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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 febbraio 2019(*)

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi – Clausola di standstill – Normativa nazionale di uno Stato membro riguardante società intermedie stabilite in paesi terzi – Modifica di tale normativa, seguita dalla reintroduzione della normativa precedente – Redditi di una società stabilita in un paese terzo provenienti dalla detenzione di crediti presso una società stabilita in uno Stato membro – Inclusione di siffatti redditi nella base imponibile di un soggetto passivo avente la propria residenza fiscale in uno Stato membro – Restrizione alla libera circolazione dei capitali – Giustificazione»

Nella causa C-135/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania), con decisione del 12 ottobre 2016, pervenuta in cancelleria il 15 marzo 2017, nel procedimento

X GmbH

contro

Finanzamt Stuttgart – Körperschaften,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, J.-C. Bonichot, M. Vilaras, E. Regan, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas (relatore), E. Juhász, M. Ilešič, J. Malenovský, E. Levits e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: R. Șereș, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 marzo 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la X GmbH, da K. Weber e D. Pohl, Rechtsanwälte;

–        per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da D. Colas, E. de Moustier e S. Ghiandoni, in qualità di agenti;

–        per il governo svedese, da A. Falk, C. Meyer-Seitz, H. Shev, L. Zettergren e L. Swedenborg, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da B.-R. Killmann e N. Gossement, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 giugno 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 63 e 64 TFUE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia sorta tra la X GmbH, una società di diritto tedesco, e il Finanzamt Stuttgart-Körperschaften (Ufficio delle imposte di Stoccarda – servizio persone giuridiche, Germania) in merito all’inclusione degli utili realizzati dalla Y, una società di diritto svizzero detenuta al 30% dalla X, nella base imponibile di quest’ultima.

 Contesto normativo

3        La quarta parte del Gesetz über die Besteuerung bei Auslandsbeziehungen (legge fiscale relativa ai rapporti con l’estero), dell’8 settembre 1972 (BGBl. 1972 I, pag. 1713), nella sua versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: l’«AStG 2006»), dal titolo «Partecipazione in società intermedie estere», comprende gli articoli da 7 a 14 della legge stessa.

4        Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, dell’AStG 2006, una «società estera» è definita come «una persona giuridica, un’associazione di persone o un insieme di beni, ai sensi del Körperschaftsteuergesetz [(legge relativa all’imposta sulle società)], che non ha la sua direzione né la sua sede in Germania e che non è esente dall’imposta sulle società, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, [della legge da ultimo citata]». Ai sensi del medesimo articolo 7, paragrafo 1, qualora persone integralmente assoggettate ad imposta detengano una partecipazione superiore alla metà del capitale di una società siffatta, i redditi per i quali tale società rappresenta una società intermedia, ai sensi dell’articolo 8 dell’AStG 2006, sono imponibili in capo a ciascuna di tali persone per la parte corrispondente alla partecipazione imputabile ad ognuna nel capitale nominale di detta società.

5        L’articolo 7, paragrafo 6, dell’AStG 2006 così recita:

«Se una società estera è una società intermedia per redditi intermedi da investimento di capitale ai sensi del paragrafo 6a e se un contribuente integralmente assoggettato ad imposta detiene in tale società una partecipazione almeno pari all’1%, tali redditi intermedi sono imponibili in capo a detto contribuente nei limiti indicati al paragrafo 1, ancorché le ulteriori condizioni elencate al paragrafo citato non siano soddisfatte (...)».

6        L’articolo 7, paragrafo 6a, dell’AStG2006 è così formulato:

«I redditi intermedi da investimento di capitale sono redditi della società intermedia estera (...) provenienti dalla detenzione, dalla gestione, dalla conservazione o dall’incremento di valore di mezzi di pagamento, crediti, titoli, partecipazioni (fatta eccezione per i redditi di cui all’articolo 8, paragrafo 1, punti 8 e 9), o cespiti patrimoniali analoghi, salvo che il soggetto passivo dimostri che derivano da un’attività costitutiva di un’attività propria della società estera ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, punti da 1 a 6 (...)».

7        Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, dell’AStG 2006, una società con sede in un paese terzo è considerata quale «società intermedia» per redditi sottoposti a bassa imposizione e che non sono provenienti dalle attività economiche elencate ai punti da 1 a 10 del citato paragrafo. Conformemente a questi ultimi, sono escluse dalla nozione di «società intermedia» le società che percepiscono redditi provenienti – salvo varie eccezioni e precisazioni – dalle attività agricole e della silvicoltura, dalla produzione, dal trattamento, dalla trasformazione o dall’assemblaggio di oggetti, dalla produzione di energia, dalla ricerca e dall’estrazione di minerali, dalla gestione di enti creditizi o di imprese assicurative, dal commercio, da prestazioni di servizi, dalla locazione e dall’affitto, dalla raccolta o dalla messa a disposizione, a titolo di prestito, di capitali per i quali il soggetto passivo dimostri che essi sono raccolti esclusivamente su mercati di capitali esteri e non presso un soggetto collegato al soggetto passivo o alla società estera, dalla distribuzione di utili da società di capitali, dalla cessione di una partecipazione detenuta in un’altra società e dal suo scioglimento o dalla riduzione del suo capitale, nonché dalle trasformazioni societarie.

8        Ai fini della definizione della società intermedia stabilita in un paese terzo, l’articolo 8, paragrafo 3, dell’AStG 2006 definisce l’imposizione degli utili come «bassa» quando essa è inferiore al 25%.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9        Risulta dalla decisione di rinvio che la X, società a responsabilità limitata di diritto tedesco, nel periodo su cui verte la controversia nel procedimento principale deteneva una partecipazione pari al 30% nella Y, una società di capitali avente sede e direzione in Svizzera. Nel giugno 2005 la Y ha stipulato un «contratto di acquisizione e di cessione di crediti» con la Z GmbH, una società di gestione di diritti sportivi avente sede in Germania.

10      I crediti in tal modo ceduti alla Y traevano origine da contratti in base ai quali la Z erogava sovvenzioni non rimborsabili ad associazioni sportive, mettendo quindi a disposizione di dette associazioni liquidità, e riceveva in cambio «partecipazioni agli utili» il cui importo minimo corrispondeva all’importo versato dalla Z a titolo di sovvenzioni, importo che poteva tuttavia aumentare in funzione, segnatamente, delle prestazioni sportive dell’associazione in questione e delle sue entrate derivanti, in particolare, dai diritti di diffusione.

11      La Y ha versato alla Z, a titolo di corrispettivo per la cessione dei crediti di cui trattasi, un importo di EUR 11 940 461, per il quale essa aveva fatto integralmente ricorso a un finanziamento esterno. Nel novembre 2005 la X ha concesso alla Y un prestito pari a 2,8 milioni di EUR.

12      Con decisione del 1º gennaio 2007 l’Ufficio delle imposte di Stoccarda – servizio persone giuridiche, ha constatato che la X aveva percepito redditi provenienti dall’attività passiva di una società stabilita in un paese terzo. Atteso che, ad avviso di detto ufficio, la Y doveva essere qualificata come società intermedia per «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafi 6 e 6a, dell’AStG 2006, una parte dei redditi realizzati dalla Y attraverso i crediti acquisiti dalla Z è stata inclusa nella base imponibile della X, che si è vista imputare, per l’anno 2006, un utile pari a EUR 546 651, da cui poteva detrarsi una perdita di EUR 95 223 accertata con riferimento all’anno precedente.

13      La X ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Finanzgericht Baden-Württemberg (Tribunale tributario del Baden-Württemberg, Germania), il quale lo ha tuttavia respinto.

14      A seguito di tale rigetto, la X ha adito il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania). Ad avviso di quest’ultimo, è pacifico che la Y rappresentava, per la X, una «società intermedia» e che gli utili realizzati dalla Y a seguito del contratto di cessione di crediti erano «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 6, e dell’articolo 8, paragrafo 1, dell’AStG 2006. Poiché la X deteneva più dell’1% del capitale sociale di tale società avente sede in un paese terzo, sarebbe stato corretto, in conformità a tali disposizioni, includere tali redditi, percepiti dalla Y, nella base imponibile della X, proporzionalmente alla sua partecipazione in detta società. Pertanto, in base al diritto tedesco, l’impugnazione interposta dalla X avverso la decisione del 1º gennaio 2007 sarebbe infondata.

15      Il giudice del rinvio osserva, tuttavia, che tali disposizioni si applicano solo alle partecipazioni detenute da soggetti passivi tedeschi in società stabilite in paesi terzi. In tale contesto, esso si chiede se le disposizioni in questione non contrastino con l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, il quale stabilisce, segnatamente, che sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e paesi terzi.

16      Prima di affrontare la questione della compatibilità della normativa nazionale con l’articolo 63 TFUE, detto giudice rammenta, tuttavia, che ai sensi della clausola di standstill contenuta all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, il divieto sancito dall’articolo 63 TFUE lascia impregiudicata «l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti», qualora siffatti movimenti implichino, segnatamente, investimenti diretti. Partendo dal presupposto che la situazione di cui trattasi nel procedimento principale implichi un investimento diretto in un paese terzo, nella specie la Svizzera, il giudice del rinvio ritiene necessario chiarire, preliminarmente, se le norme nazionali in materia di società intermedie stabilite in paesi terzi, applicabili nel corso dell’esercizio fiscale controverso, dovessero essere considerate come costitutive di una restrizione «in vigore alla data del 31 dicembre 1993», poiché tali norme hanno subito talune modifiche successivamente a tale data.

17      In proposito, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) chiarisce che dette norme, come esistenti al 31 dicembre 1993, sono state modificate segnatamente dal Gesetz zur Senkung der Steuersätze und zur Reform der Unternehmensbesteuerung (legge recante riduzione dell’imposta e riforma della fiscalità delle imprese), del 23 ottobre 2000 (BGBl. 2000 I, pag. 1433, in prosieguo: lo «StSenkG 2000»), entrato in vigore il 1° gennaio 2001. Detto giudice precisa che lo StSenkG 2000 ha «profondamente ristrutturato» le norme esistenti al 31 dicembre 1993, ma spiega che le modifiche in tal modo apportate sono state tuttavia abrogate poco dopo dal Gesetz zur Fortentwicklung des Unternehmenssteuerrechts (legge relativa all’evoluzione della fiscalità delle imprese) del 20 dicembre 2001 (BGBl. 2001 I, pag. 3858; in prosieguo: l’«UntStFG 2001»), il quale è entrato in vigore, sul punto specifico, il 25 dicembre 2001 e che, per quanto riguarda il regime tributario delle società intermedie stabilite in un paese terzo, implica una restrizione ai movimenti di capitali relativi a investimenti diretti sostanzialmente identica a quella derivante dalle norme esistenti alla data del 31 dicembre 1993. Poiché le modifiche introdotte dallo StSenkG 2000 erano tali da determinare, in conformità alle disposizioni rilevanti dello stesso, un’inclusione di «redditi intermedi da investimento di capitale» nella base imponibile di un soggetto passivo residente solo a partire dal 2002, l’abrogazione di queste ultime sarebbe intervenuta ancor prima che dette modifiche avessero potuto consentire all’amministrazione tributaria di procedere a una siffatta inclusione.

18      In tali circostanze, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) sollecita un’interpretazione della clausola di standstill di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, sotto un duplice profilo.

19      Anzitutto esso si chiede, in sostanza, se la deroga prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE consenta di applicare una restrizione ai movimenti di capitali tra uno Stato membro e un paese terzo aventi ad oggetto investimenti diretti, benché l’ambito di applicazione sostanziale della normativa in questione sia stato esteso dopo il 31 dicembre 1993 al fine di ricomprendere anche altri investimenti, segnatamente quelli detti «di portafoglio». A tal riguardo, il giudice del rinvio menziona il fatto che l’articolo 7, paragrafo 6, dell’AStG 2006, nella formulazione risultante dall’UntStFG 2001, ha ridotto, in particolare, il livello di partecipazione nella società intermedia stabilita in un paese terzo, prescritto ai fini di una siffatta inclusione, dal 10% all’1% del capitale di tale società. Orbene, posto che tale modifica non riguarderebbe, in linea di principio, investimenti diretti, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, la clausola di standstill potrebbe comunque trovare applicazione nelle circostanze di cui al procedimento principale.

20      Il secondo quesito del giudice del rinvio, relativo all’articolo 64, paragrafo 1, del TFUE verte sulla dimensione temporale delle rilevanti modifiche apportate dallo StSenkG 2000 alle norme riguardanti i «redditi intermedi da investimento di capitale». Tali modifiche sarebbero entrate in vigore, ma sarebbero state idonee a determinare un’inclusione di redditi intermedi nella base imponibile di un soggetto passivo residente solo a partire da una data successiva a quella in cui tali modifiche sono state abrogate dall’UntStFG 2001. Tuttavia, la modifica della situazione giuridica esistente al 31 dicembre 1993 sarebbe divenuta, anche se temporaneamente, parte integrante dell’ordinamento giuridico nazionale e avrebbe potuto in tal modo interrompere la vigenza delle norme restrittive esistenti a tale data. A tal proposito, il giudice del rinvio si chiede se la garanzia di mantenimento di una restrizione nazionale alla libera circolazione dei capitali esistente al 31 dicembre 1993 possa perdere efficacia esclusivamente a causa dell’effetto normativo formale di una normativa di modifica, o se invece tale normativa debba anche essere stata effettivamente attuata nella pratica.

21      Nel caso in cui la normativa nazionale in questione non rientri nell’ambito di applicazione della clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE in ragione di uno di questi due aspetti e debba quindi essere valutata alla luce del diritto dell’Unione in materia di libera circolazione dei capitali, il giudice del rinvio si chiede se una siffatta normativa costituisca una restrizione vietata ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE e, in tal caso, se una simile restrizione possa essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale. In proposito, esso ricorda che la Corte ha esaminato la questione relativa all’imposizione dei redditi delle società intermedie nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544), ma che tale causa si inseriva nel contesto della libertà di stabilimento applicabile nelle relazioni tra gli Stati membri, e non in quello della libera circolazione dei capitali, applicabile altresì nelle relazioni tra gli Stati membri e i paesi terzi.

22      Ad avviso del giudice del rinvio, se i principi espressi in quest’ultima sentenza riguardo alla libertà di stabilimento dovessero essere pienamente trasposti ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, la normativa tedesca in questione violerebbe l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE. Infatti, secondo tale normativa, l’inclusione dei «redditi intermedi da investimento di capitale» nella base imponibile di un azionista residente in Germania non si verificherebbe solo in caso di costruzioni di puro artificio finalizzate a eludere la normativa tributaria nazionale, ai sensi della sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544). Al contrario, la normativa nazionale in questione si applicherebbe a prescindere dalla funzione economica della società intermedia e all’azionista interessato non sarebbe data la possibilità di stabilire e dimostrare alle autorità tributarie il fondamento economico del suo impegno in un paese terzo.

23      Di conseguenza, il giudice del rinvio si chiede se i motivi atti a giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento enunciati nella sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544), si applichino ai rapporti con i paesi terzi e, in tal caso, quali requisiti di ordine qualitativo e quantitativo debba soddisfare, in tale contesto, la partecipazione in una società stabilita in un paese terzo per non essere considerata come «puramente artificiosa».

24      In tali circostanze, il Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 57, paragrafo 1, CE (ora articolo 64, paragrafo 1, TFUE) debba essere interpretato nel senso che una restrizione esistente in uno Stato membro della circolazione di capitali con paesi terzi, in vigore al 31 dicembre 1993, non è pregiudicata dall’articolo 56 CE (ora articolo 63 TFUE) nemmeno nel caso in cui la disposizione nazionale, vigente alla data di riferimento, che restringeva la circolazione di capitali con paesi terzi, si applicava essenzialmente solo agli investimenti diretti, ma dopo la data di riferimento è stata estesa nel senso di ricomprendere anche le partecipazioni di portafoglio a società estere al di sotto della soglia di partecipazione del 10%.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione: se l’articolo 57, paragrafo 1, CE debba essere interpretato nel senso che debba essere considerata applicazione di una disposizione nazionale, vigente alla data di riferimento del 31 dicembre 1993, diretta alla restrizione della circolazione di capitali con paesi terzi in relazione agli investimenti diretti, la circostanza che trovi applicazione una disposizione sostanzialmente corrispondente, e successiva, alla restrizione esistente alla data di riferimento, ma quest’ultima restrizione sia stata temporaneamente modificata in maniera sostanziale dopo tale data in virtù di una legge, che pur essendo formalmente entrata in vigore non ha mai avuto applicazione nella pratica, poiché prima della sua prima applicazione ad un caso concreto è stata sostituita dalla legge attualmente in vigore.

3)      In caso di risposta negativa ad una delle due questioni precedenti: se l’articolo 56 CE osti ad una disciplina di uno Stato membro che includa nella base imponibile di un soggetto passivo residente in tale Stato membro e che detiene almeno l’1% del capitale di una società stabilita in un altro Stato (nella fattispecie la Svizzera), i redditi positivi da investimento di capitale ricavati da detta società per un importo proporzionale corrispondente alla quota di partecipazione, ove tali redditi siano assoggettati ad un tasso d’imposizione inferiore rispetto al primo Stato menzionato».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

25      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, debba essere interpretata nel senso che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE lascia impregiudicata l’applicazione di una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che implichino investimenti diretti, che fosse in vigore, nella sostanza, alla data del 31 dicembre 1993 in virtù di una normativa di uno Stato membro, sebbene l’ambito applicativo di tale restrizione sia stato esteso, dopo tale data, alle partecipazioni non implicanti un investimento diretto.

26      L’articolo 63, paragrafo 1, TFUE vieta in termini generali le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e paesi terzi. Costituiscono movimenti di capitali ai sensi di tale disposizione, segnatamente, gli investimenti diretti sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso un possesso di azioni che consenta di partecipare effettivamente alla sua gestione e al suo controllo (investimenti c.d. «diretti»), nonché l’acquisto di titoli sul mercato dei capitali effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influenzare la gestione e il controllo dell’impresa (investimenti c.d. «di portafoglio») [v., in tal senso, sentenza del 28 settembre 2006, Commissione/Paesi Bassi, C-282/04 e C-283/04, EU:C:2006:608, punti 18 e 19, e parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017, EU:C:2017:376, punti 80 e 227].

27      Tuttavia, ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, uno Stato membro può applicare, nelle relazioni con i paesi terzi, restrizioni ai movimenti di capitali che rientrano nel campo di applicazione materiale di tale disposizione, anche se esse sono contrarie al principio della libera circolazione dei capitali sancito all’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, a condizione che tali restrizioni esistessero già al 31 dicembre 1993 (v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-446/04, EU:C:2006:774, punto 187; del 24 maggio 2007, Holböck, C-157/05, EU:C:2007:297, punto 39, e del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punto 86).

28      Atteso che la clausola di standstill, contenuta all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE dispone che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 63 lasciano impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti (...)», risulta dal suo stesso tenore letterale che le restrizioni ai movimenti di capitali da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, rientrano nell’ambito di applicazione sostanziale di detta clausola. Per contro, gli investimenti di portafoglio non compaiono tra i movimenti di capitali da essa considerati.

29      A tal proposito, emerge dalla decisione di rinvio, per un verso, che la X deteneva, nel corso dell’esercizio fiscale di cui trattasi nel procedimento principale, una partecipazione pari al 30% nella Y, partecipazione che il giudice del rinvio qualifica come investimento diretto, e, per altro verso, che l’ambito di applicazione della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale è stato esteso successivamente al 31 dicembre 1993, in modo da farvi rientrare non soltanto le partecipazioni superiori al 10% nel capitale di una società stabilita in un paese terzo, ma altresì le partecipazioni inferiori al 10% nel capitale di società siffatte, partecipazioni che il giudice stesso qualifica come investimenti di portafoglio.

30      Orbene, affinché la clausola di standstill di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE sia applicabile, non è necessario che la normativa nazionale che limita i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti si riferisca esclusivamente ai movimenti di capitali considerati da tale disposizione.

31      A tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che il fatto che una normativa nazionale possa applicarsi non solo ai movimenti di capitali di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, ma anche ad altre situazioni, non è idonea a impedire l’applicabilità della clausola di standstill nelle circostanze che essa contempla. Infatti, l’ambito di applicazione sostanziale di tale clausola non dipende dall’oggetto specifico di una restrizione nazionale, ma dal suo effetto sui movimenti di capitali considerati dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 15 febbraio 2017, X, C-317/15, EU:C:2017:119, punti 21 e 22).

32      Pertanto, l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE non pregiudica l’applicazione di una restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù della legislazione nazionale e attinente a movimenti di capitali contemplati dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, quali, segnatamente, investimenti provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, a prescindere da eventuali estensioni, successive a tale data, dell’ambito di applicazione della normativa che ha dato origine a tale restrizione ad altri tipi di movimenti di capitali, quali gli investimenti di portafoglio.

33      In tali circostanze, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 58 e 59 delle sue conclusioni, la modifica introdotta dalla UntStFG 2001 che prevedeva l’abbassamento della soglia di partecipazione dal 10% all’1% nel capitale delle società in questione, benché abbia potuto portare a includere nell’ambito di applicazione della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale investimenti diversi dagli investimenti diretti, non può incidere sulla possibilità, per lo Stato membro interessato, di continuare ad applicare ai paesi terzi restrizioni esistenti al 31 dicembre 1993 in virtù della legislazione nazionale, purché esse attengano a movimenti di capitali contemplati dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.

34      Alla luce di quanto precede, si deve rispondere alla prima questione dichiarando che la clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, dev’essere interpretata nel senso che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE lascia impregiudicata l’applicazione di una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che implichino investimenti diretti, che fosse in vigore, nella sostanza, alla data del 31 dicembre 1993 in virtù di una legislazione di uno Stato membro, sebbene l’ambito applicativo di tale restrizione sia stato esteso, dopo tale data, alle partecipazioni non implicanti un investimento diretto.

 Sulla seconda questione

35      Con la sua seconda questione, sollevata per l’eventualità di una risposta affermativa alla prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, debba essere interpretata nel senso che il divieto sancito dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, si applica ad una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, qualora la normativa tributaria nazionale all’origine di tale restrizione sia stata oggetto, dopo il 31 dicembre 1993, di una modifica sostanziale a seguito dell’adozione di una legge che è entrata in vigore, ma che è stata sostituita, ancor prima di essere applicata nella pratica, da una normativa sostanzialmente identica a quella applicabile al 31 dicembre 1993.

36      Come risulta, in sostanza, dal punto 27 della presente sentenza, la clausola di standstill di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, consente, in deroga al principio della libera circolazione dei capitali sancito dal trattato FUE, l’applicazione di restrizioni a talune categorie di movimenti di capitali, a condizione, tuttavia, che tali restrizioni costituiscano «restrizion[i] in vigore alla data del 31 dicembre 1993».

37      Per quanto riguarda la nozione di «restrizion[i] in vigore alla data del 31 dicembre 1993», di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, occorre ricordare che ogni disposizione nazionale adottata posteriormente a tale data non è, per questo solo fatto, automaticamente esclusa dal regime derogatorio previsto da tale disposizione. La Corte ha infatti ammesso la possibilità di assimilare a siffatte restrizioni «in vigore» le restrizioni previste da disposizioni adottate successivamente a tale data che siano sostanzialmente identiche alla normativa precedente o che si limitino a ridurre o a sopprimere ostacoli all’esercizio dei diritti e delle libertà di circolazione che esistevano in tale normativa (v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-446/04, EU:C:2006:774, punti 189 e 192; del 24 maggio 2007, Holböck, C-157/05, EU:C:2007:297, punto 41, nonché del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 49).

38      Se quindi la clausola di standstill, prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, consente agli Stati membri di continuare ad applicare restrizioni rientranti nell’ambito di applicazione sostanziale di detta clausola senza limitazioni temporali, purché tali restrizioni siano mantenute intatte nella loro sostanza, occorre rilevare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di «restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993» presuppone tuttavia che l’ambito giuridico in cui s’inserisce la restrizione di cui trattasi abbia fatto ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire da quella data (sentenze del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 48; del 5 maggio 2011, Prunus e Polonium, C-384/09, EU:C:2011:276, punto 34, nonché del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punto 81).

39      In tal senso, la Corte ha dichiarato che il regime derogatorio instaurato dalla clausola di standstill di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, non può applicarsi alle disposizioni adottate da uno Stato membro che, pur essendo sostanzialmente identiche ad una legislazione in vigore alla data del 31 dicembre 1993, hanno reintrodotto un ostacolo alla libera circolazione dei capitali che, in seguito all’abrogazione della legislazione precedente o dopo l’adozione di disposizioni che hanno modificato la logica sulla quale riposava la legislazione stessa, non esisteva più (v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-446/04, EU:C:2006:774, punto 192; del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 49 e del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punti 87 e 88).

40      Si deve infatti constatare che lo Stato membro interessato, procedendo a una siffatta abrogazione o a una siffatta modifica, rinuncia alla facoltà di cui disponeva, in conformità all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, di continuare ad applicare nelle relazioni con i paesi terzi talune restrizioni ai movimenti di capitali che erano in vigore alla data del 31 dicembre 1993 (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punti da 86 a 88).

41      Pertanto, l’applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE presuppone non solo il mantenimento del contenuto sostanziale della restrizione in questione, ma anche la continuità temporale della restrizione stessa. Infatti, se non fosse necessario che le restrizioni autorizzate in forza della clausola di standstill prevista da tale disposizione abbiano fatto ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire dal 31 dicembre 1993, uno Stato membro potrebbe in qualsiasi momento reintrodurre restrizioni ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti che erano in vigore nell’ordinamento giuridico nazionale alla data indicata, ma che non sono state mantenute (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 48; del 5 maggio 2011, Prunus e Polonium, C-384/09, EU:C:2011:276, punto 34, nonché del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punto 81).

42      Peraltro, la clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, in quanto deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere oggetto di un’interpretazione restrittiva. Del pari, anche le condizioni che una legislazione nazionale deve soddisfare per essere considerata «vigente» alla data del 31 dicembre 1993 nonostante una modifica del quadro giuridico nazionale successiva a tale data devono essere interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, EV, C-685/16, EU:C:2018:743, punti 80 e 81).

43      Nel caso di specie, è pacifico che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, esistente al 31 dicembre 1993, è stata oggetto di modifiche successivamente a tale data. Tuttavia, come precisato, segnatamente, ai punti 17 e 20 della presente sentenza, il giudice del rinvio osserva che le modifiche apportate al quadro giuridico esistente a tale data dallo StSenkG 2000 sono state abrogate, qualche tempo dopo la loro adozione, in forza della successiva entrata in vigore dell’UntStFG 2001.

44      Si deve rilevare che, benché non risulti dalla decisione di rinvio che lo StSenkG 2000 abbia abrogato le disposizioni all’origine della restrizione in vigore al 31 dicembre 1993, considerata dal giudice del rinvio, quest’ultimo sembra tuttavia ritenere che le modifiche apportate da tale legge alla normativa anteriore abbiano, quantomeno, modificato la logica sottesa a tale normativa. Il giudice del rinvio precisa infatti, a tale riguardo, che, con l’adozione dello StSenkG 2000, il legislatore tedesco ha sostanzialmente riformato il sistema tributario delle società e dei loro azionisti, ivi compresa la normativa attinente alle società intermedie stabilite in un paese terzo, elaborata in funzione di tale sistema generale, che sarebbe stato, a suo avviso, «profondamente ristrutturato».

45      Supponendo, fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio, che le modifiche in tal modo apportate alla normativa nazionale dallo StSenkG 2000 abbiano effettivamente modificato la logica sottesa alla normativa precedente, se non addirittura abrogato tale normativa, è necessario esaminare l’incidenza, sull’applicabilità della clausola di standstill, della circostanza, rilevata dal giudice del rinvio, secondo cui dette modifiche, pur essendo entrate in vigore il 1º gennaio 2001, potevano dar luogo all’inclusione di «redditi intermedi da investimento di capitale» nella base imponibile di un soggetto passivo solo a partire dal 2002, vale a dire successivamente all’abrogazione di dette modifiche, intervenuta con la successiva entrata in vigore dell’UntStFG 2001, il 25 dicembre 2001.

46      Come risulta dalla giurisprudenza della Corte richiamata ai punti 39 e 40 della presente sentenza, una restrizione ai movimenti di capitali in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù della legislazione nazionale non può essere considerata come facente ininterrottamente parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire da tale data, segnatamente, nel caso in cui la legislazione all’origine della restrizione stessa venga abrogata o nel caso in cui la logica sulla quale riposava la legislazione stessa sia stata modificata. Una siffatta abrogazione o modifica interviene, in linea di principio, al momento dell’entrata in vigore, conformemente alle procedure costituzionali nazionali previste a tal fine, delle disposizioni che procedono all’abrogazione o alla modifica della legislazione vigente.

47      Tuttavia, nonostante la formale entrata in vigore delle disposizioni di abrogazione o modifica della legislazione all’origine di una restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993, tale restrizione deve considerarsi mantenuta ininterrottamente qualora l’applicabilità delle disposizioni abrogative o modificative sia differita a norma del diritto nazionale e qualora queste ultime disposizioni siano a loro volta abrogate prima di divenire applicabili. Infatti, in una simile ipotesi, si deve ritenere che una tale restrizione abbia continuato ininterrottamente a far parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi.

48      In simili circostanze, qualora – il che dovrà essere verificato dal giudice del rinvio – l’adozione dello StSenkG 2000 sia stata accompagnata da disposizioni che prevedevano il differimento dell’applicabilità della legge stessa, in modo tale che le modifiche apportate da detta legge al regime tributario delle società intermedie stabilite in un paese terzo non siano risultate applicabili ai movimenti di capitali transfrontalieri di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE nel periodo compreso tra il 1º gennaio e il 25 dicembre 2001, data di entrata in vigore del UntStFG 2001, si dovrebbe ritenere che la restrizione esaminata da detto giudice sia stata mantenuta ininterrottamente a far data dal 31 dicembre 1993, ai sensi della clausola di standstill prevista da tale disposizione.

49      Per contro, qualora il giudice del rinvio dovesse constatare che le disposizioni dello StSenkG 2000 sono divenute applicabili sin dalla loro entrata in vigore, si dovrebbe ritenere che l’adozione di tale legge ha interrotto l’esistenza continuativa della restrizione di cui trattasi nel procedimento principale, interruzione che dovrebbe portare ad escludere l’applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.

50      Tale sarebbe il caso se, in base alla normativa tributaria introdotta dallo StSenkG 2000, entrata in vigore il 1º gennaio 2001, i redditi intermedi generati nel corso dell’anno 2001 fossero stati destinati ad essere inclusi nella base imponibile del soggetto passivo residente interessato, nonostante il fatto che, in forza dell’abrogazione di tale legge il 25 dicembre 2001, l’amministrazione tributaria non abbia in definitiva applicato tale normativa per prelevare, nel 2002, le imposte relative ai redditi in parola.

51      Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che la clausola di standstill prevista dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, deve essere interpretata nel senso che il divieto sancito dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE si applica ad una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti implicanti investimenti diretti, nel caso in cui la normativa tributaria nazionale che ha dato origine a tale restrizione sia stata oggetto, dopo il 31 dicembre 1993, di una modifica sostanziale a causa dell’adozione di una legge che è entrata in vigore, ma che è stata sostituita, ancor prima di essere stata applicata in pratica, da una normativa identica, nella sostanza, a quella applicabile al 31 dicembre 1993, a meno che l’applicabilità di tale legge sia stata differita in base al diritto nazionale, in modo tale che, nonostante la sua entrata in vigore, quest’ultima non sia stata applicabile ai movimenti transfrontalieri di capitali di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

 Sulla terza questione

52      Nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse ritenere, alla luce della risposta fornita alla seconda questione, che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non rientri nell’ambito applicativo della clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, si dovrà esaminare la terza questione, in conformità alla domanda formulata dal giudice stesso.

53      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale i redditi percepiti da una società stabilita in un paese terzo non derivanti da un’attività propria della società stessa, quali quelli qualificati come «redditi intermedi da investimento di capitale» ai sensi di tale normativa, vengono inclusi, proporzionalmente alla partecipazione detenuta, nella base imponibile di un soggetto passivo residente in tale Stato membro, qualora detto soggetto passivo detenga una partecipazione pari almeno all’1% in tale società e qualora detti redditi siano soggetti, nel paese terzo di cui trattasi, ad un livello di imposizione inferiore a quello esistente nello Stato membro interessato.

54      Per fornire una risposta a tale questione occorre esaminare, in primis, l’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 63 TFUE, e, se del caso, in secondo luogo, il carattere ammissibile di una siffatta restrizione.

 Sulla sussistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali

55      Secondo costante giurisprudenza della Corte, le misure vietate in quanto restrizioni dei movimenti di capitali comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di tale Stato membro dal farne in altri Stati (v., segnatamente, sentenze del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 40; del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 50, nonché dell’8 novembre 2012, Commissione/Finlandia, C-342/10, EU:C:2012:688, punto 28).

56      In applicazione della normativa di cui trattasi nel procedimento principale, ad un soggetto passivo con residenza fiscale in Germania che detenga una partecipazione pari almeno all’1% in una società stabilita in un paese terzo a «basso» livello di imposizione vengono imputati, proporzionalmente alla propria partecipazione, i redditi cosiddetti «passivi», vale a dire i «redditi intermedi da investimento di capitale» ai sensi di tale normativa, realizzati da detta società, a prescindere da qualsiasi distribuzione degli utili. Per contro, un soggetto passivo che detenga una partecipazione analoga in una società stabilita in Germania non è soggetto alla citata normativa, atteso che quest’ultima è destinata ad applicarsi, per definizione, solamente in situazioni transfrontaliere.

57      Una tale disparità di trattamento fiscale è idonea a produrre conseguenze sfavorevoli per un soggetto passivo residente che detenga una partecipazione in una società stabilita in un paese terzo, il quale percepisca redditi «passivi» di tal genere, posto che gli utili di tale società vengono incorporati nella base imponibile del soggetto passivo proporzionalmente alla sua partecipazione nella stessa. Invero, rispetto ad un soggetto passivo che detenga una partecipazione equiparabile in una società stabilita nello Stato membro della propria residenza, nella fattispecie, in Germania, tale disparità di trattamento crea uno svantaggio fiscale per il soggetto passivo che investe capitali in un paese terzo, atteso che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale imputa gli utili di una persona giuridica distinta a tale soggetto passivo, e li assoggetta ad imposta in capo a quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 45).

58      In tali circostanze, si deve constatare che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale è tale da dissuadere gli investitori integralmente assoggettati ad imposta in Germania dall’effettuare investimenti in società stabilite in taluni paesi terzi e rappresenta, pertanto, una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE.

 Sull’ammissibilità della restrizione

59      Posto il carattere restrittivo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale, si deve verificare, come rammentato dal governo tedesco, se la restrizione alla libera circolazione dei capitali instaurata dalla normativa stessa sia giustificabile alla luce dell’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE, secondo cui «[l]e disposizioni dell’articolo 63 [TFUE] non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale».

60      Da una giurisprudenza costante risulta che l’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE, costituendo una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, deve essere oggetto d’interpretazione restrittiva. Pertanto, tale disposizione non può essere interpretata nel senso che qualsiasi legislazione tributaria che operi una distinzione tra i contribuenti in base al luogo in cui essi risiedono o allo Stato in cui investono i loro capitali sia automaticamente compatibile con il Trattato (sentenze dell’11 settembre 2008, Eckelkamp e a., C-11/07, EU:C:2008:489, punto 57; del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 56, nonché del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, C-190/12, EU:C:2014:249, punto 55).

61      Infatti, le disparità di trattamento autorizzate dall’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE non devono costituire, ai sensi del paragrafo 3 del medesimo articolo, un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata. La Corte ha dichiarato, pertanto, che tali disparità di trattamento possono essere autorizzate solo se riguardanti situazioni non oggettivamente comparabili o, in caso contrario, se sono giustificate da un motivo imperativo di interesse generale (v., in tal senso, sentenze del 6 giugno 2000, Verkooijen, C-35/98, EU:C:2000:294, punto 43; del 7 settembre 2004, Manninen, C-319/02, EU:C:2004:484, punto 29, e del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome, C-182/08, EU:C:2009:559, punto 68).

62      È pertanto necessario verificare, in primo luogo, se la disparità di trattamento in questione riguardi situazioni oggettivamente comparabili e, se del caso, esaminare, in secondo luogo, se la restrizione alla libera circolazione dei capitali di cui trattasi possa essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

–       Sulla comparabilità delle situazioni

63      Il governo tedesco contesta l’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali, sostenendo che la situazione dei soggetti passivi detentori di una partecipazione in una società stabilita in un paese terzo soggetta ad una bassa imposizione, cui si riferisce la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, non è comparabile a quella dei soggetti passivi che detengono una siffatta partecipazione in una società stabilita in Germania. A parere di tale governo, le situazioni descritte non sono comparabili, segnatamente, in quanto tale normativa riguarda partecipazioni in società non soggette alla competenza tributaria tedesca e che sono sottoposte, in un paese terzo, solo a un basso livello di imposizione.

64      Secondo costante giurisprudenza, la comparabilità di una situazione transfrontaliera con una situazione interna allo Stato membro dev’essere esaminata tenendo conto dell’obiettivo perseguito dalle disposizioni nazionali in questione (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2007, Oy AA, C-231/05, EU:C:2007:439, punto 38; del 1° aprile 2014, Felixstowe Dock and Railway Company e a., C-80/12, EU:C:2014:200, punto 25, nonché del 12 giugno 2018, Bevola e Jens W. Trock, C-650/16, EU:C:2018:424, punto 32).

65      A tal proposito, secondo le delucidazioni fornite dal giudice del rinvio, l’obiettivo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale è di «impedire o neutralizzare il trasferimento dei redditi (passivi) dei soggetti integralmente sottoposti ad imposta verso Stati aventi un basso livello di imposizione». A parere del governo tedesco, la normativa in questione mira del pari ad impedire l’elusione fiscale mediante il trasferimento fittizio di redditi verso paesi terzi aventi un basso livello di imposizione.

66      È certo vero che un obiettivo di contrasto al trasferimento di redditi verso paesi terzi aventi un basso livello di imposizione non può essere perseguito da uno Stato membro nell’ambito degli investimenti effettuati all’interno di tale Stato.

67      Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale ha lo scopo di assimilare quanto più possibile la situazione delle società residenti che hanno investito capitali in una società stabilita in un paese terzo a «basso» livello di imposizione a quella di società residenti che hanno investito i loro capitali in un’altra società residente in Germania, al fine, segnatamente, di neutralizzare gli eventuali vantaggi fiscali che le prime potrebbero trarre dall’investimento di capitali in un paese terzo. Orbene, dal momento in cui uno Stato membro, in modo unilaterale, assoggetta una società residente all’imposta su redditi realizzati da una società stabilita in un paese terzo nella quale la citata società residente detiene una partecipazione, la situazione di tale società residente si avvicina a quella di una società residente che detiene una partecipazione in un’altra società residente (v., per analogia, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 45, e del 14 dicembre 2006, Denkavit Internationaal e Denkavit France, C-170/05, EU:C:2006:783, punti 35 e 36).

68      Di conseguenza, fatto salvo l’esame del carattere eventualmente giustificato della normativa di cui trattasi nel procedimento principale in base a un motivo imperativo di interesse generale, ammettere che talune situazioni non siano comparabili per il solo fatto che l’investitore in questione detiene partecipazioni in una società stabilita in un paese terzo, quando l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE vieta proprio le restrizioni ai movimenti transfrontalieri di capitali, priverebbe la disposizione stessa del suo contenuto (v., per analogia, sentenza del 12 giugno 2018, Bevola e Jens W. Trock, C-650/16, EU:C:2018:424, punto 35).

69      Alla luce di quanto precede, la disparità di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale riguarda situazioni oggettivamente comparabili.

–       Sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale

70      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, una restrizione alla libera circolazione dei capitali può essere ammessa soltanto se è giustificata da motivi imperativi di interesse generale e, in tale ipotesi, nei limiti in cui essa è idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e non eccede quanto è necessario per raggiungerlo (v., in tal senso, sentenze dell’11 ottobre 2007, ELISA, C-451/05, EU:C:2007:594, punti 79 e 82; del 23 gennaio 2014, DMC, C-164/12, EU:C:2014:20, punto 44, nonché del 21 giugno 2018, Fidelity Funds e a., C-480/16, EU:C:2018:480, punto 64).

71      Nelle loro osservazioni scritte i governi tedesco, francese e svedese affermano che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale è giustificabile dai motivi imperativi di interesse generale attinenti alla tutela di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e i paesi terzi, alla prevenzione dell’evasione e dell’elusione fiscali, nonché alla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali.

72      Si deve ricordare in proposito, innanzi tutto, che la necessità di salvaguardare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e i paesi terzi rappresenta un motivo tale da giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali qualora, in particolare, le misure nazionali di cui trattasi siano intese a prevenire comportamenti idonei a compromettere il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul suo territorio (v., in tal senso, sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 121; del 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e a., da C-338/11 a C-347/11, EU:C:2012:286, punto 47, nonché del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, C-190/12, EU:C:2014:249, punto 98).

73      Nello stesso ordine di idee, la Corte ha dichiarato che una misura nazionale che limita la libera circolazione dei capitali può essere giustificata dalla necessità di prevenire l’evasione e l’elusione fiscale se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica, create con lo scopo di eludere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punti 51 e 55; del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, C-524/04, EU:C:2007:161, punti 72 e 74, nonché del 3 ottobre 2013, Itelcar, C-282/12, EU:C:2013:629, punto 34).

74      Peraltro, emerge da una costante giurisprudenza della Corte che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenze del 9 ottobre 2014, van Caster, C-326/12, EU:C:2014:2269, punto 46, e del 22 novembre 2018, Huijbrechts, C-679/17, EU:C:2018:940, punto 36). A tale proposito va rammentato che i controlli fiscali mirano, secondo la giurisprudenza della Corte, a lottare contro l’evasione e l’elusione fiscali (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2012, SIAT, C-318/10, EU:C:2012:415, punto 44).

75      In tali circostanze, i motivi imperativi d’interesse generale invocati dagli interessati sono, in circostanze quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale, strettamente connessi (v., per analogia, sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer, C-446/03, EU:C:2005:763, punto 51; del 21 gennaio 2010, SGI, C-311/08, EU:C:2010:26, punto 69, nonché del 5 luglio 2012, SIAT, C-318/10, EU:C:2012:415, punto 48). Posto che l’obiettivo della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, come rammentato al punto 65 della presente sentenza, corrisponde, in sostanza, a tali motivi imperativi di interesse generale, e, in particolare, alla prevenzione dell’evasione e dell’elusione fiscale, si deve quindi valutare se tale normativa sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e se non ecceda quanto necessario per raggiungerlo.

76      Quanto alla questione se la citata normativa sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo che essa persegue, si deve rilevare che quest’ultima prevede, segnatamente all’articolo 7, paragrafo 6, e all’articolo 8, paragrafo 3, dell’AStG 2006, che gli utili di una società stabilita in un paese terzo che percepisce «redditi intermedi da investimento di capitale», non imponibili in Germania e assoggettati a una bassa imposizione, ai sensi di tale normativa, nel paese terzo di cui trattasi, siano, indipendentemente da una distribuzione di tali utili, inclusi nella base imponibile di un contribuente integralmente assoggettato ad imposta in Germania, proporzionalmente alla percentuale della sua partecipazione in tale società, e che siano tassati in capo allo stesso come un dividendo distribuito.

77      A tal proposito non può escludersi, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni, che, in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale, la cessione di crediti ad opera della Z, società stabilita in Germania, in favore della Y, società non sottoposta alla competenza fiscale tedesca, possa significare che i redditi generati da talune attività di associazioni sportive svolte sul territorio tedesco, cui si riferiscono tali crediti, siano, almeno in parte, sottratti alla competenza fiscale tedesca, benché, tuttavia, tale questione attinente al diritto tributario sostanziale applicabile sia da sottoporsi alla valutazione del giudice del rinvio. Peraltro, sebbene la Corte non disponga di elementi fattuali sufficienti per accertare che, nel caso di specie, le transazioni in questione nel procedimento principale abbiano natura artificiosa, non si può neppure escludere, dal momento che l’unica attività svolta dalla Y consiste nel detenere crediti acquistati da una società stabilita in Germania facendo ricorso a un finanziamento esterno, ivi compreso un prestito concesso dalla X, che la partecipazione detenuta da quest’ultima nella Y sia priva di una valida giustificazione commerciale, ma che possa avere come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’elusione dell’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte sul territorio tedesco, utilizzando a tal fine la Y come società intermedia.

78      Dal momento che una normativa come quella in esame nel procedimento principale, nel prevedere l’inclusione dei redditi di una società stabilita in un paese terzo a «basso» livello di imposizione nella base imponibile di una società integralmente assoggettata ad imposta in Germania, è in grado di neutralizzare, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, gli effetti di un eventuale trasferimento artificioso di redditi verso un siffatto paese terzo, essa è, in linea di principio, idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo che persegue.

79      Occorre inoltre verificare se la normativa in esame non ecceda quanto necessario al conseguimento del suo obiettivo.

80      Secondo costante giurisprudenza della Corte, il semplice fatto che una società residente detenga una partecipazione in un’altra società stabilita in un paese terzo non può fondare, in quanto tale, una presunzione generale di evasione e di elusione fiscali e non può giustificare, in tal senso, una misura fiscale che pregiudichi la libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 1998, ICI, C-264/96, EU:C:1998:370, punto 26; del 21 novembre 2002, X e Y, C-436/00, EU:C:2002:704, punto 62, nonché dell’11 ottobre 2007, ELISA, C-451/05, EU:C:2007:594, punto 91). Per contro, come emerge dalla giurisprudenza citata al punto 73 della presente sentenza, una misura nazionale che limita la libera circolazione dei capitali può essere giustificata qualora miri specificamente a prevenire comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio.

81      A tal riguardo, il giudice del rinvio si chiede se l’interpretazione della nozione di «costruzione di puro artificio», adottata dalla Corte nella sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544), sia trasponibile alle circostanze di cui al procedimento principale. Esso rileva, peraltro, che la causa che ha dato origine a tale sentenza si inseriva nel contesto della libertà di stabilimento, sancita, segnatamente, dall’articolo 49 TFUE, posto che tale causa verteva su una normativa nazionale di uno Stato membro che aveva ad oggetto l’imposizione, in capo ad un soggetto passivo stabilito in tale Stato, dei redditi di una società stabilita in un altro Stato membro, in particolare quando il soggetto passivo residente deteneva più del 50% del capitale della stessa.

82      Si deve rilevare che la Corte ha dichiarato, ai punti 67 e 68 della sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544), che la costituzione di una società in uno Stato membro presenta il carattere di una «costruzione di puro artificio» quando si possa constatare, sulla base di elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, che la società stessa corrisponde a un’installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, tenuto conto, in particolare, del livello di presenza fisica di tale società in termini di locali, di personale e di attrezzature. La Corte ne ha tratto la conclusione che simili installazioni fittizie, segnatamente quelle che presentano le caratteristiche di società «fantasma» o «schermo», possono essere assoggettate a un regime tributario specifico al fine di prevenire l’evasione e l’elusione fiscali, senza che a ciò ostino le disposizioni del Trattato attinenti alla libertà di cui trattasi.

83      Ciò posto, per quanto riguarda la questione espressamente posta dal giudice del rinvio, chiedendo quali requisiti di ordine qualitativo e quantitativo debba soddisfare la partecipazione di un soggetto passivo residente in una società, stabilita in un paese terzo, affinché essa non sia da considerarsi «di puro artificio», deve rammentarsi che la libera circolazione dei capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi non mira a disciplinare le condizioni alle quali le società possono stabilirsi in seno al mercato interno (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-35/11, EU:C:2012:707, punto 100), bensì ad attuare la liberalizzazione dei movimenti transfrontalieri di capitali (v., in tal senso, sentenze del 14 dicembre 1995, Sanz de Lera e a., C-163/94, C-165/94 e C-250/94, EU:C:1995:451, punto 19, e del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 46).

84      Di conseguenza, nel contesto della libera circolazione dei capitali, la nozione di «costruzione di puro artificio» non può necessariamente limitarsi agli elementi relativi all’assenza di effettività economica dello stabilimento di una società, descritti ai punti 67 e 68 della sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, EU:C:2006:544), dal momento che, per quanto attiene a movimenti transfrontalieri di capitali, la creazione artificiosa delle condizioni richieste per sottrarsi indebitamente all’imposizione in uno Stato membro o per fruire ivi indebitamente di un vantaggio fiscale può assumere varie forme. È certo vero che tali elementi possono costituire indizi dell’esistenza di una costruzione di puro artificio altresì ai fini dell’applicazione delle norme riguardanti la libera circolazione dei capitali, segnatamente ove si renda necessario valutare la giustificazione commerciale di un’assunzione di partecipazione in una società che non svolge attività economiche proprie. Tuttavia, tale nozione può altresì comprendere, nell’ambito della libera circolazione dei capitali, qualsiasi operazione il cui obiettivo principale o di cui uno degli obiettivi principali consista nel trasferimento artificioso degli utili generati da attività svolte sul territorio di uno Stato membro verso paesi terzi a basso livello di imposizione.

85      Ciò nonostante, nel caso di specie, risulta che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale non mira unicamente a prevenire comportamenti consistenti nel porre in essere simili operazioni artificiose. Risulta infatti dalla decisione di rinvio che, a norma dell’articolo 7, paragrafo 6, e dell’articolo 8, paragrafo 3, dell’AStG 2006, ove si constati che un soggetto passivo residente detenga almeno l’1% del capitale sociale di una società stabilita in un paese terzo avente un basso livello di imposizione, ai sensi di detta normativa, che percepisca «redditi intermedi da investimento di capitale» ai sensi della normativa stessa, tali redditi sono automaticamente incorporati nella base imponibile di detto soggetto passivo, senza che a quest’ultimo sia data la possibilità di fornire elementi atti a dimostrare che la propria partecipazione non deriva da un’operazione di carattere artificioso, quali, segnatamente, i motivi commerciali della propria partecipazione in tale società ovvero l’effettività dell’attività economica esercitata dalla stessa.

86      Orbene, il descritto automatismo della normativa di cui trattasi nel procedimento principale, essenzialmente equiparabile ad una presunzione assoluta di evasione o di elusione fiscali, non può essere giustificato in base ai soli criteri contemplati da tale normativa. Infatti, un basso livello impositivo applicabile agli utili di una società stabilita in un paese terzo o la natura «passiva» delle attività che danno origine ai medesimi, come definiti dalla normativa stessa, benché possano costituire indizi di un comportamento idoneo a sfociare nell’evasione o nell’elusione fiscali, non possono essere, di per sé stessi, sufficienti per concludere che l’assunzione di partecipazione in detta società da parte di un soggetto passivo residente in uno Stato membro rappresenti, necessariamente, un’operazione di carattere artificioso.

87      Per giurisprudenza costante, nelle relazioni tra Stati membri, una normativa nazionale, per essere proporzionata all’obiettivo di prevenire l’evasione e l’elusione fiscali, in tutti i casi in cui l’esistenza di transazioni artificiose non può essere esclusa, deve dare la possibilità al soggetto passivo, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa (v., in tal senso, sentenze del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, C-524/04, EU:C:2007:161, punto 82; del 5 luglio 2012, SIAT, C-318/10, EU:C:2012:415, punto 50, e del 3 ottobre 2013, Itelcar, C-282/12, EU:C:2013:629, punto 37).

88      Tenuto conto della giurisprudenza citata al punto precedente, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, in quanto presuppone l’esistenza di comportamenti artificiosi per la sola ragione che ricorrono le condizioni enunciate nella normativa stessa, senza tuttavia concedere al soggetto passivo interessato alcuna possibilità di confutare tale presunzione, eccede, in linea di principio, quanto necessario al conseguimento del proprio obiettivo.

89      Ciò posto, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale riguarda non gli Stati membri, bensì paesi terzi.

90      In tal senso, si deve rammentare che la giurisprudenza vertente sulle restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione non può essere integralmente trasposta ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, in quanto tali movimenti si collocano in un contesto giuridico diverso (v., segnatamente, sentenza del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud, C-72/09, EU:C:2010:645, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

91      Per quanto riguarda, in particolare, l’obbligo gravante sugli Stati membri di porre un soggetto passivo in grado di produrre elementi atti a dimostrare le eventuali ragioni commerciali della sua partecipazione in una società stabilita in un paese terzo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’esistenza di un tale obbligo dev’essere valutata in funzione della disponibilità di misure amministrative e regolamentari che consentano, se del caso, un controllo della veridicità di siffatti elementi (v., in tal senso, sentenze dell’11 ottobre 2007, ELISA, C-451/05, EU:C:2007:594, punto 98; del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud, C-72/09, EU:C:2010:645, punti 45 e 46, e del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, C-190/12, EU:C:2014:249, punto 85).

92      Da una costante giurisprudenza della Corte emerge altresì che, quando la normativa di uno Stato membro fa dipendere il beneficio della concessione di un vantaggio fiscale dall’adempimento di condizioni la cui osservanza può essere verificata soltanto ottenendo informazioni dalle autorità competenti di un paese terzo, è, in linea di principio, legittimo per tale Stato membro rifiutare la concessione di detto vantaggio se, in particolare per l’assenza di un obbligo convenzionale da parte di tale paese terzo di fornire informazioni, risulti impossibile ottenere le informazioni stesse dal detto paese (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2007, A, C-101/05, EU:C:2007:804, punto 63; del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, C-436/08 e C-437/08, EU:C:2011:61, punto 67, nonché del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, C-190/12, EU:C:2014:249, punto 84).

93      Nel caso di specie, la constatazione secondo cui la partecipazione della società stabilita in Germania, di cui trattasi nel procedimento principale, in una società stabilita in un paese terzo non deriva, nonostante il ricorrere delle condizioni enunciate dall’articolo 7, paragrafo 6, e all’articolo 8, paragrafo 3, dell’AStG 2006, da un’operazione di carattere artificioso, richiede un’analisi, da parte dell’amministrazione tributaria tedesca, di informazioni relative, segnatamente, alla natura delle attività di tale società stabilita in un paese terzo.

94      Dal momento che uno Stato membro non è tenuto ad accettare le informazioni relative alle attività di una società stabilita in un paese terzo in cui un soggetto passivo di tale Stato membro detenga una partecipazione, senza poter verificare, se del caso, la veridicità di tali informazioni (v., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2014, Emerging Markets Series of DFA Investment Trust Company, C-190/12, EU:C:2014:249, punto 85), spetta al giudice del rinvio verificare, nella fattispecie, se sussistano obblighi convenzionali tra la Repubblica federale di Germania e la Confederazione Svizzera che istituiscano un quadro giuridico di cooperazione e meccanismi di scambio di informazioni tra le autorità nazionali interessate, che siano effettivamente tali da consentire alle autorità tributarie tedesche di verificare, se del caso, la veridicità delle informazioni riguardanti la società stabilita in Svizzera fornite al fine di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso.

95      Ove non sussistesse un siffatto quadro giuridico, segnatamente convenzionale, tra lo Stato membro e il paese terzo in questione, si deve constatare che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE non osta a che lo Stato membro interessato applichi una normativa, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede l’inclusione dei redditi di una società stabilita in un paese terzo nella base imponibile di un soggetto passivo residente, senza che a quest’ultimo sia data la possibilità di dimostrare le eventuali ragioni commerciali della propria partecipazione in tale società. Per contro, se si dovesse constatare l’esistenza di un siffatto quadro giuridico, al soggetto passivo interessato dovrebbe essere data la possibilità di dimostrare, senza eccessivi oneri amministrativi, le eventuali ragioni commerciali del suo investimento nel paese terzo in questione.

96      In considerazione di quanto sin qui esposto, si deve rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i redditi realizzati da una società stabilita in un paese terzo, non derivanti da un’attività propria di tale società, quali quelli qualificati come «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi di tale normativa, sono inclusi, proporzionalmente alla partecipazione detenuta, nella base imponibile di un soggetto passivo residente in detto Stato membro, qualora tale soggetto passivo detenga una partecipazione pari almeno all’1% in detta società e qualora i redditi stessi siano sottoposti, in detto paese terzo, ad un livello di imposizione inferiore a quello esistente nello Stato membro interessato, salvo che esista un quadro giuridico che preveda, segnatamente, obblighi convenzionali tali da consentire alle autorità tributarie nazionali dello Stato membro in parola di controllare, se del caso, la veridicità delle informazioni relative a questa stessa società, fornite allo scopo di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso.

 Sulle spese

97      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      La clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, dev’essere interpretata nel senso che l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE lascia impregiudicata l’applicazione di una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti implicanti investimenti diretti, che fosse in vigore, nella sostanza, alla data del 31 dicembre 1993 in virtù di una legislazione di uno Stato membro, sebbene l’ambito applicativo di tale restrizione sia stato esteso, dopo tale data, alle partecipazioni non implicanti un investimento diretto.

2)      La clausola di standstill prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, deve essere interpretata nel senso che il divieto sancito dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE si applica ad una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti implicanti investimenti diretti, nel caso in cui la normativa tributaria nazionale che ha dato origine a tale restrizione sia stata oggetto, dopo il 31 dicembre 1993, di una modifica sostanziale a causa dell’adozione di una legge che è entrata in vigore, ma che è stata sostituita, ancor prima di essere stata applicata in pratica, da una normativa identica, nella sostanza, a quella applicabile al 31 dicembre 1993, a meno che l’applicabilità di tale legge sia stata differita in base al diritto nazionale, in modo tale che, nonostante la sua entrata in vigore, quest’ultima non sia stata applicabile ai movimenti transfrontalieri di capitali di cui all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

3)      L’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i redditi realizzati da una società stabilita in un paese terzo, non derivanti da un’attività propria di tale società, quali quelli qualificati come «redditi intermedi da investimento di capitale», ai sensi di tale normativa, sono inclusi, proporzionalmente alla partecipazione detenuta, nella base imponibile di un soggetto passivo residente in detto Stato membro, qualora tale soggetto passivo detenga una partecipazione pari almeno all’1% in detta società e qualora i redditi stessi siano sottoposti, in detto paese terzo, ad un livello di imposizione inferiore a quello esistente nello Stato membro interessato, salvo che esista un quadro giuridico che preveda, segnatamente, obblighi convenzionali tali da consentire alle autorità tributarie nazionali dello Stato membro in parola di controllare, se del caso, la veridicità delle informazioni relative a questa stessa società, fornite allo scopo di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.