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Causa C-293/06

Deutsche Shell GmbH

contro

Finanzamt für Großunternehmen in Hamburg

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Hamburg)

«Libertà di stabilimento — Imposta sulle società — Effetti valutari in occasione del rientro del capitale iniziale conferito da una società stabilita in uno Stato membro ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro»

Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate l’8 novembre 2007 

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 28 febbraio 2008 

Massime della sentenza

Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Normativa tributaria — Imposta sulle società — Deduzione delle perdite

[Trattato CE, artt. 52 (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 (divenuto art. 48 CE)]

Il combinato disposto degli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 del Trattato CE (divenuto art. 48 CE) osta a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria, subita da una società con sede statutaria sul territorio di tale Stato, all’atto del rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base imponibile nazionale. Tali disposizioni ostano altresì a che una perdita valutaria possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro solamente nel caso in cui il centro di attività stabile appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti da imposta.

Infatti, siffatto regime tributario aumenta il rischio economico a cui è soggetta una società stabilita in uno Stato membro che intenda creare un’entità in un altro Stato membro, qualora si utilizzi una valuta diversa da quella dello Stato di origine e configura pertanto un ostacolo alla libertà di stabilimento. Tale ostacolo non è giustificato dalla necessità di salvaguardare la coerenza del regime tributario, atteso che non sussiste nessuna relazione diretta tra perdite valutarie, da un lato, e guadagni sul cambio, dall’altro. L’ostacolo di cui sopra non può peraltro essere giustificato dall’esistenza di una convenzione contro le doppie imposizioni. È ben vero che la libertà di stabilimento non può essere intesa nel senso che uno Stato membro sia obbligato a determinare le proprie norme tributarie in funzione di quelle di un altro Stato membro, al fine di garantire, in ogni situazione, una tassazione che elimini qualsivoglia disparità derivante dalle normative tributarie nazionali, in quanto le decisioni adottate da una società riguardo allo stabilimento di strutture commerciali all’estero possono, a seconda dei casi, essere più o meno favorevoli o sfavorevoli per tale società. Ma lo svantaggio fiscale in questione verte su una circostanza operativa particolare che può essere presa in considerazione unicamente dalle autorità fiscali della società principale.

Neppure la limitazione della contabilizzazione delle perdite valutarie subite dal suddetto centro di attività stabile in funzione dei suoi risultati può essere giustificata con l’argomento che l’impresa detentrice di tale stabilimento rischierebbe di godere di un doppio vantaggio in conseguenza della perdita valutaria. Infatti, lo Stato membro che abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere impositivo concludendo una convenzione contro le doppie imposizioni non può invocare l’assenza di potere impositivo rispetto ai risultati di un centro di attività stabile appartenente ad una società stabilita sul territorio di tale Stato al fine di giustificare il diniego di deduzione delle spese sostenute da tale società che, per loro stessa natura, non possono essere prese in considerazione nello Stato membro in cui tale centro di attività è situato.

(v. punti 30, 32, 40, 43-45, 47, 50-51, 53, dispositivo1-2)







SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

28 febbraio 2008 (*)

«Libertà di stabilimento – Imposta sulle società – Effetti valutari in occasione del rientro del capitale iniziale conferito da una società stabilita in uno Stato membro ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro»

Nel procedimento C-293/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Finanzgericht Hamburg (Germania), con decisione 8 giugno 2006, pervenuta in cancelleria il 3 luglio 2006, nella causa tra

Deutsche Shell GmbH

e

Finanzamt für Großunternehmen in Hamburg,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. G. Arestis, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 settembre 2007,

considerate le osservazioni presentate:

–       per la Deutsche Shell GmbH, dai sigg. A. Raupach e D. Pohl, Rechtsanwälte;

–       per il Finanzamt für Großunternehmen in Hamburg, dal sig. M. Fromm, in qualità di agente;

–       per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e C. Blaschke, in qualità di agenti;

–       per il governo olandese, dalle sig.re H.G. Sevenster e M. de Mol, nonché dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. R. Lyal e G. Wilms, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 novembre 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 del Trattato CE (divenuto art. 48 CE).

2       Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Deutsche Shell GmbH (in prosieguo: la «Deutsche Shell») e il Finanzamt für Großunternehmen in Hamburg (in prosieguo: il «Finanzamt») in merito al trattamento fiscale applicato dalle autorità della Repubblica federale di Germania alla svalutazione monetaria del conferimento di capitale (in prosieguo: il «capitale iniziale») assegnato a un centro di attività stabile della suddetta società, situato in un altro Stato membro, al momento del rientro del capitale medesimo.

 Contesto normativo

 La convenzione contro la doppia imposizione

3       Ai sensi dell’art. 3 della convenzione contro la doppia imposizione conclusa il 31 ottobre 1925 tra la Germania e l’Italia (RGBl. 1925 II, pag. 1146; in prosieguo: la «convenzione»):

«1.      L’imposta reale che colpisce il reddito proveniente da un’attività industriale o commerciale di qualsiasi specie, è applicata soltanto dallo Stato nel territorio del quale 1’impresa ha il suo stabilimento; (…)

(…)

3.      Se l’impresa ha stabilimenti in entrambi gli Stati contraenti, ciascuno degli Stati applicherà l’imposta sulla parte del reddito prodotto con l’attività degli stabilimenti situati nel territorio rispettivo. (…)».

4       L’art. 11 della convenzione così prevede:

«L’imposta personale che colpisce 1’insieme dei redditi del contribuente è applicata da ciascuno degli Stati contraenti secondo le regole seguenti:

(1)      ai redditi provenienti:

(…)

(c)      dall’industria o dal commercio, compresi i redditi derivanti dall’industria della navigazione marittima;

(…)

saranno applicate le stesse regole fissate per questi redditi dagli articoli rispettivi.

(…)».

 La normativa fiscale tedesca applicabile all’epoca dei fatti di cui alla causa principale

5       L’art. 1 della legge 11 marzo 1991 relativa all’imposta sulle società (Körperschaftsteuergesetz) (BGBl. 1991 I, pag. 637; in prosieguo: il «KStG») così dispone:

«1.      Sono soggette senza limitazioni all’imposta sulle società le imprese seguenti (…) il cui centro amministrativo o la cui sede si trovano sul territorio nazionale:

1)      Le società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata);

(…)

2.      L’obbligo assoluto di versare l’imposta sulle società riguarda tutti i redditi».

6       Ai sensi dell’art. 12 del codice tributario tedesco (Abgabenordnung):

«1.      Per centro di attività stabile si intende qualsiasi complesso di beni o installazione fissa per l’esercizio dell’attività di un’impresa.

2.      In particolare, devono considerarsi centri di attività stabile:

(…)

–       le succursali».

7       L’art. 2a, n. 3, della legge 7 settembre 1990 relativa all’imposta sul reddito (Einkommensteuergesetz) (BGBl. 1990 I, pag. 1898; in prosieguo: l’«EStG»), recita quanto segue:

«Qualora, conformemente ad una convenzione per evitare la doppia imposizione, i redditi di un contribuente integralmente soggetto all’imposta, derivanti dall’attività industriale o commerciale di un centro di attività stabile situato all’estero, debbano essere esenti (…) dall’imposta sul reddito, una perdita valutaria subita in occasione dell’acquisizione di tali redditi ai sensi delle disposizioni del diritto tributario tedesco deve essere dedotta, su domanda del contribuente, in sede di accertamento dell’importo complessivo dei redditi, nei limiti in cui essa possa essere compensata o dedotta dal contribuente nel caso in cui i redditi non debbano essere esenti dall’imposta, e nei limiti in cui essa superi i redditi positivi, da esonerare conformemente alla stessa convenzione, derivanti dall’attività industriale o commerciale svolta da altri centri di attività stabili situati nello stesso Stato estero. (…). Qualora, nel corso di uno dei periodi d’imposta successivi, risulti complessivamente un importo positivo dai redditi derivanti dall’attività industriale o commerciale di centri di attività stabili situati in tale Stato estero, redditi che devono essere esenti conformemente a tale convenzione, la somma dedotta, in applicazione della prima e seconda frase, deve essere nuovamente presa in considerazione per il periodo d’imposta interessato, al momento del calcolo dell’importo complessivo dei redditi. (…)».

8       L’art. 3c, n. 1, dell’EStG così prevede:

«Le spese che presentino un immediato nesso economico con redditi esenti non possono essere portate in deduzione come spese aziendali ovvero come spese di acquisizione del reddito».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

9       La Deutsche Shell, una società di capitali con sede e direzione in Germania, aveva creato in Italia, nel 1974, un centro di attività stabile per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale e di petrolio (in prosieguo: il «centro di attività stabile»). Tra il 1974 e il 1991, essa ha conferito al detto centro di attività contributi finanziari a titolo di capitale iniziale.

10     Gli utili del centro di attività stabile rientrati in Germania sono stati dedotti dal capitale iniziale per valori calcolati secondo il tasso di cambio del marco tedesco (DEM) e della lira italiana (ITL) il giorno di ogni versamento effettuato da tale centro di attività alla Deutsche Shell.

11     La svalutazione monetaria del capitale iniziale conferito al centro di attività stabile non è stata presa in considerazione in Italia, nell’ambito della tassazione degli utili di tale centro di attività, in quanto la determinazione della base imponibile è avvenuta in lire italiane.

12     In Germania, i redditi mondiali della Deutsche Shell sono integralmente soggetti all’imposta, in forza dell’art. 1, n. 1, punto 1, del KStG.

13     In data 28 febbraio 1992, la Deutsche Shell ha trasferito i beni del proprio centro di attività stabile ad una filiale italiana, la società Sierra Gas Srl, operazione per la quale essa ha dovuto rivelare le proprie riserve dissimulate. Il trasferimento di tali beni ha posto fine all’esistenza del centro di attività stabile. Lo stesso giorno, la Deutsche Shell ha venduto le proprie quote nella società Sierra Gas Srl alla società Edison Gas SpA.

14     La somma in lire italiane ricavata dalle operazioni sopra citate è stata versata alla Deutsche Shell il 17 luglio 1992 a titolo di rimborso del capitale iniziale.

15     Il capitale iniziale così rimborsato, che ammontava a ITL 83 658 896 927, convertito in marchi tedeschi al tasso di cambio applicabile alla data suddetta, ossia ITL 1 000 per DEM 1,3372, ha prodotto un importo pari a DEM 111 868 677.

16     La Deutsche Shell ha qualificato come «perdita valutaria» la differenza negativa di DEM 122 698 502 risultante dal raffronto tra l’importo di DEM 111 868 677 e quello del capitale iniziale.

17     Nell’ambito del calcolo dell’ammontare dei redditi imponibili della Deutsche Shell per l’esercizio 1992, il Finanzamt ha rifiutato di prendere in considerazione la detta perdita nell’avviso di accertamento inviato alla ricorrente il 19 settembre 1997, relativo all’imposta sulle società.

18     Il 2 ottobre 1997, la Deutsche Shell ha presentato un reclamo contro il citato avviso di accertamento.

19     Il Finanzamt ha respinto tale reclamo con decisione 7 agosto 2003, in seguito a modifiche apportate al suddetto avviso di accertamento il 16 novembre 2001 e il 5 agosto 2003, per motivi non pertinenti rispetto alla causa principale. Tale giudice ha ritenuto, in particolare, che la Deutsche Shell non avesse subito una perdita valutaria reale, che la svalutazione monetaria del capitale iniziale rappresentasse unicamente una parte dei risultati del centro di attività stabile e che, anche tenendo conto della suddetta svalutazione, tale società aveva realizzato un risultato positivo nel corso dell’esercizio fiscale in questione.

20     In data 14 agosto 2003, la Deutsche Shell ha proposto ricorso dinanzi al Finanzgericht Hamburg avverso il rigetto del suo reclamo da parte del Finanzamt.

21     Dinanzi a tale giudice, la Deutsche Shell ha sostenuto che l’impossibilità di dedurre, a titolo di imposta sulle società, la perdita valutaria subita, è incompatibile con la libertà di stabilimento. In particolare, essa ha affermato di trovarsi, nella fattispecie, in una situazione più sfavorevole rispetto a quanto accadrebbe se il capitale iniziale fosse stato investito in una società stabilita in Germania.

22     Stanti tali premesse, considerando che la soluzione della controversia della quale è investito dipende dall’interpretazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, il Finanzgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia in contrasto con l’art. 52, in combinato disposto con l’art. 58 del Trattato CE (...) il fatto che la Repubblica federale di Germania, in qualità di Stato d’origine, imputi all’utile d’impresa una perdita valutaria occorsa ad una società tedesca controllante in occasione del rientro del c.d. capitale iniziale conferito ad un’impresa italiana e, sulla base dell’esenzione prevista dagli artt. 3, nn. 1 e 3, e 11, n. 1, lett. c), della convenzione (…), la escluda dalla base imponibile per l’imposta tedesca, sebbene tale perdita non possa essere calcolata nell’accertamento degli utili d’impresa ai fini dell’imposizione italiana, con la conseguenza che essa non sarà presa in considerazione né nello Stato d’origine, né in quello ospitante.

2)      In caso di soluzione affermativa della prima questione: se sia in contrasto con l’art. 52, in combinato disposto con l’art. 58 del Trattato (…) l’ipotesi che la suddetta perdita valutaria debba essere compresa nella base imponibile per l’imposta tedesca, ma possa essere dedotta come spesa aziendale nei soli limiti in cui l’impresa avente sede in Italia non abbia realizzato utili esenti».

 Sul ricorso

 Sulla prima questione

23     Con tale questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il combinato disposto degli artt. 52 e 58 del Trattato osti a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria subita da una società con sede statutaria sul territorio di tale ultimo Stato in occasione del rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base imponibile nazionale.

24     Per quanto attiene alla situazione di fatto all’origine della controversia che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale, il Finanzamt e il governo tedesco sostengono che non si è verificata, nella fattispecie, una perdita economica reale dovuta al tasso di cambio applicabile al momento della cessione del centro di attività stabile e del rientro del capitale iniziale di quest’ultimo. Essi sottolineano altresì che la Deutsche Shell e il centro di attività stabile costituivano un’entità economica indivisibile e che, nel bilancio del gruppo, vi erano costantemente fluttuazioni finanziarie legate all’andamento del tasso di cambio.

25     A questo proposito occorre rilevare che spetta al giudice del rinvio stabilire se le fluttuazioni valutarie addotte nell’ambito della causa principale abbiano dato luogo ad una perdita valutaria, corrispondente ad una perdita economica reale, tale da incidere sui risultati della Deutsche Shell per l’esercizio considerato.

26     Per contro, compete alla Corte risolvere la questione pregiudiziale basandosi sulle valutazioni fornite dal giudice del rinvio, e porre a disposizione di quest’ultimo tutte le indicazioni utili per la risoluzione della controversia di cui esso è investito.

27     Ciò premesso, la Corte è chiamata a stabilire se, nell’ipotesi in cui esistesse una perdita valutaria corrispondente ad una perdita economica reale, la decisione adottata dal Finanzamt di escludere tale perdita dal calcolo della base imponibile della suddetta società possa rappresentare un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento.

28     Occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, si devono considerare ostacoli tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (v. sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37, e 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11).

29     In particolare, la Corte ha dichiarato che siffatti effetti restrittivi possono prodursi segnatamente quando una società, a causa di una normativa fiscale, possa essere dissuasa dal creare in altri Stati membri entità subordinate, come un centro di attività stabile, nonché dall’esercitare le sue attività tramite tali entità (v. sentenze 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punti 32 e 33, nonché 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 35).

30     Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 43 e 44 delle sue conclusioni, il regime tributario di cui alla causa principale aumenta il rischio economico a cui è soggetta una società stabilita in uno Stato membro che intenda creare un’entità in un altro Stato membro, qualora si utilizzi una valuta diversa da quella dello Stato di origine. In una tale situazione, la società madre deve affrontare non solo i rischi abituali relativi alla creazione di tale entità, ma altresì un rischio supplementare di natura fiscale in occasione del conferimento a quest’ultima del capitale iniziale.

31     Per quanto attiene alla causa principale occorre osservare che, a seguito dell’esercizio della libertà di stabilimento, la Deutsche Shell ha subito una perdita finanziaria che non è stata presa in considerazione né dalle autorità fiscali nazionali ai fini della determinazione della base imponibile per le società in Germania, né nell’ambito della tassazione in Italia del suo centro di attività stabile.

32     È giocoforza concludere che il regime fiscale in questione costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento.

33     Per quanto concerne l’eventuale giustificazione di un tale ostacolo, il Finanzamt e il governo tedesco sostengono, in via subordinata, che essa si basa su motivi aventi ad oggetto, da un lato, la coerenza delle norme tributarie, e, dall’altro, la ripartizione del potere impositivo tra i due Stati membri in questione.

34     Per quanto riguarda il primo argomento di giustificazione, si sostiene che il fatto di tenere conto della perdita valutaria ai fini della determinazione della base imponibile della Deutsche Shell in Germania condurrebbe ad un regime fiscale incoerente, dato che un eventuale guadagno sul cambio, ottenuto in una situazione simile, non sarebbe, di per se stesso, preso in considerazione. Pertanto, lo svantaggio risultante dalla mancata considerazione di una perdita valutaria sarebbe il corollario del vantaggio derivante dal fatto che un guadagno sul cambio sarebbe altresì escluso dalla suddetta base imponibile.

35     Quanto al secondo argomento di giustificazione, con esso si sostiene che la ripartizione del potere impositivo tra la Repubblica federale di Germania e la Repubblica italiana, operata dalla convenzione, è un obiettivo legittimo. Infatti, gli Stati membri sarebbero autorizzati a fissare i criteri di ripartizione della sovranità fiscale sia unilateralmente sia per mezzo di convenzioni bilaterali. Tramite la citata convenzione, i due Stati membri interessati avrebbero deciso di esentare dall’imposta i redditi dei centri di attività stabili situati sul territorio dello Stato cocontraente, il che escluderebbe di prendere in considerazione la perdita valutaria di cui trattasi.

36     Questi due argomenti non possono essere accolti.

37     Per quanto concerne, in primo luogo, l’argomento relativo alla coerenza del regime fiscale, occorre rammentare che la Corte ha riconosciuto che l’esigenza di salvaguardare tale coerenza può giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (v. sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, punto 28; causa C-300/90, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-305, punto 21; Keller Holding, cit., punto 40, e 8 novembre 2007, causa C-379/05, Amurta, Racc. pag. I-0000, punto 46).

38     Tuttavia, affinché un tale argomento di giustificazione possa essere accolto, la Corte ha dichiarato che occorre che sia dimostrata l’esistenza di un nesso diretto tra il beneficio fiscale di cui trattasi e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale (v. sentenze 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e Gustavsson, Racc. pag. I-3955, punto 58; 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punto 52; Keller Holding, cit., punto 40, nonché 14 settembre 2006, causa C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, Racc. pag. I-8203, punti 54-56).

39     Inoltre, il carattere diretto di un tale nesso va determinato, alla luce della finalità della normativa fiscale di cui trattasi, a livello dei contribuenti interessati da una correlazione rigorosa tra l’elemento deducibile e quello relativo all’imposizione (v., in tal senso, sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 24).

40     Quanto al regime fiscale di cui alla causa principale, è necessario evidenziare che il confronto tra perdite valutarie, da un lato, e guadagni sul cambio, dall’altro, non è pertinente, poiché tra questi due elementi non esiste alcun rapporto diretto ai sensi della giurisprudenza ricordata ai due punti precedenti. Invero, il fatto che la perdita valutaria non sia presa in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile della Deutsche Shell per l’esercizio fiscale 1992 non è compensato da alcun beneficio fiscale nello Stato membro in cui ha sede tale società, né nello Stato membro in cui è situato il suo centro di attività stabile.

41     In secondo luogo, riguardo all’argomento relativo all’esistenza della convenzione, che ha ripartito il potere impositivo tra i due Stati membri interessati, occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, in mancanza di disposizioni di unificazione o di armonizzazione comunitaria, gli Stati membri rimangono competenti a definire i criteri per la tassazione dei redditi e del patrimonio, al fine di eliminare, se del caso per via convenzionale, la doppia imposizione (v. sentenze 3 ottobre 2006, causa C-290/04, FKP Scorpio Konzertproduktionen, Racc. pag. I-9461, punto 54; 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 52, e 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 52).

42     Il suddetto potere comporta altresì che uno Stato membro non possa essere tenuto a prendere in considerazione, ai fini dall’applicazione della propria normativa fiscale, i risultati negativi di un centro di attività stabile situato in un altro Stato membro e appartenente ad una società la cui sede si trova sul territorio del primo Stato, unicamente perché tali risultati non possono essere presi in considerazione, a livello fiscale, nello Stato membro in cui è situato il centro di attività stabile.

43     Infatti, la libertà di stabilimento non può essere intesa nel senso che uno Stato membro sia obbligato a determinare le proprie norme tributarie in funzione di quelle di un altro Stato membro, al fine di garantire, in ogni situazione, una tassazione che elimini qualsivoglia disparità derivante dalle normative tributarie nazionali, in quanto le decisioni adottate da una società riguardo allo stabilimento di strutture commerciali all’estero possono, a seconda dei casi, essere più o meno favorevoli o sfavorevoli per tale società (v., per analogia, sentenza 12 luglio 2005, causa C-403/03, Schempp, Racc. pag. I-6421, punto 45).

44     Per quanto riguarda la causa principale, occorre rilevare che lo svantaggio fiscale in questione verte su una circostanza operativa particolare che può essere presa in considerazione unicamente dalle autorità fiscali tedesche. Se è vero che compete agli Stati membri che hanno concluso una convenzione contro la doppia imposizione attuare tale convenzione tramite l’applicazione della propria normativa fiscale e determinare quindi i redditi imputabili ad un centro di attività stabile, non può ammettersi che uno Stato membro escluda le perdite valutarie dalla base imponibile della società principale, le quali, per loro stessa natura, non possono mai essere subite dal centro di attività stabile.

45     Occorre quindi risolvere la prima questione dichiarando che il combinato disposto degli artt. 52 e 58 del Trattato osta a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria, subita da una società con sede statutaria sul territorio di tale Stato, sul rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base imponibile nazionale.

 Sulla seconda questione

46     Con tale questione il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui si risolvesse la prima questione in senso affermativo, il combinato disposto degli artt. 52 e 58 del Trattato osti altresì a che la perdita valutaria di cui trattasi possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro soltanto nel caso in cui il centro di attività stabile appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti.

47     Come emerge dalle osservazioni esposte ai punti 30 e 31 della presente sentenza, una limitazione della contabilizzazione delle perdite valutarie subite dal suddetto centro di attività stabile in funzione dei suoi risultati può parimenti dissuadere una società dallo svolgere le proprie attività transfrontaliere all’interno della Comunità europea tramite una tale entità, e deve pertanto essere considerato come un ostacolo alla libertà di stabilimento.

48     Riguardo ad una possibile giustificazione di tale restrizione, il Finanzamt e il governo tedesco hanno ribadito la loro posizione, secondo la quale il regime fiscale è giustificato da motivi relativi alla coerenza delle norme sull’imposizione fiscale e alla ripartizione del potere impositivo tra i due Stati membri interessati; le spiegazioni fornite a tale proposito sono simili a quelle menzionate ai punti 34 e 35 della presente sentenza.

49     Il Finanzamt e il governo tedesco ritengono altresì che il regime fiscale di cui alla causa principale sia diretto ad evitare che si prendano in considerazione due volte le perdite valutarie, escludendo la deduzione delle spese effettuate ai fini della realizzazione di redditi all’estero, in quanto questi ultimi sono esenti in virtù della convenzione. Infatti, se la perdita valutaria dovesse essere presa in considerazione a titolo di onere di esercizio dell’impresa in Germania, la Deutsche Shell godrebbe di un doppio beneficio fiscale, dato che il risultato positivo del suo centro di attività stabile è esente da imposta in Germania in virtù della convenzione, senza che la perdita valutaria possa essere presa in considerazione nell’ambito della tassazione italiana. In altri termini, un unico e medesimo processo economico sarebbe scisso in maniera artificiale a vantaggio della società Deutsche Shell, poiché i redditi del centro di attività stabile sono esenti in virtù della convenzione e la perdita valutaria è considerata come un onere di esercizio dell’impresa, distinto dalle altre spese sostenute da quest’ultima.

50     Poiché due degli argomenti prospettati dal Finanzamt e dal governo tedesco riprendono, in sostanza, le considerazioni formulate da questi ultimi in merito alla prima questione, è sufficiente rinviare ai punti 37-44 della presente sentenza, da cui emerge che il fatto di non prendere in considerazione la perdita valutaria non può essere giustificato dai motivi citati al punto 48 della sentenza stessa.

51     Per quanto riguarda l’argomento specifico relativo al fatto che la Deutsche Shell rischierebbe di godere di un doppio vantaggio in conseguenza della perdita valutaria, occorre rilevare che uno Stato membro, che ha rinunciato ad esercitare il proprio potere impositivo concludendo una convenzione fiscale bilaterale come quella applicabile alla causa principale, non può invocare l’assenza di potere impositivo rispetto ai risultati di un centro di attività stabile appartenente ad una società stabilita sul territorio di tale Stato, al fine di giustificare il diniego di deduzione delle spese sostenute da tale società che, per loro stessa natura, non possono essere prese in considerazione nello Stato membro in cui tale centro di attività è situato.

52     È necessario aggiungere che il fatto che il centro di attività stabile abbia ottenuto benefici non è pertinente rispetto al diritto della Deutsche Shell a dedurre, nella sua interezza, la perdita valutaria risultante dal rientro del capitale iniziale conferito a tale centro di attività a titolo di onere di esercizio dell’impresa. Se così non fosse, la perdita valutaria non potrebbe essere presa in considerazione né dallo Stato membro ove ha sede la società, né da quello ove è situato il centro di attività stabile, poiché la contabilità di quest’ultimo, espressa nella moneta nazionale, non può indicare la svalutazione monetaria del capitale iniziale.

53     Occorre quindi risolvere la seconda questione dichiarando che il combinato disposto degli artt. 52 e 58 del Trattato osta altresì a che una perdita valutaria possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro solamente nel caso in cui il centro di attività stabile appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti.

 Sulle spese

54     Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      Il combinato disposto degli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 del Trattato CE (divenuto art. 48 CE) osta a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria, subita da una società con sede statutaria sul territorio di tale Stato, all’atto del rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad un centro di attività stabile di sua appartenenza, situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base imponibile nazionale.

2)      Il combinato disposto degli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 del Trattato CE (divenuto art. 48 CE) osta altresì a che una perdita valutaria possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro solamente nel caso in cui il centro di attività stabile appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.