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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 7 aprile 2022 (1)

Causa C-696/20

B.

contro

Dyrektor Izby Skarbowej w W.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva IVA – Articolo 41 – Applicabilità – Cessione intracomunitaria di beni non esente da IVA – Riqualificazione di un’operazione all’interno di una catena di operazioni da parte dell’amministrazione tributaria – Obbligo di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sull’operazione erroneamente qualificata da una parte come operazione nazionale – Principio di proporzionalità»






I.      Introduzione

1.        Il fatto di aver commesso un errore all’inizio di un esercizio di matematica per il resto ben eseguito può in genere condurre a due possibili esiti a seconda della personalità del professore. Si potrebbe ricevere un credito per la parte corretta o si potrebbe essere valutati severamente per il compito svolto in modo errato. Sembra che, se l’amministrazione tributaria si comportasse come i professori di matematica, molto probabilmente seguirebbe la seconda ipotesi, almeno sulla base dei fatti della causa di cui trattasi.

2.        B è una società stabilita nei Paesi Bassi che ha agito come intermediaria in una catena di operazioni che coinvolge almeno tre operatori. La B ha acquistato beni dalla BOP, una società con sede in Polonia, e li ha rivenduti ai propri clienti situati in altri Stati membri.

3.        Benché tale catena non abbia comportato alcuna frode, e benché l’imposta sul valore aggiunto (IVA) sia stata effettivamente dichiarata in tutte le fasi, le autorità polacche hanno nondimeno ritenuto che ciò non sia stato fatto in maniera non corretta, giacché la cessione associata al trasporto mediante la quale le merci venivano spedite direttamente dalla BOP ai clienti finali di B era stata identificata erroneamente. Mentre B ha trattato la prima operazione (la cessione dalla BOP alla B) come operazione nazionale e la seconda (le cessioni della B ai suoi clienti) come un’operazione intracomunitaria, imputando il trasporto a quest’ultima, le autorità polacche hanno imputato il trasporto, e quindi la natura intracomunitaria, alla prima operazione.

4.        Tale riqualificazione ha portato le autorità polacche ad applicare la finzione di cui all’articolo 41 della direttiva IVA (2) che stabilisce che il luogo di un acquisto intracomunitario di beni (e quindi il luogo di imposizione) è, in definitiva, lo Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA con il quale l’acquirente dei beni ha operato, a meno che l’IVA sia stata applicata nel luogo di arrivo del trasporto dei beni. Poiché la B non è riuscita a dimostrare di aver applicato l’IVA all’acquisto intracomunitario riqualificato negli Stati membri di destinazione finale dei beni, per chiedere il pagamento dell’IVA le autorità polacche si sono basate sul numero di identificazione IVA polacco che la B aveva utilizzato per tale acquisto.

5.        Il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), giudice del rinvio investito della questione, rileva tuttavia che l’imposta era già applicata dai clienti della B. Il giudice del rinvio si chiede pertanto se l’articolo 41 della direttiva IVA, letto alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, osti alla situazione risultante, in cui l’imposta, secondo tale giudice, è stata pagata due volte; vale a dire, dai clienti della B nello Stato membro di destinazione dei beni e anche dalla B in Polonia in applicazione della norma nazionale che recepisce tale disposizione.

II.    Contesto normativo

1.      Diritto dell’Unione europea

6.        Ai sensi dell’articolo 20 della direttiva IVA:

«Si considera “acquisto intracomunitario di beni” l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene.

(...)».

7.        In base all’articolo 40 della direttiva IVA, «[è] considerato luogo di un acquisto intracomunitario di beni il luogo in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente».

8.        L’articolo 41 della direttiva IVA è così formulato:

«Fatto salvo l’articolo 40, il luogo di un acquisto intracomunitario di beni di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), punto i), si considera situato nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto, a meno che l’acquirente provi che tale acquisto è stato assoggettato all’IVA conformemente all’articolo 40.

Se l’acquisto è soggetto, in applicazione dell’articolo 40, all’IVA nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni dopo essere stato assoggettato all’imposta in applicazione del primo comma, la base imponibile è ridotta in misura adeguata nello Stato membro che ha attribuito il numero d’identificazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto».

9.        L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA, nella sua versione precedente all’adozione della direttiva (UE) 2018/1910 (3) prevedeva quanto segue:

«Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».

10.      L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2018/1910 enuncia quanto segue:

«L’articolo 138 [della direttiva IVA] è così modificato:

a) il paragrafo 1 è sostituito dal seguente:

“1. Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, se sono soddisfatte le condizioni seguenti:

a)      i beni sono ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;

b)      il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione è identificato ai fini dell’IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione IVA.

(...)».

2.      Normativa nazionale

11.      L’articolo 25 della ustawa z dnia 11 marca 2004 r. o podatku od towarów i usług (legge dell’11 marzo 2004 relativa all’imposta sui beni e sui servizi, in prosieguo: la «legge sull’IVA») così recita:

«1.      Un acquisto intracomunitario di beni si considera effettuato nel territorio dello Stato membro in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto dei beni.

2.      Fatto salvo il paragrafo 1, qualora l’acquirente di cui all’articolo 9, paragrafo 2, abbia indicato, nel caso di un acquisto intracomunitario di beni, il numero attribuitogli ai fini delle operazioni intracomunitarie da un determinato Stato membro diverso dallo Stato membro nel cui territorio si trovano i beni al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto, l’acquisto intracomunitario di beni si considera effettuato anche nel territorio di tale Stato membro, a meno che l’acquirente provi che l’acquisto intracomunitario di beni:

1)      è stato assoggettato all’imposta nel territorio dello Stato membro in cui si trovano i beni al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto, o

2)      è stato ritenuto assoggettato all’imposta nel territorio dello Stato membro in cui si trovano i beni al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto in virtù dell’applicazione della procedura semplificata nell’ambito di una operazione intracomunitaria triangolare di cui al capitolo XII».

III. Fatti, procedimento nazionale e questione pregiudiziale

12.      La B è una società stabilita nei Paesi Bassi e registrata ai fini dell’IVA in tale Stato membro. All’epoca dei fatti (aprile 2012), essa era parimenti registrata ai fini dell’IVA in Polonia.

13.      Durante tale periodo essa si situava come operatore intermedio all’interno di una catena di cessioni aventi ad oggetto gli stessi beni, realizzate tra almeno tre soggetti. La B acquistava beni dalla BOP per poi rivenderli ai propri clienti. I beni venivano spediti direttamente dal fornitore iniziale in Polonia (BOP) all’ultimo soggetto della catena di cessioni.

14.      Quando acquistava i beni dalla BOP, la B utilizzava il suo numero di identificazione IVA polacco. La B considerava tali cessioni come nazionali e, di conseguenza, applicava loro l’aliquota IVA del 23%. La B qualificava poi le cessioni che effettuava ai propri clienti come cessioni intracomunitarie tassate allo 0%. Tali clienti dichiaravano l’IVA applicabile all’acquisto intracomunitario.

15.      Con decisione dell’11 giugno 2015, il Dyrektor Urzędu Kontroli Skarbowej w R. (direttore dell’ispettorato fiscale di R., Polonia) (in prosieguo: l’«autorità tributaria di primo grado») ha riqualificato l’operazione in questione dopo aver concluso che la cessione alla quale doveva essere imputato il trasporto era stata erroneamente identificata. Mentre la B imputava il trasporto alla seconda cessione (da essa effettuata ai suoi clienti), l’autorità tributaria di primo grado riteneva che il trasporto avrebbe dovuto essere imputato alla prima cessione della catena, effettuata dalla BOP alla B. Di conseguenza, essa ha ritenuto che la prima operazione costituisse una cessione intracomunitaria che avrebbe dovuto essere dichiarata dalla B come un acquisto intracomunitario nello Stato membro di destinazione dei beni, per il quale scopo la B avrebbe dovuto registrarsi in tale Stato, mentre le cessioni della B ai suoi clienti in detto Stato membro avrebbero dovuto essere tassate come operazioni nazionali.

16.      Inoltre, poiché la B utilizzava il suo numero IVA polacco, cioè un numero IVA attribuito da uno Stato membro diverso da quello in cui si è concluso il trasporto dei beni in questione, l’autorità tributaria di primo grado ha deciso, sulla base dell’articolo 25, paragrafo 2, punto 1, della legge sull’IVA, che recepisce l’articolo 41 della direttiva IVA, che la B doveva dichiarare l’IVA sul suo acquisto intracomunitario (riqualificato) in Polonia. Allo stesso tempo, essa confermava che la BOP aveva l’obbligo di fatturare l’IVA al tasso del 23% sulla sua cessione alla B (4) e che la B non aveva il diritto di detrarre la corrispondente IVA a monte (5).

17.      Con decisione dell’11 settembre 2015, il Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W., Polonia) ha sostanzialmente confermato tali conclusioni (6).

18.      La B ha impugnato detta decisione dinanzi al Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia, Polonia; in prosieguo: il «Tribunale amministrativo del voivodato») che ha respinto il ricorso in quanto infondato.

19.      Tale giudice ha condiviso il parere delle autorità tributarie secondo cui la B non aveva correttamente qualificato entrambe le cessioni di cui trattasi e aveva erroneamente determinato la cessione alla quale il trasporto avrebbe dovuto essere imputato.

20.      La B ha presentato ricorso per cassazione dinanzi al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte amministrativa suprema), il giudice del rinvio.

21.      La B sostiene dinanzi a tale giudice che l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 1, e paragrafo 2, punto 1, della legge sull’IVA è errata, in quanto le suddette disposizioni si applicano solo agli acquisti intracomunitari e non alle situazioni nazionali (vale a dire, come spiega la B, quando il trasporto dei beni inizia nello Stato membro che ha attribuito il numero IVA). La B sostiene inoltre che vi è stata un’errata applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA, nonché dell’articolo 41 della direttiva IVA, in combinato disposto con l’articolo 16 del regolamento di esecuzione (EU) 282/2011 (7), perché l’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA è stato applicato a un’operazione che era già stata tassata come operazione nazionale in Polonia. Infine, la B sostiene che l’articolo 25, paragrafo 2, punto 1, della legge sull’IVA è stato applicato erroneamente alla sua situazione perché le cessioni di cui trattasi erano state tassate negli Stati membri in cui il trasporto si è concluso (presso i propri clienti).

22.      Il giudice del rinvio rileva che l’IVA è stata versata in tutte le fasi della catena in questione e che nulla lascia sospettare una frode. Detto giudice precisa che è l’errata valutazione delle cessioni di cui trattasi da parte della B che ha fatto sì che l’IVA fosse dovuta da tale operatore in Polonia.

23.      Esso osserva inoltre che l’amministrazione tributaria polacca non è competente a verificare l’intera catena di cessioni di cui trattasi, il che significa che non può essere presa in considerazione l’IVA pagata dai clienti della B nello Stato membro di destinazione dei beni. Ciò comporta, secondo il giudice del rinvio, un onere fiscale sproporzionato per la B.

24.      In tale contesto, il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 41 della [direttiva IVA] nonché i principi di neutralità e di proporzionalità, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, ostino all’applicazione di una disposizione nazionale come l’articolo 25, paragrafo 2, della [legge sull’IVA] agli acquisti intracomunitari di un soggetto passivo,

–        qualora tale acquisto sia già stato assoggettato all’imposta nel territorio dello Stato membro di arrivo della spedizione da parte degli acquirenti dei beni di tale soggetto passivo;

–        allorché sia accertato che la condotta del soggetto passivo non si iscrive in una frode fiscale, ma costituisce la conseguenza di una errata individuazione delle cessioni nelle operazioni a catena e che il numero di identificazione IVA polacco è stato da esso indicato ai fini di una cessione nazionale e non intracomunitaria.

25.      Osservazioni scritte nel presente caso sono state presentate dalla B, dal Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W.), dal governo polacco e dalla Commissione europea. Dette parti hanno anche presentato osservazioni orali all’udienza, svoltasi il 27 gennaio 2022».

IV.    Valutazione

26.      Affinché l’articolo 41 della direttiva IVA sia applicabile, è necessario che vi sia, tra l’altro, un acquisto intracomunitario di beni. La questione se una determinata cessione all’interno di una catena (come la prima cessione interessata nel procedimento principale) possa essere qualificata in tal senso dipende dall’«imputazione del trasporto». Poiché le parti hanno presentato pareri diversi sul modo in cui tale questione dovrebbe essere valutata, inizierò le presenti conclusioni con alcune osservazioni preliminari su tale questione specifica (A). Affronterò poi la questione al centro della presente causa, passando alla ratio dell’articolo 41 della direttiva IVA (B) ed esaminando la sua applicabilità alla fattispecie di cui al procedimento principale (C).

A.      Osservazioni preliminari sull’imputazione del trasporto

27.      Rilevo che, nel valutare il trattamento fiscale delle cessioni di beni che fanno parte di una catena, è di fondamentale importanza stabilire il segmento esatto della catena al quale deve essere imputato il trasporto che avviene in tale contesto. Tale imputazione determina quale parte delle cessioni deve essere classificata come cessione intracomunitaria che, pertanto, gli Stati membri sono tenuti a esentare dall’IVA, come previsto dall’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

28.      Tale disposizione, nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, prevedeva che gli «[g]li Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni» (8).

29.      La Corte, quando ha interpretato detta disposizione, ha ritenuto che, nell’ambito di una catena di cessioni successive che hanno dato luogo a un unico trasporto intracomunitario, il trasporto «può essere imputato a una sola delle suddette cessioni, la quale sarà, pertanto, l’unica esentata (...)» (9).

30.      La Corte ha ritenuto che la questione di quale cessione nella catena sia quella a cui deve essere imputato il trasporto deve essere risolta sulla base di una valutazione globale di tutte le circostanze particolari del caso di specie (10). In detto contesto, la Corte ha sottolineato l’importanza di stabilire il momento in cui avviene il trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario (11).

31.      Nel caso di specie, la B e il Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W.) hanno adottato punti di vista diversi sulla questione dell’imputazione del trasporto con cui i beni del primo operatore della catena (la BOP) sono stati spediti all’ultimo (i clienti della B). Mentre la B ha ritenuto che tale trasporto dovesse essere imputato alla seconda cessione della catena, ossia alle cessioni da essa effettuate ai propri clienti, il Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W.) ha ritenuto che il trasporto dovesse essere imputato alla prima cessione (effettuata dalla BOP alla B). Tale differenza di prospettiva è stata, di conseguenza, rispecchiata nella divergenza nelle loro rispettive valutazioni su quale delle cessioni costituisse una cessione intracomunitaria. Ciò, a sua volta, ha influito sulle loro opinioni in merito al trattamento fiscale di ciascuna delle cessioni di cui trattasi.

32.      Nel procedimento in esame, la B richiama più specificamente all’articolo 36 bis della direttiva IVA per sostenere che la sua posizione sull’imputazione del trasporto è conforme al secondo paragrafo di tale disposizione.

33.      Osservo che l’articolo 36 bis della direttiva IVA chiarisce effettivamente la questione dell’imputazione del trasporto all’interno di una catena di cessioni prevedendo, al suo secondo paragrafo, che «la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione di beni effettuata dall’operatore intermedio se quest’ultimo [quale è la B nel caso di specie] ha comunicato al cedente il numero di identificazione IVA attribuitogli dallo Stato membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati». Pertanto, se fosse applicabile al caso in esame, tale disposizione confermerebbe la posizione della B. Tuttavia, a mio avviso, nel caso di specie la B non può basarsi su di essa, perché tale disposizione è stata introdotta nella direttiva IVA dalla direttiva 2018/1910 (12), vale a dire diversi anni dopo che l’operazione di cui trattasi ha avuto luogo. Come tale, non è applicabile alla fattispecie di cui trattasi ratione temporis.  Inoltre, non ravviso alcun elemento, che si tratti del testo della direttiva 2018/1910 o dei lavori preparatori di quest’ultima, a sostegno della tesi di B, secondo cui il contenuto del secondo paragrafo dell’articolo 36 bis della direttiva IVA rifletterebbe la giurisprudenza preesistente della Corte.

34.      Dalla proposta della Commissione che ha portato all’adozione della direttiva 2018/1910 si evince che tale disposizione deriva dalla richiesta da parte degli Stati membri di «miglioramenti legislativi al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori nel determinare la cessione all’interno della catena di operazioni alla quale deve essere imputato il trasporto intracomunitario» (13). Anche altri lavori preparatori rivelano l’intento del legislatore europeo di «evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori» (14). Tale preoccupazione è ora espressa nel considerando 6 della direttiva 2018/1910.

35.      Tali elementi confermano, a mio avviso, che l’imputazione del trasporto nel procedimento principale deve essere valutata alla luce della giurisprudenza citata al precedente paragrafo 30, che riflette la situazione precedente all’adozione di tale direttiva. Tale conclusione è corroborata dalla nota esplicativa sulle cosiddette «soluzioni rapide» in cui si afferma che «la direttiva IVA, nella sua formulazione precedente al 1o gennaio 2020, non prevedeva alcuna disposizione specifica per l’attribuzione del trasporto intracomunitario dei beni», che doveva quindi essere effettuata sulla base di una «valutazione complessiva di tutte le circostanze specifiche in ogni caso particolare» (15).

36.      Fatte tali precisazioni, ricordo che spetta al giudice del rinvio, che è titolare del potere esclusivo di accertare e valutare i fatti del procedimento principale (16), determinare l’imputazione del trasporto all’interno della catena di cessioni di cui trattasi (17). L’analisi che segue è quindi pertinente solo qualora il giudice del rinvio dovesse confermare che il trasporto deve essere imputato alla prima cessione in questione.

B.      Ratio soggiacente all’articolo 41 della direttiva IVA

37.      Un acquisto intracomunitario di beni deve essere tassato, in generale, negli Stati membri in cui termina il trasporto dei beni. Ciò è previsto dall’articolo 40 della direttiva IVA e riflette la regola principale dell’attuale regime del sistema comune dell’IVA che attribuisce il potere impositivo allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti (18).

38.      In deroga (ma fatta salva tale norma principale), l’articolo 41 della direttiva IVA stabilisce come luogo di un acquisto intracomunitario di beni (e quindi come luogo di imposizione) anche, detto semplicemente, lo Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA con il quale l’acquirente dei beni ha operato, salvo che l’IVA sia stata applicata nel luogo in cui termina il trasporto dei beni.

39.      Come la Corte ha statuito, l’articolo 41 della direttiva IVA «è inteso, da un lato, a garantire l’assoggettamento ad imposta dell’acquisto intracomunitario di cui trattasi e, dall’altro, a evitare la doppia imposizione per il medesimo acquisto» (19).

40.      L’obiettivo di prevenire la perdita fiscale riflette l’incertezza circa lo Stato in cui effettivamente si concluderanno la spedizione o il trasporto (20). Un acquisto intracomunitario di beni segue una cessione intracomunitaria di beni che, in linea di principio, deve essere esente ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA (21). Quindi, per evitare perdite fiscali, è importante assicurarsi che la stessa operazione sia soggetta all’imposta da parte di chi effettua l’acquisto.

41.      È vero che, per perseguire tale obiettivo, l’articolo 41 della direttiva IVA determina la potenzialità di una doppia imposizione perché crea due luoghi di acquisizione dei beni, uno nello Stato membro che attribuisca il numero di registrazione IVA, che è il luogo fittizio dell’acquisizione, e l’altro nello Stato membro in cui termina il trasporto dei beni (che è il luogo reale dell’acquisizione).

42.      Tale doppia imposizione dovrebbe però essere solo temporanea perché l’articolo 41, secondo comma, della direttiva IVA prevede un meccanismo correttivo che consiste nella possibilità per l’operatore interessato di dimostrare che l’operazione è stata tassata conformemente all’articolo 40 della direttiva IVA, cioè nello Stato membro in cui si conclude il trasporto. In siffatta situazione, «la base imponibile è ridotta in misura adeguata nello Stato membro che ha attribuito il numero d’identificazione IVA con il quale l’acquirente ha effettuato l’acquisto».

43.      Rendendo possibile il ricorso a tale meccanismo correttivo, l’articolo 41 della direttiva IVA mira quindi a evitare la doppia imposizione (22). Esso rappresenta inoltre un’altra espressione dell’obiettivo di trasferire il gettito fiscale allo Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni (23).

C.      Applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA al procedimento principale

44.      La questione dell’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA al procedimento principale è stata affrontata, nel presente procedimento, da diverse angolazioni. Al fine di affrontare tali diverse angolazioni, esaminerò innanzitutto la tesi della B, secondo cui l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA è del tutto preclusa perché la B ha effettuato l’acquisto con il numero di identificazione IVA polacco, cioè con un numero di identificazione IVA dello Stato membro di origine dei beni (1).

45.      Poiché concluderò che quest’ultimo fatto non escludeva l’applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA all’epoca dei fatti, passerò quindi alla questione del giudice del rinvio relativa alla pertinenza del fatto che i clienti della B hanno pagato l’imposta sulla seconda operazione della catena in questione (2).

46.      Al riguardo, concluderò anche che tale circostanza non pregiudica l’applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA. A seguire, andrò oltre la questione, nei termini espliciti in cui è stata posta, ed esaminerò il fatto che le autorità nazionali hanno trattato la prima cessione della catena di cui trattasi dopo la sua riqualificazione come cessione intracomunitaria non esente. Alla luce di tale specifica circostanza, concluderò che l’applicazione delle norme nazionali che recepiscono l’articolo 41 della direttiva IVA crea un onere fiscale sproporzionato ed è preclusa (3).

1.      Se l’articolo 41 della direttiva IVA sia applicabile quando l’operatore intermediario utilizza il numero di identificazione IVA dello Stato membro di origine delle merci.

47.      La B sostiene che l’articolo 41 della direttiva IVA non può essere applicato nel procedimento principale perché al momento dell’acquisto dei beni dalla BOP ha utilizzato il suo numero di identificazione IVA polacco, un numero attribuito dallo Stato membro di origine dei beni. Secondo la B, una situazione del genere equivale a una cessione interna alla quale non può essere applicato l’articolo 41 della direttiva IVA.

48.      Ammetto che i fatti del caso di specie non riflettono un copione tipico che si avrebbe in mente nel discutere l’articolo 41 della direttiva IVA. Un copione siffatto, infatti, coinvolgerebbe tre Stati membri con, ad esempio, un soggetto passivo stabilito nei Paesi Bassi che, con il suo numero di identificazione IVA dei Paesi Bassi, acquista in Polonia beni da consegnare in Germania (24). In tale situazione, le autorità dei Paesi Bassi agirebbero sulla base della finzione prevista dall’articolo 41 della direttiva IVA in modo da «garantire» la riscossione dell’imposta a meno che (e fino a quando) l’imposta non sia effettivamente pagata nello Stato membro di destinazione finale dei beni (nell’esempio citato, la Germania).

49.      Detto questo, non ravviso alcunché nella formulazione dell’articolo 41 della direttiva IVA, né nel suo contesto o nella sua finalità (25), che ne limiterebbe l’applicazione all’ipotesi che coinvolge tre Stati membri e che, in ogni caso, sostenga la posizione assunta dalla B, se considerata alla luce delle disposizioni della direttiva IVA che erano applicabili all’epoca dei fatti.

50.      Per quanto riguarda, in primo luogo, la formulazione, si evince dall’articolo 41 della direttiva IVA che le autorità dello Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA possono esercitare i poteri previsti da tale disposizione, in caso di acquisto intracomunitario di beni e qualora l’operatore abbia agito con il numero di identificazione IVA rilasciato da tale Stato membro. Nel procedimento principale tali condizioni sembrano essere soddisfatte. Per contro, la formulazione di tale disposizione non fa dipendere la sua applicazione da una particolare identificazione IVA (26).

51.      In secondo luogo, prendendo in esame il contesto normativo più ampio, la B sostiene che si dovrebbe prendere in considerazione l’articolo 20 della direttiva IVA dal quale risulta, secondo tale parte, che perché vi sia un acquisto intracomunitario di beni, l’operatore deve aver agito con un numero di identificazione IVA attribuito da uno Stato membro diverso da quello di origine dei beni.

52.      L’articolo 20 della direttiva IVA definisce la nozione di «acquisto intracomunitario di beni» e precisa che come tale si considera «l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene».

53.      La B ha spiegato all’udienza, in sostanza, che l’articolo 41 della direttiva IVA non può ampliare la nozione di «acquisto intracomunitario di beni» come definita all’articolo 20 della stessa direttiva. Secondo la B, l’articolo 41 della direttiva IVA si limita a porre in essere un meccanismo speciale per la tassazione degli acquisti intracomunitari di beni. Secondo la B, la nozione di acquisto intracomunitario di beni richiede che gli Stati membri di partenza e di destinazione dei beni siano diversi. Tuttavia, secondo la B, nel caso di specie le autorità polacche hanno tassato l’acquisto intracomunitario di beni nello Stato membro d’origine anche se tali beni sono stati trasportati a partire da quello stesso Stato. In tale situazione, secondo la B, l’operazione deve essere tassata come operazione nazionale.

54.      Contrariamente alle argomentazioni della B, non vedo come, in base alle norme della direttiva IVA applicabili ratione temporis al procedimento principale, la definizione di cui all’articolo 20 della direttiva IVA farebbe dipendere la conclusione sul carattere intracomunitario o meno di un acquisto dall’uso di uno specifico numero di identificazione IVA.

55.      Prima dell’adozione della direttiva 2018/1910 (27), la Corte si è basata sulla formulazione dell’articolo 20 e dell’articolo 138, paragrafo 1 (nel testo allora in vigore) della direttiva IVA per affermare che «il luogo di identificazione di un operatore ai fini dell’IVA non è un criterio di qualificazione di una cessione intracomunitaria o di un acquisto intracomunitario» (28).

56.      Infatti, la nozione di acquisto intracomunitario definita all’articolo 20 della direttiva IVA è legata alla nozione di cessione intracomunitaria di cui all’articolo 138, paragrafo 1, della stessa direttiva, in quanto, in linea di principio, può esservi un acquisto intracomunitario di beni solo se vi sia, prima, una cessione intracomunitaria di beni (29). Poiché l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA richiede l’esistenza di un acquisto intracomunitario di beni, come risulta dal suo testo, tale disposizione è a sua volta legata all’articolo 20 e all’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA (30).

57.      Osservo che la giurisprudenza della Corte citata supra al paragrafo 55 deve oramai essere letta alla luce delle successive modifiche apportate al testo dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA. Tale disposizione definisce le condizioni materiali in presenza delle quali una cessione intracomunitaria di beni deve essere esentata. Più precisamente e fino all’adozione della direttiva 2018/1910 (31), l’obbligo di esenzione sorgeva «quando il potere di disporre di tale bene come proprietario [era] stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova[va] che tale bene [era] stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso [aveva] lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione».  (32) Con l’adozione della direttiva 2018/2019, il legislatore dell’Unione ha aggiunto una nuova condizione secondo la quale «il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione [deve essere] identificato ai fini dell’IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio» ed esso «ha comunicato al cedente tale numero di identificazione IVA» come ora previsto dall’articolo 138, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA.

58.      Da ciò consegue che il fatto che l’acquirente utilizzi un numero di identificazione IVA, attribuito da uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio, è diventato una condizione sostanziale supplementare per l’esenzione di una cessione intracomunitaria di beni (33).

59.      Ciò comporta, a mio avviso, una conseguenza per l’interpretazione dell’articolo 20 della direttiva IVA nella sua versione attuale perché, come rilevato al precedente paragrafo 40, un acquisto intracomunitario segue logicamente una cessione intracomunitaria. In altre parole, la prima non può verificarsi in assenza della seconda, poiché la cessione intracomunitaria e l’acquisto intracomunitario sono essenzialmente due facce della stessa medaglia. A sua volta, la modifica delle condizioni materiali per l’esenzione delle cessioni intracomunitarie di beni ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA incide anche, attualmente, sull’ambito di applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA perché, come è stato detto, e come la B in linea di principio sostiene correttamente, affinché l’articolo 41 della direttiva IVA sia applicabile, deve esserci un acquisto intracomunitario di beni ai sensi dell’articolo 20 della direttiva IVA.

60.      Tuttavia, l’importante modifica alla formulazione dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA che trasforma il numero di registrazione IVA da requisito formale a requisito sostanziale è stata apportata dal legislatore dell’Unione con l’adozione della direttiva 2018/1910 (34), mentre il caso in esame rientra ancora nel precedente regime in base al quale il numero di identificazione IVA non era considerata un requisito sostanziale, ma piuttosto formale (35). Pertanto, come ho già rilevato, il fatto che la B abbia utilizzato il numero di identificazione IVA dello Stato membro di origine dei beni non esclude, di per sé, il carattere intracomunitario dell’operazione e l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA ai fatti di cui al procedimento principale.

61.      Ciò premesso, esaminerò ora se i due obiettivi perseguiti dall’articolo 41 della direttiva IVA, ossia la prevenzione dell’evasione fiscale e della doppia imposizione, corroborino l’interpretazione di tale disposizione che propongo.

62.      A questo proposito, osservo che entrambi questi obiettivi possono essere effettivamente perseguiti dalle autorità dello Stato membro di origine dei beni quando quest’ultimo è anche lo Stato membro cha ha attribuito il numero di identificazione IVA utilizzato per l’operazione considerata.

63.      La Corte ha affermato che «l’attribuzione di un (…) numero [di identificazione IVA] fornisce la prova dello status fiscale del soggetto passivo ai fini dell’applicazione dell’IVA e agevola il controllo tributario delle operazioni intracomunitarie» (36). Non c’è motivo di dubitare che il numero d’identificazione IVA possa svolgere tale ruolo e facilitare il controllo tributario quando tale controllo è condotto dalle autorità dello Stato membro d’origine dei beni e quando esse agiscono ai sensi dell’articolo 41 della direttiva IVA.

64.      Per chiarire, lo Stato membro d’origine dei beni, come la Polonia nel caso di specie, fungerà da luogo considerato come il luogo dell’acquisto intracomunitario in questione, in base alla finzione stabilita dall’articolo 41 della direttiva IVA, in modo da garantire la riscossione dell’imposta e prevenire l’evasione fiscale. Esso sarà altresì in grado di garantire che non vi sia la doppia imposizione, applicando il meccanismo correttivo se l’operatore interessato fornisce la prova del pagamento dell’imposta nello Stato membro di destinazione finale dei beni.

65.       In altre parole, il ruolo che lo Stato membro che attribuito il numero di identificazione IVA svolge quando agisce, sulla base della finzione di cui all’articolo 41 della direttiva IVA, non è affatto ostacolato quando tale Stato membro è anche il paese d’origine dei beni.

66.      Alla luce di tali considerazioni, sono del parere che il fatto che un operatore intermedio in una catena di cessioni, come la B, operante in un periodo al quale non si applica ratione temporis la direttiva 2018/1910, abbia utilizzato il numero di identificazione IVA dello Stato membro di origine dei beni, non pregiudica l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA all’acquisto effettuato da tale operatore.

2.      Rilevanza dell’applicazione dell’imposta all’acquisto, nello Stato membro di destinazione, da parte dei clienti dell’operatore intermediario in una catena di cessioni

67.      È pacifico tra le parti che, nel caso di specie, l’IVA sia stata applicata in ogni fase della catena, anche dai clienti della B all’atto dell’acquisto dei beni nello Stato membro di destinazione.

68.      Il giudice del rinvio sottolinea quest’ultimo fatto e chiede, in sostanza, se tale circostanza specifica impedisca alle autorità nazionali di imporre alla B il pagamento dell’IVA sull’acquisto intracomunitario di beni riqualificato, in applicazione della disposizione nazionale che recepisce l’articolo 41 della direttiva IVA. Tale questione si basa sulla premessa che non vi è stata frode e sul presupposto che il commerciante che agisce come operatore intermediario nella catena di cessioni (nel caso di specie, la B) abbia commesso un errore nella classificazione delle rispettive cessioni dell’operazione in questione.

69.      Intendo che il giudice del rinvio ritiene che sia stato imposto a B onere fiscale sproporzionato perché, da un lato, i clienti della B hanno applicato l’IVA nello Stato membro di destinazione finale dei beni (su quello che presumibilmente era da loro considerato un acquisto intracomunitario) e, dall’altro, le autorità fiscali polacche hanno chiesto alla B di pagare l’IVA sulla prima cessione effettuata alla B dalla BOP dopo che tale cessione era stata riqualificata come intracomunitaria e trattata secondo le disposizioni nazionali che recepiscono l’articolo 41 della direttiva IVA.

70.      La Commissione, in linea di principio, fa la stessa osservazione.

71.      Tuttavia, non ritengo che il fatto che i clienti della B abbiano applicato l’imposta all’acquisto di beni nello Stato membro di destinazione svolga alcun ruolo nella valutazione dell’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA.

72.      Tale conclusione discende dalla ragione molto semplice che l’imposta applicata ai clienti della B riguarda il loro acquisto di beni ceduti loro dalla B, mentre il procedimento principale riguarda l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA all’acquisto effettuato dalla B dei beni a essa ceduti dalla BOP. In altri termini, l’imposta versata dai clienti della B è un’imposta applicata alla seconda cessione della catena di cui trattasi, mentre il procedimento principale riguarda la tassazione della prima cessione della medesima catena. Si tratta di due operazioni diverse e, in quanto tali, gli obblighi fiscali che le riguardano gravano su operatori diversi.

73.      Pertanto, sono del parere che l’applicazione dell’IVA da parte dei clienti della B non possa essere invocata dalla B dinanzi alle autorità polacche nell’ambito del meccanismo correttivo (qualora l’applicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA fosse confermata). A mio avviso, in primo luogo, la formulazione di tale disposizione esclude tale possibilità poiché la finzione dell’acquisto nello Stato membro di identificazione IVA viene meno qualora «l’acquirente provi che tale acquisto è stato assoggettato all’IVA [nello Stato membro di destinazione dei beni]» (37). L’espressione «tale acquisto» si riferisce logicamente, a mio avviso e come in linea di principio sostenuto dal governo polacco, all’acquisto intracomunitario effettuato dall’«acquirente», che è quindi potenzialmente soggetto passivo dell’IVA ai sensi dell’articolo 41 della direttiva IVA.

74.      In secondo luogo, la presa in considerazione dell’applicazione dell’IVA da parte dei clienti della B al fine di ridurre l’onere fiscale sostenuto dalla B stessa non può contribuire a nessuno dei due obiettivi perseguiti dall’articolo 41 della direttiva IVA.

75.      A tale riguardo, essa non garantisce l’effettiva riscossione dell’imposta perché, in sostanza, nessuna imposta potrebbe essere riscossa in tali circostanze su uno specifico acquisto intracomunitario sulla base della finzione stabilita dall’articolo 41 dell’IVA. A maggior ragione, il meccanismo correttivo messo in atto in tali circostanze non potrebbe essere invocato per evitare la doppia imposizione perché, nell’ipotesi considerata, la B non sarebbe tassata nello Stato membro di destinazione dei beni e l’imposta sarebbe quindi, in linea di principio, rimborsata a un operatore che, in questa ipotesi, non ha pagato alcuna imposta nello Stato membro di destinazione.

76.      Alla luce di quanto precede, concludo che l’articolo 41 della direttiva IVA e i principi di neutralità e di proporzionalità non ostano all’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA agli acquisti intracomunitari di beni da parte di un soggetto passivo qualora gli acquirenti dei beni di tale soggetto passivo abbiano applicato l’IVA sull’acquisto di tali beni nel territorio dello Stato membro di arrivo del trasporto.

77.      Ciò premesso, condivido con il giudice del rinvio e con la Commissione l’opinione che i fatti del caso di specie, come esposti nella decisione di rinvio, sembrano effettivamente rivelare un problema di onere fiscale sproporzionato, che, a mio avviso, osta in definitiva all’applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA nel procedimento principale.

78.      Tuttavia, diversamente dal giudice del rinvio e dalla Commissione, ritengo che, per valutare se la B sia stata gravata da un onere fiscale incompatibile con i principi di neutralità e di proporzionalità dell’IVA, occorre concentrarsi sugli obblighi fiscali della B per quanto riguarda la prima cessione di cui trattasi, poiché il procedimento principale riguarda specificamente detto operatore e detta operazione ad essere interessati.

79.      A tale riguardo, considero problematico il fatto che la legge nazionale di recepimento dell’articolo 41 della direttiva IVA sia stata applicata a un acquisto intracomunitario (riqualificato) che corrispondeva a una cessione intracomunitaria (riqualificata) che, tuttavia, non era esente.

3.      Rilevanza della non esenzione della cessione intracomunitaria riqualificata

80.      Il giudice del rinvio osserva che, sebbene la cessione da parte della BOP alla B sia stata riqualificata dalle autorità polacche da nazionale a intracomunitaria, dette autorità hanno sostenuto che tale cessione non poteva essere esentata. L’amministrazione tributaria ha ritenuto che la BOP fosse obbligata ad addebitare un’aliquota IVA del 23% sulla cessione intracomunitaria riqualificata perché la B aveva utilizzato il numero IVA polacco. Così, la B ha dovuto pagare l’IVA che era stata a essa fatturata dalla BOP. Inoltre, come osserva il giudice del rinvio, è stato negato alla B il diritto di detrarre la corrispondente IVA a monte (38). Il giudice del rinvio aggiunge altresì che tale problematica non è oggetto della questione pregiudiziale, ma osserva che detto diniego ha comportato per la B un’imposizione totale di IVA pari al 46%.

81.      Nelle osservazioni scritte, la B fa riferimento a questi fatti per sostenere che essi ostano all’applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA.

82.      Come il governo polacco ha correttamente sottolineato all’udienza, tali elementi non sono menzionati nella questione pregiudiziale. Tuttavia, poiché essi sono chiaramente menzionati nella decisione di rinvio (e sono stati commentati dalla B nella memoria scritta e all’udienza), procederò ad esaminarli qui di seguito in modo da fornire al giudice del rinvio una risposta utile nell’interesse della risoluzione della causa di cui è investito. È tuttavia evidente che la valutazione giuridica di tali elementi non rientra nell’ambito della presente causa (39).

83.      Per comprendere l’articolo 41 della direttiva IVA, detta disposizione deve essere collocata nel contesto più ampio del sistema della direttiva IVA in base al quale, da un lato, le cessioni intracomunitarie sono, in linea di principio, esenti negli Stati membri di origine dei beni e, dall’altro, gli acquisti intracomunitari sono tassati nello Stato membro di destinazione (40). Ciò è l’espressione dell’obiettivo di assegnare la riscossione del gettito fiscale agli Stati membri del consumo finale dei beni.

84.      È all’interno di questo schema più ampio che l’articolo 41 della direttiva IVA mira a garantire la riscossione dell’IVA istituendo la finzione secondo cui il luogo di un acquisto intracomunitario è lo Stato membro di identificazione IVA. Poiché un acquisto intracomunitario di beni ha, in linea di principio, come corollario una cessione intracomunitaria esente, è importante assicurarsi che l’operazione risultante sia tassata, o nello Stato membro della registrazione IVA, o nello Stato membro dell’acquisto (effettivo).

85.      Ciò premesso, ricordo che le misure adottate dagli Stati membri per garantire la corretta tassazione e riscossione dell’imposta e per prevenire le frodi non possono essere utilizzate in modo tale da compromettere la neutralità dell’IVA, il che osta a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni subiscano un trattamento differenziato in materia di riscossione dell’IVA e mira a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’IVA nell’ambito delle sue attività economiche (41). Inoltre, secondo il principio di proporzionalità, i provvedimenti adottati per garantire l’effettiva riscossione dell’imposta «non devono eccedere quanto è necessario a tal fine» (42).

86.      Il fatto che le autorità nazionali abbiano deciso di trattare la cessione intracomunitaria effettuata dalla BOP alla B, dopo la sua riqualificazione, come «non esente» significa che l’imposta è stata effettivamente applicata a tale operazione in Polonia.

87.      Sebbene la sua effettiva tassazione nello Stato di origine dei beni non pregiudichi il potere dello Stato membro di destinazione (43), tale tassazione rende, a mio avviso, opinabile la necessità di applicare l’articolo 41 della direttiva IVA perché, come detto, l’imposta è stata applicata e non vi è più motivo di temere una possibile evasione fiscale.

88.      Basandosi sul regime generale delle cessioni esenti e degli acquisti tassati, l’articolo 41 della direttiva IVA prevede che lo Stato membro di registrazione dell’IVA intervenga per evitare le perdite che possono verificarsi a causa dell’esenzione fiscale nel paese di origine dei beni. Tuttavia, poiché, nel caso di specie, non vi era alcuna esenzione nello Stato membro d’origine dei beni, non sussisteva, a mio avviso, alcun rischio di evasione fiscale. Pertanto, non vi era motivo che lo Stato membro di registrazione dell’IVA intervenisse, come sostenuto, in sostanza, dalla B.

89.      È vero che, la B, se dovesse pagare l’imposta sul suo acquisto intracomunitario riqualificato nello Stato membro di destinazione dei beni, potrebbe avvalersi del meccanismo correttivo di cui all’articolo 41 della direttiva IVA, come il governo polacco ha confermato in udienza. Sarebbe quindi attenuato l’onere fiscale supplementare che ora risulta dall’applicazione alla B dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA, considerato isolatamente. Ciò non modifica, tuttavia, la premessa iniziale secondo cui, a causa della mancata esenzione della cessione intracomunitaria di cui trattasi, l’applicazione di tale disposizione è divenuta superflua e ha comportato un inutile onere fiscale.

90.      In tali circostanze, ritengo che, applicando l’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA a un acquisto intracomunitario derivante da una cessione intracomunitaria non esente, le autorità nazionali abbiano violato il principio di proporzionalità.

91.      L’inutile onere fiscale imposto alla B dall’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA sembra ulteriormente aggravato dal diniego del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte sull’acquisto intracomunitario riqualificato. Non ritengo, tuttavia, che tale circostanza sia di per sé decisiva per la conclusione cui sono giunto supra in merito all’inapplicabilità dell’articolo 41 della direttiva IVA. A mio avviso, tale conclusione rimarrebbe immutata anche se il diritto alla detrazione fosse stato concesso, perché tale circostanza non inciderebbe sul fatto che la cessione intracomunitaria riqualificata in questione non era esente, il che, come ho spiegato, rende superflua l’applicazione dell’articolo 41 della direttiva IVA.

92.      Da quanto precede risulta che l’articolo 41 della direttiva IVA e il principio di proporzionalità ostano all’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA agli acquisti intracomunitari di beni qualora tali acquisti derivino da una cessione intracomunitaria che non è stata trattata come esente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

V.      Conclusioni

93.      Suggerisco alla Corte di rispondere al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte amministrativa suprema, Polonia) nel modo seguente:

L’articolo 41 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonché il principio di neutralità e di proporzionalità non ostano all’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della ustawa z dnia 11 marca 2004 r. o podatku od towarów i usług (legge dell’11 marzo 2004 relativa all’imposta sui beni e sui servizi) agli acquisti intracomunitari di beni da parte di un soggetto passivo allorché gli acquirenti dei beni da tale soggetto passivo hanno applicato l’IVA all’acquisto di tali beni nel territorio dello Stato membro di arrivo del trasporto.

Tuttavia, l’articolo 41 della [direttiva 2006/112/CE] e il principio di proporzionalità ostano all’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2, della legge sull’IVA agli acquisti intracomunitario di beni qualora tali acquisti derivino da una cessione intracomunitaria di beni che non è stata trattata come esente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva IVA»).


3      Direttiva del 4 dicembre 2018, che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema d’imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati membri (GU 2018, L 311, pag. 3).


4      Dalla decisione di rinvio risulta che l’assenza di esenzione della cessione intracomunitaria riqualificata derivava dalla norma nazionale, in vigore all’epoca dei fatti, secondo la quale l’esenzione non poteva essere concessa quando l’acquirente agiva con il numero di identificazione IVA nazionale.


5      La decisione di rinvio non contiene informazioni sul motivo per cui è stato negato alla B il diritto a detrazione.


6      Dalla decisione di rinvio si evince che il Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W.) ha annullato la decisione dell’autorità tributaria di primo grado e ha determinato l’ammontare della differenza dell’imposta da rimborsare per il mese di aprile 2012 in un importo leggermente superiore. Viene altresì precisato che tale modifica è irrilevante ai fini della questione sollevata, poiché il Dyrektor Izby Skarbowej w W. (direttore dell’amministrazione tributaria di W.) ha confermato le constatazioni di fatto e di diritto formulate in primo grado.


7      Regolamento di esecuzione del Consiglio, del 15 marzo 2011, recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto GU 2011, L 77, pag. 1).


8      L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA è stato modificato dalla direttiva 2018/1910. Esaminerò il cambiamento in modo più approfondito al paragrafo 57 delle presenti conclusioni.


9      V, ad esempio, sentenze del 19 dicembre 2018, AREX CZ (C-414/17, EU:C:2018:1027, punto 70 e giurisprudenza ivi citata), o del 23 aprile 2020, Herst, C-401/18, EU:C:2020:295, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


10      V., ad esempio, sentenze del 16 dicembre 2010, Euro Tyre Holding (C-430/09, EU:C:2010:786, punto 27), o del 23 aprile 2020, Herst (C-401/18, EU:C:2020:295, punto 43 e giurisprudenza citata).


11      V., di recente, sentenze del 19 dicembre 2018, AREX CZ (C-414/17, EU:C:2018:1027, punti 70 e 72), e del 10 luglio 2019, Kuršu zeme (C-273/18, EU:C:2019:588, punto 39). V. altresì, per ulteriori indicazioni, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa AREX CZ (C-414/17, EU:C:2018:624, paragrafi da 58 a 64, nelle quali essa sottolinea specificamente il rischio associato della distruzione accidentale del bene durante il trasporto).


12      V. supra, nota 3 delle presenti conclusioni.


13      Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema d’imposta sul valore aggiunto e l’introduzione del sistema definitivo di imposizione degli scambi tra Stati membri [COM(2017) 569 final], pag. 12.


14      V. documento del Consiglio ST 10335 2018 INIT del 20 giugno 2018, considerando 7 del testo proposto.


15      Commissione europea, Note esplicative riguardanti le modifiche del sistema dell’IVA nell’UE relative al regime di call-off stock, alle operazioni a catena e all’esenzione delle cessioni intracomunitarie di beni («soluzioni rapide 2020»), Direttiva (UE) 2018/1910 del Consiglio, Regolamento di esecuzione (UE) 2018/1912 del Consiglio, Regolamento (UE) 2018/1909 del Consiglio, 2019 (in prosieguo: le «note esplicative sulle soluzioni rapide 2020»), punto 3.2.


16      V., ad esempio, sentenza del 13 gennaio 2022, Benedetti Pietro e Angelo e a. (C-377/19, EU:C:2022:4, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


17      V., per orientarsi, ad esempio, i riferimenti nelle note precedenti10 e11.


18      V. considerando 10 della direttiva IVA e, ad esempio, sentenza del 16 dicembre 2010, Euro Tyre Holding (C-430/09, EU:C:2010:786, punto 43 e giurisprudenza citata).


19      V., riguardo all’articolo 28 ter, parte A, n. 2, della sesta direttiva che corrisponde all’articolo 41 della direttiva IVA, sentenza del 22 aprile 2010, X (C-536/08 e C-539/08, EU:C:2010:217, punto 35). Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1).


20      Nel contesto dell’articolo 28 ter, parte A, n. 1, della sesta direttiva, corrispondente all’articolo 40 della direttiva IVA, è stato rilevato che «[n]on è sufficientemente sicuro che si pervenga [al trasferimento del bene da uno Stato membro ad un altro] finché il bene non abbia varcato il confine». Conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:7, paragrafo 46).


21      V. altresì proposta della Commissione COM(2017) 569 final, pag. 2, citata in precedenza nella nota 13.


22      Nel contesto della sesta direttiva, sentenza del 22 aprile 2010, X (C-536/08 e C-539/08 EU:C:2010:217, punto 35).


23      Ibidem, punto 44. V. supra, paragrafo 37 delle presenti conclusioni.


24      V. esempi concreti forniti in tal senso in Ben Terra, Julie Kajus, A Guide to the European VAT Directives, IBFD, 2021, punto 11.3.1, e nel contesto della legislazione tedesca che recepisce l’articolo 41 della direttiva IVA, da Marchal in Rau/Dürrwächter, Umsatzsteuerrecht, UStG, § 3d, punto 16, o da Hummel in Mössner e a., Steuerrecht international tätiger Unternehmen, punto 14.387.


25      Ricordo che «per quanto riguarda l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non solo della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte». V., ad esempio, sentenza del 19 aprile 2018, Firma Hans Bühler (C-580/16, EU:C:2018:261, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


26      Al contrario di altre disposizioni della direttiva IVA. V., ad esempio, articolo 141, lettere a), c), e d), della direttiva IVA.


27      V. supra, nota 3 delle presenti conclusioni.


28      Sentenza del 26 luglio 2017, Toridas (C-386/16, EU:C:2017:599, punto 42). V., altresì sentenza del 27 settembre 2012, VSTR (C-587/10, EU:C:2012:592, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).


29      Tenendo presente che «le nozioni di cessione intracomunitaria e di acquisto intracomunitario hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi». V., ad esempio, sentenza del 16 dicembre 2010, Euro Tyre Holding (C-430/09, EU:C:2010:786, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


30      V conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa X (C-84/09, EU:C:2010:252, paragrafo [49]), nelle quali essa osserva che «gli Stati membri devono basarsi su un’interpretazione uniforme delle disposizioni in materia di esenzione delle cessioni intracomunitarie (art. 138 della direttiva [IVA]) e di imposizione dell’acquisto intracomunitario (art. 20 della direttiva [IVA])».


31      V. supra, nota 3 delle presenti conclusioni.


32      V., ad esempio, sentenza del 9 ottobre 2014, Traum (C-492/13, EU:C:2014:2267, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).


33      Note esplicative sulle soluzioni rapide 2020, citate supra in nota 15, punto 1.1., pag. 10. V. altresì proposta della Commissione COM(2017) 569, v. nota 13, pagg. 10 e 11.


34      Il considerando 3 della direttiva 2018/1910 ricorda che «il Consiglio ha invitato la Commissione ad apportare taluni miglioramenti alle norme dell’Unione in materia di IVA per le operazioni transfrontaliere, con riguardo al ruolo del numero di identificazione IVA nell’ambito dell’esenzione delle cessioni intracomunitarie, al regime di call-off stock, alle operazioni a catena e alla prova del trasporto ai fini dell’esenzione delle operazioni intracomunitarie». V. altresì considerando 7.


35      V., ad esempio, sentenze del 20 ottobre 2016, Plöckl (C-24/15, EU:C:2016:791, punti 41 e 42); o del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C-21/16, EU:C:2017:106, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). Vedi altresì note esplicative sulle soluzioni rapide 2020, citate in precedenza nella nota 15, punto 4.3.1., pag. 74.


36      Sentenza del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona (C-273/11, EU:C:2012:547, punto 60).


37      Il corsivo è mio.


38      Come rilevato nella nota 5 supra, la decisione di rinvio non contiene alcuna informazione circa i motivi di tale diniego.


39      Per quel che rileva, ricordo che, secondo una giurisprudenza consolidata, l’esenzione di una cessione intracomunitaria deve essere concessa quando sono soddisfatte le condizioni sostanziali. Tali condizioni includono ora il numero di identificazione IVA, come spiegato supra ai paragrafi da 57 a 61 delle presenti conclusioni. Tuttavia, il caso in questione non rientra nell’ambito di applicazione ratione temporis di questa nuova norma.


40      V. sentenza del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:548, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì proposta della Commissione COM(2017) 0569 final, pag. 2, citata supra nella nota 13.


41      V, per entrambi gli aspetti, conclusioni dell’avvocato generale Kokott del 19 dicembre 2019 nella causa AGROBET CZ (C-446/18, EU:C:2019:1137, paragrafo 57 e giurisprudenza ivi citata).


42      Sentenza del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:548, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).


43      L’articolo 16 del regolamento di esecuzione 282/2011, citato nella precedente nota 7, così dispone: «Lo Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intracomunitario di beni a norma dell’articolo 20 della [direttiva IVA] esercita il proprio potere impositivo indipendentemente dal trattamento IVA applicato all’operazione nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni (…)». V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa X (C-84/09, EU:C:2010:252, paragrafo 49).