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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
POIARES MADURO
presentate il 18 maggio 2004(1)


Causa C-8/03



Banque Bruxelles Lambert SA (BBL)
contro
Stato belga


[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal de première instance di Bruxelles (Belgio)]

«Sesta direttiva IVA – Nozione di soggetto passivo – Luogo delle prestazioni di servizi – Esenzione della gestione dei fondi comuni di investimento – SICAV»






1.        Alla Corte è sottoposta per la prima volta una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa all’applicazione del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto agli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari. Si noterà che tali enti sono stati oggetto di recente attenzione da parte del legislatore comunitario. Le due direttive del Parlamento e del Consiglio 21 gennaio 2002, 2001/107/CE e 2001/108/CE  (2) , che hanno modificato la direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/611/CEE  (3) , hanno precisato le condizioni di esercizio e di gestione di tali organismi. Ma è soprattutto alla luce della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la«sesta direttiva»)  (4) che la Corte è chiamata nella causa presente a pronunciarsi.

I – Causa principale e questioni pregiudiziali

2.        I fatti della causa sono i seguenti. La Banque Bruxelles Lambert SA (in prosieguo: la «BBL») ha prestato servizi di assistenza, informazione e consulenza a talune società d’investimento a capitale variabile (in prosieguo: le «SICAV») aventi sede in Lussemburgo. La BBL non ha provveduto a versare l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») per tali servizi, in considerazione del fatto che il Granducato del Lussemburgo sottrae le SICAV all’ambito di applicazione dell’IVA. In seguito ad un controllo effettuato nel 1998, l’amministrazione fiscale belga ha emanato un ordine di pagamento a carico della BBL al fine di recuperare l’IVA dovuta per le prestazioni rese a favore delle SICAV dal 1993 al 1997.

3.        L’amministrazione fiscale si basa, a tal fine, su un’applicazione del codice belga sull’IVA. Secondo l’art. 21, n. 2 di detto codice «si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale». Tale regola è tuttavia accompagnata da un’eccezione, fissata dall’art. 21, n. 3 del medesimo codice, in base al quale si considera luogo della prestazione quello della sede o del centro di attività del destinatario del servizio quando si verificano entrambe le due condizioni seguenti: che il destinatario sia un soggetto passivo avente sede nella Comunità ma al di fuori dello Stato di provenienza della prestazione, e che la prestazione stessa abbia ad oggetto in particolare un’attività di natura intellettuale fornita da parte di consulenti giuridici, oppure operazioni bancarie, finanziarie e assicurative. In conformità all’art. 9 della sesta direttiva, la normativa belga impone quindi di verificare la qualità di soggetto passivo del destinatario prima di definire il luogo di prestazione dei servizi di cui trattasi.

4.        Dall’ordinanza di rinvio risulta che l’amministrazione belga ha interpretato tali disposizioni nel modo seguente. Poiché nel caso di specie le SICAV, destinatarie del servizio, non erano, secondo la normativa lussemburghese, soggetti passivi dell’IVA, la norma derogatoria relativa al luogo della prestazione di cui all’art. 21, n. 3 del codice belga sull’IVA è stata ritenuta non applicabile. Pertanto i servizi forniti alle SICAV sono stati considerati come prestati in Belgio, centro di attività del prestatore dei servizi. Ora, la normativa belga applicabile al momento dei fatti esclude che tali servizi possano beneficiare di un’esenzione dall’IVA. Ne consegue, secondo l’amministrazione belga, che la BBL è debitrice dell’IVA per i servizi resi alle SICAV lussemburghesi.

5.        La BBL contesta tale interpretazione, ritenendola contrastante con le disposizioni della sesta direttiva. Di conseguenza, essa si è rivolta al Tribunal de première instance di Bruxelles (Belgio) perché sia dichiarato nulla l’ingiunzione di pagamento emessa nei suoi confronti. Essa sostiene, da un lato, che le SICAV sono soggetti passivi dell’IVA ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva, indipendentemente dalla qualificazione loro attribuita dalle norme nazionali, e, dall’altro, che le prestazioni fornite nel caso di specie sono tra quelle per cui l’art. 13 della medesima direttiva prevede l’esenzione dall’IVA.

6.        Dalla particolare struttura della controversia derivano le due questioni poste alla Corte dal Tribunal de première instance di Bruxelles. Con la prima questione, esso mira ad appurare se le SICAV abbiano la qualità di soggetto passivo dell’IVA ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva, in modo tale da ritenere i servizi loro forniti, previsti dall’art. 9, n. 2, lett. e) della stessa direttiva, come realizzati nel luogo in cui le dette SICAV hanno stabilito la propria sede sociale. La seconda questione è posta in via subordinata. In caso di risposta negativa alla prima questione, il giudice del rinvio chiede se, ai fini dell’applicazione dell’articolo 13 della sesta direttiva, che prevede un’esenzione dall’IVA per la gestione dei fondi comuni d’investimento, debba farsi una distinzione tra i servizi di assistenza e di consulenza di gestione da un lato, e i servizi di gestione propriamente detti dall’altro, in quanto questi ultimi, a differenza degli altri, implicherebbero un potere decisionale del gestore per quanto concerne l’amministrazione e la facoltà di disporre del patrimonio da gestire.

II – La natura di soggetto passivo delle SICAV

7.        Mentre nell’ambito del procedimento dinanzi al giudice del rinvio tra le parti della causa principale era controversa la questione della natura delle SICAV quali soggetti passivi dell’IVA, tutte le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte sembrano concordare su una soluzione affermativa della prima questione. La BBL, la Commissione, il governo belga e il governo greco ritengono che le SICAV siano soggetti passivi d’imposta in forza del diritto comunitario. Esse divergono solo sul modo pervenire a tale conclusione, e sulle conseguenze che da essa occorre trarre.

A – La qualificazione delle SICAV rispetto alle norme comunitarie sull’IVA

8.        Va ricordato che, conformemente all’art. 4 della sesta direttiva, solo le attività aventi un carattere economico rientrano nel campo di applicazione del sistema comune dell’IVA. In tale norma è definito come soggetto passivo «chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2 , indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività». L’art. 4, n. 2 precisa che tali attività economiche comprendono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, e in particolare le operazioni comportanti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.

9.        A tal proposito la Corte, nella sentenza Polysar Investments Netherlands  (5) , ha tracciato una distinzione tra la semplice detenzione di beni o di quote sociali, che comporta il godimento dei frutti derivanti dalla proprietà con scopo di investimento, e la nozione di attività economica ai sensi della sesta direttiva. Essa ha inoltre precisato che, in materia di investimenti finanziari, il semplice esercizio del diritto di proprietà da parte del suo titolare non può, di per sé, essere considerato come un’attività economica  (6) . Ne consegue che attività di investimento comparabili a quelle di un investitore privato che gestisca il proprio patrimonio sfuggono, per principio, a una tale qualificazione. Per la presente causa, va anche considerato che il ricorso a società di consulenza non può costituire un valido criterio di distinzione tra le attività di un investitore privato, che si pongono al di fuori del campo di applicazione della direttiva, e quelle di un investitore soggetto passivo  (7) . Secondo la Corte, in effetti, l’assoggettamento all’IVA presuppone un’attività svolta nell’ambito di un obiettivo imprenditoriale o ad un fine commerciale, contraddistinto in particolare dall’intento di garantire la redditività dei capitali investiti  (8) .

10.      In base alla giurisprudenza indicata, per attività economica deve dunque intendersi un’attività che può essere esercitata da un’impresa privata in un mercato, organizzata in modo professionale e generalmente caratterizzata dall’intento di generare profitti. Va evidenziato come tale nozione presenti una particolarità, se la si confronta con la definizione che ne è stata data in altri settori, come quello del diritto della concorrenza, in cui essa ha anche la funzione di definire il campo di applicazione del diritto comunitario  (9) . In ambito fiscale, la nozione è individuata attraverso un doppio criterio: non solo un criterio funzionale relativo all’attività, ma anche e soprattutto un criterio strutturale, relativo all’organizzazione. Una tale definizione è conforme all’obiettivo perseguito da parte del sistema comune dell’IVA, che è quello di trattare in maniera uguale, ai fini dell’imposta, l’insieme dei soggetti attivi stabiliti nel territorio della Comunità  (10) .

11.      In base a tali criteri, non pare dubbio che le operazioni effettuate da SICAV debbano essere considerate come attività economiche ai sensi della sesta direttiva. Una SICAV è un organismo d’investimento collettivo di tipo statutario. A differenza dei fondi comuni d’investimento, la SICAV ha una personalità giuridica distinta da quella degli investitori. Essa deve il proprio nome al fatto che il suo capitale può variare in continuazione, in base alle sottoscrizioni e al riacquisto di quote, oltre che alla valutazione dei suoi beni  (11) .

12.      Nel suo art. 1, la direttiva 85/611 definisce l’oggetto di tali società come l’investimento collettivo in valori mobiliari dei capitali raccolti presso il pubblico, sulla base del principio della ripartizione dei rischi. La loro attività consiste dunque in ripetuti atti di acquisto e di vendita, effettuati a titolo professionale, al fine di soddisfare i bisogni di terzi (gli investitori partecipanti)  (12) . Una tale attività si lascia agevolmente interpretare come «sfruttamento» organizzato e commerciale di capitali sul mercato dei valori mobiliari  (13) . Considerati nel loro insieme, tali criteri bastano per riconoscere alle SICAV la qualità di soggetti passivi ai sensi della sesta direttiva.

13.      Di certo tale soluzione non può essere contestata sulla base di una comparazione tra l’attività di una SICAV e quella di una holding, la quale, secondo la giurisprudenza della Corte, non ha, in generale, la qualità di soggetto passivo  (14) . Di norma una società holding si limita a gestire partecipazioni finanziarie in altre imprese, senza volerne ricavare altri vantaggi che quelli risultanti dalla gestione ordinaria dei suoi investimenti. Al contrario, una SICAV ha quale funzione essenziale quella di effettuare degli investimenti ad uno scopo commerciale, al fine di generare profitti. Poco importa che la partecipazione al capitale di un medesimo emittente sia limitata dalle norme al fine di assicurare una ripartizione prudente dei rischi  (15) . A tale proposito è sufficiente constatare che la SICAV è spinta dall’intento di garantire la redditività dei capitali investiti, per cui l’assunzione di rischi è sempre prevista  (16) . Non è nemmeno corretto distinguere tra una gestione attiva ed una gestione passiva degli strumenti finanziari  (17) . E’ normale che la gestione ordinaria di un patrimonio possa richiedere una notevole attività da parte del suo titolare. Ciò che invece distingue una SICAV da una holding sono l’intenzione che le anima e la condotta che le caratterizza: mentre la seconda ha, in generale, un atteggiamento da proprietario, interessato solo ad incassare i frutti della sua proprietà  (18) , la prima tiene una condotta imprenditoriale, cercando di ottenere un rendimento il più elevato possibile per i propri investimenti sui mercati finanziari, tenuto conto della politica d’investimento adottata.

14.      Si può nondimeno operare una distinzione a seconda che le SICAV siano o meno autogestite? Nel primo caso, la SICAV possiede una funzione di gestione integrata, mentre nel secondo essa si affida, per la gestione, ad una società esterna di fiducia. Nelle sue osservazioni scritte la Commissione, ispirandosi alla posizione assunta dalla Corte in quest’ambito rispetto alle società holding, sostiene che solo le prime sono soggetti passivi dell’IVA. Essa sostiene che, come una holding, una SICAV che non si autogestisca non fa che detenere titoli, senza compiere operazioni imponibili.

15.      All’udienza la Commissione non ha ripreso questa distinzione, limitandosi a contrapporre la posizione dei fondi comuni d’investimento, privi di personalità giuridica, a quella delle SICAV, che ne sono provviste. In ogni caso, la distinzione tratteggiata nelle osservazioni scritte della Commissione non mi sembra corretta. Il criterio principale per determinare in quali casi una SICAV debba essere considerata un soggetto passivo dell’IVA è costituito dalla natura delle sue attività, e non dalla forma giuridica che essa possiede  (19) . Naturalmente, in secondo luogo, tali attività devono essere riconducibili ad una struttura giuridica che possa essere oggetto di imposizione fiscale. E questo è certo il caso della attività in esame: quale che sia la loro organizzazione interna, tutte le SICAV hanno personalità giuridica  (20) . Esse sono proprietarie del portafoglio di valori mobiliari che la società esterna di gestione avrà eventualmente il compito di gestire. E’ dunque possibile considerarle come dei soggetti fiscali ai fini dell’applicazione della sesta direttiva, indipendentemente dalla forma giuridica da esse scelta per la gestione delle loro attività.

16.      Una simile soluzione mi sembra rispondere ad un’esigenza di semplicità e di economia del sistema fiscale. Essa è inoltre in armonia con uno degli obiettivi della sesta direttiva, che è quello di fissare delle regole comuni al fine di ravvicinare le condizioni di concorrenza tra soggetti economici comparabili. Del resto, i rapporti esistenti tra una SICAV e la sua società di gestione non sono in alcun modo comparabili a quelli che possono stabilirsi tra una holding e le società nelle quali la holding ha assunto delle partecipazioni. In effetti, la società di gestione agisce su delega della SICAV, e quest’ultima conserva la responsabilità per le attività di collocamento e investimento. Dunque, il criterio determinante per risolvere la questione circa la natura di soggetto passivo è quello di accertare se il soggetto in esame è un vero strumento per l’esercizio di attività economiche, non quello di accertare come esso organizzi la gestione di tali attività.

17.      Si può dunque risolvere la prima parte della prima questione dichiarando che l’art. 4 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che le SICAV istituite in conformità alla direttiva 86/611/CEE sono soggetti passivi dell’IVA. Restano ora da determinare le conseguenze che tale interpretazione comporta circa la localizzazione dei servizi che sono prestati a favore di esse.

B – La localizzazione dei servizi prestati a favore delle SICAV

18.      L’art. 9 della sesta direttiva fissa il principio secondo cui le prestazioni di servizi si considerano localizzate nel luogo di stabilimento del prestatore. Tale principio è però accompagnato da deroghe, una delle quali prevede, all’art. 9, n. 2, lett. e), che il luogo in cui sono svolte le attività di consulenza, nonché le operazioni bancarie e finanziarie rese a favore di soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma al di fuori dello Stato del prestatore, è il luogo in cui il destinatario ha posto la sede della propria attività economica.

19.      Ora, poiché è stato chiarito che le SICAV sono soggetti passivi, l’art. 9, n. 2, lett. e) della sesta direttiva parrebbe ben potersi applicare alle prestazioni rese a loro favore. Tuttavia, il Regno del Belgio si oppone a tale conclusione. Nelle sue osservazioni scritte, esso sostiene che è necessario operare una distinzione: solo le prestazioni di consulenza, di trattamento dati e di fornitura d’informazioni svolte a favore delle SICAV rientrerebbero nel campo di applicazione di questa disposizione; non così per quanto riguarda le prestazioni di gestione fornite alle SICAV, comportando queste un potere di decisione.

20.      Per giustificare tale distinzione, esso si richiama a una giurisprudenza della Corte relativa alle condizioni che danno diritto al beneficio dell’esenzione da IVA previsto dall’art. 13, A, della sesta direttiva  (21) . Tuttavia, tale giurisprudenza non è pertinente in questa fase dell’esame della questione, in cui si tratta solo di determinare la localizzazione delle attività svolte. E’ sufficiente constatare che l’art. 9, n. 2, lett. e), terzo e quinto trattino, comprende tanto le attività di consulenza quanto le operazioni bancarie e finanziarie.

21.      Ne consegue che l’art. 9, n. 2, lett. e) della sesta direttiva si applica anche a prestazioni di gestione, laddove esse rientrino nell’ambito di operazioni finanziarie. A condizione che tali prestazioni siano state rese a favore di soggetti passivi stabiliti nella Comunità, ma al di fuori dello Stato del prestatore, esse devono ritenersi localizzate laddove il destinatario dei servizi ha stabilito la sede della propria attività economica.

III – La portata dell’esenzione dall’IVA prevista dall’art. 13, B, lett. d), punto 6 della sesta direttiva

22.      Anche se a parere del giudice del rinvio la soluzione positiva della prima questione rende priva di oggetto, ai fini della decisione della causa principale, la seconda questione, ritengo possa comunque essere utile esaminarla.

23.      In base alla disciplina fissata dalla sesta direttiva all’art. 13, B, lett. d), punto 6, gli Stati membri concedono l’esenzione alla «gestione di fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri». Le controversie in materia riguardano tanto l’interpretazione generale da dare alla disposizione quanto il significato specifico da assegnare al concetto di gestione.

A – Le regole di interpretazione

24.      Le parti che hanno presentato osservazioni scritte concordano sulla regola generale, fissata da una giurisprudenza costante, secondo la quale le esenzioni previste dall’art. 13 della sesta direttiva sono di stretta interpretazione in quanto esse derogano al principio secondo cui l’IVA è riscossa su ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo  (22) .

25.      Può anche essere utile ricordare, alla luce degli elementi forniti nell’ordinanza di rinvio, che anche le esenzioni costituiscono, come il concetto di soggetto passivo, nozioni autonome di diritto comunitario che vanno inquadrate nel contesto generale del sistema comune dell’IVA introdotto dalla sesta direttiva  (23) . Il fatto che l’art. 13 B, lett. d), punto 6 faccia rinvio alla normativa degli Stati membri non significa che tocchi ai diversi legislatori nazionali determinare la portata dell’esenzione. Da un lato, il rinvio riguarda solo la definizione di fondo comune d’investimento, e non la posizione di questo rispetto alle regole comuni sull’IVA. D’altra parte, questa stessa definizione è ormai influenzata in parte dal diritto comunitario, attraverso l’applicazione della direttiva 85/611/CEE.

26.      La BBL ritiene che sia necessario esaminare anche la ratio legis della disposizione, ovvero le ragioni di politica generale comune agli Stati membri che giustificano una simile esenzione. È noto che simili ragioni erano presenti al momento della redazione dell’art. 13 della sesta direttiva. Esse si rinvengono senza dubbio, nell’ambito della disposizione, nella volontà generale, sottolineata dalla BBL, di incoraggiare l’accesso dei risparmiatori agli investimenti collettivi. Ma questa esenzione ha soprattutto una ragione più pratica, che è quella di evitare di imporre sui fondi di tipo contrattuale un carico fiscale cui non sono sottoposti gli organismi di investimento dotati di personalità giuridica ed autogestiti, grazie all’esenzione prevista dall’art. 13 B, lett. d), punto 5. Secondo quest’ultima disposizione, infatti, sono esenti da IVA le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli, ad esclusione dei titoli rappresentativi di merci e dei diritti o titoli di cui all’articolo 5, n. 3 della sesta direttiva.

27.      A tale proposito, il governo belga sostiene che un’esenzione limitata ai fondi contrattuali, e che escludesse i fondi statutari che abbiano scelto di delegare la gestione del proprio patrimonio, violerebbe la parità di trattamento tra i diversi organismi di investimento collettivo. Quest’ultimo argomento mi pare convincente. E’ legittimo estendere alle SICAV il regime previsto per i fondi comuni d’investimento, nel momento in cui esse si trovano in una situazione analoga. Ma da questo non si può dedurre, come pretende la BBL, che debbano essere esentati tutti i servizi svolti a favore di tali organismi di investimento collettivo. Per determinare l’ambito applicativo di tale esenzione, è ora necessario precisare il concetto di gestione ai sensi della disposizione citata.

28.      Tale conclusione non è contraddetta dalla pretesa disparità di trattamento tra i vari organismi di investimento collettivo che potrebbe derivare, secondo la BBL, da un’esenzione limitata a taluni servizi di gestione dei fondi comuni d’investimento. Da una parte, una SICAV autogestita che scegliesse di appoggiarsi ad un terzo per lo svolgimento di servizi non direttamente legati alla gestione delle sue attività sarebbe posta, per tali aspetti, nella medesima situazione fiscale di un fondo comune d’investimento. Il fatto che tale SICAV abbia la possibilità di prestare essa stessa servizi senza essere sottoposta a IVA, mentre un fondo comune d’investimento non dispone di tale possibilità, non ha rilievo a tal riguardo. In tal caso, infatti, le possibili differenze di trattamento tra SICAV e fondi comuni d’investimento non sono altro che le conseguenze normali dell’applicazione del sistema comune dell’IVA, che ha scelto di non assoggettare ad imposta solo le attività esercitate a titolo indipendente, nel quadro di una relazione tra due soggetti fiscali autonomi  (24) . D’altra parte, seguendo sul punto l’argomentazione della BBL si dovrebbe concludere che moltissimi servizi svolti, più o meno legati alla gestione dei fondi comuni d’investimento, sarebbero da ritenersi compresi nell’ambito dell’esenzione: il che andrebbe manifestamente oltre la lettera dell’art. 13, B della sesta direttiva , che deve essere oggetto di interpretazione in senso stretto.

B – La nozione di gestione ai sensi dell’art. 13, B, lett. d), punto 6 della sesta direttiva

29.      La sesta direttiva non definisce il concetto di gestione, così come non definisce l’oggetto delle operazioni indicate all’art. 13, B, lett. d). In numerose sentenze, la Corte ha avuto modo di precisare il significato di alcune di esse, ma non si è ancora mai pronunciata sull’esenzione prevista all’art. 13, B, lett. d), punto 6.

30.      In mancanza di una definizione, la BBL propone di rifarsi al significato generale che la dottrina civilistica nazionale dà alla nozione di gestione. Per quanto accattivante, tale proposta non è accettabile. Va ricordato che la giurisprudenza della Corte ha specificamente inteso escludere dall’ambito di applicazione dell’IVA le operazioni di gestione patrimoniale. Pertanto, una definizione che accordi a tali operazioni un ruolo centrale deve essere rigettata. Essa non potrebbe logicamente servire a determinare la portata di un’esenzione fiscale che, per definizione, presuppone l’assoggettabilità all’imposta  (25) .

31.      Le osservazioni presentate alla Corte si sono concentrate sulla necessità o meno di considerare la gestione come caratterizzata da un potere decisionale. Tale è in effetti l’interpretazione seguita dalla Commissione e dal governo greco. La gestione ai sensi di questa norma corrisponderebbe unicamente alla gestione finanziaria propriamente detta, che comporta il potere decisionale in materia di collocamento e di politica di investimento. A tale interpretazione si oppongono la BBL e il governo belga: a loro giudizio il concetto di gestione va inteso in senso ampio, e comprende anche la consulenza di gestione.

32.      La questione, così intesa, mi sembra mal posta. Per chiarire il senso di tale nozione, è necessario riferirsi non solo ai suoi elementi costitutivi, ma anche alla finalità della disposizione in cui essa si inserisce. Ebbene, essa impone di circoscrivere l’esenzione in modo che questa non intacchi il principio della generalità dell’imposta, ma senza privare di ogni contenuto l’oggetto cui mira  (26) . Da questo punto di vista, è consentito estendere l’esenzione all’insieme delle operazioni direttamente legate al sistema di gestione dei fondi d’investimento. Di conseguenza, l’esenzione non potrebbe essere limitata alla sola adozione della decisione. Tuttavia essa non potrebbe nemmeno essere estesa a tutti i servizi forniti agli organismi di investimento collettivo che si trovino nella situazione dei fondi comuni d’investimento.

33.      A mio avviso, le operazioni interessate dall’esenzione devono essere limitate a quelle strettamente connesse allo sfruttamento del fondo, e cioè alla definizione della politica di investimento, degli acquisti e delle vendite di attivi. Se non sono assunzioni di decisioni, le operazioni esenti devono almeno partecipare in modo diretto alle transazioni commerciali dei titoli. Perché si possa applicare l’esenzione, è necessario accertare che le prestazioni in oggetto siano di fatto inseparabili dalle operazioni espressamente esentate dalla sesta direttiva. Le prestazioni agevolmente separabili dalla gestione del fondo propriamente detta devono, al contrario, essere considerate soggette a IVA.

34.      E’ del resto seguendo un ragionamento simile che la Corte ha tracciato, a proposito delle esenzioni previste dall’art. 13, B, lett. d), punti da 3 a 5 della sesta direttiva, una distinzione tra le operazioni esenti e le semplici attività materiali, amministrative o tecniche, che non sono né specifiche né essenziali per le operazioni esenti  (27) . Il medesimo ragionamento mi sembra si debba applicare, mutatis mutandis, all’insieme delle esenzioni previste all’art. 13, B, lett. d), punto 6 della sesta direttiva.

35.      Procedendo in tal modo, per determinare la portata dell’esenzione prevista all’art. 13, B, lett. d), punto 6, è necessario chiedersi se le attività da qualificare intervengano direttamente sulla situazione finanziaria del fondo, al punto da esercitare un’influenza determinante sulla valutazione dei rischi finanziari o sulle decisioni prese in materia di investimento e collocamento  (28) .

36.      Nel caso in esame, le informazioni fornite dal giudice del rinvio a proposito delle prestazioni rese a favore delle SICAV non consentono di concludere che si tratti di operazioni non separabili dalla gestione delle SICAV stesse  (29) . Spetterà eventualmente al giudice nazionale pronunciarsi sulla precisa natura dei servizi forniti.

37.      La BBL aggiunge tuttavia due argomenti testuali che sarebbero in grado, a suo dire, di invalidare questa analisi. Il primo, proposto in udienza, consiste nel mettere in relazione, nell’ambito dell’art. 13, B, lett. d) della sesta direttiva, la nozione di gestione prevista al punto 5 con quella di cui al punto 6. L’art. 13, B, lett. d) al punto 5 dispone che «gli Stati membri esonerano le operazioni, compresa la negoziazione, eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società a associazioni, obbligazioni, altri titoli, ad esclusione dei titoli rappresentativi di merci, dei diritti o titoli di cui all’articolo 5, paragrafo 3»  (30) . L’esenzione di cui al punto 6 sarebbe direttamente collegata all’eccezione all’esenzione prevista al punto 5. Sarebbe quindi necessario intendere in senso ampio la nozione di gestione di cui al punto 6, per bilanciare la riserva di imposizione di cui al punto 5. Va ricordato che la gestione ai sensi del punto 5 comprende, secondo la giurisprudenza della Corte, la fornitura di una semplice prestazione materiale, tecnica o amministrativa che non implichi modifiche giuridiche e finanziarie  (31) .

38.      Questa argomentazione presuppone un’identità di contenuto tra le due nozioni di gestione che compaiono nell’art. 13 B, lett. d). Ora, tale identità non esiste. Nell’ambito del punto 5 della norma, la nozione di gestione che è stata prescelta dal legislatore risulta da una restrizione della formula iniziale, proposta dalla Commissione, che si riferiva all’insieme delle operazioni relative a crediti, azioni, obbligazioni e altri titoli (32) . Inserendo tale nozione, quindi, si è inteso escludere dall’ambito dell’esenzione i compiti di assistenza e di prestazione di attività materiali, tecniche o amministrative prive di un legame diretto con le operazioni di compravendita dei titoli. Per contro, invece, la gestione presa in considerazione al punto 6 è una nozione positiva, che riguarda chiaramente l’attività di sfruttamento di un portafoglio di valori destinato al fondo da parte dei suoi sottoscrittori. In questo senso, la gestione è una delle due componenti essenziali di un fondo comune d’investimento, a fianco della custodia dei beni del fondo, affidata al depositario. Tale nozione non potrebbe dunque ritenersi inclusiva dei servizi resi al gestore e privi di un rapporto diretto con lo sfruttamento del fondo.

39.      Il secondo argomento della BBL si basa sul fatto che l’attività delle società di gestione dei fondi d’investimento è stata di recente ampliata, in applicazione della direttiva 2001/107. Questo è un punto determinante nelle sue osservazioni scritte (33) . E’ vero che la direttiva 2001/107 precisa ed amplia le attività delle società di gestione degli organismi di investimento collettivo, in particolare includendovi funzioni di consulenza all’investimento  (34) . Mi sembra tuttavia che detta estensione non abbia assolutamente come effetto automatico quello far rientrare tali attività nell’ambito della nozione di gestione ai sensi dell’art. 13, B, lett. d), punto 6 della sesta direttiva. Da un lato, essendo diverso l’oggetto delle due norme, nulla si oppone a che la nozione di gestione sia interpretata in modo diverso nei due casi. E, dall’altro, va ricordato che, nella stessa direttiva 2001/107/CE, tali attività di consulenza sono considerate solo «servizi ausiliari» rispetto all’attività principale di gestione del fondo  (35) . Nell’ambito del sistema dell’IVA, è dunque perfettamente possibile considerarle quali «operazioni accessorie». In base alla giurisprudenza della Corte, tale qualificazione riguarda prestazioni che non costituiscano un «prolungamento diretto, permanente e necessario» dell’attività imponibile  (36) . Simili attività devono essere considerate come operazioni distinte, producenti risultati propri, note ai terzi in quanto tali. Per questo motivo esse non potrebbero essere equiparate alla gestione del fondo ai fini di un’esenzione dall’IVA.

40.      In conclusione, mi sembra che l’art. 13, B, lett. d), punto 6, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che il termine «gestione» riguarda non soltanto i servizi di gestione che comportano un potere decisionale, ma anche le attività che possono intervenire direttamente sulla situazione finanziaria dei fondi comuni d’investimento e organismi analoghi, al punto da esercitare un’influenza determinante sulle decisioni prese in materia di investimento e collocamento.

IV – Conclusione

41.      Alla luce delle considerazioni svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni poste dal Tribunal de première instance di Bruxelles nel modo seguente:

«1) L’art. 4 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che società di investimento a capitale variabile istituite conformemente alla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/611/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, sono soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto, per cui i servizi che sono effettuati a loro favore, nella misura in cui siano tra quelli di cui all’art. 9, n. 2, lett. e) della sesta direttiva, devono ritenersi effettuati nel luogo in cui le dette società hanno stabilito la sede delle proprie attività economiche.

2) In considerazione della soluzione data alla prima questione, non è necessario risolvere la seconda questione».


1 – Lingua originale: il portoghese.


2 – Direttiva 2001/107/CE, che modifica la direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) al fine di regolamentare le società di gestione e i prospetti semplificati (GU L 41, pag. 20), e direttiva 2001/108/CE, che modifica la direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), con riguardo agli investimenti OICVM (GU L 41, pag. 35). Il termine per l’adeguamento a queste direttive è stato fissato al 13 febbraio 2004.


3 – Direttiva concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (o.i.c.v.m.) (GU L 375, pag. 3).


4 – (GU L 145, pag. 1).


5 – Sentenze 20 giugno 1991, causa C-60/90, (Racc. pag. I-3111, punto 13), v. anche sentenza 22 giugno 1993, causa C-333/91, Sofitam (Racc. pag. I-3513, punto 12).


6 – Sentenza 20 giugno 1996, causa C-155/94, Wellcome Trust (Racc. pag. I-3013, punto 32).


7 – Ibidem, punto 37.


8 – Sentenza 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne e Berginvest (Racc. pag. I-9567, punto 28).


9 – V., in particolare, la sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser (Racc. pag. I-1979).


10 – Per un’esposizione dettagliata degli obiettivi specifici del diritto tributario comunitario, che non coincidono interamente con quelli del diritto sulla concorrenza, vedi D. Berlin, Droit fiscal communautaire, P.U.F., Paris, 1988, pagg. 229 e segg.


11 – V. Kremer, C. & Lebbe, I., Les organismes de placement collectif en droit luxembourgeois, Larcier, Bruxelles, 2001.


12 – Per fare un confronto, l’avvocato generale van Gerven cita caratteristiche simili quali criteri per individuare un’attività economica ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva nelle conclusioni nella causa Polysar Investments Netherlands (sentenza citata alla nota 5).


13 – Sulla nozione di sfruttamento ai sensi dell’art. 4, n. 2 della sesta direttiva vedi la sentenza 6 febbraio 1997, causa C-80/95, Harnas & Helm (Racc. pag. I-745).


14 – V. ad es. la sentenza 27 settembre 2001, causa C-16/00, Cibo Participations (Racc. pag. I-6663, punto 19). E’ vero che, in certi casi, la società holding può svolgere per le sue filiali, dietro compenso, attività occasionali quali la fornitura di servizi amministrativi, finanziari, contabili e tecnici. Ma proprio in questi casi eccezionali la Corte ha ritenuto che l’ingerenza della holding nella gestione delle sue filiali, nella misura in cui essa implichi la messa in opera di operazioni sottoposte ad IVA sulla base dell’art. 2 della sesta direttiva, possa essere considerata come un’attività economica (sentenza 14 novembre 2000, Floridienne e Berginvest, citata alla nota 8, punto 19).


15 – La Commissione infatti ricorda che, in forza dell’art. 25 della direttiva 85/611/CEE, una SICAV non può acquistare più del 10% delle azioni senza diritto di voto o delle obbligazioni di uno stesso emittente.


16 – Sentenza Floridienne e Berginvest, cit. alla nota 8, punto 28.


17 – Tale criterio è stato utilizzato dal Regno del Belgio al fine di affermare che le SICAV, a differenza delle società holding, hanno la qualità di soggetti passivi. Si noterà d’altra parte a tal riguardo che le osservazioni presentate dal Belgio alla Corte si differenziano dalla posizione da esso tenuta di fronte al giudice del rinvio.


18 – Per definire l’attività di una holding, la Corte ha pertanto rilevato che «si potrebbe definire l'attività di chi detiene obbligazioni come una forma di investimento che non eccede la natura di una semplice gestione patrimoniale» (sentenza Harnas & Helm, cit. alla nota 13, punto 18).


19 – In un altro contesto, la Corte ha dichiarato che «Il principio di neutralità fiscale osta infatti a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni subiscano un trattamento differenziato in materia di riscossione dell'IVA. Ne deriva che tale principio sarebbe infranto ove la possibilità di invocare l'esenzione prevista per le operazioni effettuate dagli istituti o organismi menzionati all'art. 13, punto A, n. 1, lett. b) e g), dipendesse dalla forma giuridica mediante la quale il soggetto passivo svolge la propria attività» (sentenza 7 settembre 1999, causa C-216/97, Gregg, Racc. pag. I-4947, punto 20). Questa indifferenza per la forma giuridica dell’ente esaminato si impone quindi anche nel caso in cui si tratta di decidere circa la sua natura di soggetto passivo.


20 – Questo è l’elemento essenziale che distingue le SICAV dai fondi comuni d’investimento. Questi hanno una forma contrattuale, e non dispongono di personalità giuridica propria. Mancando la soggettività giuridica, si comprende come essi possano essere considerati come fiscalmente «trasparenti». In tal caso, si potrà solo far ricadere l’imposizione fiscale sulla società di gestione che amministra il portafoglio indiviso. Ma tale soluzione si impone, in qualche modo, per mancanza di meglio e per necessità.


21 – Sentenza 21 marzo 2002, causa C.267/00, Zoological Society (Racc. pag. I-3353).


22 – V., da ultimo, sentenza 6 novembre 2003, causa C-45/01, Dornier (Racc. pag. I-12911, punto 42).


23 – Sentenza 5 giugno 1997, causa C-2/95, SDC (Racc. pag. I-3017, punto 21).


24 – L’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer ha svolto un ragionamento analogo nelle sue conclusioni nella causa SDC (sentenza citata alla nota 22), paragrafi 54 e segg.


25 – V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa che ha condotto alla sentenza SDC, citata alla nota 22, paragrafo 57.


26 – Sulla necessità di assegnare un ambito di applicazione molto ampio all’IVA v. la sentenza 4 dicembre 1990, causa C-186/89, van Tiem (Racc. pag. I-4363, punto 17).


27 – Sentenze SDC, cit. alla nota 23, e 13 dicembre 2001, causa C-235/00, CSC Financial Services (Racc. pag. I-10237).


28 – E’ il caso di notare che la Corte, prima di pronunciarsi, in un altro contesto, sulla nozione di «gestione di imprese» di cui all’art. 43, secondo comma, CE, ha ritenuto che essa sia realizzata da una partecipazione in una società tale da garantire al suo titolare «una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività» (sentenza 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc. pag. I-2787, punto 22).


29 – Si tratta della fornitura di informazioni, di assistenza nella gestione dei beni ma nell’ambito di una politica decisa dalla SICAV, nonché di assistenza materiale per l’acquisizione, la sottoscrizione e il trasferimento di titoli.


30 – Il corsivo è mio.


31 – Sentenza CSC Financial Services, cit. alla nota 27, punto 28.


32 – V. la risoluzione contenente il parere del Parlamento europeo sulla proposta della Commissione delle Comunità europee al Consiglio relativa a una sesta direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1974 C 40, pag. 34).


33 – A dire il vero, la BBL si basa anche, a tale proposito, sulla direttiva del Consiglio 10 maggio 1993, 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari (GU L 141, pag. 27). E’ tuttavia riconosciuto che l’art. 2, n. 2, lett. h) di tale direttiva esclude dal proprio campo di applicazione gli organismi di investimento collettivo, così come i depositari e gli amministratori di tali organismi.


34 – L’art. 5 della direttiva 85/611/CEE, come modificato dalla direttiva 2001/107/CE, dispone che «L’attività di gestione di fondi comuni di investimento e di società di investimento comprende, ai fini della presente direttiva, le funzioni citate nell'elenco non esaustivo di cui all'allegato II». L’allegato II della detta direttiva riguarda le funzioni di gestione del portafoglio, di amministrazione e di commercializzazione. L’art. 5, n. 3 stabilisce che, in deroga al n. 2, gli Stati membri possono autorizzare le società di gestione a prestare, oltre ai servizi di gestione di fondi comuni di investimento e di società di investimento, servizi di gestione di portafogli di investimenti su base individualizzata e, a titolo di servizi accessori, attività di consulenza in materia di investimenti e servizi di custodia e amministrazione di quote di organismi di investimento collettivo.


35 – Art. 5, n. 3, lett. b) della direttiva 85/611/CEE, così come modificata dalla direttiva 2001/107/CE.


36 – V., per analogia, la sentenza 11 luglio 1996, causa C-306/94, Régie dauphinoise (Racc. pag. I-3695, punto 18).