Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

Share

Highlight in text

Go

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

dell’8 luglio 2021 (1)

Causa C-156/20

Zipvit Ltd

contro

The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs

[Domanda di pronuncia pregiudiziale della Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Diritto tributario – Imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Articoli 168 e 178, lettera a) – Sorgere del diritto a detrazione dell’IVA in caso di prestazione a monte erroneamente considerata esente – IVA compresa nel prezzo nonostante l’errore – Periodo in cui sorge il diritto a detrazione – IVA dovuta o assolta a monte– Possesso di una fattura quale condizione sostanziale – Distinzione rispetto alle condizioni formali della detrazione»






I.      Introduzione

1.        Due imprese – in linea con il parere dell’amministrazione finanziaria – ritengono congiuntamente, ma in maniera erronea dal punto di vista del diritto dell’Unione, che una prestazione di servizi sia esente dall’imposta. Di conseguenza, viene concordato, fatturato e infine pagato un unico prezzo senza IVA. Successivamente alla scoperta dell’errore, l’amministrazione finanziaria «rinuncia», inter alia anche per ragioni di semplificazione amministrativa, alla riscossione a posteriori presso il prestatore in quanto molti dei destinatari avrebbero diritto alla detrazione dell’IVA. Sotto il profilo fiscale, ciò sarebbe un «gioco a somma zero» con rilevanti oneri amministrativi a carico di tutte le parti. A seguito della prescrizione intervenuta a livello del prestatore, il destinatario (nel caso in esame: la Zipvit) richiede una detrazione dell’IVA. Tuttavia, in assenza di una fattura, nella quale sia esposto un qualsivoglia importo dell’IVA, l’amministrazione finanziaria oppone il diniego.

2.        In tale contesto, due aspetti hanno indotto il giudice nazionale a presentare alla Corte un rinvio pregiudiziale. Da un lato, gli articoli 73, 78 e 80 della direttiva IVA stabiliscono che la base imponibile dell’IVA comprende sempre tutto quanto sia stato effettivamente versato al prestatore. Ne consegue che il diritto della Zipvit alla detrazione dell’IVA potrebbe sorgere su tale fondamento. Dall’altro lato, a seguito della sentenza della Corte nella causa Vădan (2), è nuovamente messa in discussione la rilevanza di una fattura ai fini della detrazione. Pertanto, si pone, in particolare, la questione se l’esistenza di una fattura sia necessaria ai fini della detrazione.

3.        La Corte suprema del Regno Unito dubita, quindi, della conformità al diritto dell’Unione del diniego opposto dall’amministrazione finanziaria alla richiesta di detrazione. La Commissione ritiene, invece, quanto segue: «The simple answer to the issues raised in the present case is that since Zipvit has paid no VAT, it is not entitled to deduct input VAT. Sometimes simple answers are correct. The Commission submits that on the basis of the following considerations, this is one of those times».

4.        Talvolta una risposta può sembrare anche ovvia, tuttavia si rivela in pratica per nulla semplice, ove si ipotizzi una soluzione che tenga conto anche di considerazioni di ordine dogmatico, logico-sistematico e del tenore letterale della direttiva IVA. L’erroneità della motivazione proposta dalla Commissione discende, in ogni caso, già dal fatto che la detrazione non presuppone che il soggetto passivo abbia effettuato un qualsiasi pagamento. Tale cosiddetto principio della tassazione nominale è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte (3) e risulta ora anche dalla direttiva. Il fatto che la Zipvit non abbia quindi versato alla controparte contrattuale alcuna somma (0), un importo netto (100) oppure un corrispettivo lordo (120) non rileva ai fini della detrazione sotto il profilo dell’an.

5.        Ne consegue che la Corte è chiamata a risolvere, nella fattispecie in esame, altre questioni fondamentali – nient’affatto semplici – della normativa in materia di IVA. Ad esempio, si pone la questione se l’IVA sia sempre inclusa nel prezzo, qualora l’operazione sia (oggettivamente) soggetta a IVA, anche nel caso in cui le parti contrattuali e l’amministrazione finanziaria la considerino (soggettivamente) un’operazione esente. In caso di risposta affermativa, ci si chiede se il destinatario possa ottenere uno sgravio dall’IVA già inclusa nel prezzo, sebbene il prestatore non l’abbia calcolata (erroneamente) nel corrispettivo e non l’abbia pertanto trasferita al destinatario. È altresì dubbio se l’IVA «dovuta» ex articolo 168, lettera a), della direttiva IVA ricomprenda l’IVA dovuta in concreto dal prestatore (nel caso in esame, l’IVA non sia più dovuta a causa dell’intervenuta prescrizione) oppure quella realmente dovuta in astratto (ossia in forza di legge, nella presente fattispecie, in ogni caso, sul piano del diritto dell’Unione).

6.        Dato che il prestatore, considerando erroneamente esente la propria cessione di beni o prestazione di servizi non ha ovviamente emesso alcuna fattura con esposizione separata dell’IVA, la funzione della fattura nella normativa in materia di IVA torna (4) ad assumere, nella fattispecie in esame, una rilevanza decisiva ai fini della detrazione spettante al destinatario. Una detrazione sarebbe infatti possibile, indipendentemente dai quesiti formulati supra, solo nel caso in cui il possesso di una fattura con esposizione separata dell’IVA non costituisse una condizione della detrazione.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

7.        L’articolo 63 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (5) (in prosieguo: la «direttiva IVA») disciplina il sorgere del fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta:

«Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi».

8.        Il successivo articolo 73 riguarda la base imponibile:

«Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

9.        Il successivo articolo 78 indica gli elementi della base imponibile:

«Nella base imponibile devono essere compresi gli elementi seguenti:

a) le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA; (…)».

10.      L’articolo 90 della direttiva de qua disciplina la modifica a posteriori della base imponibile e le conseguenze giuridiche per il prestatore:

«1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1».

11.      Il successivo articolo 93, prima frase, riguarda l’applicazione dell’aliquota alla base imponibile accertata e recita come segue:

«L’aliquota applicabile alle operazioni imponibili è quella in vigore nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta».

12.      Quanto all’aliquota normale, il seguente articolo 96 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri applicano un’aliquota IVA normale fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi».

13.      L’articolo 167 della direttiva medesima disciplina il sorgere del diritto a detrazione, così disponendo:

«Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile».

14.      Il successivo articolo 168, lettera a), riguarda la portata sostanziale della detrazione:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)      l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo».

15.      Il seguente articolo 178 ha ad oggetto, invece, l’esercizio del diritto a detrazione:

«Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti:

a)      per la detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente agli articoli da 220 a 236 nonché 238, 239 e 240; (…)

f)      quando è tenuto ad assolvere l’imposta quale destinatario o acquirente in caso di applicazione degli articoli da 194 a 197 o dell’articolo 199, adempiere alle formalità fissate da ogni Stato membro».

16.      L’articolo 203 della direttiva de qua garantisce il parallelismo tra l’IVA figurante in fattura e l’IVA dovuta, disponendo quanto segue:

«L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

17.      Il successivo articolo 226 stabilisce il contenuto necessario di una fattura:

«Salvo le disposizioni speciali previste dalla presente direttiva, nelle fatture emesse a norma degli articoli 220 e 221 sono obbligatorie ai fini dell’IVA soltanto le indicazioni seguenti: (…)

8.      la base imponibile per ciascuna aliquota o esenzione, il prezzo unitario al netto dell’IVA, nonché gli eventuali sconti, riduzioni o ristorni se non sono compresi nel prezzo unitario;

9.      l’aliquota IVA applicata;

10.      l’importo dell’IVA da pagare, tranne in caso di applicazione di un regime speciale per il quale la presente direttiva escluda tale indicazione; (…)».

B.      Diritto del Regno Unito

18.      Il Regno Unito ha trasposto la direttiva IVA e la precedente normativa tramite il Value Added Tax Act 1994 (legge sull’IVA 1994 [in prosieguo: il «VATA»]).

III. Controversia principale

19.      La società Zipvit Ltd (in prosieguo: la «ricorrente») svolge un’attività di vendita per corrispondenza di vitamine e minerali. Nel periodo intercorso tra il 1° gennaio 2006 ed il 31 marzo 2010, la Royal Mail forniva alla ricorrente una serie di servizi postali nell’ambito di contratti negoziati individualmente.

20.      La Royal Mail è il servizio pubblico postale del Regno Unito L’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA prevede che gli Stati membri esentino, «quando sono effettuate dai servizi pubblici postali, le prestazioni di servizi e le cessioni di beni accessori a dette prestazioni, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni». Nel trasporre detta disposizione, il legislatore e l’amministrazione finanziaria hanno ritenuto che essa ricomprendesse tutti i servizi postali forniti dalla Royal Mail. La legge nazionale di trasposizione, il VATA, conteneva una disposizione in tal senso (allegato 9, gruppo 3, punto 1) e l’amministrazione finanziaria ha predisposto analoghe Guidance Notes (linee guida).

21.      A termini del contratto, in base al quale la Royal Mail ha fornito i servizi, tutte le spese di affrancatura specificate come dovute dal cliente erano al netto dell’IVA, la ricorrente «è tenuta a pagare l’IVA dovuta sull’affrancatura e le altre spese secondo l’aliquota appropriata» e «l’IVA è calcolata e pagata [sul prezzo commerciale dei servizi]». Di conseguenza, nella misura in cui l’IVA era dovuta per i servizi forniti, il prezzo totale dovuto dalla ricorrente per tale prestazione ai sensi del contratto era il prezzo commerciale maggiorato della componente dell’IVA.

22.      Tuttavia, sulla base della legge e delle linee guida nazionali nonché dell’errata convinzione comune che i servizi fossero esenti dall’IVA, le fatture emesse dalla Royal Mail alla ricorrente in relazione ai servizi venivano contrassegnate con la lettera «E» («exempt»), vale a dire esente, non esponevano alcun importo a titolo di IVA dovuta, ponendo a carico della ricorrente unicamente il prezzo commerciale dei servizi. La ricorrente versava regolarmente alla Royal Mail le somme indicate nelle fatture. All’epoca delle prestazioni, la ricorrente non presentava, rispetto a tali fatture, alcuna richiesta di detrazione.

23.      La Royal Mail, avendo ritenuto che i servizi fossero esenti e non avendo quindi esposto alcun importo a titolo di IVA nelle proprie fatture, non comunicava né versava all’amministrazione finanziaria (Her Majesty’s Revenue and Customs Commissioners [in prosieguo: la «amministrazione finanziaria»]) alcuna somma a titolo di IVA per la prestazione dei servizi. L’amministrazione finanziaria incorreva nello stesso errore ovvero contribuiva essa stessa all’errore delle parti, adottando una Tax Guidance (linea guida fiscale), che illustrava in tal senso la normativa. Di conseguenza, non faceva nemmeno richiesta alla Royal Mail del versamento dell’IVA.

24.      Tale modus procedendi si protraeva per molti anni, sino a quando la Corte dichiarava, con la sentenza del 23 aprile 2009, TNT Post UK (C-357/07, EU:C:2009:248), che l’esenzione per i servizi postali si applicava solo alle prestazioni effettuate dai servizi pubblici postali agenti come tali e non alle prestazioni di servizi le cui condizioni fossero state negoziate individualmente.

25.      Secondo tale interpretazione della direttiva IVA accolta dalla Corte, nel periodo che qui rileva, i servizi oggetto del presente procedimento avrebbero dovuto essere considerati come soggetti all’IVA in base all’aliquota normale. La Royal Mail avrebbe dovuto addebitare alla ricorrente un prezzo totale per la prestazione dei servizi pari al prezzo commerciale maggiorato dell’IVA all’aliquota corrispondente e la Royal Mail avrebbe dovuto comunicare e versare l’IVA all’amministrazione finanziaria.

26.      Alla luce della sentenza TNT Post UK la ricorrente ha ora presentato richieste di detrazione dell’IVA assolta a monte per prestazioni di servizi. Il credito corrispondente è stato calcolato nella presunzione che i prezzi effettivamente pagati per dette prestazioni includessero l’IVA. Gli importi richiesti dalla ricorrente a titolo di imposta assolta a monte per le relative prestazioni di servizi ammontano a GBP 415 746 (corrispondenti a circa EUR 480 000) oltre interessi. Il presente procedimento rappresenta un processo pilota per i servizi forniti dalla Royal Mail, i quali sono stati del pari considerati erroneamente esenti. Il giudice del rinvio ritiene che il valore complessivo dei crediti fatti valere nei confronti dell’amministrazione finanziaria sia pari ad un importo compreso tra GBP 500 000 000 e GBP 1 000 000 000 (corrispondente rispettivamente a circa EUR 575 000 000 e EUR 1 150 000 000).

27.      L’amministrazione finanziaria ha respinto le richieste della ricorrente, sostenendo che, pur essendo quest’ultima contrattualmente obbligata ad assolvere l’IVA sul prezzo commerciale delle prestazioni di servizi, l’imposta non le sarebbe stata peraltro addebitata nelle relative fatture e, di conseguenza, non l’avrebbe versata.

28.      Medio tempore, l’amministrazione finanziaria effettuava accertamenti presso la Royal Mail per stabilire con precisione quali dei suoi servizi fossero interessati dalla sentenza TNT Post. Nel luglio 2010 non era ancora intervenuto il termine di prescrizione di sei anni, stabilito a livello nazionale dall’articolo 5 del Limitation Act 1980 (legge del 1980 sulla prescrizione), per un’azione contrattuale da parte della Royal Mail volta a chiedere il saldo del prezzo complessivo dovuto in relazione alla fornitura dei servizi (ossia una somma corrispondente all’importo dell’IVA calcolato in relazione al prezzo commerciale dei servizi). Tuttavia, la riscossione dei crediti vantati nei confronti di tutti i propri clienti interessati dalla sentenza TNT Post (compresa la ricorrente) avrebbe rappresentato un onere molto elevato tanto dal punto di vista economico quanto da quello amministrativo per la Royal Mail, la quale, non avendo alcun interesse commerciale a farlo, vi ha dunque rinunciato.

29.      A quella data non erano ancora scaduti i termini di prescrizione della pretesa tributaria stabiliti dagli articoli 73, paragrafo 6, e 77, paragrafo 1, del VATA. L’amministrazione finanziaria riteneva di non dover emettere un avviso di accertamento, in quanto le prestazioni di servizi sarebbero state esenti in base alla legislazione nazionale vigente e la Royal Mail non avrebbe di fatto ricevuto dalla ricorrente l’IVA dovuta per dette prestazioni. Inoltre, l’amministrazione finanziaria riteneva di aver generato nella Royal Mail il legittimo affidamento di non essere tenuta a riscuotere l’IVA per le prestazioni di servizi, cosicché la Royal Mail avrebbe potuto difendersi, prevedibilmente con successo, contro qualsiasi tentativo di emettere avvisi di accertamento nei propri confronti con riguardo a tali prestazioni.

30.      La ricorrente impugnava la decisione di riesame dell’amministrazione finanziaria dinanzi al First-tier Tribunal (Tax Chamber) [Tribunale di primo grado (Sezione tributaria)]. A tale data era scaduto, con riferimento alla maggior parte delle prestazioni rese, il termine di prescrizione perché la Royal Mail potesse chiedere alla ricorrente, in forza del contratto, il versamento del saldo del prezzo complessivo dovuto per le prestazioni di servizi. Anche per l’amministrazione finanziaria era scaduto in gran parte dei casi, se non in tutti, il termine per emettere un avviso di accertamento nei confronti della Royal Mail.

31.      Il First-tier Tribunal (Tribunale di primo grado) respingeva il ricorso, rilevando che l’amministrazione finanziaria non vantasse alcun credito d’imposta esigibile nei confronti della Royal Mail, non avendo quest’ultima emesso alcuna fattura con esposizione dell’IVA dovuta. Inoltre, l’amministrazione medesima non avrebbe accertato un debito di IVA nei confronti della Royal Mail. Non vi sarebbe quindi stata alcuna IVA «dovuta o assolta» dalla Royal Mail per la prestazione dei servizi, ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA.

32.      Inoltre, la ricorrente, non essendo in possesso di fatture fiscalmente valide riguardanti le prestazioni di servizi con esposizione dell’IVA, non avrebbe diritto alla detrazione. Il rimborso dell’IVA teoricamente assolta a monte per le prestazioni de quibus avrebbe costituito per la ricorrente un beneficio indebito. Conseguentemente, dal punto di vista economico, la ricorrente avrebbe fruito delle prestazioni per un importo considerevolmente inferiore al loro reale valore commerciale. Avverso detta decisione la ricorrente proponeva impugnazione, che veniva respinta dall’Upper Tribunal (Tax Chamber) [Tribunale di secondo grado (Sezione tributaria)].

33.      L’appello della ricorrente dinanzi alla Court of Appeal (giudice d’appello) veniva parimenti respinto. A seguito di esame della giurisprudenza della Corte, la Court of Appeal affermava che conditio sine qua non ai fini dell’esercizio del diritto a detrazione era che la ricorrente fosse in grado di presentare fatture IVA comprovanti l’avvenuto addebito dell’imposta stessa con riguardo alla fornitura dei servizi, conformemente all’articolo 226, punti 9 e 10, della direttiva IVA. A suo parere, la normativa riguardante la fatturazione rappresenterebbe un «acte clair». La ricorrente presentava, quindi, ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio.

IV.    Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

34.      La Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito), adita con ricorso per cassazione, sottoponeva alla Corte, con ordinanza del 1° aprile 2020, le seguenti questioni pregiudiziali:

1)       Se, nel caso in cui (i) l’amministrazione finanziaria, il fornitore e l’operatore commerciale soggetto passivo interpretino erroneamente la legislazione europea in materia di IVA e considerino esente da IVA una prestazione imponibile all’aliquota normale, (ii) il contratto tra il fornitore e l’operatore commerciale preveda che il prezzo della prestazione sia al netto dell’IVA e preveda che, laddove l’IVA sia dovuta, l’operatore debba sostenerne il costo, (iii) il fornitore non rivendichi mai e non possa più rivendicare l’IVA supplementare dovuta dall’operatore commerciale, e iv) l’amministrazione finanziaria non possa o non possa più (per intervenuta prescrizione) pretendere dal fornitore il versamento dell’IVA che avrebbe dovuto essere versata, la direttiva comporti che il prezzo effettivamente pagato sia l’insieme di un importo netto imponibile oltre l’IVA applicabile all’importo medesimo, cosicché l’operatore commerciale possa chiedere la detrazione dell’imposta a monte ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva come IVA effettivamente «assolta» per la prestazione stessa.

2)       In alternativa, se, in tali circostanze, l’operatore commerciale possa rivendicare la detrazione dell’imposta a monte ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva come IVA «dovuta» in relazione a tale prestazione.

3)       Se, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, il fornitore e l’operatore commerciale soggetto passivo interpretino erroneamente la legislazione europea in materia di IVA considerando esente dall’IVA una prestazione imponibile all’aliquota normale, con la conseguenza che l’operatore non sia in grado di presentare all’amministrazione finanziaria una fattura IVA conforme all’articolo 226, [punti] 9 e 10, della direttiva per la prestazione resa, l’operatore abbia il diritto di chiedere la detrazione dell’imposta assolta a monte ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva.

4)       Se, ai fini della risposta ai quesiti da 1) a 3), rilevi:

(a)      se il fornitore possa far valere, a propria difesa, il legittimo affidamento o altri elementi discendenti dal diritto nazionale o dal diritto dell’Unione, contro qualsiasi tentativo da parte dell’amministrazione finanziaria di emissione di un avviso di accertamento che gli imponga di rendere conto di un importo che rappresenta l’IVA relativa alla prestazione;

(b)      il fatto che l’operatore commerciale sapesse, alla stessa stregua dell’amministrazione finanziaria e del fornitore, che la prestazione non fosse in effetti esente, ovvero che disponesse degli stessi mezzi di conoscenza di questi ultimi, e avrebbe potuto offrirsi di pagare l’IVA dovuta per la prestazione (calcolata con riferimento al prezzo commerciale della prestazione) in modo da poterla trasferire all’amministrazione finanziaria, omettendo peraltro di farlo.

35.      Nel procedimento dinanzi alla Corte la ricorrente, il Regno Unito, il Regno di Spagna, la Repubblica ceca, la Repubblica ellenica e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte.

V.      Valutazione giuridica

A.      Sull’interpretazione delle questioni pregiudiziali

36.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’ipotesi, non così rara come sembra, in cui solo a seguito della giurisprudenza dei giudici tributari o – come nella fattispecie in esame – della Corte risulti l’erroneità del trattamento fiscale di determinate operazioni (nel caso di specie, certi servizi postali) protrattosi per anni. Nella specie, la portata di un’esenzione è stata intesa, nel Regno Unito, in senso più ampio di quanto consenta il diritto dell’Unione in base all’interpretazione fornita dalla Corte.

37.      Ove tale (nuova) giurisprudenza comporti una maggiore pretesa tributaria dello Stato, l’amministrazione finanziaria cercherà, di norma, richiamando la normativa oggettiva, di applicare ancora a posteriori all’impresa fornitrice della prestazione l’IVA corrispondente, e ciò anche con riguardo ad operazioni già compiute in passato. Ciò solleva la questione se, nel caso di un’imposta indiretta sui consumi, rispetto alla quale l’impresa de qua agisca unicamente nella sua qualità di collettore d’imposta per conto dello Stato (6), possa attendersi, in realtà, che un’impresa anticipi una giurisprudenza del genere. In particolare, occorrerebbe tener conto del fatto che un collettore d’imposta per conto dello Stato non è tenuto ad avere una conoscenza della normativa tributaria migliore dello Stato stesso, potendo quindi fare affidamento sulle pertinenti disposizioni dell’amministrazione. La questione diventa estremamente spinosa quando – come nella specie – è l’amministrazione finanziaria stessa ad incorrere nel medesimo errore del soggetto passivo (nella fattispecie in esame: la Royal Mail) e anche il legislatore nazionale ha evidentemente considerato esente la prestazione.

38.      Le questioni sollevate riguardano peraltro l’altro lato della medaglia, ossia il diritto a detrazione del destinatario. Ove le prestazioni ricevute debbano considerarsi esenti, non gli spetterebbe il diritto a detrazione. Qualora, invece, alla luce della giurisprudenza l’operazione dovesse risultare, di per sé, (considerata in modo oggettivo) gravata da imposta, potrebbe ipotizzarsi, in linea di principio, la detrazione dell’imposta assolta a monte.

39.      Di norma, in caso di errore sull’aliquota applicabile, l’impresa fornitrice della prestazione aumenterebbe il prezzo in ragione dell’importo dell’IVA corrispondente – ove le sia consentito sul piano del diritto civile – ed emetterebbe nei confronti del destinatario una relativa fattura (ad importo maggiorato). Tale fattura verrebbe pagata dal destinatario e l’onere aggiuntivo dell’IVA potrebbe essere neutralizzato nell’ambito della detrazione dell’imposta assolta a monte.

40.      Nel caso di specie è stata però scelta una strada diversa che ha portato il giudice del rinvio alla proposizione delle questioni pregiudiziali. Il destinatario non dovrebbe, infatti, essere gravato dall’IVA addizionale, non avendo il prestatore aumentato il prezzo dell’importo corrispondente all’IVA. Il prestatore poteva rinunciarvi, in quanto l’amministrazione finanziaria si era a sua volta astenuta dal procedere ad un accertamento a posteriori per gli stessi motivi o, meglio, perché la prestazione era esente in base alla legislazione nazionale.

41.      Tuttavia, essendo la prestazione di servizi oggettivamente soggetta ad imposta a livello di diritto dell’Unione ed avendo la ricorrente pagato un certo prezzo, quest’ultima sostiene che nel prezzo stesso sarebbe stata inclusa oggettivamente l’IVA dovuta in base al diritto dell’Unione. La ricorrente sarebbe in grado di neutralizzare l’«IVA dovuta» anche ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA, pur non avendo la Royal Mail mai assolto detta «imposta dovuta» al rispettivo creditore per mancanza di accertamento. La fattura, in realtà necessaria ai sensi dell’articolo 178, lettera a), della direttiva medesima, comprovante l’IVA dovuta dalla Royal Mail, sarebbe invece superflua, in quanto la Corte stessa avrebbe considerato la fattura come un criterio meramente formale.

42.      Nel caso in cui ciò dovesse risultare corretto, potrebbe verificarsi un cosiddetto «beneficio inatteso» a favore di tutti i destinatari delle prestazioni della Royal Mail aventi diritto alla detrazione, i quali, fino alla sentenza della Corte sulla portata dell’esenzione, non hanno, infatti, preso in considerazione la possibilità di una detrazione. Tale detrazione inattesa ridurrebbe quindi il prezzo delle prestazioni acquistate a carico del gettito fiscale, aumentando il margine di profitto dei destinatari (inclusa la ricorrente). Secondo quanto riferito dal giudice del rinvio, si tratterebbe di un valore compreso tra circa EUR 575 000 000 e circa EUR 1 150 000 000 (nel caso di specie, di EUR 480 000).

43.      Per gli stessi motivi, il giudice del rinvio chiede con la prima e la seconda questione, che può essere esaminata congiuntamente, se, a fronte di un siffatto errore comune e del mancato ricalcolo a posteriori dell’IVA effettivamente dovuta, possa parlarsi in assoluto di un’IVA «dovuta e assolta» ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA, che il destinatario sia in grado di neutralizzare tramite la detrazione. Tale questione riguarda la detrazione sotto il profilo dell’an (sub C.).

44.      La terza questione verte sull’attuazione della detrazione e, pertanto, sulla detrazione sotto il profilo del quantum, qualora il destinatario, per effetto del menzionato errore comune, non sia in possesso di una fattura con esposizione separata dell’IVA effettivamente dovuta (sub B.). La quarta questione sollevata dal giudice del rinvio riguarda taluni aspetti dell’errore comune e le diverse opzioni di restituzione, in cui non si verificherebbe un «beneficio inatteso». Essa verrà esaminata nel contesto delle altre questioni.

45.      Considerato che una risposta alla prima e alla seconda questione appare necessaria nel solo caso in cui dalla risposta alla terza questione risulti che una detrazione sia possibile anche in assenza di fattura con esposizione separata dell’IVA, risponderò in primo luogo alla terza questione. Essa verte sull’attuazione della detrazione dell’imposta assolta a monte e sul quesito se il possesso di una fattura, postulato dall’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA costituisca una condizione ai fini della detrazione – come affermato dalla Corte nelle sentenze Volkswagen (7) e Biosafe (8) (sub B.2) – oppure se tale elemento sia stato superato a seguito della pronuncia della Corte nella causa Vădan (9) (v. al riguardo sub B.3).

B.      Sulla rilevanza di una fattura ai fini della detrazione (terza questione pregiudiziale)

1.      Osservazioni preliminari

46.      L’articolo 167 della direttiva IVA costituisce la base della valutazione della questione se, ai fini della detrazione, sia necessaria una fattura con esposizione separata dell’IVA. Detto articolo prevede che il diritto a detrazione (del destinatario della prestazione) sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile (e dunque sorge il debito d’imposta del prestatore – articolo 63 di detta direttiva). Il che non postula alcuna fattura.

47.      Mentre l’articolo 167 della direttiva IVA mira, in linea di principio, a una sincronizzazione tra l’imposta dovuta dal prestatore e la detrazione spettante al destinatario, il successivo articolo 178 modifica detto principio. Presupposto di un esercizio effettivo del diritto a detrazione è, infatti, non solo che il debito d’imposta sia sorto a carico del prestatore, bensì anche che il destinatario sia in possesso di una fattura. A tal riguardo, detta fattura deve contenere taluni elementi (v. articolo 226 della direttiva medesima).

48.      La prima alternativa è che il diritto a detrazione possa essere esercitato conformemente agli articoli 167 e 63 della direttiva IVA già al momento dell’esecuzione della prestazione. Pertanto, è decisivo unicamente se, a dispetto dell’errore comune, nel prezzo pagato fosse inclusa l’IVA (v. al riguardo, sub C.3). La seconda alternativa è che rilevi, in forza del successivo articolo 178, il possesso di una fattura, nella quale figuri l’importo dell’IVA trasferito.

49.      Ritengo corretta la seconda soluzione. Ad un esame più attento, solo tale approccio è in linea anche con la pregressa giurisprudenza della Corte. A mio avviso, occorre differenziare, in primo luogo, il sorgere del diritto a detrazione sotto il profilo dell’an e sotto il profilo del quantum.

50.      Ad un più attento esame della giurisprudenza della Corte, emerge che la Corte si è finora pronunciata sul sorgere del diritto a detrazione principalmente sotto il profilo dell’an. Secondo tale giurisprudenza, il diritto a detrazione e, conseguentemente, anche al rimborso, costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Tale diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che abbiano gravato le operazioni effettuate a monte (10). Secondo costante giurisprudenza della Corte, il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione o il rimborso dell’IVA a monte sia concesso in presenza dei requisiti sostanziali, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi (11). Sussisterebbe una deroga, qualora la violazione di tali requisiti formali produca l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (12).

51.      L’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA – che, ai fini della detrazione del destinatario, richiama «l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro (…) per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo» – precisa la ratio della detrazione. Dal carattere di imposta sui consumi (13) dell’IVA e dalla tecnica di imposizione indiretta si desume che il destinatario avente diritto a detrazione debba essere sgravato dall’IVA trasferitagli con il prezzo – ma che è dovuta da un altro soggetto (il prestatore; nel caso di specie: la Royal Mail) – avvalendosi della detrazione.

52.      Accogliendo una prospettiva del genere, sarebbe dunque rilevante proprio il pagamento effettivo del prezzo da parte della ricorrente. Infatti, solo allora la ricorrente sarà effettivamente gravata (in modo indiretto) dall’IVA. Tuttavia, dalla disposizione dell’articolo 167 bis della direttiva IVA risulta che il legislatore della direttiva ammette la possibilità di una detrazione anche anteriormente al pagamento. L’articolo medesimo consente di limitare il diritto a detrazione al momento del pagamento, qualora anche il debito d’imposta sorga solo con l’incasso del prezzo. Ciò appare ragionevole soltanto qualora negli altri casi la detrazione sia consentita già prima del pagamento del prezzo.

53.      È quindi chiaro che il legislatore della direttiva ritiene che il destinatario sia gravato dall’IVA, di norma, già prima del pagamento del prezzo, ma successivamente al momento dell’esecuzione della prestazione, nel quale il diritto a detrazione è già sorto sotto il profilo dell’an.

2.      Sorgere del diritto a detrazione sotto il profilo del quantum

54.      Tale conclusione nulla dice, peraltro, per quanto attiene alla detrazione sotto il profilo del quantum. A tal riguardo, ha un rilievo decisivo la disposizione dell’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA.

55.      Infatti, la mera esecuzione della prestazione non consente di determinare l’entità dell’IVA gravante sul destinatario e inclusa nel prezzo. Ciò è peraltro necessario ai fini dell’esercizio del diritto a detrazione, a maggior ragione nei casi come quello in esame, in cui le parti sono incorse in un errore comune sull’esenzione dell’operazione. In base agli accordi contrattuali, la Royal Mail e la ricorrente ritenevano che nel prezzo concordato non fosse inclusa l’IVA. Ove quest’ultima risultasse dovuta, detto onere dovrebbe essere sostenuto, a termini del contratto, dalla ricorrente. Tale circostanza non si è mai verificata, sebbene la prestazione sia stata senza dubbio eseguita. La mera esecuzione della prestazione non consente di stabilire se la ricorrente sia gravata o meno dall’IVA.

56.      È dunque logico e consequenziale che il legislatore della direttiva non solo subordini l’esercizio del diritto a detrazione all’esecuzione della prestazione, bensì esiga altresì, a termini dell’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, che il destinatario della prestazione «[sia] in possesso di una fattura» (14).

57.      Ne consegue che il requisito del possesso di una fattura è parimenti volto ad attuare il principio di neutralità sancito dalla normativa in materia di IVA. Il principio di neutralità è un principio fondamentale (15) dell’IVA che discende dal suo carattere di imposta sui consumi. Ciò implica, inter alia, che l’impresa, in quanto collettore d’imposta per conto dello Stato, dev’essere sgravata, in linea di massima, dall’onere finale dell’IVA (16), nella misura in cui l’attività imprenditoriale sia diretta essa stessa (in linea di massima) alla realizzazione di operazioni imponibili (17).

58.      Dalla nozione di sgravio (18) discende che la detrazione dell’imposta è ipotizzabile solamente a condizione che il destinatario sia gravato dall’IVA (19). Tuttavia, quest’ultimo è assoggettato all’imposta non con la mera esecuzione della prestazione, bensì, in ultima analisi, solo per effetto del versamento del corrispettivo (v., al riguardo, supra, paragrafi 52 e 55). Alla base della disposizione dell’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA è evidentemente l’assunto che, di norma, il pagamento avvenga in maniera tempestiva dietro presentazione di una corrispondente fattura. In tal modo può allora presumersi in quel momento il sorgere immediato dell’onere a carico del destinatario.

59.      Tali rilievi emergono con assoluta chiarezza dalla precedente giurisprudenza della Corte, nella quale è stato ancora affermato (20) che il diritto immediato alla detrazione presuppone che, in linea di principio, i soggetti passivi non effettuino pagamenti e, quindi, non versino l’IVA a monte prima della ricezione della fattura, o di un altro documento considerato ad essa equivalente, e che non si possa ritenere che l’IVA gravi su una data operazione prima di essere stata versata.

60.      L’entità (attuale o futura) dell’IVA gravante sul destinatario dipende, infatti, – come giustamente affermano la Spagna, la Repubblica ceca e il Regno Unito – unicamente dall’inclusione o meno dell’IVA corrispondente nel calcolo del corrispettivo che il destinatario deve versare. In qual misura l’IVA ne sia ricompresa può peraltro desumersi soltanto dal rapporto giuridico sottostante e dalla contabilizzazione inerente alla sua attuazione, la quale ha luogo tramite il rilascio di una corrispondente fattura, in cui il prestatore espone il proprio calcolo.

61.      In una procedura di massa, quale l’imposizione dell’IVA, solo con la comunicazione del trasferimento al destinatario dell’IVA dovuta tramite il prezzo viene assicurato che il destinatario possa conoscere l’entità dell’onere dell’IVA a suo carico secondo il prestatore – e l’amministrazione finanziaria possa controllarla. In tal modo, egli viene altresì a sapere a decorrere da quale momento e per quale importo può neutralizzare la suddetta IVA esercitando il diritto a detrazione.

62.      Qualora, come nel caso in esame, entrambe le parti, nonché l’amministrazione finanziaria, abbiano erroneamente considerato esente un’operazione, tramite il corrispettivo concordato – come sottolineano tutte le parti ad eccezione della ricorrente – non viene trasferita l’IVA dal prestatore al destinatario. Pertanto, il prestatore non è tenuto nemmeno a esporla in fattura. Nel caso in cui entrambe le parti, successivamente alla scoperta dell’errore, dovessero decidere un adeguamento del contratto e includere nel prezzo l’IVA mancante, ciò risulterebbe anche da una corrispondente fattura, grazie alla quale il destinatario potrebbe altresì esercitare il diritto a detrazione. Specularmente, la Royal Mail sarebbe gravata dell’IVA esposta a posteriori, in forza dell’articolo 203 della direttiva IVA, al più tardi con l’emissione della fattura (21). La coincidenza dell’imposta assolta a monte e del debito d’imposta, cui mira l’articolo 178, lettera a), della direttiva medesima, sarebbe pertanto ripristinata.

63.      In sostanza, il possesso di una fattura, richiesto dall’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA è il mezzo per trasferire in maniera chiara per tutte le parti (inclusa l’amministrazione finanziaria) l’onere dell’IVA dal prestatore (che è debitore d’imposta) al destinatario (che ne è gravato tramite il prezzo). Solo in tal modo il destinatario può conoscere la misura in cui subisce l’onere dell’IVA a parere del prestatore. Egli può dunque, grazie alla fattura – dalla quale risulta il proprio onere – chiedere uno sgravio di importo ad esso corrispondente.

64.      Nelle proprie sentenze Volkswagen (22) e Biosafe (23), la Corte ha già precisato l’importanza del possesso di una fattura quale mezzo necessario ai fini della traslazione dell’onere e condizione per uno sgravio mediante la richiesta di una detrazione. Tale circostanza è richiamata altresì dal Regno Unito e dalla Repubblica ceca.

65.      La sentenza Volkswagen riguardava una fattispecie in cui le parti avevano ritenuto che le operazioni in questione non fossero imponibili. Solo anni dopo, a seguito della scoperta dell’errore, venivano emesse per la prima volta fatture con esposizione separata dell’IVA e veniva presentata una richiesta di rimborso ai sensi della direttiva rimborsi. La Corte ha dichiarato (24) che, in tali circostanze, era oggettivamente impossibile per il destinatario esercitare il proprio diritto al rimborso prima di tale regolarizzazione, non potendo, in precedenza, «disporre delle fatture né sapere che era dovuta l’IVA. Solo a seguito di tale regolarizzazione, infatti, sono state soddisfatte le condizioni sostanziali e formali che danno diritto alla detrazione dell’IVA».

66.      La sentenza Biosafe riguardava una fattispecie analoga a quella qui in esame, constando l’unica differenza nel fatto che la detrazione veniva richiesta nel caso di un errore comune relativo all’aliquota corretta. L’aliquota era stata applicata in misura troppo ridotta e, a distanza di vari anni, il prestatore aveva rettificato la propria fattura aumentando l’IVA esposta separatamente. Anche in tal caso, la Corte giungeva alla conclusione (25) che il destinatario fosse nell’impossibilità oggettiva di esercitare il proprio diritto a detrazione anteriormente alla regolarizzazione della fattura, non disponendo precedentemente «dei documenti di rettifica delle fatture iniziali e non essendo a conoscenza della debenza di un supplemento di IVA. Infatti, soltanto in seguito a tale regolarizzazione sono sussistite le condizioni sostanziali e formali necessarie per il sorgere del diritto alla detrazione dell’IVA».

67.      In entrambi i casi la Corte ha correttamente affermato che un onere per il destinatario sorge solo nel momento in cui quest’ultimo sia in possesso di una corrispondente fattura, dalla quale risulti il relativo onere dell’IVA. La ricorrente nel caso in esame non dispone peraltro di una fattura rettificata in tal senso.

68.      Inoltre, come la Corte ha già affermato (26), solo il possesso di una fattura consente all’amministrazione finanziaria il controllo di un debito d’imposta sorto e di una detrazione richiesta. Al riguardo, il controllo sarà tanto più efficace, quante più indicazioni figureranno in una fattura del genere, il che spiega l’elenco di cui all’articolo 226 della direttiva IVA, divenuto ormai molto ampio. Anche tale circostanza depone a favore della rilevanza del possesso di una fattura con esposizione dell’IVA, costituendo pertanto una condizione sostanziale della detrazione. La ricorrente non può dunque esercitare il diritto a detrazione in assenza di una fattura del genere.

3.      Sulla detraibilità dell’imposta anche in assenza di fattura

a)      Giurisprudenza della Corte sulla prova del diritto a detrazione fornita da un perito

69.      Nulla di diverso si evince dalla sentenza della Corte nella causa Vădan (27) – come ho già esposto in altra sede (28). In detta sentenza, al punto 42, la Corte ha affermato che la rigida applicazione dell’esigenza formale di produrre le fatture contrasterebbe con i principi di neutralità e di proporzionalità, impedendo, conseguentemente, in misura sproporzionata al soggetto passivo di beneficiare della neutralità fiscale relativa alle proprie operazioni.

70.      Se ne potrebbe desumere, prima facie, che sia dunque consentito detrarre l’imposta in assenza di fattura e in contrasto con il tenore letterale dell’articolo 178. Tale lettura della menzionata sentenza non è peraltro corretta.

71.      In tale causa, la Corte doveva infatti, da un lato, rispondere «soltanto» alla questione della detraibilità dell’imposta unicamente sulla base della stima di un perito del quantum della detrazione usuale in caso di analoghi progetti di costruzione. Giustamente, la Corte ha risposto in senso negativo alla questione. La detrazione si basa sull’onere effettivo, e non usuale, dell’IVA. Il perito avrebbe peraltro potuto comprovare, a mezzo di stima, solo quello usuale.

72.      Dall’altro lato, nell’intero procedimento non è stato appurato se fossero state emesse fatture con esposizione dell’IVA. Certo era unicamente che le fatture iniziali non fossero più leggibili e che l’amministrazione finanziaria insistesse per ottenere la produzione degli originali. Tale ultimo aspetto non è compatibile con la direttiva. La direttiva non esige che il soggetto passivo sia ancora in possesso della fattura nonché in grado di produrla al momento della verifica fiscale, ma solo che fosse in possesso di una fattura al momento in cui è stata presentata la richiesta di detrazione. In caso di smarrimento della fattura, il soggetto passivo può ovviamente provare con ogni mezzo possibile (di solito, tramite una copia) che era stato in possesso di una fattura dalla quale risultava un onere IVA in un determinato importo.

73.      Pertanto, le considerazioni formulate dalla Corte nella sentenza Vădan sono pertinenti solo con riguardo alla prova della detrazione (29). Le condizioni sostanziali (ossia quelle di cui agli articoli 167 e 178 della direttiva IVA) per la detrazione possono essere provate con ogni mezzo possibile – ma la prova fornita da un perito in merito all’IVA di regola dovuta è di per sé inidonea a tal fine (30). A mio parere, tale conclusione si evince anche abbastanza chiaramente dal dispositivo della sentenza richiamata, ove lo si interpreti in relazione alle questioni e ai fatti esposti.

b)      Giurisprudenza della Corte sul momento dellesercizio del diritto a detrazione

74.      Tale lettura della sentenza Vădan (31) non appare in alcun modo in contrasto con la giurisprudenza nella quale la Corte si è occupata dello specifico momento (32) in cui può essere esercitato il diritto a detrazione. Infatti, in tali sentenze, la Corte ha sempre fatto riferimento al possesso di una fattura da parte del soggetto passivo destinatario della prestazione (33).

75.      Nella sentenza Terra Baubedarf-Handel, la Corte ha espressamente affermato: «Per quanto attiene al principio di proporzionalità, esso non viene assolutamente leso dall’esigenza che il soggetto passivo operi la deduzione dell’IVA a monte con riguardo al periodo di imposta in cui coesistano i requisiti del possesso della fattura, o di un documento considerato ad essa equivalente, e quello dell’esistenza del diritto alla deduzione. Infatti, da un lato, tale requisito è conforme ad uno degli scopi perseguiti dalla sesta direttiva, che è quello di garantire la riscossione dell’IVA ed il suo controllo da parte dell’amministrazione tributaria [riferimenti], e, dall’altro (…) il pagamento per una cessione di beni o una prestazione di servizi e, dunque, il versamento dell’IVA a monte, di regola non avviene prima della ricezione della relativa fattura» (34). Nella sentenza Senatex (35), la Corte ha dichiarato che il diritto a detrazione dell’IVA deve essere esercitato, in linea di principio, con riguardo al periodo in cui, da una parte, tale diritto è sorto e, dall’altra parte, il soggetto passivo è «in possesso di una fattura».

76.      Nell’ipotesi in cui il possesso di una fattura sia peraltro decisivo per determinare il periodo nel quale possa essere esercitato il diritto a detrazione, il possesso stesso non costituirà allora più un mero criterio formale, bensì sostanziale. Ne consegue che la detrazione presuppone il possesso di una relativa fattura.

c)      Giurisprudenza della Corte sulla rettifica con effetti retroattivi di una fattura incompleta oppure erronea

77.      In ultima analisi, tale conclusione emerge anche dalla più recente giurisprudenza relativa alla rettifica con effetti retroattivi delle fatture (36), nella quale la Corte distingue tra requisiti sostanziali e formali del diritto a detrazione. Tra gli ultimi ricadono le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo, nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, come nel caso degli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione (37). A tal proposito, il principio fondamentale della neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’IVA pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali, quand’anche taluni requisiti formali siano stati disattesi dal soggetto passivo (38). Conseguentemente, l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo(39).

78.      Tuttavia, ad una lettura più attenta, la giurisprudenza della Corte sui vizi formali che non precludono la detrazione non si riferisce mai al possesso, di per sé, di una fattura (o all’esistenza di una fattura), ma sempre ai dettagli di forma della fattura (40).

79.      In tal senso, tale giurisprudenza si riferisce solo all’assenza di talune e non di tutte le condizioni formali. Non se ne può pertanto desumere che il diritto a detrazione possa sorgere senza il possesso di una fattura. La Corte stessa richiama esclusivamente il fatto che «il possesso di una fattura contenente le indicazioni previste dall’articolo 226 della direttiva IVA costituisce una condizione formale e non una condizione sostanziale del diritto a detrazione dell’IVA» (41). Il che è vero. Il rispetto di tutte le indicazioni presenti nell’elenco di cui al precitato articolo costituisce una condizione formale. Dette indicazioni – ove non siano essenziali (v. al riguardo più dettagliatamente paragrafi 81 e segg.) – possono anche essere integrate ovvero modificate a posteriori (ad esempio in forza dell’articolo 219 della direttiva IVA). Tuttavia, il possesso, di per sé, di una fattura, ai sensi dell’articolo 178 della direttiva medesima, non costituisce, in quanto stato di fatto, una condizione formale del genere (42).

80.      Da tale affermazione la Corte desume inoltre «soltanto» che l’amministrazione finanziaria non può negare il diritto alla detrazione dell’IVA in base al mero rilievo che una fattura non rispetti i requisiti previsti dall’articolo 226, punti 6 e 7, della direttiva IVA (descrizione precisa della quantità e della natura della prestazione e indicazione della sua data) qualora essa disponga delle informazioni per accertare che i requisiti sostanziali relativi a tale diritto siano stati soddisfatti (43). Lo stesso vale per le indicazioni di cui all’articolo 226, punto 3 (indicazione del numero di identificazione ai fini dell’IVA del prestatore)(44) o punto 2 (indicazione del numero della fattura) (45). Ne consegue che la Corte ha riconosciuto effetti retroattivi alla rettifica di una fattura (formalmente erronea) già in possesso del destinatario (46).

81.      Tale conclusione è convincente. Un documento che contabilizzi una cessione di beni o una prestazione di servizi costituisce di per sé una fattura ai sensi dell’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, qualora consenta sia al destinatario sia all’amministrazione finanziaria di desumerne l’operazione per la quale il prestatore ha effettuato il trasferimento dell’IVA, il relativo importo e il destinatario. Ciò richiede indicazioni riguardanti il prestatore, il destinatario, l’oggetto della prestazione, il prezzo e l’IVA esposta separatamente (47). In presenza di tali cinque indicazioni essenziali, - come ho già esposto in altra sede (48) - è rispettata la ratio della fattura e il diritto a detrazione è definitivamente sorto (49).

82.      L’inosservanza di alcune delle restanti indicazioni previste dall’articolo 226 della direttiva IVA non osta, invece, alla detrazione in caso di rettifica effettuata nel corso del procedimento amministrativo o giurisdizionale. Tale conseguenza giuridica discende, in ultima analisi, anche dalla giurisprudenza della Corte relativa alla rettifica con effetti retroattivi delle fatture (50).

83.      Ove il vizio della fattura – come nella fattispecie in esame – riguardi, invece, l’esposizione separata dell’IVA, che costituisce uno degli elementi essenziali di una fattura che legittima alla detrazione, per questo solo motivo viene meno il diritto a detrazione. Avvalendosi di una fattura, che esponga una prestazione esente, il destinatario non può invocare lo sgravio dall’onere dell’IVA. Il Regno Unito ha introdotto giustamente, a tal riguardo, il concetto di condizione preliminare di una detrazione. Infatti, da una fattura del genere non si evince l’onere dell’IVA e, in assenza di una fattura quale «mezzo ai fini della traslazione» dell’onere, non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA.

84.      Anche dal raffronto con l’articolo 178, lettere a) e f), emerge chiaramente che il legislatore della direttiva ha stabilito una condizione aggiuntiva – il possesso di una fattura – per il caso normale di prelievo indiretto (lettera a). Detta condizione non è affatto necessaria(51) per il caso speciale di prelievo diretto (lettera f) – inversione contabile – e non quindi è prevista. Tuttavia, tale soluzione del legislatore verrebbe elusa laddove il possesso di una fattura venisse considerato quale mera formalità e, dunque, privo di effetti.

d)      Conclusione intermedia

85.      Tanto dal tenore della direttiva IVA quanto dalla giurisprudenza della Corte può di conseguenza desumersi che il diritto a detrazione dell’imposta assolta a monte in un determinato importo presuppone che il destinatario sia già stato in possesso di una fattura, nella quale sia separatamente esposto il corrispondente importo dell’IVA trasferita. Viene pertanto meno il diritto a detrazione della ricorrente per il sol fatto che tale ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame.

4.      Conclusione

86.      Occorre rispondere alla terza questione nel senso che il diritto a detrazione presuppone l’esecuzione della prestazione e il possesso di una fattura [articolo 178, lettera a), della direttiva IVA], comprovante il trasferimento dell’IVA tramite l’esposizione separata dell’imposta stessa. Di conseguenza, la ricorrente, nel caso di specie, in assenza di una fattura del genere, non è legittimata a richiedere una detrazione.

C.      In subordine: sull’«IVA dovuta o assolta» ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA (prima e seconda questione pregiudiziale)

87.      Solo nell’ipotesi in cui la Corte non dovesse rispondere alla questione della necessità del possesso di una fattura con esposizione dell’IVA ovvero dovesse compiere differenti valutazioni, persisterà l’esigenza pratica di rispondere alla prima e alla seconda questione del giudice del rinvio.

88.      Con tali due questioni, il giudice del rinvio chiede se il prezzo effettivamente versato sia sempre l’insieme di un importo netto imponibile e dell’IVA applicabile all’importo medesimo, richiamando l’interpretazione degli articoli 73 e 78 della direttiva IVA, riguardanti la base imponibile (v. al riguardo sub 2.). Inoltre, il giudice a quo chiede se il destinatario – allorché sia inclusa nel prezzo anche una quota di IVA – possa esercitare il diritto a detrazione dell’IVA «dovuta o assolta» con riguardo alla prestazione di servizi, ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva medesima, anche nel caso in cui entrambe le parti, a causa di un errore comune, abbiano considerato esente detta prestazione. Quest’ultimo aspetto riguarda l’interpretazione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva medesima. Occorre chiarire, a tal proposito, a quale soggetto si riferisca l’IVA «dovuta o assolta» (v. al riguardo sub 1.) e se venga presa in considerazione l’IVA dovuta in concreto oppure l’IVA realmente dovuta (in astratto) in base ad una corretta applicazione della legge (v. al riguardo sub 3.).

1.      Sulla nozione dell«IVA dovuta o assolta» di cui allarticolo 168, lettera a), della direttiva IVA

89.      L’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA, il quale prevede la detrazione dell’«IVA dovuta o assolta» è decisivo per il rapporto tra la ricorrente (in qualità di destinataria) e l’amministrazione finanziaria. Va chiarito cosa si intenda per IVA in detta disposizione, potendosi riferire all’«IVA dovuta o assolta» tanto dalla Royal Mail (vale a dire, dal prestatore) quanto dalla ricorrente (vale a dire, dal destinatario).

90.      Dato che però l’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA riguarda la detrazione dell’imposta originata da una prestazione a monte, la risposta è chiara. In detta fase – vale a dire, nell’acquisizione della prestazione a monte da parte del destinatario – l’IVA è dovuta o, rispettivamente, assolta da un unico soggetto, vale a dire il prestatore, pertanto, nel caso in esame, la Royal Mail.

91.      Se l’IVA sia dovuta o assolta dal destinatario dipende esclusivamente dalle sue operazioni a valle – l’articolo 168 della direttiva IVA menziona le sue «operazioni soggette ad imposta». Ciò appare confermato a contrario dal successivo articolo 169, che ammette altresì una detrazione per talune operazioni a valle esenti. Di conseguenza, in tale fase non è ancora chiaro se l’IVA sia dovuta o meno dal destinatario allo Stato. In tal senso si è già pronunciata ripetutamente la Corte (52), nel senso che un imprenditore inattivo senza operazioni a monte (vale a dire, senza che l’IVA sia mai stata dovuta o addirittura versata dal medesimo) ha diritto alla detrazione. Già per tale motivo, la disposizione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva de qua non è applicabile a detto imprenditore.

92.      Con riguardo alle proprie operazioni a monte, infatti, l’IVA non è dovuta dal destinatario – esclusi i casi di inversione contabile ex articoli 194 e seguenti della direttiva IVA – né può essere da esso assolta. Il destinatario è tenuto a versare – in base al diritto civile – soltanto il prezzo della cessione di beni o della prestazione di servizi e può versare solo detto prezzo, in cui potrebbe essere inclusa anche una quota corrispondente, dal punto di vista contabile, all’IVA dovuta dal prestatore. Ciò non cambia il fatto che, con il pagamento del prezzo da parte del destinatario della prestazione, è il solo prezzo ad essere dovuto e versato e non l’IVA. Creditore dell’IVA non è infatti il prestatore, bensì esclusivamente lo Stato.

93.      Tale circostanza risulta confermata dal prosieguo del testo dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA, il quale indica l’«IVA dovuta (…) in tale Stato membro». Il prezzo o, rispettivamente, la quota di IVA ivi inclusa dal punto di vista contabile non sono dovuti in uno Stato membro, bensì nei confronti della controparte contrattuale. Pertanto, il diritto applicabile o il foro competente sono determinati dagli accordi contrattuali e non dalle disposizioni locali in materia di IVA.

94.      Per «IVA dovuta o assolta» di cui all’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA si intende pertanto – contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione – l’IVA dovuta o assolta dall’impresa che fornisce la prestazione nei confronti del rispettivo Stato membro.

2.      Sulla quota di IVA inclusa nel prezzo con riguardo ad una prestazione di servizi considerata esente

95.      Un’ulteriore e distinta questione è se nel prezzo dovuto (o versato) dal destinatario sia contenuta una quota di IVA dovuta dal prestatore anche nel caso in cui quest’ultimo da solo o unitamente alla propria controparte contrattuale (ed eventualmente all’amministrazione finanziaria) considerino esente la prestazione. Tuttavia, tale questione trova risposta non nell’articolo 168, lettera a), bensì negli articoli 73 e 78 della direttiva IVA, alla luce del successivo articolo 90.

96.      A termini dell’articolo 73 della direttiva IVA, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo. Il successivo articolo 78 elenca taluni elementi da includere nella base imponibile; ai sensi della sua lettera a), l’IVA non deve essere inclusa in detta base.

97.      Ne consegue che, laddove qualcuno versi 100 per una prestazione soggetta ad imposta, l’IVA è già compresa – come osserva correttamente la ricorrente. Tale conclusione deriva dall’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA. In considerazione del fatto che, però, ai sensi degli articoli 93 e 96 di detta direttiva, l’aliquota viene applicata sulla base imponibile, in cui non è inclusa l’IVA, è necessario operare una suddivisione del prezzo pagato. Pertanto, in caso di aliquota pari al 20%, il corrispettivo di 100 si divide in base imponibile (100/120 di 100=83,33) e IVA dovuta, di conseguenza, dal prestatore (20/120 di 100=16,66). Dall’applicazione dell’aliquota del 20% alla base imponibile di 83,33, ai sensi dei suddetti articoli 93 e 96, risulta dunque un’IVA di 16,66. Il metodo di calcolo è sempre lo stesso a prescindere dagli accordi contrattuali o da un errore nell’identificazione dell’aliquota corretta.

98.      Infatti, conformemente alla regola generale sancita all’articolo 73 della direttiva IVA, la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo. Tale corrispettivo rappresenta il valore soggettivo, ossia il valore realmente percepito e non un valore stimato secondo criteri oggettivi(53). Tale regola dev’essere applicata conformemente al principio di base della direttiva medesima, il quale risiede nel fatto che il sistema dell’IVA mira a gravare unicamente sul consumatore finale (54).

99.      Pertanto, correttamente la Corte ha sottolineato, nella propria giurisprudenza, che, laddove un contratto di compravendita sia stipulato senza alcuna menzione riguardo all’IVA, nel caso in cui il fornitore, secondo il diritto nazionale, non possa recuperare presso l’acquirente l’IVA successivamente riscossa dall’amministrazione finanziaria, dal riferimento al prezzo complessivo, senza detrazione dell’IVA, come base sulla quale applicare l’IVA, deriverebbe che l’IVA graverebbe sul fornitore stesso. Il che, a sua volta, contrasterebbe, pertanto, con il principio secondo cui l’IVA è un’imposta sul consumo che dev’essere sopportata dal consumatore finale (55). Tale riferimento contrasterebbe, peraltro, con la regola secondo cui l’amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo dell’IVA un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (56). Ne consegue che in (ogni) corrispettivo effettivamente versato è già compresa l’IVA prevista dal diritto dell’Unione.

100. Mi sembra invece dubbio che – come la Corte afferma in taluni casi (57) – debba applicarsi una soluzione diversa solo perché il fornitore disponga, in base al diritto nazionale, della mera possibilità di aggiungere al prezzo concordato un supplemento pari all’imposta applicabile all’operazione e di recuperare quest’ultimo presso l’acquirente del bene. Sia ai sensi dell’articolo 90 della direttiva IVA sia secondo la giurisprudenza della Corte, la base imponibile ai fini della cessione di un bene o della prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita, in definitiva, dal corrispettivo effettivamente versato a tal fine dal soggetto passivo (58).

101. Allorché, in forza di un adeguamento del contratto, venga modificato a posteriori l’importo del corrispettivo (ossia del prezzo), l’articolo 90 della direttiva IVA consente un adeguamento – come già affermato dalla Corte – idoneo a comportare tanto una riduzione quanto un aumento a posteriori del debito d’imposta (ciò si desume già dall’articolo 73 della direttiva medesima) (59). La mera possibilità di operare una rettifica fiscale non comporta peraltro, ipso facto, che il destinatario disponga altresì effettivamente dell’importo rettificato. In definitiva, non è necessario esaminare tale circostanza nel caso in esame, in quanto nella specie, per effetto dell’intervenuta prescrizione in base al diritto civile, la rettifica non è più possibile.

102. È pertanto certo che nell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA si intende l’IVA dovuta dal prestatore e che dagli articoli 73, 78 e 90 della direttiva medesima discende che in ogni importo effettivamente versato è compresa l’IVA prevista dalla legge. Una questione distinta è quella cui si è già fornita una risposta (sub B.) se tale IVA intrinseca sia stata trasferita anche alla controparte contrattuale, in modo che quest’ultima abbia diritto alla detrazione.

3.      Se lIVA dovuta dal prestatore sia da considerarsi in astratto o in concreto

103. Pertanto, resta da chiarire «soltanto» se, ai fini di una detrazione – al di là della necessità di una fattura – per imposta dovuta dal prestatore sia intesa l’IVA dovuta in concreto, la quale non sussisterebbe nella specie, in quanto, per effetto della prescrizione medio tempore intervenuta, l’IVA in realtà dovuta (almeno sul piano del diritto dell’Unione) non può più essere riscossa.

104. Con la nozione di IVA dovuta potrebbe altrimenti intendersi anche l’IVA dovuta in astratto secondo il diritto dell’Unione. Detto importo, nel Regno Unito, dovrebbe allora essere scorporato dal prezzo versato, in caso di aliquota del 20%, per un importo pari a 20/120.

105. Dalla giurisprudenza della Corte risulta chiaramente al riguardo che la detrazione del destinatario è indipendente dal trattamento e dall’attuazione in concreto della pretesa tributaria con riguardo al prestatore. A tal proposito, la Corte si è pronunciata, con costante giurisprudenza, nel senso che è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA assolta a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario. Infatti, l’IVA si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo(60).

106. Tale giurisprudenza evidenzia che la specifica detrazione del destinatario è indipendente dallo specifico debito d’imposta del prestatore. Ne consegue altresì l’irrilevanza della questione se quest’ultimo, nel caso in esame, avrebbe potuto difendersi validamente contro un’imposizione a posteriori [quarta questione sub a)].

107. Ciò detto, la nozione di IVA dovuta dal prestatore, trasferita al destinatario con il prezzo e neutralizzabile da quest’ultimo tramite la detrazione, dev’essere considerata, anche in linea di principio, in astratto. Detta nozione individua quindi l’IVA dovuta ai sensi del diritto dell’Unione. Né l’errore comune delle parti contrattuali (compreso l’errore dell’amministrazione finanziaria), né il fatto che l’amministrazione finanziaria abbia rinunciato o abbia dovuto rinunciare ad un accertamento a posteriori e medio tempore si sia verificata la prescrizione del debito d’imposta del prestatore incidono su tale conclusione.

4.      Conclusione

108. Conseguentemente, con la nozione di «IVA dovuta o assolta» ex articolo 168, lettera a), della direttiva IVA s’intende, dal punto di vista dogmatico, l’IVA dovuta dal prestatore in astratto e nell’importo esatto ai sensi del diritto dell’Unione, già compresa nel prezzo effettivamente versato.

109. Ciò diventa di pratica rilevanza per il destinatario, tuttavia, solo nel caso in cui quest’ultimo riceva una corrispondente fattura con esposizione dell’IVA, comprovante il trasferimento di detta imposta a suo carico. Una fattura del genere verrà però emessa dal prestatore, in caso di errore comune, solo qualora debba sopportare da solo il rischio della corretta valutazione fiscale oppure nel caso in cui il destinatario paghi successivamente l’IVA non ancora trasferitagli a causa dell’errore comune, per cui il prezzo verrà conformemente adeguato.

VI.    Conclusione

110. Alla luce dei suesposti rilievi, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali della Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) come segue:

1)      L’«IVA dovuta o assolta» di cui all’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112 comprende l’IVA dovuta dall’impresa che fornisce la prestazione oppure assolta nello Stato membro.

2)      Dagli articoli 73 e 78, alla luce del successivo articolo 90 della direttiva IVA, discende che la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente versato a tal fine dal soggetto passivo, in cui è già compresa l’IVA.

3)      Il diritto a detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA presuppone, tuttavia, l’esecuzione della prestazione e il possesso di una fattura [articolo 178, lettera a), della direttiva medesima], comprovante il trasferimento dell’IVA. D’altro canto, non è possibile una detrazione senza il possesso di una fattura, che esponga separatamente l’IVA.

4)      Il destinatario che non si sia adoperato per ottenere una corrispondente fattura con esposizione separata dell’IVA entro il termine di prescrizione stabilito dal diritto civile, in assenza di una siffatta fattura non può esercitare alcun diritto a detrazione nemmeno nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

5)      Dato che la detrazione del destinatario è indipendente dalla specifica imposizione del prestatore, è irrilevante stabilire se quest’ultimo potesse difendersi validamente contro un’imposizione a suo carico.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Sentenza del 21 novembre 2018 (C-664/16, EU:C:2018:933).


3      V., ad esempio, sentenza del 16 febbraio 2012, Eon Aset Menidjmunt (C-118/11, EU:C:2012:97, punto 63).


4      Il presente caso è strettamente correlato con la questione sollevata nel procedimento Wilo Salmson France (C-80/20) in ordine alla funzione di una fattura con esposizione separata dell’IVA ai fini della detrazione spettante al destinatario della prestazione/della fattura. V., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa Wilo Salmson France (C-80/20, EU:C:2021:326).


5      Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 (GU 2006, L 347, pag. 1) nella versione vigente negli anni controversi (2007 – marzo 2010), come da ultimo modificata dalla direttiva 2010/23/UE del Consiglio del 16 marzo 2010 (GU 2010, L 72, pag. 1). Pur applicandosi ancora la precedente disciplina (Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme; GU 1997, L 145, pag. 1) con riguardo al 2006, le sue disposizioni erano però, in linea di principio – per quanto di rilevanza nel caso di specie –sostanzialmente identiche.


6      V., al riguardo, e multis, sentenze del 23 novembre 2017, Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:887, punto 23), del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C-271/06, EU:C:2008:105, punto 21), e del 20 ottobre 1993, Balocchi (C-10/92, EU:C:1993:846, punto 25).


7      Sentenza del 21 marzo 2018 (C-533/16, EU:C:2018:204).


8      Sentenza del 12 aprile 2018, Biosafe – Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2018:249).


9      Sentenza del 21 novembre 2018 (C-664/16, EU:C:2018:933).


10      Sentenze del 17 dicembre 2020, Bundeszentralamt für Steuern (Ufficio federale centrale delle imposte, Germania) (C-346/19, EU:C:2020:1050, punto 46), del 18 novembre 2020, Commissione/Germania (Rimborso IVA - Fatture) (C-371/19, non pubblicata, EU:C:2020:936, punto 79), del 2 maggio 2019, Sea Chefs Cruise Services (C-133/18, EU:C:2019:354, punto 36), e del 21 marzo 2018, Volkswagen (C-533/16, EU:C:2018:204, punto 39).


11      Sentenze del 17 dicembre 2020, Bundeszentralamt für Steuern (Ufficio federale centrale delle imposte, Germania) (C-346/19, EU:C:2020:1050, punto 47), del 18 novembre 2020, Commissione/Germania (Rimborso dell’IVA - Fatture) (C-371/19, non pubblicata, EU:C:2020:936, punto 80), del 19 ottobre 2017, Paper Consult (C-101/16, EU:C:2017:775, punto 41), del 28 luglio 2016, Astone (C-332/15, EU:C:2016:614, punto 45), del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 42), del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean (C-183/14, EU:C:2015:454, punto 58), del 30 settembre 2010, Uszodaépítő (C-392/09, EU:C:2010:569, punto 39), del 21 ottobre 2010, Nidera Handelscompagnie (C-385/09, EU:C:2010:627, punto 42), e dell’8 maggio 2008, Ecotrade (C-95/07 e C-96/07, EU:C:2008:267, punto 63).


12      Sentenze del 17 dicembre 2020, Bundeszentralamt für Steuern (Ufficio federale centrale delle imposte, Germania) (C-346/19, EU:C:2020:1050, punto 48, del 18 novembre 2020, Commissione/Germania (Rimborso dell’IVA – Fatture) (C-371/19, non pubblicata, EU:C:2020:936, punto 81), sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult (C-101/16, EU:C:2017:775, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).


13      V. sentenze del 10 aprile 2019, PSM «K» (C-214/18, EU:C:2019:301, punto 40), del 18 maggio 2017, Latvijas Dzelzceļš (C-154/16, EU:C:2017:392, punto 69), del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 34), e del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C-317/94, EU:C:1996:400, punto 19).


14      In tal senso anche le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Volkswagen (C-533/16, EU:C:2017:823, paragrafo 60).


15      Di un principio di interpretazione parla la Corte nella sentenza del 13 marzo 2014, Malburg (C-204/13, EU:C:2014:147, punto 43).


16      Sentenze del 13 marzo 2008, Securenta (C-437/06, EU:C:2008:166, punto 25), e del 1° aprile 2004, Bockemühl (C-90/02, EU:C:2004:206, punto 39).


17      Sentenze del 13 marzo 2014, Malburg (C-204/13, EU:C:2014:147, punto 41), del 15 dicembre 2005, Centralan Property (C-63/04, EU:C:2005:773, punto 51), del 21 aprile 2005, HE (C-25/03, EU:C:2005:241, punto 57), e mie conclusioni nella causa Centralan Property (C-63/04, EU:C:2005:185, paragrafo 25).


18      In tal senso già nelle mie conclusioni nella causa Wilo Salmson France (C-80/20, EU:C:2021:326, paragrafi 59 e segg.) e nella causa Biosafe - Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2017:927, paragrafi 44 e segg.).


19      Analogamente le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Volkswagen (C-533/16, EU:C:2017:823, paragrafo 64).


20      Sentenza del 29 aprile 2004, Terra Baubedarf-Handel (C-152/02, EU:C:2004:268, punto 35).


21      Diversamente da quanto ritiene la ricorrente, l’articolo 203 della direttiva IVA non costituisce una mera «norma antifrode», bensì assicura altresì la coincidenza della detrazione esercitata sulla base di una fattura e il debito d’imposta risultante da una fattura.


22      Sentenza del 21 marzo 2018 (C-533/16, EU:C:2018:204).


23      Sentenza del 12 aprile 2018, Biosafe – Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2018:249).


24      Sentenza del 21 marzo 2018, Volkswagen (C-533/16, EU:C:2018:204, punti 49 e 50).


25      Sentenza del 12 aprile 2018, Biosafe – Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2018:249, punti 42 e 43).


26      Sentenze del 15 novembre 2017, Geissel e Butin (C-374/16 e C-375/16, EU:C:2017:867, punto 41), e del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 27); v. anche le mie conclusioni nella causa Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:101, paragrafi 30, 32 e 46).


27      Sentenza del 21 novembre 2018 (C-664/16, EU:C:2018:933).


28      V. le mie conclusioni nella causa Wilo Salmson France (C-80/20, EU:C:2021:326, paragrafi 70 e segg.).


29      Sentenza del 21 novembre 2018, Vădan (C-664/16, EU:C:2018:933, punto 44 «fornire prove oggettive», punto 45 «prove», punto 47 «prova» e punto 48 «fornire la prova»).


30      Del tutto pertinente, al riguardo, la sentenza del 21 novembre 2018, Vădan (C-664/16, EU:C:2018:933, punto 45 – una stima non può sostituire tali prove).


31      Sentenza del 21 novembre 2018, Vădan (C-664/16, EU:C:2018:933).


32      Sul punto v. ad esempio sentenze del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691), e del 29 aprile 2004, Terra Baubedarf-Handel (C-152/02, EU:C:2004:268).


33      Nello stesso senso anche le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Volkswagen (C-533/16, EU:C:2017:823, paragrafo 58), v. anche le mie conclusioni nella causa Biosafe - Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2017:927, paragrafi 65 e segg.).


34      Sentenza del 29 aprile 2004, Terra Baubedarf-Handel (C-152/02, EU:C:2004:268, punto 37).


35      Sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 35).


36      Vi sono ricomprese, ad esempio, le sentenze del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691), del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690), e dell’8 maggio 2013, Petroma Transports e a. (C-271/12, EU:C:2013:297).


37      Sentenza del 28 luglio 2016, Astone (C-332/15, EU:C:2016:614, punto 47); v. in tal senso sentenza dell’11 dicembre 2014, Idexx Laboratories Italia (C-590/13, EU:C:2014:2429, punti 41 e 42 e giurisprudenza ivi citata).


38      Sentenze del 17 dicembre 2020, Bundeszentralamt für Steuern (Ufficio federale centrale delle imposte, Germania) (C-346/19, EU:C:2020:1050, punto 47), del 18 novembre 2020, Commissione/Germania (Rimborso dell’IVA – Fatture) (C-371/19, non pubblicata, EU:C:2020:936, punto 80), del 19 ottobre 2017, Paper Consult (C-101/16, EU:C:2017:775, punto 41), del 28 luglio 2016, Astone (C-332/15, EU:C:2016:614, punto 45), del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 42), del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean (C-183/14, EU:C:2015:454, punto 58), del 30 settembre 2010, Uszodaépítő (C-392/09, EU:C:2010:569, punto 39), del 21 ottobre 2010, Nidera Handelscompagnie (C-385/09, EU:C:2010:627, punto 42), e dell’8 maggio 2008, Ecotrade (C-95/07 e C-96/07, EU:C:2008:267, punto 63).


39      Sentenze del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 42), del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean (C-183/14, EU:C:2015:454, punti 58 e 59), v. in tal senso anche sentenze del 1° marzo 2012, Kopalnia Odkrywkowa Polski Trawertyn P. Granatowicz, M. Wąsiewicz (C-280/10, EU:C:2012:107, punto 43), in riferimento però ad un meccanismo di inversione contabile, e del 21 ottobre 2010, Nidera Handelscompagnie (C-385/09, EU:C:2010:627, punto 42), parimenti nel caso di un meccanismo di inversione contabile.


40      Lo chiarisce espressamente la sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punti 39 e segg.). Anche la sentenza del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punti 35 e 49) riguardava una fattura, di cui non era contestato il possesso, ma le indicazioni ivi contenute erano parzialmente imprecise. La stessa sentenza del 15 luglio 2010, Pannon Gép Centrum (C-368/09, EU:C:2010:441, punto 45), menziona il possesso di una fattura iniziale.


41      Sentenze del 15 novembre 2017, Geissel e Butin (C-374/16 e C-375/16, EU:C:2017:867, punto 40), e del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 38 e analogamente al punto 29 («possesso di una fattura redatta conformemente all’articolo 226 di detta direttiva»). Similmente anche le sentenze del 21 marzo 2018, Volkswagen (C-533/16, EU:C:2018:204, punto 42), e del 21 ottobre 2010, Nidera Handelscompagnie (C-385/09, EU:C:2010:627, punto 47).


42      Sembra che anche la Corte vi faccia riferimento (sentenza del 30 settembre 2010, Uszodaépítő, C-392/09, EU:C:2010:569, punto 45) laddove dichiara che l’articolo 178 della direttiva IVA non osta all’imposizione di formalità aggiuntive. Dunque, lo stesso articolo 178 non può, di certo, costituire una mera formalità. Anche le sentenze del 12 aprile 2018, Biosafe – Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2018:249, punto 43), e del 21 marzo 2018, Volkswagen (C-533/16, EU:C:2018:204, punto 50) precisano che solo in virtù del possesso di una fattura, da cui risulti l’onere dell’IVA, ricorrono le condizioni sostanziali e formali che consentono di avvalersi della detrazione.


43      Sentenza del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 43).


44      Sentenza del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punti 40 e segg.).


45      Sentenza del 15 luglio 2010, Pannon Gép Centrum (C-368/09, EU:C:2010:441, punto 45), analogamente anche sentenza del 17 dicembre 2020, Bundeszentralamt für Steuern (Ufficio federale centrale delle imposte, Germania) (C-346/19, EU:C:2020:1050, punti 53 e 57).


46      V. sentenze del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 43), del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 44), e dell’8 maggio 2013, Petroma Transports e a. (C-271/12, EU:C:2013:297, punto 34).


47      In tal senso v. anche il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania). V. sentenze del 12 marzo 2020 – V R 48/17, BStBl. II 2020, pag. 604, punto 23, del 22 gennaio 2020 – XI R 10/17, BStBl. II 2020, pag. 601, punto 17, e del 20 ottobre 2016 – V R 26/15, BStBl. 2020, pag. 593, punto 19.


48      V. le mie conclusioni nella causa Wilo Salmson France (C-80/20, EU:C:2021:326, paragrafi 93 e 94).


49      Quanto al criterio dell’«esposizione separata dell’IVA», ciò discende già dalle affermazioni della Corte nelle sentenze Volkswagen e Biosafe, nelle quali si trattava di fatture nelle quali mancava l’esposizione dell’IVA al fine di esercitare il diritto a detrazione nell’importo corrispondente. V. sentenze del 12 aprile 2018, Biosafe – Indústria de Reciclagens (C-8/17, EU:C:2018:249, punti 42 e 43), e del 21 marzo 2018, Volkswagen (C-533/16, EU:C:2018:204, punti 49 e 50).


50      Vi ricadono ad esempio le sentenze del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 43), del 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliários e Turísticos (C-516/14, EU:C:2016:690, punto 44), e dell’8 maggio 2013, Petroma Transports e a. (C-271/12, EU:C:2013:297, punto 34).


51      Espressamente confermato dalla sentenza del 1° aprile 2004, Bockemühl (C-90/02, EU:C:2004:206, punti 47 e 51). In tal caso, la fattura non ha, infatti, la funzione di traslazione dell’onere dell’IVA (v. al riguardo ampiamente supra paragrafi 60 e segg.), non essendo dovuta dal prestatore e pertanto non dovendo quest’ultimo trasferirla.


52      Sentenze del 17 ottobre 2018, Ryanair (C-249/17, EU:C:2018:834, punto 18), del 29 febbraio 1996, Inzo (C-110/94, EU:C:1996:67, punto 17), e del 14 febbraio 1985, Rompelman (268/83, EU:C:1985:74, punti 23 e 24), nonché le mie conclusioni nella causa Ryanair (C-249/17, EU:C:2018:301, paragrafi 16 e 26).


53      Sentenze del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 33), del 26 aprile 2012, Balkan and Sea Properties (C-621/10 e C-129/11, EU:C:2012:248, punto 43), e del 5 febbraio 1981, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats (154/80, EU:C:1981:38, punto 13).


54      Sentenze del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 34), del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C-317/94, EU:C:1996:400, punto 19).


55      Sentenza del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 35).


56      Sentenze del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 36), e del 26 aprile 2012, Balkan and Sea Properties (C-621/10 e C-129/11, EU:C:2012:248, punto 44), del 3 luglio 1997, Goldsmiths (C-330/95, EU:C:1997:339, punto 15), e del 24 ottobre 1996, Elida Gibbs (C-317/94, EU:C:1996:400, punto 24).


57      Sentenza del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 37).


58      In tal senso, esplicitamente, sentenze del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C-249/12 e C-250/12, EU:C:2013:722, punto 33), del 26 aprile 2012, Balkan and Sea Properties (C-621/10 e C-129/11, EU:C:2012:248, punto 43), e del 3 luglio 1997, Goldsmiths (C-330/95, EU:C:1997:339, punto 15).


59      V, al riguardo, sentenza del 23 novembre 2017, Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:887, punto 27) e le mie conclusioni nella causa Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:440, paragrafi 63 e segg.).


60      Sentenze del 6 dicembre 2012, Bonik (C-285/11, EU:C:2012:774, punto 28), del 21 giugno 2012, Mahagében (C-80/11 e C-142/11, EU:C:2012:373, punto 40), e del 12 gennaio 2006, Optigen e a. (C-354/03, C-355/03 e C-484/03, EU:C:2006:16, punto 54), nonché ordinanza del 3 marzo 2004, Transport Service (C-395/02, EU:C:2004:118, punto 26).