Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

References to this case

Share

Highlight in text

Go

Causa C-96/08

CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Keresdedelmi kft

contro

Adó- és Pénzügyi Ellenőrzési Hivatal (APEH) Hatósági Főosztály

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pest Megyei Bíróság)

«Libertà di stabilimento — Fiscalità diretta — Contributo alla formazione professionale — Base di calcolo del contributo a carico delle imprese stabilite nel territorio nazionale — Presa in considerazione degli oneri salariali dei lavoratori impiegati in una filiale stabilita in un altro Stato membro — Doppia imposizione — Possibilità di ridurre l’importo lordo del contributo»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Restrizioni

(Artt. 43 CE e 48 CE)

2.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Restrizioni

(Artt. 43 CE e 48 CE)

1.        Non costituisce di per sé una restrizione vietata dal Trattato la doppia imposizione eventualmente risultante dall’obbligo, per un’impresa, di pagare, da un lato, un contributo per la formazione professionale nazionale determinato sulla base di un calcolo che prende in considerazione gli oneri salariali inerenti alla sua filiale in un altro Stato membro e, dall’altro lato, i contributi relativi alla politica pubblica dell’occupazione di tale Stato membro nei confronti dei lavoratori dipendenti impiegati in tale filiale, in quanto un siffatto svantaggio fiscale deriva dal parallelo esercizio da parte di due Stati membri della loro competenza in materia tributaria. Infatti, il diritto dell’Unione, allo stato attuale del suo sviluppo e in una situazione del genere, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri con riferimento all’eliminazione delle doppie imposizioni all’interno dell’Unione europea. Da ciò consegue che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, gli Stati membri godono, nel rispetto di tale diritto, di una certa autonomia in materia e che, pertanto, non sono obbligati ad adattare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione che deriva dal parallelo esercizio da parte dei detti Stati della loro competenza in materia tributaria.

(v. punti 25, 27-29)

2.        Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un’impresa la cui sede sociale è ubicata in tale Stato sia obbligata a pagare un contributo come il contributo per la formazione professionale, il cui importo è calcolato sulla base dei suoi oneri salariali, comprensivi di quelli relativi ad una filiale di tale impresa stabilita in un altro Stato membro, se, in pratica, a una siffatta impresa viene impedito, con riferimento a tale filiale, di fruire delle possibilità previste da tale normativa di ridurre il detto contributo o di accedere alle stesse.

Infatti, la difficoltà, in pratica, per una società avente sede nel territorio nazionale di avvalersi, nei confronti di una sede secondaria, ubicata in un altro Stato membro, degli strumenti previsti dalla normativa nazionale per ridurre l’importo lordo del contributo dovuto per la formazione professionale pone tale società in una situazione meno favorevole rispetto a quella di una società che limita la sua attività al solo territorio nazionale. Una difficoltà del genere può pertanto dissuadere tale società dall’esercizio della libertà di stabilimento sancita dagli artt. 43 CE e 49 CE e costituisce una restrizione a tale libertà.

Una siffatta restrizione non può essere giustificata dalla necessità di preservare la coerenza di un regime come quello del contributo per la formazione professionale qualora il fatto che, per una società avente sede sociale nel territorio nazionale, venga presa in considerazione la massa salariale inerente ad una filiale ubicata in un altro Stato membro non risulti essere compensato, in pratica, da alcuna possibilità per tale società di avvalersi degli strumenti predisposti dalla normativa nazionale per ridurre l’importo lordo del contributo dovuto in ragione dei costi di formazione sostenuti in una siffatta filiale. Peraltro, per quanto attiene all’obiettivo di migliorare il livello di formazione del personale sul mercato nazionale del lavoro, sebbene una riduzione dell’importo lordo del contributo da pagare mediante le spese di formazione versate al di fuori del territorio nazionale possa certamente portare ad una riduzione degli introiti destinati alla realizzazione di tale obiettivo, tuttavia una siffatta considerazione è di natura puramente economica e non può pertanto costituire una ragione imperativa di interesse generale atta a giustificare una restrizione del genere.

(v. punti 43-44, 47-49 e dispositivo)







SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

15 aprile 2010 (*)

«Libertà di stabilimento – Fiscalità diretta – Contributo alla formazione professionale – Base di calcolo del contributo a carico delle imprese stabilite nel territorio nazionale – Presa in considerazione degli oneri salariali dei lavoratori impiegati in una filiale stabilita in un altro Stato membro – Doppia imposizione – Possibilità di ridurre l’importo lordo del contributo»

Nella causa C-96/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Pest Megyei Bíróság (Ungheria), con decisione 12 marzo 2007, pervenuta in cancelleria il 3 marzo 2008, nella causa

CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Keresdedelmi kft

contro

Adó- és Pénzügyi Ellenőrzési Hivatal (APEH) Hatósági Főosztály,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dai sigg. A. Rosas e U. Lõhmus (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 febbraio 2009,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Keresdedelmi kft, dall’avv. D. Deák, ügyvéd;

–        per il governo ungherese, dalla sig.ra J. Fazekas, dal sig. M. Fehér e dalla sig.ra K. Veres, in qualità di agenti;

–        per il governo del Regno Unito, dal sig. R. Hill, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. R. Lyal e sig.ra K. Talabér-Ritz, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 dicembre 2009,

ha emesso la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 48 CE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Keresdedelmi kft (in prosieguo: la «CIBA») e l’Adó- és Pénzügyi Ellenőrzési Hivatal (APEH) Hatósági Főosztály (agenzia centrale delle entrate e del controllo finanziario) vertente sull’importo del contributo per la formazione professionale (in prosieguo: il «CFP») al cui pagamento la CIBA è tenuta.

 Contesto normativo

 La normativa nazionale

3        A tenore dell’art. 2, n. 1, della legge LXXXVI del 2003 relativa al contributo per la formazione professionale e agli aiuti per il miglioramento della formazione (A szakképzési hozzájárulásról és a képzés fejlesztésének támogatásáról szóló 2003. évi LXXXVI. törvény) (Magyar Közlöny 2003/131; in prosieguo: la «legge del 2003»):

«Sono tenuti al versamento del [CFP], tenendo conto di quanto disposto ai nn. 3 e 4, le società commerciali aventi sede nel territorio nazionale (…)».

4        Secondo l’art. 2, n. 2, della legge del 2003:

«Sono altresì tenuti a versare il [CFP] le persone giuridiche con sede all’estero ma che esercitano attività commerciali nel territorio nazionale, le imprese senza personalità giuridica propria, le associazioni di persone, gli altri enti con sede all’estero qualora dispongano di una stabile organizzazione o di una filiale in Ungheria».

5        Ai sensi dell’art. 3, n. 1, di tale legge:

«La base di calcolo del [CFP] è costituita:

a)      dagli oneri salariali calcolati in conformità all’art. 79, n. 2, della legge n. C. del 2000 in materia di contabilità (A számvitelről szóló 2000. évi C. törvény) (…)».

6        Dalle osservazioni scritte presentate dalla CIBA e dal governo ungherese risulta che il Fondo per il mercato del lavoro istituito nella Repubblica di Ungheria contiene una sezione dedicata alla formazione professionale il cui obiettivo, a tenore dell’art. 8, n. 1, della legge del 2003, è, in particolare, l’aumento del numero di specialisti formati in funzione delle esigenze dell’economia nazionale nonché lo sviluppo delle loro capacità professionali.

7        Secondo dette osservazioni, l’importo lordo del CFP che il contribuente è tenuto a versare a tale sezione può essere ridotto:

–        con l’organizzazione di una formazione pratica ai sensi dell’art. 4 della legge del 2003,

–        con la conclusione di un contratto di formazione a favore degli impiegati del contribuente, nella misura del 33% di tale importo, e

–        con la concessione di un aiuto allo sviluppo a un ente di istruzione superiore o professionale nella misura del 75% del detto importo.

 Causa principale e questione pregiudiziale

8        La CIBA è un’impresa la cui sede sociale è ubicata in Ungheria e che è soggetta all’obbligo del pagamento del CFP. Dispone di una filiale nella Repubblica ceca, ove paga imposte e contributi inerenti ai lavoratori dipendenti occupati in tale filiale, compresi i contributi relativi alla politica pubblica dell’occupazione, come prescritti dalla normativa nazionale ceca.

9        In occasione di un controllo a posteriori sugli anni 2003 e 2004, le autorità tributarie ungheresi constatavano un debito fiscale a carico della CIBA. La convenuta nella causa principale, adita con un reclamo avverso tale decisione, confermava tale debito comprensivo, tra altro, di somme relative al CFP che la CIBA non aveva pagato.

10      Dinanzi al giudice del rinvio, la CIBA contestava la conformità con l’art. 43 CE della base di calcolo dell’ammontare del CFP da pagare, in quanto comprensiva, per un’impresa avente sede sociale in Ungheria, degli oneri salariali di quest’ultima, inclusi quelli inerenti alle succursali stabilite al di fuori del territorio nazionale. La CIBA sosteneva, di conseguenza, di essere soggetta ad un doppio obbligo di pagamento di un siffatto contributo nei confronti dei propri lavoratori subordinati occupati nella Repubblica ceca. Inoltre rilevava che, per quanto riguarda tali lavoratori non sarebbe possibile beneficiare dei vantaggi derivanti dalla formazione professionale organizzata dagli uffici del mercato nazionale ungherese per l’occupazione e sarebbe esclusa la possibilità di organizzare una formazione pratica, di concludere contratti di formazione o di concedere aiuti allo sviluppo.

11      Il giudice del rinvio rileva che il CFP non rientra nell’ambito di applicazione della Convenzione tra la Repubblica di Ungheria e la Repubblica ceca firmata a Praga il 14 gennaio 1993, diretta a evitare la doppia imposizione e a prevenire l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, e che, di conseguenza, si deve accertare se la legge del 2003, in quanto obbliga una società avente sede sociale in Ungheria a pagare il CFP anche quando occupa dipendenti al di fuori di tale Stato membro, implichi una restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento.

12      Alla luce di quanto sopra considerato, il Pest Megyei Bíróság ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se una norma in forza della quale una società commerciale avente sede sociale in Ungheria è tenuta a versare il [CFP] anche qualora occupi lavoratori in una sua filiale all’estero e provveda, in relazione a tali rapporti di lavoro, agli adempimenti tributari e previdenziali nello Stato dove la filiale è ubicata, sia censurabile con riferimento all’interpretazione del principio della libertà di stabilimento, sancito agli artt. 43 [CE] e 48 [CE]».

 Sulla competenza della Corte

13      La controversia di cui alla causa principale verte sugli esercizi 2003 e 2004 della CIBA, laddove la Repubblica d’Ungheria ha aderito all’Unione europea solo il 1° maggio 2004.

14      Orbene, la Corte è competente a interpretare le disposizioni del Trattato CE per quanto riguarda la loro applicazione in un nuovo Stato membro a partire dalla data di adesione di quest’ultimo all’Unione europea (v., in tal senso, sentenza 10 gennaio 2006, causa C-302/04, Ynos, Racc. pag. I-371, punto 36, nonché 14 giugno 2007, causa C-64/06, Telefónica O2 Czech Republic, Racc. pag. I-4887, punto 23).

15      Poiché i fatti di cui alla causa principale sono in parte successivi alla detta data, la Corte è competente a dirimere la questione sollevata.

 Sulla questione pregiudiziale

16      Con la questione sollevata il giudice del rinvio vuole in sostanza sapere se gli artt. 43 CE e 48 CE ostino ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale un’impresa la cui sede sociale è ubicata in tale Stato è obbligata a pagare un contributo come il CFP il cui importo è calcolato sulla base dei suoi oneri salariali, compresi quelli relativi ad una filiale di tale impresa, avente sede in un altro Stato membro dove egualmente paga imposte e contributi inerenti ai lavoratori dipendenti occupati in detta filiale.

17      Secondo una consolidata giurisprudenza, la libertà di stabilimento, attribuita ai cittadini dagli Stati membri dall’art. 43 CE e che implica per essi l’accesso alle attività non subordinate e l’esercizio delle stesse, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i cittadini di questo, comprende, ai sensi dell’art. 48 CE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio dell’Unione europea, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una filiale o un’agenzia (v., in particolare, sentenze 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 30; 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 42, nonché 19 novembre 2009, causa C-314/08, Filipiak, Racc. pag. I-11049, punto 59).

18      Anche se, secondo la loro formulazione, le disposizioni in tema di libertà di stabilimento mirano ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione (v. sentenze 6 dicembre 2007, causa C-298/05, Columbus Container Services, Racc. pag. I-10451, punto 33; 23 ottobre 2008, causa C-157/07, Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt, Racc. pag. I-8061, punto 29, nonché Filipiak, cit., punto 60).

19      Inoltre, da costante giurisprudenza risulta che vanno considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che ne vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio (v. sentenze citate Columbus Container Services, punto 34, e Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt, punto 30).

20      La CIBA considera che la normativa nazionale relativa al CFP è tale da disincentivare un’impresa la cui sede sociale è ubicata nel territorio ungherese dal creare una sede secondaria in un altro Stato membro. A suo avviso, l’obbligo di pagare un importo ai sensi del CFP calcolato sulla base degli oneri salariali di una siffatta impresa comprensivi di quelli relativi ai lavoratori dipendenti della detta sede secondaria, implica un doppio obbligo qualora lo Stato membro ove detto stabilimento è ubicato imponga un onere analogo nei confronti dei detti lavoratori dipendenti. Nella specie, la CIBA sarebbe tenuta a pagare un siffatto onere a titolo di contributo relativo alla politica pubblica dell’occupazione della Repubblica ceca per i lavoratori dipendenti occupati nella sua filiale stabilita in tale Stato membro.

21      La CIBA sostiene inoltre che il CFP non costituisce un’imposta, dal momento che, da un lato, è versato a una sezione di un fondo pubblico dedicata alla formazione professionale separata dal bilancio dello Stato e, dall’altro lato, esiste un nesso diretto tra i contributi e i versamenti di tale fondo destinati agli enti di formazione professionale e/o di istruzione conformemente al diritto nazionale.

22      A questo proposito, dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che il CFP costituisce un onere cui sono soggette le società rientranti nell’ambito di applicazione della legge del 2003, come indicato all’art. 2, nn. 1 e 2, che è calcolato conformemente all’art. 3 della medesima legge, in rapporto agli oneri salariali di queste ultime. I pagamenti del CFP alimentano una sezione del fondo ungherese per il mercato del lavoro che fornisce, come fatto presente dalla CIBA, aiuti agli enti di formazione professionale in Ungheria.

23      Orbene, né la circostanza che il CFP sia calcolato sulla base degli oneri salariali delle società assoggettate e non su quella dei loro redditi o utili, né la circostanza che sia versato a un fondo distinto dal bilancio nazionale dello Stato dedicato ad un utilizzo particolare, può di per sé escludere che esso rientri nel settore della fiscalità diretta.

24      Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 21 delle sue conclusioni, non risulta che le dette società ricevano una qualche prestazione direttamente in contropartita dell’importo del CFP versato. A questo proposito il governo ungherese sottolinea nelle sue osservazioni che il CFP non è un pagamento a carattere contributivo che conferisce ai lavoratori dipendenti un diritto individuale alla partecipazione ad una formazione professionale. Infatti, compete allo Stato decidere sotto quale forma l’importo pagato deve essere destinato al miglioramento del livello di formazione professionale sul mercato ungherese del lavoro. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tali constatazioni.

25      Si deve osservare che, ammesso che il CFP rientri nel settore della fiscalità diretta e ammesso che l’obbligo della CIBA di pagare, da un lato, il CFP determinato sulla base di un calcolo che prende in considerazione gli oneri salariali inerenti alla sua filiale nella Repubblica ceca e, dall’altro lato, i contributi relativi alla politica pubblica dell’occupazione di tale Stato membro nei confronti dei lavoratori dipendenti occupati in tale filiale possa considerarsi una doppia imposizione, un siffatto svantaggio fiscale deriva dal parallelo esercizio da parte di due Stati membri della loro competenza in materia tributaria (v., in questo senso, sentenze 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres, Racc. pag. I-10967, punto 20, nonché 12 febbraio 2009, causa C-67/08, Block, Racc. pag. I-883, punto 28).

26      A questo proposito le convenzioni intese a prevenire la doppia imposizione servono ad eliminare o ad attenuare gli effetti negativi per il funzionamento del mercato interno che derivano dalla coesistenza di sistemi fiscali nazionali richiamata al punto precedente (citate sentenze Kerckhaert e Morres, punto 21, nonché Block, punto 29).

27      Orbene, il diritto dell’Unione, allo stato attuale del suo sviluppo e in una situazione come quella oggetto delle causa principale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri con riferimento all’eliminazione della doppia imposizione all’interno dell’Unione europea. In tal senso, fatta eccezione per la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6), per la convenzione del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, pag. 10) e per la direttiva del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (GU L 157, pag. 38), non è stata finora adottata, nell’ambito del diritto dell’Unione, alcuna misura di unificazione o di armonizzazione intesa ad eliminare le situazioni di doppia imposizione (v. citate sentenze Kerckhaert e Morres, punto 22, nonché Block, punto 30).

28      Da ciò consegue che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, gli Stati membri godono, nel rispetto di tale diritto, di una certa autonomia in materia e che, pertanto, non sono obbligati ad adattare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione che deriva dal parallelo esercizio da parte dei detti Stati della loro competenza in materia tributaria (v., in tal senso, citate sentenze Columbus Container Services, punto 51, nonché Block, punto 31).

29      Di conseguenza, la doppia imposizione asserita dalla CIBA, ammesso che esista, non costituisce di per sé una restrizione vietata dal Trattato (v., in questo senso, sentenze 20 maggio 2008, causa C-194/06, Orange European Smallcap Fund, Racc. pag. I-3747, punto 42, nonché 16 luglio 2009, causa C-128/08, Damseaux, Racc. pag. I-6823, punto 27).

30      La Commissione delle Comunità europee sostiene tuttavia che il CFP è un’imposta speciale, prelevata nell’interesse dei lavoratori subordinati, che è assimilabile ai contributi del datore di lavoro oggetto della controversia di cui alla causa principale nel procedimento conclusosi con la sentenza 23 novembre 1999, cause riunite C-369/96 e C-376/96, Arblade e a. (Racc. pag. I-8453).

31      Al punto 50 di tale sentenza, la Corte ha ritenuto che una normativa nazionale che obbliga il datore di lavoro, che agisca in qualità di prestatore di servizi ai sensi del Trattato, a versare contributi datoriali agli enti previdenziali dello Stato membro ospitante, oltre ai contributi che egli ha già versato agli enti dello Stato membro in cui è stabilito, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi, dal momento che un siffatto obbligo comporta costi e oneri amministrativi ed economici supplementari per le imprese stabilite in un altro Stato membro cosicché queste ultime non si trovano su un piano di parità dal punto di vista della concorrenza con i datori di lavoro stabiliti nello Stato membro ospitante, e ciò può quindi dissuaderle dal fornire prestazioni in quest’ultimo Stato.

32      Orbene, a differenza dei suddetti contributi, i quali dovevano essere versati per ciascun lavoratore distaccato ai fini della tutela sociale di quest’ultimo (v. sentenza Arblade e a., cit., punti 48, 49 e 80), non risulta, come è stato rilevato ai punti 22 e 24 della presente sentenza, che il CFP sia versato dalle imprese assoggettate per conferire un vantaggio diretto alle stesse e ancora meno ai loro dipendenti, bensì che alimenti un fondo statale diretto a fornire aiuti agli enti di formazione professionale in Ungheria. Il CFP non può pertanto, con riserva della verifica da parte del giudice del rinvio indicata al punto 24, essere assimilato ai contributi di cui trattavasi nella citata sentenza Arblade e a..

33      La CIBA e la Commissione evocano altresì due aspetti della normativa relativa al CFP che, a loro avviso, ostacolano la libertà di stabilimento, indipendentemente dall’esistenza o meno di una doppia imposizione.

34      In primo luogo, l’obbligo di pagamento di tale contributo verterebbe sugli oneri salariali complessivi di un’impresa avente sede sociale in Ungheria ma che dispone di succursali al di fuori di tale Stato membro, mentre soltanto i lavoratori dipendenti occupati nel territorio di quest’ultimo potrebbero beneficiare delle formazioni finanziate dal fondo ungherese per il mercato del lavoro.

35      In secondo luogo, un’impresa la cui sede è ubicata in Ungheria, ma che dispone di sedi secondarie al di fuori di tale Stato membro, sarebbe obbligata a pagare il CFP per lavoratori dipendenti in relazione ai quali sarebbero escluse le possibilità previste dal diritto nazionale di ridurre l’importo lordo del CFP dovuto.

36      Anche se il giudice del rinvio non solleva questioni esplicite nei confronti di questi due aspetti della normativa nazionale controversa nella causa principale, dalla decisione di rinvio risulta, come indicato al punto 11 della presente sentenza, che egli si interroga circa la compatibilità con la libertà di stabilimento dell’obbligo di una società avente sede in Ungheria, di pagare il CFP con riferimento a oneri salariali relativi ad una filiale di tale società ubicata in un altro Stato membro. Dal momento che i detti aspetti appaiono pertinenti in tale contesto occorre esaminarli al fine di fornire a tale giudice una risposta utile.

37      Per quanto riguarda l’argomento secondo cui i lavoratori dipendenti occupati nella Repubblica ceca non possono fruire delle formazioni finanziate dal fondo ungherese per il mercato del lavoro, va ricordato che lo Stato membro dove si trova la sede sociale di un’impresa gode, in assenza di una convenzione diretta ad evitare le doppie imposizioni, del diritto di tassare tale impresa in modo globale (v., in questo senso, sentenze 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 32, nonché 15 maggio 2008, causa C-414/06, Lidl Belgium, Racc. pag. I-3601, punto 33).

38      L’eventuale assenza della possibilità, per i lavoratori dipendenti della CIBA occupati nella Repubblica ceca, di fruire delle dette formazioni è solo la conseguenza del potere impositivo e di spesa di cui la Repubblica di Ungheria dispone, tenuto conto del fatto che, secondo la decisione di rinvio, il CFP non rientra nell’ambito di applicazione della convenzione menzionata al punto 11 della presente sentenza. Pertanto, una siffatta circostanza non può di per sé integrare una restrizione in contrasto con la libertà di stabilimento.

39      Per quanto riguarda le possibilità di una società rientrante nell’ambito di applicazione della legge del 2003 di ridurre l’importo lordo del CFP dovuto, dalle osservazioni della CIBA e del governo ungherese risulta, come indicato al punto 7 della presente sentenza, che una siffatta società può, a tal fine, organizzare una formazione pratica, concludere un contratto di formazione per i propri dipendenti, o concedere un aiuto allo sviluppo ad un ente d’insegnamento superiore o professionale.

40      Nella misura in cui una siffatta società abbia dato corso a siffatte iniziative, indipendentemente dal suo obbligo di pagare il CFP, il che potrebbe in particolare ricorrere nel caso dell’organizzazione di una formazione per i propri dipendenti, si deve considerare un vantaggio la possibilità di detrarre i costi di queste ultime dall’importo lordo del CFP dovuto.

41      Tuttavia, le osservazioni della CIBA indicano che le possibilità sopra menzionate di ridurre l’importo lordo del CFP da corrispondere sono definite dal diritto nazionale ungherese. Nel corso dell’udienza sia tale parte di cui alla causa principale sia il governo ungherese hanno rilevato che le prestazioni di formazione così organizzate dovrebbero aver luogo nel territorio ungherese. Secondo la CIBA, anche se il personale occupato nella sua filiale nella Repubblica ceca non è escluso dalla partecipazione a tali prestazioni, una siffatta partecipazione comporterebbe costi supplementari connessi, in particolare, alle spese di spostamento e tenuto conto dei divari tra i sistemi di formazione ungherese e ceco, sarebbe priva di utilità.

42      Spetta al giudice del rinvio verificare le particolarità del sistema evocate nei tre punti precedenti nonché i loro effetti pratici. Fatta salva tale verifica, risulta che le possibilità previste dal diritto ungherese per una società, quale la ricorrente nella causa principale, di ridurre l’importo lordo del CFP da versare non possono applicarsi in pratica nei confronti di una filiale ubicata in un altro Stato membro.

43      In una siffatta ipotesi, la situazione di una società avente sede sociale in Ungheria che dispone di una filiale in un altro Stato membro, per quanto riguarda il vantaggio, individuato al punto 40 della presente sentenza, è meno favorevole rispetto a quella di una società che limita la sua attività al solo territorio ungherese (v., per analogia, citate sentenze Lidl Belgium, punto 25, e Filipiak, punto 67).

44      Pertanto, la difficoltà, in pratica, per una società avente sede in Ungheria di avvalersi, nei confronti di una sede secondaria, ubicata in un altro Stato membro, degli strumenti previsti dalla normativa ungherese di ridurre l’importo lordo del CFP dovuto può, ove sia confermata dal giudice del rinvio, dissuadere tale società dall’esercizio della libertà di stabilimento sancita dagli artt. 43 CE e 49 CE e costituisce una restrizione a tale libertà (v., per analogia, sentenza Filipiak, cit., punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

45      Secondo la giurisprudenza della Corte, un provvedimento restrittivo delle libertà fondamentali garantite dal Trattato può essere ammesso solo se è giustificato da ragioni imperative di interesse generale. È tuttavia ancora necessario, in tal caso, che l’applicazione di simile provvedimento sia atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo che esso persegue e non ecceda quanto necessario per raggiungere tale obiettivo (v., in particolare, sentenza 16 ottobre 2008, causa C-527/06, Renneberg, Racc. pag. I-7735, punto 81).

46      Orbene, non è stata invocata dal governo ungherese, né considerata dal giudice del rinvio, alcuna eventuale giustificazione.

47      Si deve comunque constatare che una restrizione quale quella individuata al punto 44 della presente sentenza non può essere giustificata dalla necessità di preservare la coerenza di un regime come quello del CFP controverso nella causa principale. La Corte, affinché un argomento fondato su una siffatta giustificazione possa essere accolto, esige un nesso diretto tra il vantaggio considerato e la compensazione di tale vantaggio mediante un determinato prelievo fiscale, dovendosi determinare il carattere diretto del suddetto nesso alla luce della finalità della normativa di cui trattasi (v., in questo senso, sentenza 17 settembre 2009, causa C-182/08, Glaxo Wellcome, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 78 e giurisprudenza ivi citata). Nella causa principale, il fatto che, per una società avente sede sociale in Ungheria, venga presa in considerazione la massa salariale inerente ad una filiale ubicata in un altro Stato membro non risulta essere compensato, in pratica, da alcuna possibilità per tale società di beneficiare degli strumenti previsti dalla normativa ungherese per ridurre l’importo lordo del CFP dovuto in ragione dei costi di formazione sostenuti in una siffatta filiale.

48      Del resto, dall’art. 8, n. 1, della legge del 2003, come pure dalle osservazioni del governo ungherese emerge che il regime del CFP ha l’obiettivo di migliorare il livello di formazione degli effettivi sul mercato ungherese del lavoro. A questo proposito una riduzione dell’importo lordo del CFP da pagare mediante spese di formazione versate al di fuori del territorio ungherese potrebbe certamente portare ad una riduzione degli introiti destinati alla realizzazione di tale obiettivo. Tuttavia, una siffatta considerazione è di natura puramente economica e non può pertanto, conformemente ad una costante giurisprudenza, costituire una ragione imperativa di interesse generale (v., in questo senso, sentenze 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punto 50, nonché Glaxo Wellcome, cit., punto 82).

49      Alla luce di quanto sopra considerato, la questione sollevata va risolta dichiarando che gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale un’impresa la cui sede sociale è ubicata in tale Stato è obbligata a pagare un contributo come il CFP, il cui importo è calcolato sulla base dei suoi oneri salariali, comprensivi di quelli relativi ad una filiale di tale impresa stabilita in un altro Stato membro, se, in pratica, a una siffatta impresa viene impedito, con riferimento a tale filiale, di beneficiare delle possibilità previste da tale normativa di ridurre il detto contributo o di accedere a dette possibilità.

 Sulle spese

50      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale un’impresa la cui sede sociale è ubicata in tale Stato è obbligata a pagare un contributo come il contributo per la formazione professionale, il cui importo è calcolato sulla base dei suoi oneri salariali, comprensivi di quelli relativi ad una filiale di tale impresa stabilita in un altro Stato membro, se, in pratica, a una siffatta impresa viene impedito, con riferimento a tale filiale, di beneficiare delle possibilità previste da tale normativa di ridurre il detto contributo o di accedere a dette possibilità.

Firme


* Lingua processuale: l’ungherese.