], distingue a seconda che l’autorità tributaria nazionale non abbia rimborsato l’imposta nell’osservanza delle disposizioni nazionali allora vigenti – risultate contrarie al diritto [dell’Unione] – oppure se ciò sia avvenuto in violazione delle medesime, e che, per quanto attiene all’entità del tasso degli interessi maturati sull’IVA il cui rimborso non ha potuto essere chiesto entro un termine ragionevole a motivo di un presupposto di diritto nazionale dichiarato contrario al diritto dell’Unione dalla Corte di giustizia, indica due periodi distinti, di modo che,

–        nel primo periodo, i soggetti passivi hanno il diritto di percepire [interessi] soltanto al tasso di base applicato dalla Banca centrale, tenuto presente che, essendo in quel momento ancora in vigore la normativa ungherese contraria al diritto [dell’Unione], le autorità tributarie ungheresi non hanno agito illegittimamente non autorizzando il pagamento, entro un termine ragionevole, dell’IVA indicata nelle fatture, mentre,

–        nel secondo periodo, dev’essere corrisposto un interesse pari al doppio del tasso di base applicato dalla Banca centrale — applicabile in caso di mora nell’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi— solo per il pagamento tardivo degli [interessi] dovuti sul primo periodo.

3)      Se l’articolo 183 della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che il principio di equivalenza osta a una prassi di uno Stato membro in forza della quale l’autorità tributaria paga sull’IVA non rimborsata soltanto l’interesse corrispondente al tasso di base (semplice) della Banca centrale in caso di violazione del diritto dell’Unione, mentre, in caso di violazione del diritto nazionale, detta autorità paga un interesse pari al doppio di tale tasso».

B.      Causa C-126/18

24.      Il 30 dicembre 2016, la Dalmandi ha presentato all’autorità tributaria di primo grado una domanda di pagamento di interessi sugli importi dell’IVA che non erano stati rimborsati in tempo tra il 2005 e il 2011 a causa dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati. L’importo richiesto ammontava a HUF 74 518 800 (EUR 240 515 circa). Per il calcolo degli interessi riguardanti il risarcimento dei danni direttamente subiti, la domanda ha tenuto conto dell’intero periodo compreso tra la data di scadenza del rimborso per ogni periodo di riferimento in questione e la data di scadenza del rimborso per il periodo di riferimento durante il quale è stata adottata la legge di modifica, ossia il 5 dicembre 2011. Ai fini di tale calcolo, nella stessa è stato applicato un tasso pari al doppio del tasso di base della banca centrale, conformemente all’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale. Inoltre, la Dalmandi ha chiesto il pagamento di interessi supplementari per il periodo dal 5 dicembre 2011 alla data di pagamento effettivo, applicando anche il tasso di cui all’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale.

25.      Con decisione del 10 marzo 2017, l’autorità tributaria di primo grado ha parzialmente accolto la domanda della Dalmandi, concedendo interessi pari a HUF 34 673 000 (EUR 111 035 circa) sugli importi relativi all’IVA detraibile eccedente illegittimamente trattenuti per il periodo compreso tra il quarto trimestre 2005 e settembre (terzo trimestre) 2011, respingendo la domanda quanto al resto.

26.      La sua decisione era fondata sui principi stabiliti nella decisione di principio della Corte suprema n. 18/2017. In primo luogo, per quanto riguarda la richiesta di interessi, essa ha applicato gli articoli 124/C e 124/D del codice di procedura fiscale. In secondo luogo, essa ha ritenuto che la richiesta della Dalmandi relativa al pagamento di interessi composti fosse infondata, in quanto la stessa non aveva presentato né una domanda di rimborso straordinario né una dichiarazione dei redditi contenente la domanda di rimborso. In terzo luogo, per quanto riguarda il 2005, essa ha respinto la richiesta della Dalmandi di pagamento degli interessi, constatando la prescrizione relativamente ai primi tre trimestri di tale anno.

27.      Con decisione del 12 giugno 2017, l’autorità tributaria di secondo grado, dinanzi alla quale la Dalmandi aveva presentato ricorso, ha ridotto l’importo degli interessi maturati a favore della Dalmandi a HUF 34 259 000 e ha confermato quanto al resto la decisione dell’autorità tributaria di primo grado.

28.      La Dalmandi ha proposto ricorso contro quest’ultima decisione dinanzi al giudice del rinvio. In linea di massima, essa ha ribadito le sue precedenti richieste presentate dinanzi alle amministrazioni tributarie. In particolare, essa ha sostenuto che la decisione di principio della Corte suprema n. 18/2017, sulla quale si è basata l’autorità tributaria di secondo grado nella sua decisione del 12 giugno 2017, viola i principi di equivalenza, di effettività e di efficacia diretta del diritto dell’Unione laddove i) dichiara che l’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale è inapplicabile in quanto l’autorità tributaria non aveva commesso alcuna violazione nell’applicare il diritto nazionale allora in vigore; ii) esclude che un’omissione possa essere imputata all’autorità tributaria se non è stata presentata una richiesta di rimborso straordinario; e iii) fissa come data a partire dalla quale deve essere calcolato il termine di prescrizione la data precedente a quella a partire dalla quale il credito degli interessi è divenuto esigibile.

29.      In tali circostanze, lo Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia conforme alle disposizioni del diritto [dell’Unione], a quelle della [direttiva IVA] (tenendo conto segnatamente dell’articolo 183), e ai principi di effettività, di efficacia diretta e di equivalenza una prassi giudiziale di uno Stato membro in forza della quale, nell’esaminare le pertinenti disposizioni in materia di [interessi], si muove dal presupposto che l’autorità tributaria nazionale non abbia commesso una violazione (omissione) – ossia, non sia incorsa in alcuna mora per quanto attiene alla parte non recuperabile dell’IVA dovuta sugli acquisti non pagati dei soggetti passivi – in quanto, all’epoca della decisione di detta autorità tributaria nazionale, la normativa nazionale in contrasto con il diritto [dell’Unione] era in vigore e la Corte di giustizia ha dichiarato solo in seguito l’incompatibilità con il diritto [dell’Unione] del presupposto in essa stabilito. La prassi nazionale ha quindi accolto come quasi conforme alla legge l’applicazione di tale presupposto stabilito nella normativa nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione finché il legislatore nazionale lo ha formalmente abrogato.

2)      Se siano conformi al diritto [dell’Unione], in particolare alle disposizioni della direttiva IVA (tenendo conto segnatamente dell’articolo 183), e ai principi di equivalenza, di effettività e di proporzionalità, la normativa e la prassi di uno Stato membro che, nell’esaminare le pertinenti disposizioni in materia di [interessi], distinguono a seconda che l’autorità tributaria non abbia rimborsato l’imposta nell’osservanza delle disposizioni nazionali allora vigenti – risultate contrarie al diritto [dell’Unione] – o se ciò sia avvenuto in violazione delle medesime, e che, per quanto attiene all’entità del tasso degli interessi maturati sull’IVA il cui rimborso non ha potuto essere chiesto entro un termine ragionevole a motivo di un presupposto di diritto nazionale dichiarato contrario al diritto dell’Unione dalla Corte di giustizia, indicano due periodi distinti, di modo che,

–        nel primo periodo, i soggetti passivi hanno il diritto di percepire [gli interessi] soltanto al tasso di base applicato dalla Banca centrale, tenuto presente che, essendo in quel momento ancora in vigore la normativa ungherese contraria al diritto [dell’Unione], le autorità tributarie ungheresi non hanno agito illegittimamente non autorizzando il pagamento, entro un termine ragionevole, dell’IVA indicata nelle fatture, mentre

–        nel secondo periodo, dev’essere corrisposto un interesse pari al doppio del tasso di base applicato dalla Banca centrale – applicabile in caso di mora nell’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi— solo per il pagamento tardivo degli [interessi] dovuti sul primo periodo.

3)      Se sia conforme al diritto [dell’Unione], all’articolo 183 della direttiva IVA e al principio di effettività una prassi di uno Stato membro che prevede, come data iniziale per il calcolo (...) [dell’]interesse composto (...) maturat[o] ai sensi delle disposizioni dello Stato membro relative al pagamento tardivo degli interessi di mora sull’imposta trattenuta in violazione del diritto dell’Unione (interessi sull’IVA; nel caso di specie, l’importo capitale), non la data originaria di maturazione degli interessi sull’IVA (capitale), bensì un momento successivo, considerando in particolare che la domanda di pagamento degli interessi sulle imposte trattenute o non rimborsate in violazione del diritto dell’Unione costituisce un diritto soggettivo che trae origine direttamente dal diritto dell’Unione stesso.

4)      Se sia conforme al diritto [dell’Unione], all’articolo 183 della direttiva IVA e al principio di effettività una prassi di uno Stato membro in forza della quale il soggetto passivo deve presentare una domanda separata in caso di richiesta di pagamento degli interessi maturati a seguito di infrazione dovuta a mora dell’autorità tributaria, mentre in altri casi di richiesta di pagamento degli interessi di mora tale domanda separata non è necessaria in quanto gli interessi sono concessi d’ufficio.

5)      Se, in caso di risposta affermativa alla questione di cui sopra, sia conforme al diritto [dell’Unione], all’articolo 183 della direttiva IVA e al principio di effettività una prassi di uno Stato membro in forza della quale può essere concesso l’interesse composto (interessi sugli interessi) dovuto per il pagamento tardivo degli interessi sull’imposta trattenuta in violazione del diritto dell’Unione secondo quanto statuito dalla Corte (interessi sull’IVA; nel caso di specie, l’importo capitale) solo qualora il soggetto passivo presenti una domanda straordinaria mediante cui non richiede specificamente gli interessi, bensì l’importo dell’imposta sugli acquisti non pagati dovuta esattamente al momento dell’abrogazione, nel diritto interno, della norma dello Stato membro contraria al diritto dell’Unione che obbligava a trattenere l’IVA a motivo di detto mancato pagamento, sebbene gli interessi sull’IVA, che sono alla base della richiesta di pagamento dell’interesse composto in merito ai periodi di dichiarazione precedenti alla domanda straordinaria, siano già maturati e non siano ancora stati pagati.

6)      Se, in caso di risposta affermativa alla questione di cui sopra, sia conforme al diritto dell’Unione, all’articolo 183 della direttiva IVA e al principio di effettività una prassi di uno Stato membro che comporta la perdita del diritto di percepire l’interesse composto (interesse sugli interessi), dovuto sul pagamento tardivo degli interessi sull’imposta trattenuta in violazione del diritto dell’Unione secondo quanto statuito dalla Corte (interessi sull’IVA; nel caso di specie, l’importo capitale) in merito alle richieste di pagamento degli interessi sull’IVA che non rientravano nel periodo di dichiarazione dell’IVA interessato dal termine di decadenza stabilito per la presentazione della domanda straordinaria, in quanto detti interessi erano maturati in precedenza.

7)      Se sia conforme al diritto [dell’Unione] e all’articolo 183 della direttiva IVA (tenendo conto segnatamente del principio di effettività e della natura di diritto soggettivo della richiesta di pagamento degli interessi dovuti sulle imposte ingiustificatamente non rimborsate) una prassi di uno Stato membro che priva definitivamente il soggetto passivo della possibilità di richiedere interessi sull’imposta trattenuta ai sensi di una normativa nazionale successivamente dichiarata contraria al diritto [dell’Unione] e che impediva di richiedere l’IVA rispetto ad alcuni acquisti non pagati, di modo che

–        [in forza di detta prassi] si considerasse infondata la richiesta di pagamento degli interessi nel momento in cui era esigibile [il rimborso del] l’imposta, sostenendo la validità della disposizione successivamente dichiarata contraria al diritto [dell’Unione] (poiché non c’era stato ritardo e l’amministrazione tributaria si era limitata ad applicare la legge in vigore),

–        e in seguito, nel momento in cui era stata abrogata nell’ordinamento giuridico interno la disposizione dichiarata contraria al diritto [dell’Unione] che limitava il diritto al rimborso, facendo valere la prescrizione.

8)      Se sia conforme al diritto [dell’Unione], all’articolo 183 della direttiva IVA e al principio di effettività una prassi di uno Stato membro in forza della quale la possibilità di richiedere gli [interessi] da pagare sugli interessi dell’IVA (importo capitale) che spettano al soggetto passivo per l’imposta non rimborsata nel momento in cui era originariamente esigibile, in base a una norma del diritto interno successivamente dichiarata contraria al diritto [dell’Unione], dipende, per l’intero periodo compreso tra il 2005 e il 2011, dal fatto che il soggetto passivo abbia tuttora la facoltà di chiedere il rimborso dell’IVA relativa al periodo di dichiarazione di detta imposta nel quale la disposizione contraria al diritto [dell’Unione] di cui trattasi (settembre 2011) è stata abolita dall’ordinamento giuridico interno, sebbene il pagamento degli interessi sull’IVA (importo capitale) non fosse avvenuto prima di allora né in una fase successiva, prima del momento in cui la domanda è stata proposta dinanzi al giudice nazionale».

IV.    Analisi

A.      Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

30.      Il governo ungherese sostiene che le questioni presentate sono irricevibili, in quanto non spetta alla Corte, bensì al giudice nazionale, esaminare la questione sollevata nei procedimenti principali relativa al pagamento degli interessi. Mentre il diritto agli interessi deriva, in casi come quelli in esame, dal diritto dell’Unione, secondo una giurisprudenza consolidata, spetta agli Stati membri definire il metodo di calcolo e di pagamento di tali interessi. È vero che il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri al riguardo è disciplinato dalla necessità di garantire il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, ma la verifica del rispetto di tali principi è, almeno in un primo tempo, lasciata ai soli giudici nazionali.

31.      Anzitutto, si deve osservare che, mentre il governo ungherese fa riferimento all’irricevibilità delle questioni pregiudiziali, i suoi argomenti riguardano in realtà la competenza della Corte a pronunciarsi su tali questioni in quanto, in sostanza, spetta unicamente ai giudici nazionali pronunciarsi sulla conformità della legislazione nazionale ai principi di equivalenza e di effettività.

32.      A tal proposito, è vero che, in forza dell’articolo 267 TFUE, la Corte non è competente ad applicare le norme del diritto dell’Unione a una fattispecie concreta, ma unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione dei Trattati e degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione (4). Si può osservare, tuttavia, che le questioni sollevate non riguardano né la concreta applicazione del diritto dell’Unione nei procedimento principale, né l’esatta determinazione dell’importo del risarcimento dovuto alle ricorrenti, bensì l’interpretazione di alcune disposizioni o di alcuni principi del diritto dell’Unione in circostanze analoghe a quelle di cui trattasi in tale procedimento. In particolare, la questione se e in quale misura gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità per definire il metodo di calcolo del risarcimento da concedere a causa dell’applicazione di una disposizione dichiarata contraria al diritto dell’Unione è di per sé una questione di interpretazione del diritto dell’Unione. Tutto ciò significa che la Corte è pienamente competente ad affrontare detta questione.

33.      Di conseguenza, ritengo che la Corte sia in realtà competente a rispondere alle questioni pregiudiziali e che, pertanto, non debba dichiarare che le questioni sollevate sono irricevibili.

B.      Osservazioni preliminari

34.      Prima di esaminare le varie questioni sollevate da questi due casi di specie, è necessario formulare alcune osservazioni preliminari sul contesto in cui si sono verificati.

35.      Nella sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530), la Corte ha constatato che, applicando la condizione degli acquisti pagati alle richieste di rimborso dell’IVA relativamente all’IVA detraibile eccedente, l’Ungheria ha violato l’articolo 183 della direttiva IVA, nonché il principio di neutralità fiscale. A tale riguardo, non propongo di tornare alle ragioni che hanno portato a detta sentenza. Tuttavia, è importante sottolineare che, in virtù del primato del diritto dell’Unione, questa constatazione ha fatto sorgere l’obbligo per l’Ungheria di trarre dalla sentenza di cui trattasi le necessarie conclusioni.

36.      Tali obblighi comprendono l’abrogazione da parte di tale Stato membro della condizione degli acquisti pagati(5), il rimborso delle eccedenze dell’IVA detraibile ancora esistenti alla data della sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530) (6) e il risarcimento dei soggetti passivi per le perdite subite a causa dell’applicazione di tale condizione (7). Le cause in esame hanno ad oggetto soltanto l’ultimo obbligo. A tal proposito, va ricordato che il fatto che uno Stato membro abbia violato il diritto dell’Unione non è di per sé sufficiente per ritenerlo responsabile dei danni causati. Devono essere soddisfatte le tre condizioni elaborate nella sentenza Francovich (8) (in prosieguo: le «condizioni Francovich») affinché sia dichiarata la responsabilità di uno Stato membro: i) la norma giuridica dell’Unione violata è preordinata a conferire diritti ai soggetti lesi, ii) la violazione di tale norma è sufficientemente qualificata, e iii) esiste un nesso causale diretto tra la violazione e il danno subito dai soggetti lesi (9). Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata in materia di responsabilità delle istituzioni dell’Unione che, a mio avviso, è applicabile per analogia al caso della responsabilità dei singoli Stati membri (10), il danno subìto deve essere effettivo e certo (11). Poiché, nei procedimenti principali, l’IVA detraibile eccedente avrebbe potuto essere riutilizzata nella successiva dichiarazione dei redditi per compensare alcuni importi dell’IVA dovuti, era legittimo interrogarsi in merito a se il danno per cui si chiede il risarcimento sia effettivo e certo (12).

37.      Va sottolineato, tuttavia, che nell’ordinanza Delphi la Corte è stata assai esplicita: ogni soggetto passivo che abbia ottenuto il rimborso dell’IVA (detraibile) eccedente dopo un ragionevole periodo di tempo ha diritto agli interessi moratori ai sensi del diritto dell’Unione (13). Alla luce di tale ordinanza, è evidente che l’Ungheria ha l’obbligo di effettuare pagamenti di adeguati interessi per risarcire i soggetti passivi che abbiano subìto una perdita finanziaria a seguito dell’imposizione della condizione degli acquisti pagati.

38.      Pertanto, le uniche questioni che restano da decidere sono quelle dell’entità del risarcimento da concedere e dei rimedi che l’Ungheria deve prevedere per consentire ai soggetti passivi di esercitare il loro diritto al risarcimento di cui godono in base al diritto dell’Unione. Sono proprio queste le due questioni che vengono ora affrontate nelle cause riunite in esame. Di conseguenza, dette cause dovrebbero essere considerate per ciò che sono realmente, ossia due cause relative alla portata dell’obbligo degli Stati membri di pagare i danni da essi causati per non aver correttamente applicato il diritto dell’Unione (14). Per quanto riguarda la prima questione, va ricordato che quando le condizioni Francovich sono soddisfatte, gli Stati membri possono evitare la responsabilità solo in tre casi specifici.

39.      In primo luogo, l’obbligo di risarcimento può essersi prescritto in base al diritto nazionale. Propongo ora di esaminare tale aspetto nel contesto della settima questione.

40.      In secondo luogo, la vittima può aver contribuito a causare il proprio danno (15). Questa eccezione non si applica certamente nel procedimento principale.

41.      Una terza eccezione può eventualmente entrare in gioco quando l’importo del risarcimento in questione potrebbe avere costi finanziari di tale portata per lo Stato di cui trattasi da mettere in discussione la stabilità delle sue finanze pubbliche. Tuttavia, salvo, forse, in circostanze del tutto eccezionali (16), spetta unicamente alla Corte limitare o sospendere l’effetto del diritto dell’Unione al fine di prendere in considerazione l’esistenza di circostanze eccezionali (17). Di conseguenza, gli Stati membri non possono far valere la propria buona fede o l’esistenza di circostanze eccezionali, quale il rischio di compromettere la stabilità delle finanze pubbliche, dinanzi ai propri giudici nazionali per chiedere una riduzione del risarcimento altrimenti dovuto – ammesso, naturalmente, che le condizioni Francovich siano soddisfatte (18) Poiché, nella causa in esame, l’Ungheria non ha sollevato tali questioni dinanzi alla Corte e dato che non risulta che sussistano circostanze eccezionali siffatte – come quelle cui fa riferimento la giurisprudenza della Corte – tale eccezione è irrilevante ai presenti fini.

42.      Poiché le ultime due eccezioni non si applicano nel caso di specie e lo Stato membro è stato ritenuto responsabile dei danni, la questione che si pone riguarda solo l’entità del risarcimento che deve essere concesso.

43.      A tal riguardo, si può osservare che, secondo alcune sentenze, i singoli hanno diritto ad un risarcimento integrale del danno subito (19), mentre secondo altre sentenze, in particolare in materia fiscale, in cui sono in gioco importi considerevoli, gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire semplicemente un adeguato risarcimento del danno subito (20).

44.      Da parte mia, ritengo che queste due linee giurisprudenziali non siano, in effetti, in contrasto tra loro. A mio avviso, ciò che la Corte ha cercato di evidenziare utilizzando la parola «adeguato» è che, in alcune situazioni particolari, l’obbligo prima facie di risarcire integralmente il danno causato dalla violazione del diritto dell’Unione può dover essere temperato, in alcuni casi, da considerazioni di praticabilità e di opportunità generale. In altri termini, anche quando sono soddisfatte le condizioni Francovich, il diritto di cui godono i singoli, in base all’ordinamento dell’Unione, di essere integralmente risarciti per qualsiasi violazione di tale diritto non è assoluto. Ho adottato tale posizione per le seguenti ragioni.

45.      In primo luogo, in alcuni casi, il diritto dell’Unione stesso prevede una norma specifica per calcolare il risarcimento da concedere. Tuttavia, come sottolineato dalla Corte, né la direttiva IVA né alcun altro atto dell’Unione prevede un metodo di calcolo degli interessi dovuti in caso di rimborso tardivo dell’IVA in eccesso. Di conseguenza, tale eccezione non si applica nel caso di specie.

46.      In secondo luogo, qualora l’esatta determinazione del danno subito sia eccessivamente difficile il risarcimento dovuto può essere calcolato sulla base di un metodo che, senza essere necessariamente esatto, è volto, per quanto possibile, a garantire il risarcimento integrale del danno subito (21).

47.      In terzo luogo, se le norme sul risarcimento adottate dagli Stati membri devono mirare a fornire almeno qualcosa di simile al risarcimento integrale del danno subito a causa della violazione del diritto dell’Unione, le modalità pratiche per raggiungere tale obiettivo sono necessariamente di competenza degli Stati membri, in quanto tale obiettivo richiede che si tenga conto di alcune variabili economiche nazionali. Gli Stati membri hanno pertanto la facoltà di specificare, alla luce degli indicatori economici esistenti, quali indicatori o tassi devono essere presi in considerazione. Naturalmente non possono scegliere un tasso la cui applicazione non miri almeno al risarcimento integrale del danno effettivo e certo subìto.

48.      Di conseguenza, ritengo che quando, nell’ordinanza del 17 luglio 2014, Delphi Hungary Autóalkatrész Gyártó (C-654/13, non pubblicata, EU:C:2014:2127), la Corte ha fatto riferimento alla sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail Ltd e a. (C-591/10, EU:C:2012:478), in cui è stato dichiarato, al punto 27, che spetta «all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti in presenza dei quali gli interessi devono essere corrisposti, segnatamente per quanto riguarda l’aliquota degli interessi medesimi e le loro modalità di calcolo (interessi semplici o interessi “composti”)», la Corte non intendeva discostarsi dal principio del risarcimento integrale, bensì fare riferimento al fatto che il tasso esatto da applicare – quello corrispondente ad un risarcimento integrale – dipende dalla situazione esistente, al momento, in ciascuno Stato membro (22).

49.      Oltre a queste situazioni, una volta soddisfatte le tre condizioni elaborate nella sentenza Francovich ai fini della dichiarazione di responsabilità di uno Stato membro, chiunque subisca un danno causato da una violazione del diritto dell’Unione ha diritto a un risarcimento integrale. Infatti, la concessione di qualcosa che sia almeno prossimo al risarcimento integrale è necessaria per garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione europea, come richiesto dal principio del primato di tale diritto (23) e in considerazione del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva sancito dall’articolo 47, paragrafo 1, della Carta.

50.      Di conseguenza, nel procedimento principale, i soggetti passivi interessati che hanno subito una perdita finanziaria a causa dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati hanno diritto, in linea di principio, ad una somma di denaro corrispondente a un risarcimento integrale. In particolare, poiché il governo ungherese non ha sostenuto dinanzi alla Corte, in pendenza della causa Commissione/Ungheria, l’esistenza di circostanze eccezionali che giustificassero la sospensione dell’applicazione nel tempo del diritto dell’Unione, esso non può più avanzare tale richiesta. In ogni caso, gli importi in questione, sebbene significativi, non sono di tale entità da pregiudicare la stabilità delle finanze pubbliche di tale Stato membro.

51.      Inoltre, nella misura in cui, in situazioni come quelle in esame, il danno verificatosi si configura come privazione del beneficio di una determinata somma di denaro per un periodo di tempo limitato, tale danno deve essere calcolato con riferimento al prezzo che si dovrebbe pagare per ottenere in prestito la stessa somma di denaro da un ente creditizio. Tale risarcimento deve quindi configurarsi come un pagamento di interessi. Tuttavia, non si tratta, in senso stretto, di interessi moratori nel senso comune del termine utilizzato dalla giurisprudenza della Corte.

52.      A tal riguardo, occorre sottolineare che le distinte tipologie di interessi e le loro denominazioni variano da uno Stato membro all’altro e che la giurisprudenza della Corte non è sempre stata coerente nell’uso di alcuni termini. In particolare, la nozione di «interessi moratori» sembra essere stata talvolta utilizzata nel senso della nozione francese di «intérêt moratoire» (24), che richiede l’esistenza di un debito riconosciuto, e in altri momenti in un senso più generale, che designa qualsiasi tipo di interessi collegati a un pagamento tardivo, siano essi punitivi o compensativi (25). Propongo quindi di concentrarsi sullo scopo dei distinti tipi di interessi di interessi piuttosto che sulle loro denominazioni o descrizioni, che possono variare a seconda del diritto e della prassi nazionale.

53.      Riguardo alla seconda questione, vale a dire, il metodo in base al quale il risarcimento deve essere pagato dagli Stati membri, secondo una giurisprudenza costante tali condizioni rientrano nell’autonomia procedurale di ogni Stato membro (26). Infatti, in mancanza di una normativa dell’Unione in tale settore, spetta all’ordinamento giuridico nazionale di ogni Stato membro stabilire le condizioni non già l’importo – alle quali gli interessi devono essere pagati (27). Tali condizioni devono essere tuttavia conformi ai principi di equivalenza e di effettività dei mezzi di ricorso (28).

54.      Il principio di effettività richiede che gli Stati membri prevedano un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (29). Di conseguenza, le norme procedurali che disciplinano detti rimedi non devono essere concepite in modo tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento giuridico dell’Unione (30). In linea più generale, tale principio richiede che i diritti spettanti agli individui in forza del diritto dell’Unione godano di un’effettiva applicazione (31).

55.      Quanto al principio di equivalenza, esso presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi oggetto e causa analoghi, tenuto conto tanto dell’oggetto quanto degli elementi essenziali dei pretesi analoghi ricorsi di natura interna (32). Per verificare se il principio di equivalenza sia rispettato nel procedimento principale occorre quindi esaminare se esista, oltre ad una disposizione sulla prescrizione come quella di cui al procedimento principale, applicabile ai ricorsi intesi a garantire nel diritto interno la salvaguardia dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce ai singoli, una disposizione sulla prescrizione applicabile ai ricorsi di natura interna che, alla luce del suo oggetto e dei suoi elementi essenziali, possa essere considerata simile alla suddetta prima disposizione sulla prescrizione (33).

56.      È alla luce di tali principi che occorre esaminare le questioni pregiudiziali.

57.      Infine, poiché i soggetti passivi hanno diritto, in linea di principio, di ricevere almeno un importo che corrisponda al risarcimento integrale del danno subito, propongo di esaminare congiuntamente le diverse questioni relative alla compatibilità con il diritto dell’Unione del metodo di calcolo dell’importo del risarcimento utilizzato dalla prassi nazionale in questione.

C.      Sulle tre questioni nella causa C-13/18 e sulle prime due questioni nella causa C-126/18

58.      In sostanza, il giudice del rinvio nella causa C-13/18, con le sue tre questioni, e il giudice del rinvio nella causa C-126/18, con le sue prime due questioni, chiedono se l’articolo 183 della direttiva IVA, nonché i principi di effettività e di equivalenza dei mezzi di ricorso e quelli di efficacia diretta e di proporzionalità, debbano essere interpretati, in una situazione come quella di cui trattasi nei procedimenti principali, nel senso che ostano ad una prassi nazionale di calcolo degli interessi dovuti a causa dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati, con riferimento al tasso corrispondente a quello della banca centrale e non al doppio di tale tasso, come previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi in caso di ritardato pagamento, da parte dell’amministrazione, di un debito dovuto.

59.      Poiché il diritto a qualcosa che equivale a un risarcimento integrale o a qualcosa di simile deriva dal principio del primato del diritto dell’Unione, è in tale contesto che propongo di esaminare le tre questioni nella causa C-13/18, nonché le prime due questioni nella causa C-126/18.

1.      La compatibilità della prassi nazionale con il diritto a un risarcimento integrale

60.      Come ho già precisato, il diritto dell’Unione richiede, in linea di principio, il risarcimento integrale del danno, ammesso, naturalmente, che le condizioni Francovich siano soddisfatte. Al fine di valutare la compatibilità della prassi nazionale in questione con il diritto dell’Unione, è necessario determinare, da un lato, il danno causato dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati e, dall’altro, se il risarcimento previsto dalla prassi nazionale miri a coprire integralmente il danno subito.

61.      Come ho chiarito in precedenza, il danno causato nei procedimenti principali consiste nell’indebita privazione del diritto di ottenere il rimborso dell’IVA detraibile eccedente entro i termini previsti dalla normativa nazionale (34). Poiché i soggetti passivi non hanno mai avuto diritto a utilizzare tale eccedenza nella successiva dichiarazione IVA per compensare un debito IVA, tale danno può essere trattato in concreto come l’equivalente di un pagamento tardivo (35). Pertanto, come nel caso di un pagamento tardivo, è necessario (i) accertare il periodo durante il quale il soggetto passivo è stato privato dei suoi diritti (in prosieguo: il «periodo di riferimento») e (ii) applicare all’importo dell’IVA detraibile eccedente, per la quale la persona interessata non ha potuto ottenere un rimborso, un tasso di interesse che rifletta le conseguenze di tale privazione al fine di quantificare l’importo del risarcimento dovuto.

62.      Nelle circostanze di cui trattasi nei procedimenti principali, il termine iniziale del periodo di riferimento corrisponde alla data in cui l’IVA detraibile eccedente avrebbe dovuto essere rimborsata al soggetto passivo se non fosse stata applicata la condizione degli acquisti pagati.

63.      A tal proposito, va ricordato che spetta agli Stati membri decidere la data del rimborso, a condizione che tale data sia compresa in un periodo ragionevole dopo la presentazione del modulo di dichiarazione IVA (in prosieguo: il «periodo di rimborso ragionevole») (36).

64.      Per quanto riguarda il termine finale del periodo di rimborso ragionevole, ai fini del danno di cui trattasi nei procedimenti principali, occorre distinguere due ipotesi a seconda che l’interessato abbia alla fine soddisfatto la condizione degli acquisti pagati o che l’interessato non avesse altra scelta se non quella di riportare l’eccedenza dell’IVA detraibile alla dichiarazione successiva.

65.      Nella prima situazione, poiché il danno subito è cessato alla data in cui l’IVA è stata infine rimborsata, tale data costituisce il termine finale del periodo di rimborso ragionevole.

66.      Nella seconda situazione, il termine finale del periodo di rimborso ragionevole dipende dal fatto che l’IVA detraibile eccedente riportata sia stata interamente utilizzata nella dichiarazione successiva per compensare un eventuale debito IVA. Se così è avvenuto, il danno è cessato il giorno in cui il soggetto passivo avrebbe dovuto pagare tale debito IVA, se l’IVA detraibile eccedente non fosse stata compensata con tale debito IVA. Nella situazione in cui l’IVA detraibile eccedente non sia stata interamente utilizzata a causa della mancanza di un debito IVA sufficiente, gli effetti dell’applicazione della condizione del corrispettivo pagato si estendono alla dichiarazione IVA successiva. Ne consegue che, in linea di principio, per ciascuno di tali esercizi successivi, occorre distinguere tra la parte dell’IVA detraibile eccedente che è nuova e quella riportata da dichiarazioni precedenti. Infatti, per la parte corrispondente al riporto di un’eccedenza precedente, non si dovrebbe applicare alcun periodo di rimborso ragionevole, poiché se il soggetto passivo avesse ottenuto il rimborso dell’eccedenza, avrebbe goduto dell’importo corrispondente senza interruzione.

67.      Tutto ciò è sufficiente per dimostrare che l’esatta quantificazione del pregiudizio subito nel presente procedimento è relativamente complessa.

68.      In tale contesto, si può affermare che la prassi nazionale di cui trattasi semplifica il calcolo da effettuare. Dal fascicolo risulta infatti che l’Ungheria mantiene come termine iniziale del periodo di rimborso ragionevole, utilizzato per il calcolo del danno, il giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione IVA. Ciò significa che il risarcimento è calcolato considerando come termine iniziale non già la data in cui avrebbe dovuto essere effettuato il rimborso, bensì il giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione del modulo di dichiarazione IVA sul quale il soggetto passivo ha indicato un importo IVA di segno negativo.

69.      Per quanto riguarda il termine finale del periodo considerato per calcolare il danno, la prassi nazionale mantiene la data di scadenza per la presentazione della dichiarazione successiva. Di conseguenza, per ogni periodo di riferimento IVA, viene calcolato un nuovo importo del danno sul presupposto che il danno subito sia maturato in modo definitivo l’ultimo giorno del termine per la presentazione del modulo di dichiarazione IVA sul quale il soggetto passivo ha indicato un importo IVA di segno negativo.

70.      Sebbene tale metodo sia diverso da quello che potrebbe essere utilizzato per calcolare il danno subito con assoluta precisione contabile, esso presenta il vantaggio di semplificare tale calcolo in quanto non distingue, per gli esercizi successivi, la parte imputabile a una precedente eccedenza riportata da quella nuova. Infatti, poiché non viene applicato alcun periodo di rimborso, è ininfluente la ragion d’essere dell’IVA detraibile eccedente. Per tale motivo, detto metodo è ancor più vantaggioso per i soggetti passivi di quello che consente un risarcimento integrale, poiché non viene applicato alcun periodo corrispondente al periodo di rimborso normalmente applicabile.

71.      Come ho precisato, la Corte ammette che, qualora sia difficile determinare con esattezza il danno subito, possa essere utilizzato un metodo basato su un ragionevole grado di approssimazione, purché l’importo del risarcimento non sia eccessivamente pregiudicato. Poiché, nella fattispecie, è piuttosto difficile calcolare con precisione l’esatta determinazione del danno subito, ritengo che l’Ungheria fosse, in linea di principio, autorizzata a semplificare tale calcolo.

72.      Per quanto riguarda il tasso di interesse da applicare per garantire un risarcimento integrale, tale tasso dovrebbe corrispondere a quello che un soggetto passivo avrebbe pagato per ottenere da un ente creditizio l’importo corrispondente all’IVA detraibile eccedente. Pertanto, si può presumere che il tasso di interesse applicabile sia pari al tasso applicato dalla banca centrale competente per prestiti a brevissimo termine, purché detto tasso sia aumentato per riflettere il margine normalmente applicato dagli enti creditizi (37). Infatti, se un soggetto passivo dovesse prendere in prestito una somma di denaro per risolvere un problema di flusso di cassa causato dal fatto di non aver ottenuto il rimborso dell’IVA detraibile eccedente, tale soggetto dovrebbe pagare un tasso superiore a quello applicato dalla banca centrale competente, in quanto quest’ultimo tasso è disponibile soltanto per enti creditizi.

73.      A prima vista, potrebbe sembrare che il metodo utilizzato nei procedimenti principali sia conforme ai requisiti dell’Unione. A un esame più attento, tuttavia, si può affermare che il metodo di calcolo utilizzato dalla prassi nazionale in questione contiene due elementi che, a mio avviso, non sono armonizzati con il principio del risarcimento integrale.

74.      Il primo riguarda il tasso applicato. Infatti, detto tasso previsto dalla prassi nazionale è quello applicato dalla banca centrale, senza alcun aumento che rifletta il margine normalmente applicato dagli enti creditizi. Anche se spetta agli Stati membri scegliere il tasso di interesse applicabile in base alla loro situazione economica (38), resta il fatto che, per raggiungere l’integrale risarcimento (o almeno qualcosa di prossimo a tale somma), il tasso scelto non può essere limitato al tasso di base applicato dalla banca centrale.

75.      Il secondo elemento, più significativo, è legato all’erosione monetaria causata dal decorso del tempo. Infatti, la nozione di risarcimento integrale implica che quando, come nei procedimenti principali, il danno è calcolato alla data in cui è maturato in modo definitivo, – anziché alla data in cui è stato accertato dall’amministrazione finanziaria o da un giudice nazionale – si debbano aggiungere al risarcimento pagato gli ulteriori interessi che rappresentano l’erosione monetaria verificatasi a partire dal momento in cui il danno è maturato in modo definitivo (39).

76.      A mio avviso, è il pagamento di tali interessi che la Corte aveva in mente al punto 34 dell’ordinanza del 17 luglio 2014, Delphi Hungary Autóalkatrész Gyártó (C-654/13, non pubblicata, EU:C:2014: 2127), quando ha dichiarato che «i soggetti passivi che hanno ottenuto il rimborso dell’IVA in eccesso dopo un periodo di tempo ragionevole, che spetta al giudice nazionale verificare, hanno diritto al pagamento degli interessi di mora ai sensi del diritto dell’Unione» (40).

77.      A tal proposito, occorre altresì sottolineare che tali interessi devono essere calcolati non in base al tasso applicato dagli istituti di credito (o dalla banca centrale), bensì con riferimento al tasso di inflazione, poiché il caso di specie, nella sua essenza, verte sull’’erosione del valore monetario del danno subìto dalla data in cui quest’ultimo è maturato in modo definitivo.

78.      Nel caso di specie, dalle informazioni fornite dai giudici del rinvio, confermate dalle parti in risposta a un quesito scritto, risulta che la prassi nazionale in esame prevede effettivamente il pagamento di interessi composti, ma che tali interessi iniziano a decorrere dal giorno successivo alla conclusione del periodo di rimborso di 45 giorni per la dichiarazione IVA del settembre 2011 (41) che, tenuto conto dei giorni non lavorativi, era il 6 dicembre 2011.

79.      Tuttavia, il danno subito dal soggetto passivo avrebbe potuto verificarsi e cessare ben prima di tale data, poiché, come è stato menzionato in precedenza, i soggetti passivi potrebbero aver soddisfatto la condizione degli acquisti pagati prima di dover presentare il modulo di dichiarazione IVA successivo o potrebbero aver utilizzato l’IVA detraibile eccedente per compensare un debito IVA nel modulo di dichiarazione IVA successivo (42).

80.      Infatti, sembra che gli interessi composti previsti dalla prassi nazionale siano di natura diversa, in quanto tali interessi sono dovuti a causa del pagamento tardivo del risarcimento da parte dell’amministrazione una volta presentata la domanda di pagamento e non a causa del danno subìto dai soggetti passivi a seguito dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati.

81.      Di conseguenza, osservo che, nei procedimenti principali, la prassi nazionale in esame semplicemente non prevede il pagamento di interessi volti a compensare l’erosione monetaria tra la data in cui il danno è maturato in modo definitivo, ossia quella in cui viene calcolato l’importo del risarcimento – nel caso di specie, la data di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione successiva – e la data in cui l’importo del risarcimento viene riconosciuto dall’amministrazione o da un giudice e diventa un credito esecutivo (43).

82.      Poiché, per questo motivo, la prassi nazionale non garantisce, a mio avviso, un adeguato risarcimento del danno subito dai soggetti passivi in questione, essa deve essere dichiarata contraria al diritto dell’Unione.

2.      Soluzione alternativa

83.      Nel caso in cui, tuttavia, la Corte dichiari che il risarcimento richiesto non debba avvicinarsi a un importo che equivale a un risarcimento integrale o dissenta in altro modo dall’analisi precedente, propongo ora esporre una soluzione alternativa alle questioni sollevate. Ritengo sia chiaro che, in un modo o nell’altro, il margine di manovra degli Stati membri per decidere il metodo di calcolo applicabile è comunque limitato dai principi di effettività e di equivalenza. La parte restante delle presenti conclusioni si basa su tale presupposto.

84.      Il principio di effettività richiede che i mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale consentano ai singoli di far valere i diritti di cui essi godono in base al diritto dell’Unione in modo significativo e non semplicemente teorico. Di conseguenza, tale principio dovrebbe essere interpretato nel senso che richiede che i mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale garantiscano ai singoli il diritto di chiedere il risarcimento del danno subito a causa di una violazione del diritto dell’Unione, sempre che le condizioni Francovich siano indipendentemente soddisfatte.

85.      Anche se il risarcimento dovuto dagli Stati membri conformemente alla sentenza Francovich non raggiungesse il livello di di un risarcimento integrale, ritengo che gli Stati membri debbano comunque risarcire i singoli per l’erosione monetaria, in relazione al valore del risarcimento, quando quest’ultimo è stato calcolato, come nel caso dei procedimenti principali, con riferimento a un evento passato, ossia il momento in cui il danno è maturato in modo definitivo (44).

86.      Di conseguenza, ritengo che, nei procedimenti principali, anche se non fosse richiesto che il livello di risarcimento dovuto dagli Stati membri si avvicini a un risarcimento integrale, la prassi nazionale in esame deve essere considerata nel senso che non garantisce un risarcimento adeguato.

87.      Come ho già precisato, per quanto riguarda il principio di equivalenza, tale principio richiede che la complessiva disciplina dei ricorsi si applichi indistintamente, da un lato, ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione, e, dall’altro, a quelli simili fondati sulla violazione del diritto interno, (45). È tuttavia evidente che tale principio non obbliga uno Stato membro ad estendere a tutte le azioni di ripetizione di tasse o canoni riscossi in violazione del diritto dell’Unione la sua disciplina interna più favorevole in materia di rimborso (46).

88.      La prassi nazionale in materia di risarcimento di cui trattasi nei procedimenti principali prevede l’applicazione non già dell’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale – che implica l’applicazione di un tasso di interesse equivalente al doppio del tasso della Banca centrale ungherese – bensì degli articoli 124/C e 124/D, del codice di procedura fiscale, che prevedono l’applicazione di un tasso pari al tasso di base della Banca centrale ungherese.

89.      Dal tenore letterale degli articoli 124/C e 124/D del codice di procedura fiscale risulta, tuttavia, chiaramente che essi si applicano non solo nel caso in cui la Corte di giustizia constati che una legge nazionale, come quella applicata in Ungheria, è contraria al diritto dell’Unione, ma anche quando l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) o la Kúria (Corte suprema) constata che la normativa nazionale è contraria alla legge fondamentale ungherese o, nel caso di un regolamento comunale, a qualsiasi altra norma di legge.

90.      In tali circostanze, sembra – benché spetti al giudice nazionale accertarlo – che gli articoli 124/C e 124/D del codice di procedura fiscale costituiscano una lex specialis destinata in particolare a disciplinare le conseguenze di una sentenza con la quale un giudice superiore constata che una norma nazionale è contraria ad una norma superiore che si applichi allo stesso modo ai ricorsi basati sul diritto dell’Unione e a quelli fondati esclusivamente sul diritto nazionale.

91.      È vero che la ragione addotta dalla Kúria (Corte suprema) per giustificare l’applicazione degli articoli 124/C e 124/D piuttosto che dell’articolo 37, paragrafo 6, del codice di procedura fiscale potrebbe essere considerata alquanto sorprendente. Infatti, secondo detto giudice, l’applicazione di questi due articoli si spiega con il fatto che, in circostanze come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, l’amministrazione tributaria non ha commesso, in realtà, una violazione della normativa nazionale in vigore quando ha applicato la condizione degli acquisti pagati, in quanto tale condizione era allora vigente. Così formulata, tale spiegazione sembra equivalere a negare che la precedente condizione degli acquisti pagati fosse contraria ab initio al diritto dell’Unione.

92.      Sebbene la spiegazione fornita dalla Kúria (Corte suprema) possa essere considerata alquanto sorprendente, ciò non incide di per sé sulla compatibilità della prassi nazionale con il diritto dell’Unione. Giungo a tale conclusione in quanto, una volta che i mezzi di ricorso messi a disposizione dei singoli dagli Stati membri sono conformi al diritto dell’Unione, il fatto che le ragioni della loro applicazione siano errate non li rende contrari a tale diritto. Pertanto, poiché gli articoli 124/C e 124/D si applicano indistintamente a entrambi i mezzi di ricorso basati sul diritto dell’Unione, da un lato, o esclusivamente sul diritto nazionale, dall’altro, non si può constatare alcuna violazione del principio di equivalenza (47).

93.      Alla luce del ragionamento precedentemente esposto, propongo di rispondere alle tre questioni sollevate nella causa C-13/18 e alle prime due questioni della causa C-126/18 dichiarando quanto segue: il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato, in una situazione come quella descritta dai giudici del rinvio, nel senso che osta ad una prassi nazionale che calcola gli interessi dovuti per risarcire il danno causato dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati sulla base di un tasso corrispondente a quello applicato dalla banca centrale competente alle principali operazioni di rifinanziamento, senza aumentare tale tasso per riflettere quello che un soggetto passivo, diverso da un ente creditizio, avrebbe potuto ottenere per prendere in prestito lo stesso importo, né prevedere interessi per compensare l’erosione monetaria, in relazione al valore del risarcimento dovuto, quando quest’ultimo è stato calcolato a partire dalla data in cui tale danno è maturato in modo definitivo.

D.      Le ultime sei questioni sollevate dal giudice del rinvio nella causa C-126/18

94.      Prima di esaminare le ultime sei questioni sollevate dal giudice nazionale nella causa C-126/18, vorrei formulare diverse osservazioni preliminari.

95.      In primo luogo, rilevo che, nelle sue questioni, il giudice del rinvio nella causa C-126/18 cita l’articolo 183 della direttiva IVA, la disposizione che non era stata rispettata dall’Ungheria riguardo alla precedente condizione degli acquisti pagati. Tuttavia, poiché tale articolo non menziona alcuna norma procedurale, detta disposizione non sembra essere pertinente. Inoltre, sebbene il giudice del rinvio si riferisca, nelle sue questioni, soltanto al principio di effettività, mi sembra necessario esaminare le questioni sollevate anche dal punto di vista del principio di equivalenza, poiché tali due principi pongono limiti all’autonomia procedurale di cui godono gli Stati membri nell’organizzazione dei loro mezzi di ricorso compensativi.

96.      In secondo luogo, poiché la prassi nazionale in esame prevede il pagamento di interessi composti solo in caso di pagamento tardivo degli interessi diretti a risarcire il danno derivante dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati, ritengo che, quando dette questioni fanno riferimento agli «interessi composti» siano effettivamente intese a riferirsi agli interessi di mora dovuti in relazione al pagamento tardivo del risarcimento, nel caso di specie calcolato dalla data in cui il danno è stato accertato (48). In ogni caso, alla luce della mia risposta fornita ai paragrafi da 78 a 80 delle presenti conclusioni, rimangono da esaminare le condizioni ai sensi delle quali tali interessi di mora devono essere corrisposti.

97.      In terzo luogo, le ultime sei questioni sollevate nella causa C-126/18 possono lasciar intendere che le condizioni per ottenere interessi sono particolarmente restrittive. Tuttavia, l’esposizione dei fatti effettuata dal giudice del rinvio indica che la prassi nazionale in esame non è così restrittiva come tali questioni sembrano implicare. Sembra, infatti, che i soggetti passivi lesi dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati avessero comunque diritto di ottenere interessi di mora, anche se non presentavano alcuna domanda a carattere straordinario, qualora, una volta presentata la loro domanda, l’amministrazione tributaria non avesse pagato il risarcimento dovuto entro il termine previsto dall’articolo 37, paragrafo 4, del codice di procedura fiscale ungherese (49).

98.      Tuttavia, spetta al giudice del rinvio nella causa C-126/18 verificare la corrispondenza tra le ipotesi previste nelle questioni pregiudiziali e le circostanze effettive di cui trattasi nel procedimento principale.

1.      Sulla terza questione

99.      Con la terza questione, il giudice nazionale nella causa C-126/18 chiede, in sostanza, se i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale che, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, considera come termine iniziale per il calcolo degli interessi di mora dovuti per il tardivo pagamento del risarcimento non la data in cui si è verificato il danno né quella in cui gli interessi versati a titolo di risarcimento del danno principale sono divenuti esigibili per la prima volta, bensì una data successiva.

100. A tal proposito, vorrei sottolineare che, a mio avviso, l’obbligo di accordare ciò che in sostanza si avvicina al risarcimento integrale del danno causato dalla violazione del diritto dell’Unione non comporta, in quanto tale, l’obbligo per lo Stato membro interessato di pagare interessi di mora in caso di pagamento tardivo del risarcimento. Infatti, il pagamento di tali interessi non deriva direttamente dalla violazione del diritto dell’Unione, da parte dello Stato membro interessato, bensì dalla circostanza oggettiva che lo Stato in questione è in ritardo nel pagamento di un debito dovuto.

101. A tale riguardo, ritengo che il principio di effettività imponga agli Stati membri di prevedere nella loro legislazione nazionale il pagamento di interessi di mora in caso di ritardo nel pagamento del risarcimento dovuto per la violazione, da parte di tale Stato, degli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto dell’Unione. In caso contrario, gli Stati membri non avrebbero alcun incentivo a pagare il risarcimento a soggetti che abbiano subito gli effetti di una violazione del diritto dell’Unione, situazione questa che priverebbe di qualsiasi efficacia il loro diritto a un risarcimento integrale (50).

102. Nel procedimento principale sembra che la Dalmandi ritenga che gli interessi di mora avrebbero dovuto essere applicati a partire dalla data di abrogazione della condizione degli acquisti pagati, o addirittura, dalla data di pronuncia, da parte della Corte, della sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530), in quanto l’autorità tributaria avrebbe dovuto risarcirla automaticamente per l’applicazione di tale condizione.

103. È vero che, quando la Corte constata che, applicando una legge nazionale, uno Stato membro è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto dell’Unione, il principio del primato del diritto dell’Unione impone a tale Stato membro di adottare immediatamente le misure necessarie per abrogare tale normativa e alle sue autorità nazionali di cessare immediatamente la sua applicazione (51).

104. Tuttavia, né il principio del primato del diritto dell’Unione né quello dell’effettività dei mezzi di ricorso impongono agli Stati membri di dover prevedere spontaneamente il risarcimento del danno da essi causato per effetto della violazione del diritto dell’Unione o addirittura di interrompere i termini di prescrizione predisponendo, come nel caso dell’Ungheria, una procedura amministrativa di risarcimento.

105. È vero che, se la Corte constata che un atto legislativo o amministrativo degli organi di uno Stato membro contrasta col diritto dell’Unione, tale Stato è tenuto a revocare l’atto di cui trattasi e, fatta salva l’applicazione delle condizioni Francovich, a riparare gli illeciti effetti di tale atto (52).

106. Tuttavia, come la Corte ha ripetutamente sottolineato, le norme procedurali che disciplinano il pagamento del risarcimento dovuto per una violazione del diritto dell’Unione dipendono dal diritto nazionale, che può richiedere la presentazione di una domanda di risarcimento (53). Pertanto, il semplice fatto che, immediatamente dopo la pronuncia della sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530), o addirittura dopo l’adozione della legge di modifica, l’Ungheria non abbia spontaneamente pagato, in realtà, alcun risarcimento ai soggetti passivi che siano stati lesi dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati non determina automaticamente l’applicazione di interessi moratori relativamente a tale risarcimento. Solo se la normativa nazionale prevede che, qualora un atto legislativo nazionale sia stato riconosciuto da un giudice come violazione di una norma giuridica superiore, tali interessi decorrano, ipso jure, a partire dalla pronuncia della sentenza, lo Stato membro interessato è tenuto, in virtù del principio di equivalenza, ad applicare spontaneamente gli interessi di mora.

107. Poiché gli Stati membri non sono quindi obbligati a risarcire spontaneamente il danno che hanno causato per effetto della violazione del diritto dell’Unione, ne consegue, a sua volta, che uno Stato membro può prevedere, in linea di principio, che gli interessi di mora non maturino dalla data in cui si è verificato il danno.

108. Analogamente, gli Stati membri non sono obbligati a prevedere che siffatti interessi siano corrisposti subito dopo che l’amministrazione o l’autorità giurisdizionale interessata abbia stabilito che tale danno deve essere risarcito.

109.  È vero che, in caso di ritardato pagamento di un risarcimento dovuto ai sensi del diritto dell’Unione, gli Stati membri devono prevedere il pagamento di tali interessi. Tuttavia, non ci si può attendere che l’amministrazione paghi detto risarcimento immediatamente, una volta che il danno sia stato riconosciuto (54). Pertanto, il principio di effettività non obbliga gli Stati membri a prevedere che il termine iniziale per il calcolo degli interessi di mora sia la data in cui si è verificato il danno o in cui gli interessi pagati a titolo di risarcimento del danno principale sono divenuti esigibili per la prima volta, ma piuttosto che si collochi all’interno di un periodo di tempo ragionevole decorrente dopo che il danno è stato riconosciuto dall’organo amministrativo interessato o da un organo giurisdizionale.

110. Nel procedimento principale, la prassi nazionale, a quanto mi consta, prevede il pagamento di tali interessi nel caso in cui l’amministrazione non abbia versato gli interessi per risarcire il danno entro 30 giorni (in alcuni casi 45 giorni) dalla presentazione di una domanda di risarcimento, il che sembra essere un termine ragionevole perché l’amministrazione possa valutare il merito della domanda. Tale periodo non può essere quindi considerato contrario al principio di effettività.

111. Quanto al principio di equivalenza, poiché il giudice del rinvio nella causa C-126/18 è l’unico a conoscere le modalità di applicazione di questo tipo di interessi in altre circostanze, spetta a tale giudice verificare che, nel caso di specie, non siano applicati termini più brevi, quando lo Stato membro interessato deve pagare un risarcimento per un motivo basato esclusivamente sul diritto tributario nazionale.

112. In tale contesto, propongo di rispondere alla terza questione dichiarando che i principi di effettività e di equivalenza dei mezzi di ricorso devono essere interpretati nel senso che non ostano a una prassi nazionale che, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, considera come termine iniziale per il calcolo degli interessi di mora dovuti per il tardivo pagamento del risarcimento non la data in cui gli interessi versati a titolo di risarcimento del danno principale sono divenuti esigibili per la prima volta, bensì una data successiva, a condizione, da un lato, che tale data non sia rinviata oltre un periodo di tempo ragionevole dopo il riconoscimento dell’obbligo di pagare tale risarcimento e che, dall’altro, la stessa data sia applicata in caso di pagamento tardivo di un risarcimento basato esclusivamente sul diritto nazionale.

2.      Sulla quarta questione

113. Con la quarta questione, il giudice nazionale nella causa C-126/18 chiede, in sostanza, se il principio di effettività e di equivalenza debba essere interpretato nel senso che osta a una prassi nazionale che impone ai soggetti passivi, per ottenere interessi di mora, di presentare una domanda a carattere straordinario, mentre in altri casi in cui sono del pari dovuti interessi di mora la stessa non è necessaria, in quanto tale tipo di interessi è concesso automaticamente.

114. A tal proposito, ritengo che imporre ai soggetti passivi di presentare un particolare tipo di domanda non sia, in quanto tale, contrario al principio di effettività. Infatti, secondo l’espressione utilizzata dalla Corte, tale requisito non ha l’effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (55). Tuttavia, se tale requisito deve essere applicato retroattivamente ai soggetti passivi che hanno proposto ricorso prima che la Corte si fosse pronunciata sulla compatibilità della condizione degli acquisti pagati con il diritto dell’Unione, tale requisito priverebbe (o, quanto meno, potrebbe privare) detti ricorsi di qualsiasi effetto utile (56) e, pertanto, dovrebbe essere considerato contrario al principio di effettività.

115. Quanto al principio di equivalenza, come è stato formulato, la questione così sollevata implica una violazione di tale principio. Infatti, come chiarito in precedenza, il principio di equivalenza richiede che ai ricorsi basati sul diritto dell’Unione si applichino le stesse norme procedurali applicabili a ricorsi analoghi basati sul diritto nazionale (57).

116. Tuttavia, nel procedimento principale, taluni elementi contenuti nei fascicoli potrebbero lasciar intendere che, contrariamente alla premessa su cui si basa la quarta questione quale formulata dal giudice del rinvio, la presentazione di una domanda a carattere straordinario sia richiesta non solo in circostanze come quelle di cui trattasi (ossia, una violazione del diritto dell’Unione), ma anche in altre situazioni che rientrano esclusivamente nel diritto nazionale.

117. Di conseguenza, propongo di riformulare la quarta questione e di rispondere alla stessa in modo tale che i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che non ostano ad una prassi nazionale che impone ai soggetti passivi di presentare una domanda straordinaria quando chiedono interessi di mora, qualora tale requisito si applichi ugualmente a prescindere dal fatto che il danno all’origine del debito il cui pagamento è tardivo sia derivato da una violazione del diritto dell’Unione o del diritto nazionale.

3.      Sulla quinta e sullottava questione

118. Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale secondo la quale gli interessi di mora possono essere concessi solo se il soggetto passivo ha presentato una domanda in base alla quale non sono specificamente richiesti gli interessi, bensì il rimborso dell’eccedenza dell’IVA detraibile ancora esistente alla data di abrogazione della condizione degli acquisti pagati.

119. Tale questione è simile all’ottava, in cui il giudice del rinvio chiede se i principi di effettività e di equivalenza ostino a una prassi nazionale in base alla quale gli interessi di mora possono essere richiesti solo se il soggetto passivo è in grado di chiedere il rimborso di un’eccedenza di IVA detraibile per il periodo di dichiarazione dei redditi durante il quale la condizione degli acquisti pagati è stata abrogata.

120. Esaminerò pertanto tali due questioni congiuntamente, anche se, per quanto mi consta, esiste una leggera differenza tra le stesse: la quinta questione riguarda un requisito formale, ossia l’obbligo per il soggetto passivo di presentare una domanda non collegata al debito il cui pagamento è scaduto, mentre l’ottava questione riguarda una condizione sostanziale, ossia che il soggetto passivo sia in grado di chiedere il rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile per il periodo di dichiarazione dei redditi durante il quale la disposizione contraria al diritto dell’Unione di cui trattasi è stata abrogata.

121. A tal riguardo, devo ammettere che una prassi che impone al soggetto passivo di presentare uno specifico tipo di domanda in materia di interessi di mora, sebbene insolita, non ha l’effetto, in quanto tale, di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Pertanto, tale condizione non è contraria al principio di effettività, purché siano soddisfatte le due condizioni seguenti.

122. In primo luogo, il soggetto passivo deve essere stato informato in modo relativamente chiaro e tempestivo della necessità di presentare questo tipo di domanda per ottenere gli interessi di mora.

123. In secondo luogo, tale requisito non deve celare alcuna condizione sostanziale. In particolare, tale requisito non deve avere l’effetto di limitare il pagamento degli interessi di mora ai soggetti passivi che dispongono ancora di un’eccedenza di IVA detraibile al momento dell’abrogazione della condizione degli acquisti pagati. Infatti, il danno all’origine del debito potrebbe essersi verificato ben prima dell’esercizio fiscale precedente a quello durante il quale è stata abrogata la condizione degli acquisti pagati. In tale situazione, infatti, il soggetto passivo dovrebbe avere il diritto di chiedere interessi di mora in caso di pagamento tardivo del risarcimento di tale danno – se non prescritto – anche se non dispone più un’eccedenza di IVA detraibile.

124. Ritengo pertanto che il principio di effettività osti a che gli Stati membri limitino il pagamento degli interessi di mora ai soggetti passivi che dispongono ancora di un’eccedenza di IVA detraibile al momento dell’abrogazione della condizione degli acquisti pagati.

125. Per quanto riguarda il principio di equivalenza, tale principio può altresì essere violato se i requisiti di cui alle questioni quinta e ottava sono applicati solo in caso di ritardo nel pagamento di un risarcimento per violazione del diritto dell’Unione e non in caso di violazione di una norma di diritto nazionale. Tuttavia, non vi sono informazioni sufficienti per stabilire se ciò è quanto avviene effettivamente nel procedimento principale (58).

126. Ovviamente, la situazione sarebbe del tutto diversa per quanto riguarda il requisito consistente nell’avere la facoltà di chiedere il rimborso di un’eccedenza di IVA detraibile per il periodo di dichiarazione durante il quale la disposizione di cui trattasi contraria al diritto dell’Unione è stata abrogata, se quest’ultimo si applicasse soltanto alle domande di interessi per pagamento tardivo del risarcimento dovuto in relazione al periodo di tempo molto specifico in cui un’eccedenza di IVA detraibile era stata indicata nella dichiarazione IVA precedente all’adozione della legge di modifica.

127. In tal caso, poiché il requisito in questione non impedirebbe il pagamento di interessi per la tardiva corresponsione di un risarcimento dovuto per un danno verificatosi prima di tale periodo a favore di un soggetto passivo che non vantava più un’eccedenza di IVA detraibile quando la condizione degli acquisti pagati è stata abrogata, non è rinvenibile, a mio avviso, alcuna violazione del principio di effettività. Infatti, tale requisito equivarrebbe semplicemente a verificare l’esistenza di un danno effettivo chiedendo agli interessati di indicare se dispongono di un’eccedenza di IVA detraibile per l’esercizio in corso.

128. Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alla quinta e all’ottava questione in modo tale che i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che non ostano ad una prassi nazionale secondo cui gli interessi di mora possono essere concessi solo se un soggetto passivo ha presentato una domanda il cui contenuto non riguarda il pagamento del risarcimento dovuto per tutti i danni inflitti a seguito dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati, ma il rimborso, alla data di abrogazione di tale condizione, dell’IVA detraibile eccedente esistente in tale data, se, per presentare tale domanda, il soggetto passivo non è tenuto a disporre ancora, a tale data, di un’eccedenza di IVA detraibile, e tale requisito si applica anche in caso di ritardo nel pagamento di un risarcimento per violazione di una norma di diritto nazionale.

4.      Sulla sesta questione

129. Con la sesta questione, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che ostano alla prassi nazionale di uno Stato membro che prevede l’applicazione di interessi di mora solo per l’importo della perdita finanziaria verificatasi nel periodo di riferimento dell’IVA precedente alla presentazione della domanda.

130. A tal riguardo, occorre ricordare che, nel procedimento principale, il danno si è verificato quando, dopo che nel modulo di dichiarazione IVA era stata indicata un’eccedenza di IVA detraibile, l’autorità tributaria non l’ha rimborsata entro il termine previsto dal diritto nazionale.

131. Pertanto, prevedendo che gli interessi di mora si applicassero solo sull’importo del danno verificatosi durante il periodo di riferimento dell’IVA precedente alla presentazione della domanda, una prassi nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, da un lato, richiede la presentazione di una domanda per ogni esercizio fiscale e, dall’altro, stabilisce un termine di prescrizione. Tale termine di prescrizione corrisponde alla durata residua dell’esercizio durante il quale si è verificata la perdita finanziaria, aumentata della durata dell’esercizio successivo. Propongo ora di esaminare separatamente questi due effetti della prassi nazionale.

132. Nella misura in cui la prassi nazionale ha l’effetto di obbligare i soggetti passivi a presentare una domanda nel caso specifico in cui affermano di aver subito un danno, tale prassi non sembra contraria ai principi di effettività o di equivalenza, purché la stessa condizione si applichi anche in caso di ritardo nel pagamento di un debito derivante dalla violazione di una norma di diritto nazionale (59).

133. Nella misura in cui tale prassi nazionale ha l’effetto di istituire un termine di prescrizione, potrebbe essere contrario al principio di effettività il fatto che tale termine di prescrizione sia troppo breve per consentire ad una persona ragionevolmente attenta e prudente di presentare una richiesta di interessi moratori, tenuto conto della portata dei requisiti formali richiesti a tal riguardo e della portata delle informazioni pertinenti su cui viene richiamata l’attenzione di tale persona.

134. Sarebbe questo il caso anche se la prassi nazionale fosse applicata retroattivamente ‐ vale a dire a periodi precedenti alla sua adozione – e se, così facendo, ostacolasse qualsiasi pagamento di interessi moratori per tardivo pagamento di danni in relazione a un qualsivoglia periodo precedente a quello anteriore alla presentazione della domanda. In una situazione siffatta, i soggetti passivi non potrebbero ovviamente soddisfare tale periodo di prescrizione, dal momento che non sarebbero in grado di prevedere che sarà abrogato. Si tratta di questioni che, peraltro, spetta al giudice del rinvio valutare.

135. Per quanto riguarda il principio di equivalenza, spetta al giudice nazionale verificare se, in almeno una situazione analoga, sia applicato un termine analogo a un debito basato esclusivamente sul diritto nazionale.

136. Pertanto, propongo di rispondere alla sesta questione dichiarando che i principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che non ostano a una prassi nazionale in base alla quale gli interessi di mora si applicano solo riguardo all’importo della perdita finanziaria verificatasi durante il periodo di riferimento IVA precedente alla presentazione della domanda, se il termine di prescrizione così stabilito da tale prassi nazionale non è troppo breve per consentire ad una persona ragionevolmente attenta e prudente di presentare una richiesta di interessi moratori, se tale condizione non è applicata con effetto retroattivo e se si applica anche in caso di ritardo nel pagamento di un debito derivante dalla violazione di una norma di diritto nazionale.

5.      Sulla settima questione

137. Con la settima questione, il giudice nazionale chiede, in sostanza, se i principi di effettività e di equivalenza debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale che priva definitivamente il soggetto passivo della possibilità di chiedere interessi moratori per il fatto che, da un lato, la condizione degli acquisti pagati era in vigore al momento della sua applicazione e, dall’altro, il termine di prescrizione per presentare tale domanda è scaduto.

138. Per quanto riguarda la prima parte della questione, va ricordato ancora una volta che il pagamento degli interessi di mora è necessario per garantire l’effettività del diritto di ogni individuo di essere integralmente risarcito per qualsiasi danno causato dalla violazione, da parte di uno Stato membro, del diritto dell’Unione. Di conseguenza, ritengo improbabile che il fatto che la disposizione, successivamente dichiarata contraria al diritto dell’Unione, fosse in vigore al momento della sua applicazione giustifichi la mancata applicazione degli interessi di mora (60).

139. Per quanto riguarda la seconda parte della questione, occorre sottolineare che la Corte ha già riconosciuto la compatibilità con il diritto dell’Unione della fissazione di termini ragionevoli per proporre ricorsi (61) anche se, per definizione, il decorso di tali termini comporta il rigetto totale o parziale, dell’azione proposta (62). Tuttavia, per essere compatibili con il diritto dell’Unione, i termini di prescrizione applicati alle azioni risarcitorie per violazione del diritto dell’Unione devono essere conformi ai principi di equivalenza e di effettività.

140. Nel procedimento principale la prassi nazionale prevede un doppio termine di prescrizione (63).

141. Il primo riguarda il periodo di dichiarazione IVA per il quale può essere chiesto un risarcimento. Secondo le informazioni contenute nel fascicolo trasmesso alla Corte, la prassi nazionale prevede, in base all’articolo 164, paragrafo 1, del codice di procedura fiscale, che possono essere risarciti solo i danni verificatisi a partire dall’ultimo periodo di riferimento del 2005.

142. Siffatto termine di prescrizione non sembra essere contrario al principio di effettività, in quanto non rende impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento giuridico dell’Unione (64). Infatti, la Corte ha già riconosciuto la compatibilità con il diritto dell’Unione di termini di prescrizione triennali (65) o addirittura biennali (66). Inoltre, tale termine non sembra essere contrario al principio di equivalenza, in quanto il medesimo periodo di prescrizione quinquennale sembra applicabile ai mezzi di ricorso a carattere compensativo basati sulla violazione del diritto nazionale. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale punto.

143. Il secondo termine di prescrizione riguarda il termine entro il quale i soggetti passivi dovevano presentare la domanda di risarcimento.

144. A tal riguardo, dalla descrizione dei fatti in questione nella causa C-126/18, che sono stati anche menzionati durante l’udienza del governo ungherese, si può dedurre che, anche se i soggetti passivi non avevano presentato una domanda a carattere straordinario, avevano cinque anni dall’abrogazione della condizione degli acquisti pagati per presentare una domanda di risarcimento.

145. Poiché il termine di prescrizione non decorre dalla concretizzazione del danno, la prassi nazionale sembra aver comportato un’estensione del termine di prescrizione iniziale previsto dall’articolo 164, paragrafo 1, del codice di procedura fiscale (67). Se ciò è corretto, l’Ungheria è andata ben oltre quanto era richiesto dal diritto dell’Unione, ossia prevedere un termine di prescrizione sufficiente affinché i singoli possano esercitare i diritti ad essi conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Non vedo come, in tale contesto, il principio di effettività possa essere violato.

146. Per quanto riguarda il principio di equivalenza, dal fascicolo non risulta che è applicabile un termine di prescrizione più vantaggioso quando la Kúria (Corte suprema) constata che una disposizione è contraria a una norma nazionale superiore.

147. Propongo pertanto di rispondere alla settima questione dichiarando che i principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale che priva definitivamente i soggetti passivi della possibilità di chiedere interessi di mora in quanto la condizione degli acquisti pagati era in vigore al momento della sua applicazione. Tali principi non ostano, tuttavia, a una prassi nazionale che priva definitivamente i soggetti passivi della possibilità di chiedere interessi di mora in quanto il termine di prescrizione per presentare tale domanda è scaduto, se tale termine di prescrizione i) non è irragionevolmente breve e ii) si applica anche ai pagamenti tardivi di debiti relativi a danni causati da una disposizione che viola una legge nazionale superiore. Per evitare ogni possibile dubbio, è a mio avviso evidente che il termine di prescrizione quinquennale applicabile nel caso di specie non potrebbe essere considerato di per sé irragionevolmente breve.

V.      Conclusione

148. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo che la Corte risponda alle questioni sollevate dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) e dal Szekszárdi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szekszárd, Ungheria) nei seguenti termini:

1)      Il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato, in una situazione come quella descritta da tali giudici, nel senso che osta ad una prassi nazionale che calcola gli interessi dovuti per risarcire il danno causato dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati sulla base di un tasso corrispondente a quello applicato dalla banca centrale competente alle principali operazioni di rifinanziamento, senza aumentare tale tasso per riflettere quello che un soggetto passivo, diverso da un ente creditizio, avrebbe potuto ottenere per prendere in prestito lo stesso importo, né prevedere interessi per compensare l’erosione monetaria, in relazione al valore del risarcimento dovuto, quando quest’ultimo è stato calcolato a partire dalla data in cui tale danno è maturato in modo definitivo.

2)      I principi di effettività e di equivalenza dei mezzi di ricorso devono essere interpretati nel senso che non ostano a una prassi nazionale che considera come termine iniziale per il calcolo degli interessi di mora dovuti per il tardivo pagamento del risarcimento non la data in cui gli interessi versati a titolo di risarcimento del danno principale sono divenuti esigibili per la prima volta, bensì una data successiva, a condizione, da un lato, che tale data non sia rinviata oltre un periodo di tempo ragionevole dopo il riconoscimento dell’obbligo di pagare tale risarcimento e che, dall’altro, la stessa data sia applicata in caso di pagamento tardivo di un risarcimento basato esclusivamente sul diritto nazionale.

3)      I principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una prassi nazionale che impone ai soggetti passivi di presentare una domanda straordinaria quando chiedono interessi di mora, qualora tale requisito si applichi ugualmente a prescindere dal fatto che il danno all’origine del debito il cui pagamento è tardivo sia derivato da una violazione del diritto dell’Unione o del diritto nazionale.

4)      I principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una prassi nazionale secondo cui gli interessi di mora possono essere concessi solo se un soggetto passivo ha presentato una domanda il cui contenuto non riguarda il pagamento del risarcimento dovuto per tutti i danni inflitti a seguito dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati, ma il rimborso, alla data di abrogazione di tale condizione, dell’IVA detraibile eccedente esistente a tale data, se, per presentare tale domanda, il soggetto passivo non è tenuto a disporre ancora, a tale data, di un’eccedenza di IVA detraibile, e tale requisito si applica anche in caso di ritardo nel pagamento di un risarcimento per violazione di una norma di diritto nazionale.

5)      I principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che non osta a una prassi nazionale in base alla quale gli interessi di mora si applicano solo riguardo all’importo della perdita finanziaria verificatasi durante il periodo di riferimento IVA precedente alla presentazione della domanda, se il termine di prescrizione così stabilito da tale prassi nazionale non è troppo breve per consentire ad una persona ragionevolmente attenta e prudente di presentare una richiesta di interessi moratori, se tale condizione non è applicata con effetto retroattivo e se si applica anche in caso di ritardo nel pagamento di un debito derivante dalla violazione di una norma di diritto nazionale.

6)      I principi di effettività e di equivalenza devono essere interpretati nel senso che ostano ad una prassi nazionale che priva definitivamente i soggetti passivi della possibilità di chiedere interessi di mora in quanto la condizione degli acquisti pagati era in vigore al momento della sua applicazione. Tali principi non ostano, tuttavia, a una prassi nazionale che priva definitivamente i soggetti passivi della possibilità di chiedere interessi di mora in quanto il termine di prescrizione per presentare tale domanda è scaduto, se tale termine di prescrizione si applica anche ai pagamenti tardivi di debiti relativi a danni causati da una disposizione che viola una legge nazionale superiore.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Tuttavia, sembra che, nonostante le varie modifiche, il contenuto di questa disposizione sia rimasto sostanzialmente lo stesso, fatta eccezione per la circostanza che il termine di 45 giorni è ora applicabile se la domanda di rimborso supera la somma di 1 000 000 di fiorini ungheresi [(HUF)].


3      Sembra che, nella sua versione di tale disposizione, applicabile fino al 31 dicembre 2011, la Kúria non fosse inclusa tra gli organi giurisdizionali menzionati.


4      V., ad esempio, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria (C-83/14, EU:C:2015:480, punto 71).


5      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, «il primato del diritto dell’Unione impone che i giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le norme del diritto dell’Unione abbiano l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione nazionale, senza chiedere né attendere la previa soppressione di tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale». Sentenza del 4 dicembre 2018, The Minister for Justice and Equality e Commissioner of the Garda Síochána (C-378/17, EU:C:2018:979, punto 35).


6      A tal riguardo la Corte è stata chiara: in conseguenza e ad integrazione dei diritti conferiti ai singoli dalle disposizioni del diritto dell’Unione che vietano tali imposte, oneri o dazi, i soggetti passivi dovrebbero, in linea di principio, essere rimborsati integralmente. V. sentenza del 28 febbraio 2018, Nidera (C-387/16, EU:C:2018:121, punto 24). La situazione è diversa, tuttavia, se si accerta che la persona tenuta a pagare imposte od oneri li ha di fatto riversati su altre persone, senza che le sue quote di mercato o le sua azioni ne siano pregiudicate. V. sentenza del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C-398/09, EU:C:2011:540, punti 17 e 18).


7      Il diritto dei singoli, derivante dal diritto dell’Unione, di essere risarciti per qualsiasi violazione del diritto dell’Unione commessa da uno Stato membro è la conseguenza del principio del primato del diritto dell’Unione. V. sentenze dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C-397/98 e C-410/98, EU:C:2001:134, punti 84 e 106), e del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C-524/04, EU:C:2007:161, punto 125). Secondo la giurisprudenza della Corte, tale diritto è inerente al sistema dei Trattati sui quali l’Unione è fondata. V., ad esempio, sentenza del 19 giugno 2014, Specht e a. (da C-501/12 a C-506/12, C-540/12 e C-541/12, EU:C:2014:2005, punto 98).


8      Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C-6/90 e C-9/90, EU:C:1991:428, punto 40).


9      V., ad esempio, sentenza del 26 gennaio 2010, Transportes Urbanos y Servicios Generales (C-118/08, EU:C:2010:39, punto 30).


10      Dato il principio della tutela del legittimo affidamento o la regola “nemo potest venire contra factum proprium” sanciti dal diritto dell’Unione – v., ad esempio, sentenza del 6 novembre 2014, Italia/Commissione (C-385/13 P, non pubblicata, EU:C:2014:2350, punto 67) – che corrispondono al principio di common law dell’estoppel, ritengo che la giurisprudenza relativa all’azione di risarcimento danni contro le istituzioni dell’Unione sia trasponibile alle azioni di risarcimento danni contro gli Stati membri.


11      V., ad esempio, sentenza del 14 ottobre 2014, Giordano/Commissione (C-611/12 P, EU:C:2014:2282, punto 36).


12      Infatti, se è vero che i soggetti passivi hanno presentato una domanda a seguito del rifiuto di rimborsare la loro IVA detraibile eccedente, si può presumere che intendessero ottenere un rimborso siffatto anziché un riporto dell’eccedenza per poi invocarla nella loro dichiarazione dei redditi successiva. Per contro, fatta salva la prova contraria, per soggetti passivi che abbiano presentato la loro domanda dopo la pronuncia della sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530), non si può presumere che intendessero ottenere detto rimborso.


13      Ordinanza del 17 luglio 2014, Delphi Hungary Autóalkatrész Gyártó (C 654/13, non pubblicata, EU:C:2014:2127, punto 34). Non appena una persona sia stata privata di una somma di denaro anche per un breve periodo di tempo, sarà considerata come se avesse subito un danno. V. sentenza del 28 febbraio 2018, Nidera (C-387/16, EU:C:2018:121, punto 32).


14      In particolare, in questo contesto, i riferimenti delle parti al principio della neutralità fiscale dell’IVA non mi sembrano molto pertinenti. Infatti, tale principio si può ritenere rispettato in quanto i soggetti passivi avevano il diritto di utilizzare l’eccedenza dell’IVA detraibile per pagare i loro debiti IVA.


15      V., per analogia, sentenza del 3 febbraio 1994, Grifoni/Commissione (C-308/87, EU:C:1994:38, punto 16).


16      V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Inter-Environnement Wallonie e Bond Beter Leefmilieu Vlaanderen (C-411/17, EU:C:2018:972, paragrafi da 201 a 205); v. anche sentenze dell’8 settembre 2010, Winner Wetten (C-409/06, EU:C:2010:503, punto 67), del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre Wallonne (C-41/11, EU:C:2012:103, punto 63), e del 27 giugno 2019, Belgisch Syndicaat van Chiropraxie e a. (C-597/17, EU:C:2019:544, punto 61).


17      V., a tale riguardo, sentenze del 17 maggio 1990, Barber (C-262/88, EU:C:1990:209, punto 41), dell’8 settembre 2010, Winner Wetten (C-409/06, EU:C:2010:503, punto 67) e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C-379/15, EU:C:2016:603, punto 33).


18      Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, vale a dire la buona fede degli Stati membri interessati e il rischio di gravi inconvenienti. V. sentenza del 29 settembre 2015, Gmina Wrocław (C-276/14, EU:C:2015:635, punto 45). Secondo una costante giurisprudenza, le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell’efficacia nel tempo di tale sentenza. V., ad esempio, sentenza del 29 luglio 2010, Brouwer, (C-577/08, EU:C:2010:449, punto 34).


19      V., ad esempio, sentenze del 2 agosto 1993, Marshall (C-271/91, EU:C:1993:335, punto 26) e dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C-397/98 e C-410/98, EU:C:2001:134, punto 95).


20      V. sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail Ltd e a. (C-591/10, EU:C:2012:478, punto 29).


21      V., in tal senso, sentenza del 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione (C-104/89 e C-37/90, EU:C:2000:38, punto 63). La giurisprudenza sulla perdita di opportunità fornisce un valido esempio di tale eccezione. V., in particolare, sentenza del Tribunale della funzione pubblica, del 13 marzo 2013, AK/Commissione (F-91/10, EU:F:2013:34, punto 92). A mio avviso, questo è ciò che la Corte ha sottolineato, quando ha fatto riferimento occasionalmente alla nozione di «risarcimento adeguato» o ha dichiarato che «[i]l risarcimento sotto forma di interessi può essere, a seconda dei casi, superiore o inferiore alle perdite effettive» «al fine di assicurare una compensazione mediante regole che siano agevolmente gestite e controllate dall’autorità tributaria». V. sentenza del 28 febbraio 2018, Nidera (C-387/16, EU:C:2018:121, punto 36). Tale interpretazione è suffragata dal fatto che, nella stessa sentenza, la Corte ha dichiarato, al punto 37, che il soggetto passivo dovrebbe poter «recuperare (...) la totalità del credito risultante dall’eccedenza di IVA senza incorrere in alcun rischio finanziario. – Il corsivo è mio – il che indica che la Corte non intende discostarsi dal principio del diritto a un risarcimento integrale.


22      Come ha dichiarato la Corte, se «lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno arrecato nell’ambito della normativa interna sulla responsabilità», ciò avviene «fatto salvo il diritto al risarcimento che si fonda direttamente sul diritto [dell’Unione] qualora siano soddisfatte tali condizioni». V., ad esempio, ordinanza del 23 aprile 2008, Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation (C-201/05, EU:C:2008:239, punto 126).


23      V., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 2018, The Minister for Justice and Equality e Commissioner of the Garda Síochána (C-378/17, EU:C:2018:979, punto 39).


24      V., ad esempio, sentenza del 12 febbraio 2015, Commissione/IPK International, (C-336/13 P, EU:C:2015:83, punto 30).


25      V. sentenza del 28 febbraio 2018, Nidera, (C-387/16, EU:C:2018:121, punti 28 e 29). In linea di principio, gli interessi che mirano a compensare il tempo trascorso prima della valutazione giudiziaria dell’importo del danno, indipendentemente da qualsiasi ritardo imputabile al debitore, sono indicati come «interessi compensativi» e fanno parte del risarcimento concesso. V., sentenza del 10 gennaio 2017, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/Unione europea (T-577/14, EU:T:2017:1, punto 168, e giurisprudenza ivi citata).


26      V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2005, MyTravel (C-291/03, EU:C:2005:591, punto 17).


27      V., ad esempio, ordinanza del presidente della Corte del 21 ottobre 2015, Kovozber (C-120/15, non pubblicata, EU:C:2015:730, punto 30).


28      Quando si pone la questione se le norme procedurali nazionali rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che l’ordinamento giuridico dell’Unione conferisce ai singoli, la stessa deve essere esaminata tenendo conto del ruolo di dette norme nell’insieme del procedimento, dello svolgimento dello stesso e delle peculiarità di tali norme, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sentenza del 6 ottobre 2015, Târșia (C-69/14, EU:C:2015:662, punto 36).


29      Sentenza del 13 marzo 2007, Unibet (C-432/05, EU:C:2007:163, punto 43).


30      Sentenza del 12 dicembre 2013, Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation (C-362/12, EU:C:2013:834, punti 31 e 32).


31      V., ad esempio, sentenza del 20 dicembre 2017, Caterpillar Financial Services (C-500/16, EU:C:2017:996, punto 41).


32      V., a tal riguardo, sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail Ltd e a. (C-591/10, EU:C:2012:478, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


33      Sentenza del 15 aprile 2010, Barth (C-542/08, EU:C:2010:193, punto 20).


34      Contrariamente alla posizione difesa dalla Commissione durante l’udienza, ritengo che i soggetti passivi interessati abbiano effettivamente subito un danno collegato non già a una perdita di profitto, bensì a una riduzione del loro flusso di cassa. In ogni caso, osservo che la Corte ha già stabilito che una perdita di profitto deve essere risarcita. V. sentenza dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C-397/98 e C-410/98, EU:C:2001:134, punto 91).


35      V., ad esempio, sentenza del 6 luglio 2017, Glencore Agriculture Hungary (C-254/16, EU:C:2017:522, punto 22).


36      Sentenze del 24 ottobre 2013, Rafinăria Steaua Română (C-431/12, EU:C:2013:686, punto 24), del 6 luglio 2017, Glencore Agriculture Hungary (C-254/16, EU:C:2017:522, punto 20); e del 28 febbraio 2018, Nidera (C-387/16, EU:C:2018:121, punto 25). Nel caso di specie, i giudici nazionali non hanno, in realtà, specificato il termine entro il quale l’amministrazione ungherese rimborsava l’eccedenza dell’IVA detraibile quando la condizione degli acquisti pagati era ab initio soddisfatta. Tuttavia, la Sol Mizo ha dichiarato che detto termine è di 45 giorni.


37      Per un confronto, v. articolo 99, paragrafo 2, del regolamento (UE, Euratom) 2018/1046 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 luglio 2018, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione, che modifica i regolamenti (UE) n. 1296/2013, (UE) n. 1301/2013, (UE) n. 1303/2013, (UE) n. 1304/2013, (UE) n. 1309/2013, (UE) n. 1316/2013, (UE) n. 223/2014, (UE) n. 283/2014 e la decisione n. 541/2014/UE e abroga il regolamento (UE, Euratom) n. 966/2012 (GU 2018, L 193, pag. 1) o articolo 2, paragrafo 6, della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2011, L 48, pag. 1).


38      V. supra, paragrafo 48.


39      V., ad esempio, sentenza del 27 gennaio 2000, Mulder e a./Consiglio e Commissione (C-104/89 e C-37/90, EU:C:2000:38, punto 51).


40      Traduzione non ufficiale. V. anche sentenza del 24 ottobre 2013, Rafinăria Steaua Română (C-431/12, EU:C:2013:686, punto 23). A tal riguardo, occorre sottolineare che, per garantire il risarcimento integrale, gli interessi per compensare l’erosione monetaria continueranno a decorrere sino all’effettivo pagamento del risarcimento.


41      La dichiarazione IVA del settembre 2011 è quella che copre il periodo di tempo in cui è stata adottata la legge di modifica.


42      Da un punto di vista logico, dato che il metodo di calcolo utilizzato dalla prassi nazionale consiste nel trattare ogni periodo di riferimento indipendentemente dall’altro, e quindi nel considerare che il danno derivante dall’applicazione della condizione degli acquisti pagatisi è consolidato alla fine di ogni esercizio, avrebbe dovuto essere applicato un interesse per compensare l’erosione monetaria derivante dalla cessazione di ciascun esercizio.


43      È molto probabile che ciò sia dovuto al fatto che l’articolo 165, paragrafo 2, del codice di procedura fiscale prevede che «una penalità per ritardo non può dar luogo, di per sé, all’applicazione di una penalità per ritardo». Se, tuttavia, tale disposizione dovesse essere interpretata nel senso che osta all’applicazione di interessi per compensare l’erosione monetaria, ritengo che tale disposizione debba essere dichiarata contraria al diritto dell’Unione.


44      V., per analogia, sentenze del 2 agosto 1993, Marshall (C-271/91, EU:C:1993:335, punto 31), e del 4 dicembre 2003, Evans (C-63/01, EU:C:2003:650, punto 68).


45      Sentenza del 28 gennaio 2015, Starjakob (C-417/13, EU:C:2015:38, punto 71).


46      Sentenza del 17 novembre 1998, Aprile (C-228/96, EU:C:1998:544, punto 20).


47      V., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Caterpillar Financial Services (C-500/16, EU:C:2017:996, punto 40). Rilevo inoltre che, nell’ambito dei ricorsi diretti, la Corte ha dichiarato che, se dalla motivazione di una sentenza risulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della medesima sentenza appare fondato per altri motivi di diritto, l’impugnazione deve essere respinta. V., ad esempio, sentenza del 7 giugno 2018, Ori Martin/Corte di giustizia dell’Unione europea (C-463/17 P, EU:C:2018:411, punto 24).


48      In considerazione della tipologia degli interessi esistenti ai sensi del diritto dell’Unione, come individuati dall’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni nella causa Commissione/IPK International (C-336/13 P, EU:C:2014:2170), ritengo che gli interessi dovuti per risarcire il danno derivante dall’applicazione della condizione degli acquisti pagati, nonché gli interessi che avrebbero dovuto essere previsti per risarcire il danno derivante dall’erosione monetaria, rientrino nella nozione di interessi compensativi e che, nell’ambito del procedimento principale, la nozione di interessi moratori debba essere utilizzata per fare riferimento agli interessi di mora dovuti in caso di pagamento tardivo degli interessi compensativi.


49      Inoltre, sembra che la Dalmandi abbia percepito interessi moratori a causa del ritardo nel pagamento del risarcimento cui tale società aveva diritto, dopo aver presentato una richiesta in tal senso.


50      V., a tal riguardo, sentenza del 30 giugno 2016, Ciup (C-288/14, non pubblicata, EU:C:2016:495, punto 46). Poiché l’obbligo di pagare gli interessi di mora deriva dal principio di effettività e dal diritto a un risarcimento integrale, gli Stati membri sono liberi di fissare il tasso di tali interessi di mora, a condizione che tale tasso crei un incentivo per l’amministrazione a pagare tempestivamente i danni.


51      Sentenza del 13 luglio 1972, Commissione/Italia (48/71, EU:C:1972:65, punto 7). Nel procedimento principale ciò significava che l’Ungheria era soltanto obbligata, di propria iniziativa, a cessare l’applicazione della condizione dell’acquisto pagato e a rimborsare le eccedenze dell’IVA detraibile che ancora rimanevano alla data della sentenza del 28 luglio 2011, Commissione/Ungheria (C-274/10, EU:C:2011:530).


52      V., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 1960, Humblet/Stato belga (6/60-IMM, EU:C:1960:48, pag. 1113).


53      Sentenza del 4 ottobre 2018, Kantarev (C-571/16, EU:C:2018:807, punto 123). Tale soluzione è piuttosto logica, in quanto un preciso risarcimento del danno subito richiede che si tenga conto, per quantificare il danno, di alcuni parametri fattuali che solo gli interessati sono in grado di conoscere.


54      V., per analogia, sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann (C-256/16, EU:C:2018:187, punto 20).


55      Sentenza dell’11 aprile 2019, PORR Építési Kft. (C-691/17, EU:C:2019:327, punto 39).


56      Conformemente alla giurisprudenza della Corte, gli Stati membri sono liberi di applicare nuove norme agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della legislazione precedente. V. sentenza del 29 giugno 1999, Butterfly Music (C-60/98, EU:C:1999:333, punto 25). Tuttavia, il principio della tutela del legittimo affidamento osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto, con effetto retroattivo, di un diritto dal medesimo acquisito sulla base della normativa precedente. Sentenza del 12 maggio 2011, Enel Maritsa Iztok 3, (C-107/10, EU:C:2011:298, punto 39).


57      Sentenza del 28 gennaio 2015, Starjakob (C-417/13, EU:C:2015:38, punto 71). Tuttavia, questo principio non sarà violato qualora la legislazione nazionale richieda la presentazione di una domanda a carattere straordinario per ottenere il pagamento di interessi di mora, mentre tale requisito non esiste per gli altri tipi di interessi. Infatti, poiché il principio di equivalenza richiede soltanto che ai ricorsi basati sul diritto dell’Unione si applichino le stesse norme procedurali applicabili a ricorsi analoghi basati sul diritto nazionale, esso non osta all’applicazione di norme procedurali diverse a tipi di interessi non simili.


58      In particolare, poiché tale requisito equivarrebbe a introdurre un termine specifico per ottenere gli interessi di mora, si dovrebbe pertanto verificare se tale requisito si applichi anche in situazioni analoghe basate esclusivamente sul diritto nazionale.


59      V. supra paragrafi 114 e 121 delle presenti conclusioni per un’analisi più approfondita.


60      Nella controversia oggetto del procedimento principale, tuttavia, tale motivazione non è stata addotta per giustificare il mancato pagamento degli interessi di mora, ma di un tasso di interesse pari al doppio del tasso di base della banca centrale utilizzato per il calcolo del risarcimento dovuto a fronte dell’applicazione della condizione degli acquisti pagati.


61      V., ad esempio, sentenza del 19 giugno 2014, Specht e a. (da C-501/12 a C-506/12, C-540/12 e C-541/12, EU:C:2014:2005, punto 115).


62      Sentenza del 20 dicembre 2017, Caterpillar Financial Services (C-500/16, EU:C:2017:996, punto 42).


63      Questo doppio limite equivale a ritenere che l’adozione della legge di modifica abbia interrotto i termini di prescrizione.


64      Di conseguenza, quando la Corte constata che una normativa nazionale è contraria al diritto dell’Unione, gli Stati membri interessati non sono tenuti a riesaminare situazioni divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali mezzi di ricorso. V., ad esempio, sentenza dell’8 marzo 1988, Brown/Corte di giustizia (125/87, EU:C:1988:136, punto 14) e, per analogia, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C-224/01, EU:C:2003:513, punto 38), del 16 marzo 2006, Kapferer (C-234/04, EU:C:2006:178, punto 20), e del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti (C-213/13, EU:C:2014:2067, punto 58).


65      Sentenza del 15 aprile 2010, Barth (C-542/08, EU:C:2010:193, punto 28).


66      Sentenza del 15 dicembre 2011, Banca Antoniana Popolare Veneta (C-427/10, EU:C:2011:844, punto 25). Nel caso dell’imposta comunitaria pagata dai funzionari e dagli agenti delle istituzioni, il termine per il ricorso è quello previsto dallo Statuto dei funzionari dell’Unione europea e dal Regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea. Secondo la giurisprudenza del Tribunale, il termine è di tre mesi decorrente dal ricevimento della busta paga, il che riflette, chiaramente e per la prima volta, una decisione di carattere pecuniario. V., ad esempio, sentenza del 14 dicembre 2017, Campo e a./SEAE (T-577/16, non pubblicata, EU:T:2017:909, punti da 34 a 36).


67      In base a tale disposizione, l’Ungheria avrebbe potuto rifiutare di rispondere a richieste di risarcimento relative a danni verificatisi più di cinque anni dopo l’ultimo giorno dell’anno civile in cui la dichiarazione o la notifica relativa a tale imposta avrebbe dovuto essere effettuata o, in mancanza di tale dichiarazione o notifica, durante il quale l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.