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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

CHRISTINE STIX-HACKL

presentate il 16 marzo 2006 1(1)

Causa C-452/04

Fidium Finanz AG

contro

Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Germania)]

«Libera circolazione dei capitali – Libera prestazione dei servizi – Concessione di crediti a residenti di uno Stato membro da parte di un’impresa avente sede in un paese terzo – Requisito dell’autorizzazione preventiva nello Stato membro in cui la prestazione è effettuata – Abuso»





I –    Considerazioni introduttive

1.     Il presente procedimento pregiudiziale concerne la questione se l’attività professionale di concessione di crediti da parte di un’impresa avente sede in un paese terzo a residenti di uno Stato membro dell’Unione europea sia soggetta alla libera circolazione dei capitali o alla libera prestazione dei servizi. In particolare, si tratta della liceità di un’autorizzazione dello Stato membro interessato per tale attività di concessione di crediti e del presupposto, a tal fine richiesto, di una sede di attività in tale Stato membro.

II –  Ambito normativo

A –    La normativa comunitaria

1.      Le disposizioni rilevanti sulla liberacircolazione dei capitali

2.     L’art. 56, n. 1, CE dispone quanto segue:

«Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

3.     L’art. 57, n. 1, CE così prevede:

«Le disposizioni di cui all’articolo 56 lasciano impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione comunitaria per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari, lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o l’ammissione di valori mobiliari nei mercati finanziari».

4.     Ai sensi dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE:

«Le disposizioni dell’articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

(…)

b)       di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

5.     L’art. 58, n. 3, CE dispone quanto segue:

«Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56».

2.      La direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’articolo 67 del trattato (2) (in prosieguo: la «direttiva 88/361»)

6.     Nell’introduzione della nomenclatura contenuta nell’allegato I della direttiva 88/361 si afferma che:

«I movimenti di capitali elencati nella presente nomenclatura comprendono:

–       l’insieme delle operazioni necessarie alla realizzazione dei movimenti di capitali: conclusione ed esecuzione della transazione e trasferimenti relativi.

–       Le operazioni di rimborso di crediti o prestiti.

La presente nomenclatura non è limitativa della nozione di movimenti di capitali, per cui è stata inclusa una rubrica XIII F “Altri movimenti di capitali: Diversi” (...)».

7.     La struttura della nomenclatura comprende, tra l’altro:

«VIII.  Prestiti e crediti finanziari (non compresi nelle categorie I, VII e XI)

A.       Prestiti e crediti concessi da non residenti a residenti».

8.     Tra le definizioni si trova la seguente:

«Prestiti e crediti finanziari

Tale categoria comprende anche i prestiti ipotecari, i crediti al consumo, (…)».

3.      La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/12/CE, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (3) (in prosieguo: la «direttiva 2000/12»)

9.     Il riferimento al fondamento normativo è espresso nei seguenti termini:

«(…) visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 47, paragrafo 2, prima e terza frase, (…)».

10.   Ai sensi di un estratto del quarto ‘considerando’:

«La presente direttiva costituisce lo strumento essenziale per la realizzazione del mercato interno (…), sotto il (…) profilo (…) della libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi».

11.   Ai sensi del diciottesimo ‘considerando’:

«Esiste una connessione necessaria tra l’obiettivo della presente direttiva e la liberalizzazione dei movimenti di capitale in corso di realizzazione mediante altri atti legislativi comunitari. In ogni caso le misure di liberalizzazione dei servizi bancari devono essere coerenti con le misure di liberalizzazione dei movimenti di capitale».

12.   La quarta frase del diciannovesimo ‘considerando’ è formulata come segue:

«Le succursali degli enti creditizi aventi la loro sede fuori della Comunità non beneficiano della libera prestazione di servizi (…) in Stati membri diversi da quello in cui sono stabilite».

13.   Ai sensi del ‘considerando’ 65:

«La vigilanza su base consolidata degli enti creditizi deve avere lo scopo in particolare di tutelare gli interessi dei clienti degli enti creditizi e di assicurare la stabilità del sistema finanziario».

14.   L’art. 4, prima frase, così dispone:

«Gli Stati membri prevedono che gli enti creditizi devono aver ricevuto un’autorizzazione prima di iniziare l’attività».

15.   L’allegato I indica, nell’elenco delle attività che devono beneficiare del mutuo riconoscimento, le «Operazioni di prestito, in particolare credito al consumo».

B –    La normativa nazionale

1.      Gesetz über das Kreditwesen (4) (legge tedesca sul credito; in prosieguo: il «KWG»)

16.   Il § 32, n. 1, prima frase, del KWG dispone quanto segue:

«Chiunque intenda esercitare nel territorio nazionale attività bancarie o prestazioni finanziarie a titolo professionale, o di una portata tale da richiedere l’organizzazione di un’impresa commerciale, è soggetto all’autorizzazione scritta del Bundesanstalt [ente federale]; (…)».

17.   Ai sensi del § 1, n. 1, prima frase, del KWG:

«Gli enti creditizi sono imprese che esercitano attività bancarie a titolo professionale o per una portata tale da richiedere l’organizzazione di un’impresa commerciale».

18.   Il § 1, n. 1, seconda frase, del KWG così prevede, in parte:

«Attività bancarie sono (…)

2) la concessione di prestiti in denaro e crediti d’accettazione (attività creditizia)».

19.   Ai sensi del § 6, n. 2:

«Il Bundesanstalt è tenuto ad impedire irregolarità nel settore dei servizi creditizi e finanziari che mettano in pericolo la sicurezza dei valori patrimoniali affidati agli istituti, che pregiudichino il regolare svolgimento delle attività bancarie o dei servizi finanziari o che possano comportare gravi conseguenze per l’economia generale».

20.   Il § 33, n. 1, prima frase del KWG così dispone:

«L’autorizzazione va negata quando (…)

6) l’ente non ha la propria amministrazione centrale nel territorio nazionale; (…)».

21.   A differenza del § 33, n. 1, prima frase, punto 6, del KWG, il § 53 del KWG consente l’attività di succursali di enti stranieri senza trasferimento dell’amministrazione centrale qualora siano soddisfatti i presupposti menzionati dal § 53, n. 2, del KWG. Per enti creditizi di deposito ed imprese di servizi finanziari con sede in un altro Stato dello Spazio economico europeo, il § 53 b del KWG prevede possibilità di accesso privilegiato al mercato nella Repubblica federale tedesca.

22.   Per Stati come la Svizzera, il § 53 c del KWG assoggetta le agevolazioni per l’accesso al mercato ad un decreto del Bundesministerium der Finanzen (Ministero federale delle Finanze).

23.   Il § 54 del KWG sanziona l’esercizio di attività bancarie e la prestazione di servizi finanziari svolti senza autorizzazione ex § 32, n. 1, del KWG.

2.      Linee direttrici del Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (ente federale di vigilanza sulle operazioni di credito: in prosieguo: il «BaFin») del 12 aprile 2003 sull’obbligo di autorizzazione ai sensi del § 32, n. 1, del KWG

24.   In contrasto con la sua prassi amministrativa anteriore, attualmente il BaFin richiede l’autorizzazione anche per attività bancarie svolte da imprese aventi sede all’estero, se queste si rivolgono al mercato nazionale.

III – Fatti e procedimento principale

25.   La Fidium Finanz AG (in prosieguo: la «Fidium Finanz») è una società per azioni costituita secondo il diritto svizzero con sede ed amministrazione centrale in St. Gallen. Fondamentalmente, essa accorda piccoli crediti di importo pari a EUR 2 500 o 3 500 senza prima assumere informazioni presso la Schufa (Schutzorganisation für allgemeine Kreditsicherung) [Organizzazione a tutela e garanzia del credito], prassi invece seguita per i crediti concessi da enti creditizi aventi sede in Germania. All’epoca dei fatti oggetto della causa principale, la Fidium Finanz non disponeva di un’autorizzazione per esercitare attività bancarie secondo il diritto tedesco.

26.   Ai sensi dell’ordinanza di rinvio, in Svizzera la Fidium Finanz non è soggetta al controllo della Commissione bancaria svizzera. In base alla nota, citata nell’ordinanza di rinvio, del 28 giugno 2004 del competente Cantone St. Gallen, la Fidium Finanz non disponeva di un’autorizzazione per la concessione di crediti ai sensi del diritto svizzero, ma non ne avrebbe neanche avuto bisogno dato che concedeva crediti al consumo esclusivamente a soggetti residenti all’estero.

27.   All’inizio del 2003 il BaFin ha iniziato ad interessarsi dell’attività di concessione di prestiti svolta dalla Fidium Finanz. Quest’ultima offriva, tra l’altro, su Internet crediti per i due importi menzionati. La presentazione sul sito Internet era in lingua tedesca. I clienti potevano scaricare i documenti per la richiesta di credito, compilarli e spedirli per posta alla Fidium Finanz, la quale decideva poi se accogliere o meno le domande di credito. In caso di accoglimento, l’importo del credito veniva spedito al cliente mediante vaglia postale. La durata del prestito era di 40 mesi e, secondo quanto dichiarato dalla Fidium Finanz, l’interesse effettivo era, nel 2003, del 13,94%. La seconda modalità di offerta di credito si avvaleva di intermediari di credito operanti in Germania che pubblicizzano crediti della Fidium Finanz anche su Internet indicando il nome della società.

28.   Il 12 aprile 2003, il BaFin ha pubblicato nuove linee direttrici relativamente all’obbligo di autorizzazione ai sensi del § 32, n. 1, del KWG per attività bancarie transnazionali.

29.   Con decisione 22 agosto 2003, il BaFin ha vietato alla Fidium Finanz l’esercizio dell’attività creditizia di cui al § 1, n. 1, seconda frase, punto 2, del KWG, svolta a titolo professionale o avente portata tale da richiedere l’organizzazione di un’impresa commerciale, consistente nella concessione di prestiti in denaro a clienti residenti nella Repubblica federale tedesca ai quali essa si rivolge appositamente.

30.   L’opposizione proposta il 1º settembre 2003 avverso tale provvedimento è stata respinta dal BaFin con decisione 18 febbraio 2004. Il 2 marzo 2004 la Fidium Finanz ha quindi presentato ricorso dinanzi al Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno; in prosieguo: il «Verwaltungsgericht»), chiedendo l’annullamento della decisione adottata nei suoi confronti. Essa fa valere che, poiché la sede della sua società e la concentrazione di tutte le sue attività amministrative si trovano in Svizzera, essa non esercita attività bancarie «nel territorio nazionale», che, ai sensi del § 32, n. 2, prima frase, del KWG, costituisce il presupposto per l’obbligo di autorizzazione.

31.   A parere del Verwaltungsgericht, il ricorso non avrebbe nessuna possibilità di essere accolto sulla base del diritto tedesco, dato che la Fidium Finanz sarebbe soggetta all’obbligo di autorizzazione previsto dal § 32, n. 1, del KWG. Tuttavia, potrebbe essere configurabile un’altra soluzione alla luce della normativa comunitaria.

IV – Questioni pregiudiziali

32.   Il Verwaltungsgericht ha quindi sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un’impresa stabilita in uno Stato non facente parte dell’Unione europea, nella fattispecie la Svizzera, nell’esercizio dell’attività professionale di concessione di crediti a residenti in uno Stato membro dell’Unione europea, nella fattispecie la Repubblica federale di Germania, possa invocare nei confronti di tale Stato membro e nei confronti dei provvedimenti delle autorità o dei giudici di questo la libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56 CE, oppure se la preparazione, la fornitura e l’esecuzione di tali servizi finanziari rientrino solo nella libera prestazione dei servizi di cui agli artt 49 CE e seguenti.

2)      Se un’impresa stabilita in uno Stato non facente parte dell’Unione europea possa invocare la libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 CE quando concede crediti a titolo professionale o prevalentemente a persone residenti nell’Unione europea, e la sua sede si trovi in uno Stato in cui per l’accesso a tale attività commerciale e per il suo esercizio non è soggetta né al requisito di un’autorizzazione preventiva da parte di un’autorità statale di tale Stato né al requisito della sorveglianza permanente sulla sua attività commerciale secondo modalità a cui sono abitualmente soggetti gli enti creditizi nell’Unione europea e in particolare nella Repubblica federale di Germania, oppure se il fatto di invocare la libera circolazione dei capitali costituisca in un caso del genere un abuso di diritto.

Se, sulla base del diritto comunitario, una tale impresa possa essere equiparata alle persone e alle imprese stabilite nel territorio dello Stato membro in questione per quanto riguarda l’obbligo di autorizzazione, nonostante essa non abbia la sede e nemmeno una succursale in tale Stato membro.

3)      Se una normativa secondo cui la concessione di crediti, a titolo professionale, da parte di un’impresa stabilita in uno Stato non facente parte dell’Unione europea a residenti nell’Unione europea è assoggettata al rilascio di un’autorizzazione preventiva da parte di un’autorità dello Stato membro dell’Unione europea in cui risiedono i beneficiari del credito pregiudichi la libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56 CE.

Se a tale proposito sia rilevante la questione se un’attività professionale di concessione di crediti non autorizzata costituisca una fattispecie di reato o una semplice irregolarità.

4)      Se il requisito dell’autorizzazione preventiva, menzionato nella questione sub 3), sia giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, in particolare con riferimento:

–      alla tutela dei beneficiari dei crediti da obblighi contrattuali e finanziari nei confronti di soggetti la cui affidabilità non sia stata preventivamente controllata;

–      alla tutela di tali soggetti da imprese o soggetti che non operano in modo regolare dal punto di vista della contabilità e degli obblighi di consulenza e informazione nei confronti dei clienti, ad essi incombenti in forza di disposizioni generali;

–      alla tutela di tali persone da pubblicità inadeguata o abusiva;

–      alla garanzia di una dotazione finanziaria sufficiente dell’impresa che concede i crediti;

–      alla tutela del mercato finanziario da una concessione incontrollata di grandi fidi;

–      alla tutela del mercato dei capitali, e della società in generale, da atti criminali, quali in particolare quelli oggetto della normativa sulla lotta al riciclaggio del denaro sporco o al terrorismo.

5)      Se rientri nell’art. 58, n. 1, lett. b), CE un requisito di autorizzazione, di per sé compatibile con il diritto comunitario, previsto nei termini di cui alla questione sub 3), in base al quale il rilascio di un’autorizzazione presuppone obbligatoriamente che l’amministrazione centrale dell’impresa o perlomeno una sua succursale si trovi nello Stato membro interessato, in particolare per:

–      consentire agli organi dello Stato membro interessato di svolgere sulle procedure e sulle operazioni commerciali un controllo reale ed effettivo, ossia in assenza di preavviso o con un preavviso molto breve;

–      rendere del tutto trasparenti le procedure e le operazioni commerciali grazie ai documenti disponibili o da tenere a disposizione nello Stato membro;

–      avere accesso nel territorio dello Stato membro ai soggetti personalmente responsabili;

–      garantire o perlomeno facilitare la soddisfazione dei diritti finanziari dei clienti dell’impresa all’interno dello Stato membro».

V –    Sulla prima questione pregiudiziale

33.   Con la prima questione pregiudiziale, il Verwaltungsgericht vuole sostanzialmente sapere se un’impresa avente sede in un paese terzo possa invocare la libera circolazione dei capitali ai fini della concessione di crediti a residenti in uno Stato membro, o se tale attività ricada solo nell’ambito di applicazione dell’art. 49 CE, ossia nella libera prestazione dei servizi.

A –    Principali argomenti delle parti

34.   La Fidium Finanz e la Commissione sostengono che la concessione di crediti ricade nell’ambito di applicazione della libera circolazione dei capitali, richiamando a proposito la nomenclatura di cui all’allegato I della direttiva 88/361.

35.   A parere della Fidium Finanz, ai sensi della rubrica VIII dell’allegato I della direttiva 88/361, intitolata «Prestiti e crediti finanziari», la concessione di crediti ricadrebbe espressamente nella libera circolazione dei capitali. Al riguardo, secondo la Commissione, la dicitura «operazioni di rimborso di crediti o prestiti» nell’introduzione della nomenclatura non cambierebbe tale conclusione, in quanto anche l’attività di concessione di prestiti sarebbe ricompresa in forza del carattere non tassativo dell’elenco.

36.   La Fidium Finanz aggiunge che, in effetti, per quanto riguarda la concessione di crediti, vi sarebbe un collegamento con la libera prestazione dei servizi, ma che ciò non escluderebbe l’applicabilità dell’art. 56 CE, come emergerebbe dalla giurisprudenza prevalente della Corte in materia di prestazione di servizi finanziari (5) che afferma la parallela applicabilità di entrambe le libertà fondamentali.

37.   Invece, il BaFin nonché i governi tedesco, ellenico, italiano, portoghese ed irlandese sostengono che l’art. 56 CE non è applicabile. Il BaFin ed il governo tedesco si fondano al riguardo, innanzi tutto, sul fatto che l’attività di concessione di crediti non possiede la natura di una collocazione o di un investimento (6). Inoltre, da un lato, i governi tedesco ed ellenico così come il BaFin riconoscono che l’obbligo di autorizzazione potrebbe avere effetti indiretti sui movimenti di capitali, nel caso di specie sul pagamento dell’importo del prestito, ma, dall’altro, richiamano l’attenzione sul fatto che dalla giurisprudenza della Corte (7) emerge che l’art. 56 CE non vieta restrizioni ai movimenti di capitali che risultino solo indirettamente come effetto di deroghe ad altre libertà fondamentali, in concreto quella relativa alla prestazione dei servizi.

38.   A parere del governo irlandese non ci si dovrebbe più fondare su detta giurisprudenza, tuttavia il criterio dell’«aspetto principale» escluderebbe anche l’applicazione delle norme sui movimenti di capitale.

39.   I governi italiano, ellenico e tedesco nonché il BaFin richiamano al riguardo anche la direttiva 2000/12, che, come emerge dal suo fondamento normativo, da alcuni ‘considerando’ nonché dall’elenco contenuto nel suo allegato I, fa rientrare la concessione di crediti nella libera prestazione dei servizi ma non nella libera circolazione dei capitali.

40.   Il governo tedesco aggiunge infine che l’art. 49 CE costituisce una «legislazione» ai sensi dell’art. 57, n. 1, CE e che, nel settore delle prestazioni finanziarie, la libera circolazione dei capitali sarebbe limitata agli Stati membri in quanto la concessione di crediti rappresenterebbe quanto meno anche un servizio.

B –    Valutazione

41.   Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se la concessione di prestiti provenienti da un paese terzo e diretti all’interno dell’Unione europea sia soggetta alla normativa sulla libera circolazione dei capitali e/o sulla libera prestazione dei servizi.

42.   Per quanto riguarda gli artt. 49 CE e segg., ossia la libera prestazione dei servizi, la Corte, nelle cause Svensson e Gustavsson (8) nonché Parodi (9), ha considerato i prestiti anche come servizi. Nonostante l’ambito di applicazione materiale ne risulti così allargato, un’impresa quale la Fidium Finanz non può invocare la libera prestazione dei servizi, poiché il suo ambito di applicazione ratione personae non si estende ai soggetti residenti al di fuori dell’Unione europea. Tali constatazioni sono avvalorate dall’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera (10).

43.   Invece, dalla lettera dell’art. 56, n. 1, CE [«(…) nonché tra Stati membri e paesi terzi»] emerge che anche un’impresa avente sede al di fuori della Comunità può invocare la libera circolazione dei capitali (11).

44.   Occorre pertanto verificare se l’ambito di applicazione dell’art. 56, n. 1, CE sia applicabile non solo dal punto di vista personale ma anche materiale, e se la concessione di crediti debba essere fatta rientrare tra i movimenti di capitali.

45.   Il Trattato, di per sé, non dà una definizione giuridica del termine «movimenti di capitali». Tuttavia, per costante giurisprudenza (12), la Corte fa riferimento alla nomenclatura contenuta nell’allegato I della direttiva 88/361. Benché fondata sugli artt. 69 e 70, n. 1, del Trattato CE, allora vigenti, essa mantiene, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il suo valore indicativo per definire la nozione di movimenti di capitali.

46.   Nella rubrica VIII della nomenclatura contenuta nell’allegato I della direttiva 88/361, vengono menzionati, sub A, «Prestiti e crediti concessi da non residenti a residenti». Nell’ambito delle «note esplicative» alla fine della nomenclatura, questi vengono definiti come «finanziamenti di qualsiasi tipo concessi da istituti finanziari (...) anche (…) crediti al consumo (…)». Quindi, sulla base di un primo esame, sarebbe possibile far rientrare un’attività quale quella svolta dalla Fidium Finanz nei movimenti di capitali.

47.   L’introduzione della nomenclatura menziona però, tra i movimenti di capitali, solo le «operazioni di rimborso di crediti o prestiti», suggerendo così una distinzione tra la conclusione di contratti per la prestazione di un servizio finanziario, che ricadrebbero nell’ambito della libera prestazione dei servizi, qui non applicabile, e l’attuazione di tali negozi come parte della libera circolazione dei capitali.

48.   Però, che una siffatta scissione di un’unica operazione economica non fosse nelle intenzioni del legislatore è mostrato, da un lato, dal prosieguo dell’introduzione della nomenclatura, ai sensi della quale tra i movimenti di capitali rientra «l’insieme delle operazioni necessarie alla realizzazione dei movimenti di capitali: conclusione ed esecuzione della transazione e trasferimenti relativi».

49.   Dall’altro, ciò viene confermato anche dalla formulazione della rubrica X, che si discosta da quella della rubrica VIII. In tale rubrica (la X), infatti, si fa riferimento solo a «Trasferimenti effettuati in esecuzione di contratti di assicurazione». Da ciò si potrebbe desumere che, in tale settore, i movimenti di capitali siano limitati alle mere operazioni di trasferimento, escludendo il negozio assicurativo che ne sta alla base.

50.   Tuttavia, dalla diversa formulazione contenuta nella rubrica VIII, sub A, emerge che la divisione giuridica di un’operazione economica non era, quanto meno per quanto riguarda i prestiti, nelle intenzioni del legislatore comunitario.

51.   Tale conclusione si fonda sulla giurisprudenza della Corte (13) ai sensi della quale, in forza del «carattere non tassativo della nomenclatura», altre fattispecie, oltre a quelle espressamente elencate, ricadono nella libera circolazione dei capitali. Tale libertà deve quindi tanto più valere per la concessione di crediti, in particolare considerato che questi sono espressamente menzionati nell’allegato I della nomenclatura, benché nella sua introduzione si menzionino solo le operazioni di rimborso di crediti o prestiti.

52.   Tale interpretazione non contrasta neppure con le considerazioni svolte dalla Corte nella causa Luisi e Carbone (14), secondo cui si è in presenza di movimenti di capitali solo nel caso in cui si tratti di «operazioni finanziarie che riguardano essenzialmente la collocazione o l’investimento dell’importo di cui trattasi e non il corrispettivo di una prestazione». In tal senso, però, la concessione di prestiti possiede la natura di una collocazione, dato che l’attuazione di tale negozio prevede di norma un utile d’interesse (15). Inoltre, neppure il conseguente pagamento della valuta rappresenta il corrispettivo di una prestazione nel senso della libera circolazione dei pagamenti, ma costituisce esso stesso un movimento di capitali.

53.   Occorre ora verificare, nel dettaglio, se la normativa sui movimenti di capitali sia applicabile alla concessione di crediti. Al riguardo, dalla giurisprudenza della Corte fino ad oggi esistente si possono desumere quattro diversi orientamenti.

54.   Il primo orientamento giurisprudenziale è quello argomentato nelle cause Svensson e Gustavsson (16) nonché Parodi (17), entrambe relative alle norme che ostacolano la concessione di crediti da parte di banche, nonché Commissione/Italia (18). Da tali sentenze si può desumere l’applicazione parallela degli attuali artt. 49 CE e 56 CE in materia di servizi finanziari. Quindi, ai sensi di queste sentenze, la normativa sulla libera circolazione dei capitali può essere presa in considerazione insieme alla libera prestazione dei servizi.

55.   Una seconda, diversa, posizione è quella assunta dalla Corte nelle cause Safir (19) e Ambry (20). Con tali pronunce la Corte ha adottato quale unico criterio di valutazione la libera prestazione dei servizi. Benché in entrambi i procedimenti, le questioni pregiudiziali richiamassero sia l’art. 49 CE sia l’art. 56 CE, essa ha lasciato espressamente irrisolta la questione «se una tale normativa sia incompatibile anche con l’art. 73 B del Trattato» (divenuto art. 56 CE). Tale posizione potrebbe essere intesa, a prima vista, come una negazione dell’applicabilità della libera circolazione dei capitali (21).

56.   Tuttavia, un esame più attento delle sentenze Safir e Ambry, e in particolare della loro formulazione letterale («non occorre esaminare») mostra solo che, quanto meno, la Corte non intendeva escludere l’applicazione dell’art. 56CE (22).

57.   A ciò si aggiunga che, nella causa Safir, il riferimento della questione pregiudiziale all’attuale art. 56 CE era solo alternativo («o») (23) alla normativa sulla libera prestazione dei servizi. Avendo la Corte, in sede di interpretazione dell’art. 49 CE, già concluso per l’incompatibilità di tale norma con le disposizioni nazionali, non occorreva approfondire ulteriormente con riguardo alla libera circolazione dei capitali. Pertanto, da tale giurisprudenza non si può desumere nessuna pronuncia contraria all’applicabilità dell’art. 56 CE.

58.   Ciò vale anche per la causa Ambry. Benché in tale causa la questione pregiudiziale sia stata formulata in termini cumulativi («e») (24), anche in tal caso è stata prima constatata l’incompatibilità della normativa nazionale con l’art. 49 CE. Pertanto, neanche qui erano strettamente necessarie ulteriori valutazioni della Corte ai fini della decisione sulla causa nazionale sospesa.

59.   Di conseguenza, neanche le sentenze citate nei punti precedenti si pronunciano contro l’applicabilità della normativa relativa alla libera circolazione dei capitali.

60.   Nelle cause Sandoz (25) (relativa al trattamento di mutui contratti all’estero) e Reisch (26), la Corte ha interpretato esclusivamente l’attuale art. 56 CE, senza pronunciarsi ulteriormente sull’art. 49 CE, dato che le questioni pregiudiziali si limitavano alle norme sulla libera circolazione dei capitali. Quindi, anche ai sensi di tale giurisprudenza è ammissibile l’applicazione degli artt. 56 CE e segg. alla concessione di crediti.

61.   Contro l’applicabilità della libera prestazione dei capitali potrebbero essere invocate solo la sentenza pronunciata nella causa Bachmann (27) nonché alcune conclusioni che la richiamano (28), che, in caso di potenziale concorrenza delle due libertà - di prestazione dei servizi e di circolazione dei capitali - preferiscono non applicare quest’ultima se si tratta di una violazione solamente indiretta dell’art. 56 CE.

62.   Al riguardo occorre rilevare, innanzi tutto, che, ai fini dell’ascrizione di una fattispecie ad una libertà fondamentale, il criterio della lesione indiretta o della interferenza indiretta non è sufficientemente discriminante e risulta troppo vago (29). Peraltro, anche ai sensi della giurisprudenza della Corte tale criterio non può più essere preso in considerazione. Infatti, a partire dalla sentenza Bachmann la Corte non ha più adottato tale criterio distintivo. Lo stesso vale, del resto, per il criterio dell’«aspetto principale», che tende nella stessa direzione. Pertanto, anche tale posizione della giurisprudenza non è, per lo meno, contraria all’applicazione dell’art. 56 CE.

63.   In conclusione, dalla giurisprudenza della Corte in materia si deve desumere che la normativa sulla libera circolazione dei capitali è applicabile ad una fattispecie quale quella all’origine della causa principale.

64.   Occorre ancora verificare se le disposizioni della direttiva 2000/12 ostino all’applicazione dell’art. 56 CE. Benché detta direttiva non sia applicabile alla fattispecie descritta nel presente procedimento (30), occorre tenerne conto in forza della stretta relazione che essa presenta con l’attività economica in questione.

65.   Come emerge dal suo allegato I, oggetto della direttiva sono, tra l’altro, «[o]perazioni di prestito, in particolare credito al consumo». Come emerge dal fondamento normativo della direttiva, ossia l’art. 47, n. 2, CE, nonché dal quarto e dal diciannovesimo ‘considerando’ della stessa, la direttiva fa rientrare i crediti nella libera prestazione dei servizi.

66.   Orbene, occorre valutare se ciò abbia effetti sull’applicabilità dell’art. 56 CE.

67.   Benché sia vero che l’esplicito riferimento in un atto di diritto derivato ad una libertà fondamentale quale fondamento normativo possa rilevare ai fini della qualifica di crediti alla luce di detta libertà fondamentale, ciò non significa che un tale atto giuridico possa limitare l’ambito di applicazione della libertà fondamentale in questione o di un’altra libertà.

68.   Che ciò non fosse neppure l’intenzione del legislatore comunitario è dimostrato dal diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/12 nonché dalla già citata nomenclatura di cui all’allegato I della direttiva 88/361. Da essi emerge che, a livello di diritto derivato, il legislatore comunitario ha ascritto la concessione di prestiti, oltre che alla libera prestazione dei servizi, anche ai movimenti di capitale. Sono quindi due le ragioni per le quali si può ritenere che l’art. 56, n. 1, CE sia applicabile ai sensi della direttiva 2000/12.

69.   Inoltre, occorre esaminare la tesi secondo cui la libera circolazione dei capitali è applicabile solo alle c.d. «transazioni di valori» o ad un c.d. «trasferimento di valori», che possono essere distinti dall’attività economica. Tale tesi, anche qualora fosse accolta, non implica che la concessione di crediti resti automaticamente esclusa dalla libera circolazione dei capitali. Infatti, la concessione di crediti ha ovviamente come oggetto una transazione di valori. Come è stato espressamente rilevato in udienza, essa rappresenta un movimento di capitali. La questione della sua ulteriore natura può essere lasciata aperta data la specificità della libera circolazione dei capitali. A titolo di completezza si rileva che, indubbiamente, vi sono anche servizi finanziari privi di alcun collegamento con i movimenti di capitali, quali le pure attività di consulenza.

70.   In tale contesto occorre inoltre ricordare che il diritto primario disciplina espressamente il rapporto tra la libera circolazione dei capitali e la libera prestazione dei servizi. Ai sensi dell’art. 50 CE, la libera circolazione dei capitali prevale sulla libera prestazione dei servizi. Tale rapporto di specialità sancito a livello di diritto primario trova applicazione proprio in una fattispecie quale quella oggetto della causa principale. Ciò significa che, anche qualora l’attività economica degli istituti di credito, considerata di per sé, ricadesse nella libera prestazione dei servizi, per alcuni aspetti essa è coperta esclusivamente dalla libera circolazione dei capitali, che si applica in via prioritaria.

71.   Tale rapporto di specialità vale anche nei confronti dei paesi terzi. Ciò emerge dal fatto che, benché il Trattato preveda alcune disposizioni particolari per quanto riguarda i rapporti con i paesi terzi (artt. 57 CE, 59 CE e 60 CE), esso non contiene alcuna norma particolare relativamente al principio di specialità. Evidentemente gli Stati membri, quali autori del Trattato, non volevano prevedere alcuna deroga al riguardo.

72.   Del resto, la tesi relativa all’applicabilità della libera circolazione dei capitali dev’essere accolta anche alla luce della corrispondente normativa dello Stato membro, perché ciò che conta non è la finalità che essa persegue, ma piuttosto gli effetti che essa produce. Nell’ambito della causa principale, questi però si estendono anche alla concessione di crediti. Ciò che rileva non è l’intensità degli effetti, ad esempio la loro centralità, né l’immediatezza della misura.

73.   Nel procedimento è anche stato addotto che la libera circolazione dei capitali coprirebbe solo misure riferite all’oggetto. Tale interpretazione restrittiva non trova alcun fondamento nel diritto primario. Al contrario, dal Trattato si desume che anche misure riferite a persone, quali quelle di vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, potrebbero essere soggette al principio della libera prestazione dei capitali, poiché, altrimenti, la disciplina speciale di cui all’art. 58, n. 1, lett. b), CE sarebbe superflua.

74.   Infine, si arriva alla stessa conclusione anche sulla base dell’art. 57, n. 1, CE (nella fattispecie relativa alla «legislazione comunitaria per quanto concerne (…) la prestazione di servizi finanziari»), in combinato disposto con l’art. 49 CE. Qualora il richiamo all’art. 56 CE fosse sempre precluso ai paesi terzi per la ragione che entra in gioco un’ulteriore libertà fondamentale ratione materiae, le garanzie interenti alla libera circolazione dei capitali resterebbero prive di efficacia.

75.   Da quanto precede deriva che un’impresa stabilita al di fuori dell’Unione europea, in concreto nella Confederazione svizzera, può invocare la libera circolazione dei capitali nell’ambito della concessione di crediti a residenti in uno Stato membro.

VI – Sulla seconda questione pregiudiziale

76.   Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio vuole sapere, innanzi tutto, se il fatto di avere la sede in un paese terzo al fine esclusivo di concedere crediti a soggetti residenti in Stati membri costituisca un abuso di diritto, non possedendo l’impresa nessuna autorizzazione per l’esercizio di tale attività commerciale nel paese terzo. In secondo luogo, con tale questione pregiudiziale si chiede se il diritto comunitario applicabile debba essere interpretato nel senso che esso osta ad un’equiparazione con imprese nazionali quanto all’obbligo di autorizzazione.

A –    Principali argomenti delle parti

77.   Per quanto riguarda la prima parte della questione pregiudiziale, la Fidium Finanz sostiene – in posizione isolata – di non aver commesso un abuso di diritto. Essa rinvia al riguardo alla giurisprudenza della Corte (31), in base alla quale la scelta della sede in uno Stato che presenta minori requisiti per l’avvio di un’attività commerciale rispetto allo Stato in cui si intende operare non costituisce di per sé un abuso di diritto, ma solo l’esercizio di una libertà fondamentale.

78.   Il BaFin e i governi tedesco, ellenico, irlandese e italiano sostengono invece, in via subordinata, che, alla luce delle circostanze descritte nell’ordinanza di rinvio, un richiamo all’art. 56 CE è da considerarsi costitutivo di un abuso di diritto. Ai sensi della giurisprudenza costante della Corte (32), non è permesso avvalersi abusivamente del diritto comunitario. In aggiunta a ciò il governo italiano richiama il nono ‘considerando’ della direttiva 2000/12. A parere del governo portoghese non vi sarebbe alcun abuso non essendovi alcun diritto originato dall’art. 56 CE. La Commissione ritiene che, sulla base della quarta e della quinta questione pregiudiziale, non occorra rispondere alla presente.

79.   Per quanto riguarda la seconda parte della questione pregiudiziale, solo il BaFin, il governo italiano e quello portoghese prendono posizione, dichiarando che il diritto comunitario non osterebbe ad un’equiparazione per quanto riguarda l’obbligo di autorizzazione. La Commissione rinvia alle proprie osservazioni sulla quarta questione pregiudiziale.

B –    Valutazione

80.   Nell’ambito della prima parte della seconda questione pregiudiziale occorre esaminare se il comportamento di un’impresa, quale quello della Fidium Finanz, sia qualificabile in termini di un richiamo abusivo dell’art. 56, n. 1, CE e, in caso positivo, quali conseguenze giuridiche il diritto comunitario faccia discendere da tale qualifica.

81.   Dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che non ci si può avvalere abusivamente delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (33). Ai sensi della citata giurisprudenza, ciò vale anche per quanto riguarda il richiamo al diritto derivato in materia.

82.   I giudici nazionali possono tener conto del comportamento abusivo dell’interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto comunitario invocate (34).

83.   La fattispecie all’origine del procedimento pregiudiziale riguarda un’impresa avente sede in un paese terzo, ma la cui attività commerciale consiste, in modo pressoché esclusivo, nella concessione di crediti a residenti in un determinato Stato membro. A causa di questa attività transfrontaliera, la normativa del paese terzo interessato, in concreto la Confederazione svizzera, dispone che l’impresa non è soggetta alla vigilanza dell’autorità nazionale. La Fidium Finanz, invocando l’art. 56 CE, nega la necessità di un’autorizzazione nello Stato in cui opera. Sulla base di informazioni fornite dal giudice del rinvio, sussistono seri indizi per ritenere che la sede sia stata scelta allo scopo preciso di eludere la vigilanza sia nello Stato ove si trova la sede, sia nello Stato membro in cui viene effettivamente svolta l’attività commerciale. Il giudice del rinvio vede quindi un indizio di un possibile comportamento abusivo nell’elusione delle disposizioni nazionali dello Stato membro.

84.   La questione controversa è se ciò escluda un richiamo dell’art. 56 CE. Del resto tale richiamo è utile solo nel caso in cui gli Stati membri non adottino (o non possano adottare) giustificate restrizioni alla libera circolazione dei capitali.

85.   In materia di libera prestazione dei servizi, la Corte, nelle cause TV10 SA (35), «Assicurazioni» (36) e van Binsbergen (37), ha dichiarato, al riguardo, che non può essere negato a uno Stato membro il diritto di provvedere affinché un prestatore di servizi, la cui attività si svolga per intero o principalmente nel territorio di detto Stato, non utilizzi il principio della libera prestazione dei servizi al fine di sottrarsi alle norme la cui osservanza gli sarebbe imposta ove egli fosse stabilito in tale Stato.

86.   Estendendo la giurisprudenza relativa all’art. 49 CE all’art. 56 CE, si potrebbe escludere per un’impresa che si trovi nella situazione della Fidium Finanz la possibilità di invocare la libera circolazione dei capitali.

87.   Tuttavia, dalla giurisprudenza relativa alla libertà di stabilimento emerge un altro quadro. Nell’ambito dell’art. 43 CE, la Corte ha deciso che non costituisce di per sé un abuso la costituzione di una società in un primo Stato membro che subordini l’avvio dell’attività a requisiti meno restrittivi al solo scopo di poter creare, in forza degli artt. 43 CE e segg., una succursale in un secondo Stato membro in cui vigono norme più severe.

88.   Ciò varrebbe anche nel caso in cui tutta l’attività commerciale dovesse essere svolta nel territorio in cui si trova la succursale, e quindi la costituzione della società nel primo Stato membro fosse finalizzata esclusivamente allo scopo di beneficiare della normativa ivi vigente, più vantaggiosa, e di eludere le prescrizioni più severe dello Stato in cui si trova la succursale (38).

89.   Per quanto riguarda la prima costituzione di società, l’elusione di norme nazionali non costituisce quindi un abuso. Pertanto, considerando la giurisprudenza sulla libertà di stabilimento, un richiamo dell’art. 56 CE non sarebbe necessariamente precluso.

90.   Rimane quindi in dubbio quali siano i criteri che determinano la presenza di un abuso in materia di libera circolazione dei capitali. A differenza della giurisprudenza sulla libera prestazione dei servizi, qui non sussiste il rischio di eludere un’altra libertà fondamentale, ossia la libertà di stabilimento (39). A differenza della sentenza Centros, l’elusione, o la possibilità di un’elusione, non sarebbe già insita nella norma comunitaria invocata, ossia, in quel caso, quella relativa alla libertà di stabilimento.

91.   Dalla sentenza Centros si può dedurre che i due orientamenti giurisprudenziali, ossia quello relativo alla libera prestazione dei servizi e quello sulla libertà di stabilimento, non sono in contraddizione l’uno con l’altro. Infatti, nell’ambito dell’art. 43 CE, la Corte non ha escluso in via generale che l’elusione di disposizioni nazionali possa dar luogo ad un addebito di abuso, ma solo in forza del fatto che la libertà di stabilimento mirerebbe precisamente a consentire a società aventi sede all’interno della Comunità di svolgere attività in altri Stati membri per il tramite di una succursale (40).

92.   In altri termini, l’elusione costituisce un abuso solo se esula dalle finalità della norma richiamata (41).

93.   Tale criterio è stato anche adottato, e sviluppato, in due sentenze più recenti della Corte. In esse si dichiara che una pratica illecita [ossia un abuso] presuppone, innanzi tutto, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è stato raggiunto. Inoltre, essa richiede un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (42) o la volontà di eludere l’applicazione della normativa nazionale, in particolare in materia fiscale (43).

94.   Occorre ora verificare se si possa applicare al presente procedimento quella parte della giurisprudenza che è stata pronunciata su questioni di diritto derivato e relativa al richiamo fraudolento di disposizioni comunitarie al fine del riconoscimento di diritti soggettivi nonché all’invocazione fraudolenta di tali diritti.

95.   Per quanto riguarda l’applicabilità di tale giurisprudenza a fattispecie che vertono sul diritto primario, si rileva che, benché le argomentazioni della Corte vertessero sul diritto derivato, esse sono state formulate in termini generali e sono quindi estendibili anche al di là delle circostanze presenti nei procedimenti in questione (44).

96.   Neppure osta all’applicazione delle dichiarazioni della Corte il fatto che la questione sia trattata nell’ambito di un’altra tipologia di abuso, ossia il conseguimento fraudolento di vantaggi. Da un lato, l’elusione di una norma che sancisce un obbligo implica anche il conseguimento fraudolento di un vantaggio non previsto. Dall’altro, la Corte equipara le due tipologie, dato che in casi di conseguimento fraudolento di un diritto soggettivo rinvia anche alla sua giurisprudenza relativa all’elusione e viceversa (45). La Corte tratta questa casistica, come quella, rilevante nella fattispecie, inerente all’elusione di norme nazionali mediante l’invocazione del diritto comunitario, sotto il termine generale di abuso (46).

97.   Di conseguenza, le sentenze della Corte summenzionate possono essere applicate al presente procedimento. Perché sussista un abuso occorrono quindi un elemento oggettivo ed un elemento soggettivo.

98.   In forza della divisione delle competenze nell’ambito del procedimento pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, spetta al giudice nazionale verificare la sussistenza di entrambi gli elementi (47).

99.   Per quanto riguarda il presupposto oggettivo, indicato nella sentenza Centros, del mancato raggiungimento dello scopo perseguito dalla norma invocata, spetta al giudice nazionale verificare, sulla base delle circostanze del caso concreto, se da un esame complessivo emerga che il comportamento obiettivo della Fidium Finanz impedisce di invocare la libera circolazione dei capitali. Nel far ciò, il giudice nazionale deve tenere conto delle finalità della libera circolazione dei capitali. Orbene, una finalità essenziale consiste nel permettere la prestazione di servizi finanziari transfrontalieri.

100. Pertanto, non può bastare a configurare un richiamo abusivo della libera circolazione dei capitali lo sfruttamento di vari livelli normativi, per quanto riguarda le disposizioni in materia di vigilanza, e la concessione di crediti in uno Stato membro a partire da un paese terzo.

101. Per quanto riguarda il presupposto soggettivo, il giudice nazionale deve verificare se la Fidium Finanz avesse la volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento o se essa intendesse eludere l’applicazione della normativa dello Stato membro interessato, ossia in particolare le disposizioni tedesche in materia di vigilanza bancaria.

102. Alla prima parte della questione pregiudiziale si deve quindi rispondere che un’impresa avente sede in un paese terzo, in cui non è sottoposta ad alcuna vigilanza, non può invocare l’art. 56 CE ai fini della concessione di crediti a residenti in uno Stato membro, qualora sussistano entrambi i presupposti cumulativi per un abuso, la cui verifica spetta al giudice nazionale.

103. Come rilevato nell’ordinanza di rinvio, c’è un nesso diretto tra la prima e la seconda parte della seconda questione pregiudiziale. Con la seconda parte, che riguarda la possibile equiparazione, il giudice del rinvio fa riferimento agli effetti giuridici di un comportamento abusivo, quali definiti nella sentenza TV10 SA. Poiché, sotto l’aspetto del contenuto, la seconda parte della seconda questione pregiudiziale non va al di là della prima parte e riguarda la giustificazione, si rimanda alle considerazioni relative alla quarta e alla quinta questione pregiudiziale.

VII – Sulla terza questione pregiudiziale

104. Con la terza questione pregiudiziale il giudice del rinvio vuole sapere se l’obbligo di autorizzazione per la concessione di crediti costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali e se al riguardo sia rilevante il tipo di sanzione con cui un’attività non autorizzata viene punita.

A –    Principali argomenti delle parti

105. Per quanto riguarda la prima parte della terza questione pregiudiziale, la Fidium Finanz e la Commissione sono del parere che l’obbligo dell’autorizzazione presenti i requisiti per costituire una restrizione ai sensi dell’art. 56 CE, perché limita la concessione di crediti in uno Stato membro a partire da un paese terzo. Tale tesi è sostenuta, in subordine, anche dal BaFin.

106. Invece, i governi irlandese, italiano, ellenico e portoghese non ritengono sussistano gli estremi di una restrizione. Rinviando alle proprie osservazioni sulla prima questione pregiudiziale, il governo irlandese e quello italiano sottolineano che vi sarebbe una restrizione solo per quanto riguarda la prestazione del servizio, ma non per il trasferimento di capitali.

107. Quanto alla seconda parte della questione pregiudiziale, solo la Fidium Finanz, il BaFin e la Commissione si esprimono nel senso che la qualifica della previa autorizzazione come restrizione non dipende dalla qualifica dell’attività non autorizzata come reato o semplice irregolarità.

B –    Valutazione

108. Nell’ambito della prima parte della terza questione pregiudiziale occorre chiarire se il requisito del previo rilascio di un’autorizzazione ai fini della concessione di crediti costituisca una restrizione ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE.

109. Al riguardo si deve innanzi tutto dichiarare che il requisito dell’autorizzazione, quale risultante dalle disposizioni nazionali congiuntamente alla nuova prassi amministrativa del BaFin, vale, allo stesso modo, sia per imprese aventi sede in Germania che per imprese stabilite in paesi terzi. Ciò non osta però alla possibilità di una violazione. Infatti, come emerge dalla formulazione dell’art. 56, n. 1, CE («tutte le restrizioni») e dalla giurisprudenza della Corte (48), la libera circolazione dei capitali rappresenta, oltre che un semplice divieto di discriminazione, anche un generale divieto di restrizioni.

110. In secondo luogo, resta quindi da verificare se vi sia una restrizione dal punto di vista sostanziale. Il requisito dell’autorizzazione impedisce ad un’impresa stabilita in un paese terzo di concedere crediti a soggetti residenti in Germania in assenza di un’autorizzazione amministrativa. Ai sensi della giurisprudenza Konle (49), Reisch (50) e Salzmann (51), ciò indica che si è in presenza di una restrizione. In tali cause la Corte ha qualificato la mera esistenza del requisito di un’autorizzazione come una restrizione ancor prima che la libera circolazione dei capitali sia invocata.

111. Tale conclusione trova conferma nella sentenza Parodi (52), in cui la Corte ha considerato il requisito di un’autorizzazione dello Stato ospitante per svolgere l’attività di concessione di mutui a partire da paesi non appartenenti alla Comunità come una restrizione della libertà fondamentale rilevante in quel caso concreto. Poiché a tale fattispecie intracomunitaria non era ancora applicabile la seconda direttiva bancaria (53) cha ha introdotto il c.d. «passaporto europeo», essa corrisponde all’attuale situazione tra paesi terzi e Stati membri e la relativa conclusione può quindi essere estesa a tali situazioni.

112. Nel presente procedimento la situazione è aggravata dalla circostanza che, ai sensi della formulazione della normativa nazionale, ossia quella tedesca, è possibile ottenere un’autorizzazione solo in presenza di un’amministrazione centrale o almeno di una succursale nel territorio nazionale.

113. Quindi, per poter concedere crediti in Germania, un’impresa avente sede in un paese terzo dovrebbe ivi costituire una presenza fisica. Ciò implicherebbe una notevole spesa supplementare e potrebbe scoraggiare gli operatori economici dall’intraprendere l’attività commerciale. Si configura quindi una restrizione.

114. Pertanto, occorre rispondere alla prima parte della terza questione pregiudiziale dichiarando che il requisito dell’autorizzazione rappresenta una restrizione della libera circolazione dei capitali.

115. La seconda parte della terza questione pregiudiziale riguarda il tipo di sanzione prevista per un’attività non autorizzata, ossia la qualifica della violazione come irregolarità o come reato, ed il significato di tale qualifica ai fini della sua valutazione come restrizione alla libera circolazione dei capitali.

116. Al riguardo, si può rinviare alla giurisprudenza della Corte ai sensi della quale si è in presenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali anche quando l’inosservanza dell’obbligo di autorizzazione non è punita con nessuna sanzione (54). Quindi, ciò dovrebbe valere tanto più nel caso in cui, come nella presente fattispecie, alla violazione del requisito dell’autorizzazione sono collegate delle sanzioni. Tali sanzioni accrescono la gravità del pregiudizio. Il tipo di sanzione, sia che si tratti di reato che di irregolarità, è quindi irrilevante e non incide assolutamente sul fatto che sussista una restrizione ai sensi dell’art. 56 CE.

VIII – Sulla quarta questione pregiudiziale

117. Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio vuole sapere se il requisito della previa autorizzazione per la concessione di crediti da parte di un’impresa avente sede in un paese terzo a residenti in uno Stato membro dell’Unione europea sia giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

A –    Principali argomenti delle parti

118. La Fidium Finanz sostiene, in posizione isolata, che la restrizione posta in essere attraverso il requisito dell’autorizzazione quale descritto non può essere giustificata sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. Al riguardo, la Fidium Finanz fa riferimento alla fattispecie alternativa, in ogni caso applicabile, della «vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie». Tali disposizioni in materia di vigilanza sarebbero certamente giustificate solo nella misura in cui realizzino in modo adeguato e necessario gli obiettivi perseguiti dalla vigilanza bancaria. Tali obiettivi non troverebbero però adeguata realizzazione tramite il requisito dell’autorizzazione.

119. Per quanto riguarda l’obiettivo di tutela degli investitori, la vigilanza non sarebbe giustificata in quanto verrebbero solo concessi crediti ai clienti ma in cambio non verrebbero raccolti depositi degli stessi. Non vi sarebbe quindi alcun pericolo per il patrimonio degli investitori.

120. Relativamente all’obiettivo del buon funzionamento del sistema creditizio, la concessione di prestiti implicherebbe rischi che sarebbero però indipendenti dal luogo di concessione, in quanto dovuti al fatto che istituti di credito che concedono prestiti a clienti privati hanno, a loro volta, spesso bisogno di finanziamenti da parte di capitali di prestito. In caso di un’estesa insolvenza nel rimborso del prestito, anche gli istituti di credito finanziatori ne verrebbero danneggiati. Tuttavia, spesso la loro sede non coincide con il luogo di concessione del credito, cosicché i rischi graverebbero su un altro mercato finanziario. Pertanto, il collegamento del requisito dell’autorizzazione al luogo di concessione del prestito non sarebbe un mezzo idoneo al raggiungimento dello scopo di vigilanza.

121. A ciò si aggiunga che l’obbligo di autorizzazione non sarebbe in nessun caso necessario al fine di raggiungere gli obiettivi. Dalla giurisprudenza della Corte (55) emergerebbe che, nel presente caso, un sistema di dichiarazione obbligatoria sarebbe un mezzo meno gravoso, ma altrettanto efficace per garantire la vigilanza sugli istituti finanziari.

122. Invece, il BaFin, i governi tedesco, italiano, irlandese, ellenico e portoghese nonché la Commissione sostengono che il requisito dell’autorizzazione è in ogni caso giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. A sostegno di tale tesi, il BaFin e il governo tedesco richiamano innanzi tutto la giurisprudenza della Corte (56), secondo la quale requisiti di autorizzazione possono essere giustificati per imprese assicurative. Lo stesso dovrebbe valere anche per la concessione di crediti.

123. Inoltre, il BaFin, il governo tedesco e la Commissione fanno riferimento alla direttiva 2000/12, che, nel definire il suo ambito di applicazione, assoggetta l’attività degli istituti di credito ad un’autorizzazione degli Stati membri. Poiché la concessione di crediti da parte di un ente finanziario quale la Fidium Finanz presenta rischi simili, le ragioni addotte dalla direttiva a fondamento dell’obbligo di autorizzazione, ossia la tutela degli investitori e dei mercati finanziari, dovrebbero valere anche nel presente procedimento.

124. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte (57) si dovrebbe dedurre che un mero obbligo di dichiarazione, quale requisito meno gravoso, non sempre garantirebbe la tutela necessaria dei beni giuridici protetti. Quindi, a parere del BaFin e del governo tedesco potrebbe essere giustificata anche un’autorizzazione preventiva.

125. Il governo tedesco e quello ellenico aggiungono che, non potendo applicare la normativa comunitaria armonizzata, lo Stato membro in cui viene effettuata la prestazione può adottare le necessarie misure di vigilanza, ivi incluso il requisito dell’autorizzazione preventiva.

B –    Valutazione

126. Perché l’art. 58, n. 1, lett. b), CE possa essere preso in considerazione per giustificare l’obbligo di autorizzazione, esso dovrebbe valere anche nei confronti dei paesi terzi. Benché sia vero che questi non sono espressamente menzionati nell’art. 58 CE, detto articolo è applicabile anche ad essi, e nel caso di specie alla Confederazione svizzera, in forza del fatto che il suo n. 3 rinvia all’art. 56 CE, che include anche i «paesi terzi» (58). In caso contrario, all’interno della Comunità sarebbero ammissibili restrizioni più ampie che nei confronti dei paesi terzi.

127. Quale fondamento giustificativo rileva la prima fattispecie dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. Ai sensi della formulazione letterale [«(…) tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore (…) della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie»], una giustificazione presuppone la sussistenza di quattro condizioni, che saranno trattate qui di seguito.

128. Poiché le disposizioni del KWG, in quanto norme di diritto interno, rappresentano la legislazione nazionale, la prima condizione è soddisfatta. In secondo luogo, esse dovrebbero anche essere finalizzate alla vigilanza sugli istituti finanziari. Come emerge dal § 1, n. 1, prima e seconda frase, in combinato disposto con il § 6, n. 2, del KWG, le disposizioni del KWG mirano alla vigilanza prudenziale sugli istituti finanziari nell’accezione dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. Quindi anche tale condizione è soddisfatta. In terzo luogo, l’art. 58, n. 1, lett. b), CE richiede che siano impedite violazioni, il che costituisce proprio l’obiettivo di un obbligo di autorizzazione. Pertanto, ricorre anche il terzo presupposto.

129. Occorre verificare, come quarta ed ultima condizione, se un obbligo di autorizzazione sia una «misura necessaria». Esso lo sarebbe solo se fosse idoneo a conseguire lo scopo perseguito dal legislatore e tale scopo non potesse essere realizzato con misure meno restrittive per la libera circolazione dei capitali.

130. Quindi, a questo punto, occorre innanzi tutto individuare gli scopi perseguiti dalla normativa in materia di vigilanza.

131. Essi possono essere desunti dall’elenco compilato dal giudice del rinvio nell’ambito della quarta questione pregiudiziale. I punti elencati ai trattini dal primo al terzo mirano alla tutela dei beneficiari del credito. I trattini dal quarto al sesto riguardano la tutela del mercato finanziario in quanto tale. Questi due scopi coincidono quindi con le tipiche finalità di una normativa in materia di vigilanza, quale il KWG (59).

132. Nel prosieguo occorre quindi occuparsi, innanzi tutto, dell’idoneità dell’autorizzazione a tutelare i beneficiari del credito. Al riguardo si potrebbe sostenere la tesi secondo cui non vi sarebbe affatto bisogno di tutelare il cliente dato che un istituto finanziario quale la Fidium Finanz si limita esclusivamente a concedere crediti, ma non svolge, invece, attività di raccolta di depositi da parte di clienti, non esponendo quindi ad un rischio diretto valori patrimoniali esteri. In tal senso si è espressa anche la Corte nella sentenza Parodi (60), in cui, relativamente al grado di rischio per i clienti, ha distinto la concessione di mutui dal deposito di fondi.

133. Tuttavia, dalla fattispecie della causa principale emerge che l’omessa richiesta di informazioni presso la Schufa mira proprio a procacciarsi clienti finanziariamente deboli, per i quali il decorso regolare di un’operazione di credito è di particolare importanza.

134. A ciò si aggiunga che per i clienti sussistono rischi che vanno al di là della perdita diretta di valori patrimoniali, quali la contrazione di ulteriori obblighi finanziari nei confronti dell’istituto di credito. Ciò è vero, in particolare, nel caso in cui una parte dei crediti è concessa tramite Internet, in modo tale che nessun soggetto, la cui responsabilità potrebbe essere chiamata in causa in ipotesi di consulenza parziale o di informazioni non oggettive, è sottoposto alla vigilanza nazionale. Il requisito dell’autorizzazione rappresenta invece un mezzo idoneo al conseguimento dello scopo di tutela dei mutuatari.

135. A questo punto si dovrebbe anche provare l’idoneità della vigilanza relativamente al secondo scopo, ossia quello di tutelare il mercato finanziario.

136. A primo acchito ciò potrebbe sembrare problematico per il fatto che i rischi per il mercato finanziario dipendono, tra l’altro, dalla circostanza che imprese che concedono prestiti si rifinanziano presso altri istituti finanziari. Quindi, in caso di un’insolvenza estesa, anche i rifinanziatori ne subiscono un danno. Questi possono però essere attivi anche su altri mercati finanziari, come i mutuatari.

137. Tuttavia, ciò non può portare a negare la necessità di una vigilanza nello Stato dei mutuatari. Da un lato, è anche possibile che il rifinanziatore colpito sia anche stabilito in tale Stato. Dall’altro, anche in caso contrario, quantomeno l’istituto creditore sarà colpito in prima persona in caso di insolvenza di molti debitori. Anche qualora esso non abbia la sua sede nello Stato dei mutuatari, tale situazione avrà quanto meno effetti negativi a causa dell’attività commerciale ivi svolta. In conclusione, il luogo dell’attività commerciale è il criterio di collegamento più ragionevole ai fini di una vigilanza. Se ci si potesse sottrarre a tale vigilanza adducendo l’argomento che i rifinanziatori eventualmente colpiti hanno sede altrove si renderebbe totalmente impossibile un controllo.

138. Inoltre, le disposizioni in materia di vigilanza mirano anche a prevenire il riciclaggio di denaro sporco. Lo svolgimento di attività creditizia non soggetta a vigilanza implica già di per sé il rischio di riciclaggio di denaro, in quanto la concessione del credito, così come la sua restituzione, possono occultare l’origine del denaro. Quindi, anche sotto tale aspetto, il requisito dell’autorizzazione rappresenta un mezzo idoneo a perseguire la tutela del mercato finanziario.

139. Che il requisito dell’autorizzazione e la conseguente possibilità di vigilanza siano un mezzo idoneo a conseguire gli scopi della tutela dei clienti nonché del mercato finanziario, è provato anche dalle disposizioni della direttiva 2000/12.

140. Il suo art. 4 subordina l’inizio dell’attività degli istituti di credito ad una previa autorizzazione, che comporta una vigilanza su tali istituti. Il ‘considerando’ 65 della direttiva 2000/12 indica, quali motivi della vigilanza sugli istituti, la tutela degli interessi dei clienti e la garanzia della stabilità del sistema finanziario.

141. È vero che, in forza dell’art. 1, n. 1, della direttiva 2000/12, istituti, come la Fidium Finanz, che concedono esclusivamente prestiti senza svolgere attività di raccolta di depositi non sono «enti creditizi» nell’accezione dell’art. 4 della stessa direttiva. Tuttavia, le ragioni appena indicate a sostegno dell’obbligo di autorizzazione per gli istituti di credito valgono anche in una fattispecie quale quella di cui alla causa principale, a causa dei rischi comparabili insiti nella mera concessione di crediti.

142. Inoltre, dovrebbe però sussistere anche la necessarietà dell’obbligo di autorizzazione. Oltre all’idoneità, ciò presuppone l’assenza di un mezzo meno gravoso ma ugualmente efficace per il raggiungimento dello scopo.

143. Contro la tesi che nel presente procedimento sussista la necessarietà, si potrebbe richiamare la giurisprudenza della Corte (61) relativa alla libera circolazione dei capitali, ai sensi della quale, in linea di principio, un sistema di dichiarazione è preferibile ad un sistema basato sull’autorizzazione preventiva poiché esso rappresenta un mezzo che incide meno sulla libera circolazione dei capitali.

144. Per quanto riguarda l’esportazione di valute, la Corte considera che un adeguato sistema di dichiarazione è sufficiente, poiché esso, al contrario dell’autorizzazione, non ha l’effetto di sospendere l’esportazione di monete, biglietti di banca, ecc (62).

145. Tuttavia, il mezzo meno gravoso dev’essere utilizzato solo se esso è parimenti efficace al raggiungimento dello scopo. Al riguardo, la Corte (63) ha dichiarato, in materia di acquisto di immobili, settore questo rilevante per i movimenti di capitali, che una procedura di mera dichiarazione non è sempre sufficiente a raggiungere le finalità perseguite e che quindi può essere necessaria anche una procedura di previa autorizzazione.

146. Occorre quindi verificare le condizioni in presenza delle quali un’autorizzazione è necessaria. Sulla base della «giurisprudenza sugli immobili» appena citata, essa è esclusa in ogni caso se lo scopo perseguito consiste solo nell’ottenimento di informazioni per le autorità nazionali, come nel caso dell’esportazione di valute (64).

147. Il requisito di un’autorizzazione per la concessione di crediti va però al di là di una mera esigenza di informazioni delle autorità nazionali e deve dare a queste la possibilità, ove necessario, di adottare ed applicare misure efficaci nei confronti delle imprese, tra le quali rientra anche il diniego o il ritiro dell’autorizzazione.

148. Relativamente alla concessione di prestiti, un sistema di dichiarazione successiva non presenterebbe infatti le stesse garanzie di un’autorizzazione preventiva. Le operazioni di prestito già effettuate prima del controllo potrebbero infatti aver già dato luogo a procedure difficilmente ricostruibili e anche a violazioni di norme giuridiche.

149. Inoltre, ai sensi della sentenza Bordessa, perché l’autorizzazione possa essere considerata necessaria, essa deve anche fondarsi su criteri obiettivi, conosciuti in anticipo, che consentano a qualsiasi richiedente che sia soggetto ad un provvedimento di questo tipo di disporre di un rimedio giurisdizionale (65).

150. Le disposizioni rilevanti del KWG si basano su criteri obiettivi, conosciuti in anticipo. I termini giuridici, non definiti, contenuti nella disposizione sull’autorizzazione, ossia il § 32, n. 1, del KWG, sono definiti nel § 1 del KWG. Per quanto riguarda l’elemento «nel territorio nazionale» («im Inland»), dalle linee direttive del BaFin emerge quali siano i soggetti che soddisfano tale requisito. Inoltre, il diniego dell’autorizzazione ai sensi del § 33, n. 1, del KWG non rientra nel potere discrezionale dell’autorità, ma, piuttosto, costituisce una decisione vincolata («va negata»; in tedesco: «ist zu versagen»). Infine, vi è anche la possibilità di poter agire in giudizio contro una decisione di diniego.

151. Eventuali casi particolari di ingiustizia ricadono nel § 2, n. 4, del KWG, che prevede la possibilità di esentare dall’obbligo di autorizzazione di cui al § 32, n. 1, del KWG le imprese che non necessitano di vigilanza a causa del tipo di operazioni svolte.

152. Quindi, relativamente a questo punto, si deve concludere che l’obbligo di autorizzazione dev’essere considerato sia idoneo che necessario al raggiungimento degli obiettivi di tutela degli interessi dei clienti e di tutela del mercato finanziario. Esso è quindi «necessario» nell’accezione dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

153. Infine, dagli atti del fascicolo non emerge che nella causa principale ci sia stata una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata ai sensi dell’art. 58, n. 3, CE. Al contrario, grazie all’applicazione dell’obbligo di autorizzazione, le imprese aventi sede in paesi terzi sono equiparate alle imprese nazionali per quanto riguarda la normativa in materia di vigilanza.

154. Pertanto, occorre rispondere alla quarta questione pregiudiziale dichiarando che il requisito della previa autorizzazione per la concessione di crediti da parte di un’impresa avente sede in un paese terzo a residenti in uno Stato membro dell’Unione europea è giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

IX – Sulla quinta questione pregiudiziale

155. Con la quinta questione pregiudiziale il giudice del rinvio vuole sapere se un requisito di autorizzazione, di per sé lecito, descritto nei termini di cui alla terza questione pregiudiziale, sia giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE anche nel caso in cui il rilascio dell’autorizzazione presuppone che l’amministrazione centrale dell’impresa o perlomeno una succursale della stessa si trovi nello Stato membro interessato.

A –    Principali argomenti delle parti

156. La Fidium Finanz sostiene che sia sproporzionato e quindi contrario all’art. 58, n. 1, lett. b), CE, subordinare il rilascio di un’autorizzazione alla presenza dell’amministrazione centrale o di una succursale nello Stato membro interessato. A sostegno della sua tesi, la Fidium Finanz invoca la sentenza della Corte nella causa Commissione/Italia (66). Attraverso la previsione del rilascio dell’autorizzazione nei termini descritti, l’ente finanziario richiedente sarebbe costretto a diventare «residente». Tuttavia, ciò equivarrebbe ad una negazione della libera circolazione dei capitali. Infine, si dovrebbe concludere per la sproporzionalità della normativa anche in considerazione dei costi non trascurabili connessi alla creazione di una succursale.

157. Invece, il BaFin, i governi tedesco, irlandese, ellenico e portoghese nonché la Commissione sostengono che il requisito di una presenza fisica stabile nello Stato membro interessato ai fini di ottenere un’autorizzazione trova la sua giustificazione nell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. A parere del BaFin e dei governi tedesco, italiano ed irlandese, in assenza di possibilità di indagine o di intervento nei paesi terzi, è possibile garantire un controllo efficace sulle imprese ivi stabilite solo attraverso una presenza fisica nello Stato membro in cui l’impresa svolge le sue attività.

158. Secondo il governo tedesco e quello ellenico, anche la direttiva 2000/12 dispone che un’impresa debba disporre di una sede in uno degli Stati membri per poter ottenere un’autorizzazione.

159. Il governo irlandese aggiunge che una presenza fisica nello Stato membro interessato non sarebbe necessaria in generale ai fini di un controllo, ma certamente lo è quando l’impresa non è soggetta ad alcuna vigilanza nel paese terzo.

B –    Valutazione

160. Come per la quarta questione pregiudiziale, occorre anche qui verificare una giustificazione sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE. Qui si tratta, più che della questione della liceità, a cui si è già data una risposta positiva, di una previa autorizzazione in quanto tale, della sua configurazione in concreto. Dai §§ 33, n. 1, prima frase, punto 6, e 53 del KWG emerge che il rilascio dell’autorizzazione per la concessione di crediti presuppone obbligatoriamente l’esistenza dell’amministrazione centrale o almeno di una succursale nello Stato membro interessato. Un’impresa stabilita esclusivamente in un paese terzo sarebbe quindi obbligata, per poter esercitare un’attività in uno Stato membro, a disporvi una presenza fisica.

161. Quanto alla generale applicabilità dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE ai paesi terzi nonché la particolare fattispecie, qui rilevante, prevista dall’art. 58, n. 1, CE, si può rinviare alle considerazioni svolte relativamente alla quarta questione pregiudiziale.

162. Anche il requisito della presenza fisica deve essere diretto ad «impedire le violazioni della legislazione nazionale nel settore della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie», dal momento che esso deriva dalla stessa normativa che impone l’obbligo di autorizzazione e rappresenta solo un’attuazione di quest’ultimo.

163. Occorre quindi verificare se la presenza fisica costituisca una «misura necessaria» nell’accezione dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

164. Sull’idoneità al conseguimento dello scopo nel caso di specie non sussiste alcun dubbio. Come emerge dalla soluzione alla quarta questione pregiudiziale, già lo stesso obbligo di autorizzazione provvede alla tutela degli interessi dei clienti nonché a quella del mercato finanziario. Ciò vale a fortiori per la necessarietà della presenza fisica, poiché essa facilita la vigilanza allo Stato membro in cui l’attività è organizzata, permettendo, ad esempio, controlli svolti senza alcun preavviso o con un preavviso molto breve o garantendo maggiormente la soddisfazione dei diritti finanziari dei clienti dell’impresa.

165. Rimane però dubbio se sussista anche un obbligo di costituire una succursale. Esso sussisterebbe solo qualora non vi fossero misure alternative meno gravose ed ugualmente efficaci per tutelare i clienti e il mercato finanziario. L’autorizzazione preventiva incide già in maniera significativa sulla libera circolazione dei capitali. Come emerge dalla considerazioni svolte riguardo alla terza questione pregiudiziale, tale incidenza aumenta con il requisito della presenza fisica, dato che le imprese di paesi terzi dovrebbero sostenere oneri finanziari aggiuntivi.

166. In tal senso la Corte ha dichiarato, in materia di libera circolazione dei capitali nella causa Ospelt e Schlössle Weissenberg (67), che il requisito di una stabile residenza nel luogo di esercizio dell’attività, associato al rilascio di un’autorizzazione preliminare per l’acquisto di terreni agricoli e silvicoli, andrebbe al di là di quanto necessario al raggiungimento degli obiettivi, sotto l’aspetto della proporzionalità.

167. La Corte si è pronunciata in modo analogo anche nell’ambito della libera prestazione dei servizi. Così, ad esempio, è stato giudicato sproporzionato il requisito, diretto al controllo, di una sede di attività in uno Stato membro ai fini del rilascio di un’autorizzazione per la prestazione di analisi biomediche provenienti da un altro Stato membro (68). Anche la prescrizione di una sede in uno Stato membro per potervi prestare attività di intermediazione, sempre a fini di vigilanza, è stata considerata ingiustificata dalla Corte (69).

168. Tale giurisprudenza sull’art. 49 CE può essere estesa alle pronunce sulla concessione di crediti nell’ambito della libera circolazione dei capitali, dato che, come già evidenziato, la concessione di crediti costituisce fondamentalmente una prestazione di servizi.

169. Innanzi tutto, dalla giurisprudenza citata si deve quindi desumere che l’obbligo della presenza fisica ai fini della realizzazione degli scopi perseguiti dalla normativa non può essere considerato necessario. Tuttavia, per poter emettere un giudizio definitivo occorre analizzare più attentamente le sentenze citate, alla luce dei fatti che vi hanno dato luogo.

170. Mentre la sentenza Ospelt e Schlössle Weissenberg si rivela poco utile ai fini del presente procedimento a causa di una fattispecie diversa sotto aspetti essenziali, dalla giurisprudenza citata relativa all’art. 49 CE si possono trarre due elementi determinanti per la soluzione della questione pregiudiziale.

171. Innanzi tutto, a differenza del presente procedimento, si trattava di fattispecie intracomunitarie. Inoltre, nella motivazione delle sentenze, la Corte ha rilevato, tra l’altro, che già nello Stato di provenienza era garantito un analogo controllo da parte delle competenti autorità. Nel presente procedimento, però, la situazione è fondamentalmente diversa. Come già rilevato, qui l’impresa non è sottoposta a nessun controllo corrispondente nello Stato di provenienza, ossia la Confederazione svizzera.

172. A causa di queste fondamentali differenze tra il presente procedimento e quelli alla base della giurisprudenza citata, è preclusa un’automatica applicazione delle decisioni adottate in tali sentenze.

173. Occorre piuttosto esaminare le conseguenze che derivano per il presente procedimento pregiudiziale dal fatto che la sede si trovi in un paese terzo in cui non sia previsto alcun controllo al riguardo. Se, date le circostanze descritte, non vi fosse alcuna misura in grado di garantire efficacemente una vigilanza generale in assenza del requisito della presenza fisica si dovrebbe concludere per la liceità delle misure tedesche.

174. Nell’ambito delle misure possibili, occorre, in generale, distinguere tra i controlli nello Stato in cui si trova la sede dell’impresa e quelli nello Stato in cui si svolge l’attività.

175. Per quanto riguarda la vigilanza nello Stato della sede, nel caso di specie non risulta previsto alcun metodo efficace. Controlli in loco svolti in proprio dalle autorità degli Stati membri nella Confederazione svizzera sono fuori questione in assenza di convenzioni di diritto internazionale in materia. Controlli da parte delle autorità del paese terzo non sono effettuabili neanche nell’ambito della cooperazione amministrativa, dato che in tale paese, nel periodo rilevante ai fini del procedimento, non era prevista alcuna vigilanza per attività transfrontaliere.

176. Per quanto riguarda la vigilanza nello Stato membro in cui si estende l’attività commerciale, occorre innanzi tutto occuparsi della soddisfazione dei diritti finanziari dei clienti nei confronti dell’impresa. Tale esigenza può essere soddisfatta in assenza di una presenza fisica nella Comunità, in quanto, come dichiarato dalla Corte nella sua sentenza Commissione/Italia (70), è sufficiente allo scopo anche la costituzione di garanzie finanziarie nello Stato membro interessato.

177. Rimane quindi da verificare se controlli efficaci siano possibili nello Stato membro in cui è esercitata l’attività anche in assenza di una succursale.

178. Richiamando la sentenza «Assicurazioni» (71), occorre considerare che all’impresa incombe un obbligo di sottoporre all’esame delle competenti autorità i necessari documenti commerciali, i bilanci, i libri contabili, i programmi di attività ecc.

179. Tuttavia, come aggiunto dalla Corte in tale sentenza, questi documenti devono essere «debitamente autenticati dalle autorità dello Stato di stabilimento ed inviati agli organi competenti dello Stato membro interessato».

180. L’assunto della Corte secondo cui tale obbligo di documentazione sarebbe un mezzo efficace e meno gravoso di vigilanza, presupponeva, nella causa «Assicurazioni», un minimo di collaborazione tra le autorità dello Stato della sede e quelle dello Stato membro in cui è effettivamente svolta l’attività.

181. Tuttavia, tale collaborazione sembra mancare nel presente procedimento, come già più volte enunciato. Spetterebbe quindi all’impresa da controllare e non alle autorità dello Stato della sede raccogliere i documenti da esaminare e sottoporli alle autorità dello Stato in cui viene svolta l’attività.

182. In assenza di qualsiasi forma di collaborazione dello Stato di origine, le autorità dello Stato membro interessato non sarebbero in grado, date tali circostanze, di stabilire la completezza e/o la correttezza della documentazione, il che esclude un’effettiva vigilanza sulla base del materiale messo a disposizione.

183. Pertanto, dalla circostanza che un’impresa abbia la propria sede in un paese terzo in cui non è svolto alcun controllo deriva, per il presente procedimento, un risultato diverso da quello evidenziato nelle sentenze citate della Corte relative all’art. 49 CE. Nel caso di specie, un obbligo di presentare i documenti commerciali non rappresenta un mezzo meno gravoso ed ugualmente efficace per realizzare gli scopi perseguiti dalla normativa dello Stato membro interessato.

184. Pertanto, poiché non emergono metodi di vigilanza meno gravosi ma ugualmente efficaci, occorre qualificare il requisito della presenza fisica come un mezzo idoneo e necessario e quindi una «misura necessaria» nell’accezione dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

185. Si deve quindi rispondere alla quinta questione pregiudiziale dichiarando che un requisito di autorizzazione, di per sé lecito, descritto nei termini di cui alla terza questione pregiudiziale, in base al quale il rilascio dell’autorizzazione presuppone obbligatoriamente che l’amministrazione centrale dell’impresa o perlomeno una sua succursale si trovi nello Stato membro interessato, è giustificato sulla base dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE.

X –    Conclusione

186. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo quindi alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

1)         Un’impresa stabilita al di fuori dell’Unione europea, in concreto nella Confederazione svizzera, nell’esercizio dell’attività professionale di concessione di crediti a residenti in uno Stato membro dell’Unione europea, nella fattispecie la Repubblica federale di Germania, può invocare la libera circolazione dei capitali di cui all’art. 56 CE nei confronti di tale Stato membro e nei confronti dei provvedimenti delle autorità o dei giudici di questo.

2)         Un’impresa avente sede in un paese terzo, in cui non è sottoposta ad alcuna vigilanza, non può invocare l’art. 56 CE ai fini della concessione di crediti a residenti in uno Stato membro, qualora sussistano i presupposti oggettivi (paragrafi 99 e 100 di queste conclusioni) e soggettivi (paragrafo 101 di queste conclusioni) per un abuso. Se ciò accada nella causa principale è un aspetto la cui verifica incombe al giudice nazionale.

3)         Un obbligo di autorizzazione costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Al riguardo, non è decisivo se un’attività professionale di concessione di crediti non autorizzata costituisca una fattispecie di reato o una semplice irregolarità.

4)         L’art. 58, n. 1, lett. b), CE va interpretato nel senso che è lecito un requisito di autorizzazione preventiva per la concessione di crediti da parte di un’impresa avente sede in un paese terzo, nel quale non è sottoposta ad alcuna vigilanza, a residenti in uno Stato membro dell’Unione europea e che è giustificato un requisito di autorizzazione, di per sé lecito, in base al quale il rilascio di un’autorizzazione presuppone obbligatoriamente che l’amministrazione centrale dell’impresa che concede crediti o perlomeno una sua succursale si trovi nello Stato membro interessato.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 178, pag. 5.


3 – GU L 126, pag. 1


4 – BGBl. I pag. 2776.


5 – Sentenze 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson e Gustavsson (Racc. pag. I-3955, punti. 10 e segg.), e 9 luglio 1997, causa C-222/95, Parodi (Racc. pag. I-3899, punti 14 e 17).


6 – Conformemente alla sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone (Racc. pag. 377, punto 21).


7 – Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann (Racc. pag. I-249, punto 34).


8 – Sentenza nella causa C-484/93 (cit. nella nota 5), punto 11.


9 – Sentenza nella causa C-222/95 (cit. nella nota 5), punto 17.


10 – Accordo tra la Comunità europea ed i suoi Stati Membri, da una parte, e la Confederazione Svizzera, dall'altra sulla libera circolazione delle persone (GU 2002 L 114, pag. 6).


11 – Al riguardo v. anche Kiemel, in: von der Groeben/Schwarze, Kommentar zum Vertrag über die Europäische Union und zur Gründung der Europäischen Gemeinschaft, Vol. 1, art. 56, paragrafo 24; Follak, in: Dauses, Handbuch des EU-Wirtschaftsrecht, Vol. 1, F. II, paragrafo 5; conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed 10 aprile 2003, nella causa C-452/01, Ospelt e Schlössle Weissenberg, decisa con sentenza 23 settembre 2003 (Racc. pag. I-9743, paragrafi 45-47).


12 – Sentenze 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I-1661, punto 21); 5 marzo 2002, cause riunite da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99, Reisch e a. (Racc. pag. I-2157, punto 30); 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-4731, punto 37); 13 maggio 2003, causa C-98/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-4641, punto 39); 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I-4933, punto 27); 5 luglio 2005, causa C-376/03, D. (Racc. pag. I-923, punto 24), e 19 gennaio 2006, causa C-265/04, Bouanich (Racc. pag. I-5821, punto 29).


13 – Sentenze nella causa C-222/97 (cit. nella nota 12), punti 22-24, e 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071, punti 27-30).


14 – Sentenza nelle cause riunite 286/82 e 26/83 (cit. nella nota 6), punto 21.


15 – Cfr. Ohler, «Die Kapitalverkehrsfreiheit und ihre Schranken», Wertpapiermitteilungen 1996, 1801 (1805).


16 – Sentenza nella causa C-484/93 (cit. nella nota 5), punti 10 e segg.


17 – Sentenza nella causa C-222/95 (cit. nella nota 5), punti 14 e 17.


18 – Sentenza 7 febbraio 2002, causa C-279/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1425, punti 37 e segg.)


19 – Sentenza 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir (Racc. pag. I-1897, punti 35 e segg.)


20 – Sentenza 1º dicembre 1998, causa C-410/96, Ambry (Racc. pag. I-7875, punti 39  e segg.)


21 – In tal senso Notaro, Revue du marché unique europeén 1998, n. 2, pagg. 268, 269; Rohde, Freier Kapitalverkehr in der Europäischen Gemeinschaft, pag. 101, nota 376.


22 – Cfr. Bröhmer, in: Callies/Ruffert, Kommentar des EUV, art. 56, punti 30 e segg.


23 – Sentenza nella causa C-118/96 (cit. nella nota 19), punto 19.


24 – Sentenza nella causa C-410/96 (cit. nella nota 20), punto 18.


25 – Sentenza 14 ottobre 1999, causa C-439/97, Sandoz (Racc. pag. I-7041, punto 38).


26 – Sentenza nelle cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99 (cit. nella nota 12), punto 40.


27 – Sentenza pronunciata nella causa C-204/90 (cit. nella nota 7), punto 34.


28 – V., ad esempio, conclusioni dell'avvocato generale Elmer 17 maggio 1995 nella causa C-484/93 (decisa con sentenza cit. nella nota 5), paragrafi 8  e segg., dell'avvocato generale Tesauro 23 settembre 1997 nella causa C-118/96 (decisa con sentenza cit. nella nota 19), paragrafo 17, e dell'avvocato generale Geelhoed 20 novembre 2001 nelle cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99 (decise con sentenza cit. nella nota 12), paragrafi 62 e segg.


29 – Ad esempio Ohler, Europäische Kapital- und Zahlungsverkehrsfreiheit, Kommentar zu den Art. 56 bis 60 EGV, pag. 103, paragrafo 141; Frenz, Handbuch Europarecht, Vol. 1, Europäische Grundfreiheiten, pag. 1049, punti 2784 e segg.


30 – Il titolo IV della direttiva, che disciplina le relazioni con i paesi terzi, non contiene disposizioni che si riferiscono alla concessioni di prestiti in uno Stato membro da parte di paesi terzi che non siano rappresentati all'interno della Comunità da una succursale o da una filiale.


31 – Sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros (Racc. pag. I-1459, punti 27 e segg.).


32 – Sentenza nella causa C-212/97 (cit. nella nota 31), punto 24, e sentenza 5 ottobre 1994, causa C-23/93, TV10 SA (Racc. pag. I-4795, punto 21).


33 – V., tra l'altro, sentenza nella causa C-212/97 (cit. nella nota 31), punto 24; sentenze 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e a. (Racc. pag. I-2843, punto 20); 2 maggio 1996, causa C-206/94, Paletta (Racc. pag., I-2357, punto 24), e nella causa C-23/93 (cit. nella nota 32), punto 21.


34 – Sentenze 23 marzo 2000, causa C-373/97, Diamantis (Racc. pag. I-1705, punto 34), e nella causa C-206/94 (cit. nella nota 33), punto 25.


35 – Sentenza nella causa C-23/93 (cit. nella nota 32), punti 20 e segg.


36 – Sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania, c.d. «Assicurazioni» (Racc. pag. 3755, punto 22).


37 – Sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74, van Binsbergen (Racc. pag. 1299, punto 13).


38 – Sentenze 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art (Racc. pag. I-10155, punti 95, 96 e 98), e nella causa C-212/97 (cit. nella nota 31), punti 18, 27 e 29.


39 – V. al riguardo sentenze nelle cause 205/84 (cit. nella nota 36), punto 22, e 33/74 (cit. nella nota 37), punto 13.


40 – Sentenza nella causa C-212/97 (cit. nella nota 31), punto 26.


41 – In tal senso anche Karayannis, «L'abus de droits découlant de l´ordre juridique communautaire», Cahiers de droit européen 1999, quaderno 1/2, pag. 531.


42 – Sentenze 21 luglio 2005, causa C-515/03, Eichsfelder Schlachtbetrieb GmbH (Racc. pag. I-7355, punto 39), e 14 dicembre 2000, causa C-110/99, Emsland-Stärke GmbH (Racc. pag. I-11569, punti 52 e segg.).


43 – V. al riguardo anche sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57) e giurisprudenza ivi citata.


44 – In tal senso anche Dennis Weber, Abuse of Law, Legal Issues of Economic Integration, 2004, pagg. 43, 51 e 54.


45 – Sentenze nelle cause C-212/97 (cit. nella nota 31), punto 24, e C-367/96 (cit. nella nota 33), punto 20; cfr. anche Zimmermann, Das Rechtsmissbrauchsverbot im Recht der Europäischen Gemeinschaften, pagg. 185 e segg.


46 – Relativamente alle diverse ipotesi di abuso v. Lagondet, «L'abus de droit dans la jurisprudence communautaire», Journal des tribunaux 2003, n. 95, pagg. 8 e segg.


47 – Sentenze nelle cause C-515/03 (cit. nella nota 42), punto 40, e C-110/99 (cit. nella nota 42), punto 54.


48 – Sentenze 4 giugno 2002, causa C-483/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4781, punto 40); 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-4581, punto 56), e nella causa C-98/01 (cit. nella nota 12), punto 43.


49 – Sentenza 1º giugno 1999, causa C-302/97, Konle (Racc. pag. I-3099, punto 39).


50 – Sentenza nelle cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99 (cit. nella nota 12), punto 32.


51 – Sentenza 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann (Racc. pag. I-4899, punto 41).


52 – Sentenza nella causa C-222/95 (cit. nella nota 5), punto 19.


53 – Seconda direttiva del Consiglio 15 dicembre 1989, 89/646/CEE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE (GU L 386, pag. 1).


54 – Sentenza 14 marzo 2000, causa C-54/99, Scientology (Racc. pag. I-1335, punto 15).


55 – Sentenze nelle cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99 (cit. nella nota 12), punto 37, e 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera e a. (Racc. pag. I-4821, punto 27).


56 – Sentenza nella causa 205/84 (cit. nella nota 36), punto 46.


57 – Sentenza causa C-302/97 (cit. nella nota 49), punti 45 e segg.


58 – Cfr. Frenz (cit. nella nota 29), pag. 1065, paragrafo 2822; Bröhmer (cit. nella nota 22), art. 58, paragrafo 1.


59 – Cfr. Hübner in: Dauses, Handbuch des EU-Wirtschaftsrechts, Vol. 1, E. IV, paragrafo 46.


60 – Sentenza nella causa C-222/95 (cit. nella nota 5), punto 29.


61 – Sentenze nella causa C-300/01 (cit. nella nota 51), punto 50; nelle cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99 (cit. nella nota 12), punto 37; nella causa C-302/97 (cit. nella nota 49), punto 44, e nelle cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94 (cit. nella nota 55), punto 27.


62 – Sentenza 23 febbraio 1995, cause riunite C-358/93 e C-416/93, Bordessa, (Racc. 1995, pag. I-361, punto 27).


63 – Sentenze nelle cause C-452/01 (cit. nella nota 11), punto 45; C-300/01 (cit. nella nota 51), punto 49, e C-302/97 (cit. nella nota 49), punto 46.


64 – Sentenza nella causa C-302/97 (cit. nella nota 49), punto 45.


65 – Sentenza nella causa C-452/01 (cit. nella nota 11), punto 34.


66 – Sentenza 6 giugno 1996, causa C-101/94, Commissione/Italia (Racc. 1996, I-2691, punti 16 e segg.).


67 – Sentenza nella causa C-452/01 (cit. nella nota 11), punto 54.


68 – Sentenza 11 marzo 2004, causa C-496/01, Commissione/Francia (Racc. 2004, pag. I-2351, punto 69).


69 – Sentenza nella causa C-101/94 (cit. nella nota 66), punti 16 e segg.


70 – Sentenza nella causa C-101/94 (cit. nella nota 66), punto 23.


71 – Sentenza nella causa 205/84 (cit. nella nota 36), punto 55.