Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

References to this case

Share

Highlight in text

Go

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

SHARPSTON

presentate l’8 giugno 2006 1(1)

Causa C-35/05

Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH

contro

Ministero delle Finanze






1.        La questione sollevata dalla Corte Suprema di Cassazione italiana nella presente causa riguarda le modalità secondo le quali un soggetto passivo può recuperare l’IVA pagata a un prestatore di servizi che l’abbia erroneamente fatturata e versata all’erario.

2.        Ai sensi della sesta direttiva (2), sostanzialmente, il cedente o prestatore che fatturi l’IVA al cliente deve versarne il relativo importo all’erario, indipendentemente dal fatto che essa dovesse o meno essere fatturata. Inoltre, ai sensi della citata direttiva, il soggetto passivo può dedurre l’imposta fatturatagli sulle sue forniture o prestazioni ricevute a monte dall’imposta che deve versare sulle sue operazioni a valle.

3.        Per giurisprudenza costante (3), il diritto di dedurre l’imposta pagata a monte non si applica all’imposta che sia dovuta in quanto menzionata sulla fattura ma che, altrimenti, non sarebbe stata dovuta. In tali circostanze, tuttavia, il diritto nazionale deve prevedere una possibilità di rettifica degli importi fatturati (e/o dedotti) erroneamente.

4.        Inoltre, il diritto a deduzione in forza della sesta direttiva si applica unicamente qualora il soggetto passivo effettui un’operazione imponibile nello Stato membro in cui ha pagato l’imposta a monte, e sia pertanto tenuto al versamento dell’imposta a valle, dalla quale può dunque dedurre l’imposta pagata a monte.

5.        Nel caso di specie, il soggetto passivo al quale è stata erroneamente fatturata l’IVA (su prestazioni consistenti nel fornirgli servizi pubblicitari) non effettuava operazioni a valle nello stesso Stato membro. Tale situazione rientra di regola nell’ambito di applicazione dell’ottava direttiva IVA (4), in forza della quale l’imposta assolta a monte non viene dedotta dall’imposta a valle, bensì rimborsata al soggetto passivo.

6.        Il giudice nazionale desidera in sostanza sapere se, in tali circostanze, (a) l’IVA fatturata e pagata erroneamente possa essere rimborsata ai sensi dell’ottava direttiva, anche ove non sia deducibile a norma della sesta direttiva, e (b) al soggetto passivo non residente debba essere conferito il diritto di agire direttamente nei confronti dell’autorità tributaria che ha riscosso l’imposta, o se sia sufficiente che egli sia legittimato ad agire indirettamente, rivolgendosi al prestatore che aveva fatturato l’imposta (e che, a sua volta, potrebbe agire contro l’autorità tributaria).

 Normativa e giurisprudenza comunitarie in materia di IVA

 La situazione interna ad uno Stato membro in forza della sesta direttiva

7.        L’art. 21, n. 1, della sesta direttiva, all’epoca dei fatti di causa (5), per quanto qui rileva così disponeva:

«L’imposta sul valore aggiunto è dovuta in regime interno:

(a)      dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile

(…)

(c)      da chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci;

(…)»

8.        L’art. 17, n. 2 (6) così dispone, per quanto qui rileva:

«Nella misura in cui i beni ed i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre all’imposta di cui è debitore:

(a)      l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo debitore dell’imposta all’interno del paese [(7)];

(…)»

9.        Ai sensi dell’art. 18, n. 1, lett. a) (8), al fine di esercitare il suo diritto a deduzione il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura, redatta ai sensi dell’art. 22, n. 3, lett. b) (9). Tale disposizione impone che la fattura indichi distintamente il prezzo al netto dell’imposta e l’imposta corrispondente per ogni aliquota diversa, nonché ogni esenzione.

10.      Ai sensi dell’art. 20, n. 1, lett. a), la deduzione iniziale deve essere rettificata secondo le modalità fissate dagli Stati membri, in particolare «quando la deduzione è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto».

 La giurisprudenza sulla sesta direttiva

11.      La causa Genius Holding (10), che costituisce la causa pilota, riguardava una situazione in cui un subappaltatore aveva erroneamente fatturato l’IVA a un appaltatore principale. Ai sensi della normativa nazionale allora vigente, autorizzata in conformità alla sesta direttiva, l’imposta in realtà era dovuta soltanto dall’appaltatore principale sull’importo da esso fatturato al suo committente. Ci si chiedeva pertanto se il diritto a deduzione si applicasse all’imposta che era dovuta, in conformità all’art. 21, n. 1, lett. c), esclusivamente per il fatto di essere indicata sulla fattura.

12.      La Corte ha esaminato la lettera dell’art. 17, n. 2, lett. a), in particolare laddove essa si discostava sia dal tenore testuale della norma che aveva preceduto tale articolo, vale a dire l’art. 11, n. 1, lett. a), della seconda direttiva del Consiglio (11), sia da quello dell’art. 17, n. 2, lett. a), della proposta della Commissione di sesta direttiva (12). La Corte ne ha concluso che l’esercizio del diritto a detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto erano dovute. Tale interpretazione era inoltre corroborata dalla necessità per il titolare di essere in possesso di una fattura recante l’importo dell’imposta corrispondente a ogni operazione e dall’esistenza di un meccanismo di rettifica applicabile qualora la deduzione iniziale fosse stata superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo aveva diritto (13).

13.      Dopo aver sottolineato che «spetta agli Stati membri contemplare nei rispettivi ordinamenti giuridici interni la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede», la Corte ha statuito che «l’esercizio del diritto di detrazione (…) non si estende all’imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura» (14). Il meccanismo della deduzione non era pertanto applicabile, tuttavia doveva essere predisposto un meccanismo di correzione o rettifica in modo da ripristinare la situazione qualora l’errore fosse stato commesso in buona fede.

14.      Nelle sue conclusioni, invece, l’avvocato generale Mischo aveva affermato (15) che, per salvaguardare il principio di neutralità dell’IVA, tale imposta avrebbe dovuto far sorgere un diritto a deduzione, a meno che (in circostanze idonee a far sospettare una frode) il cedente o prestatore che l’aveva fatturata non l’avesse poi versata alle autorità tributarie.

15.      La causa Schmeink & Cofreth (16) riguardava anch’essa una situazione in cui l’IVA era stata fatturata per errore. In quel caso, tuttavia, gli importi erroneamente fatturati lo erano stati, in realtà, non in buona fede bensì fraudolentemente. Ciononostante, la Corte ha ritenuto che non dovesse necessariamente essere soddisfatto il criterio della buona fede per ottenere una rettifica, sempreché fosse eliminato qualunque rischio di perdita del gettito fiscale. Essa ha statuito come segue:

«1)      Allorché colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali, il principio della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto richiede che l’imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso tale fattura.

(2)      Spetta agli Stati membri definire il procedimento in base al quale l’imposta sul valore aggiunto indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, purché la regolarizzazione non sia lasciata al potere discrezionale dell’amministrazione fiscale».

16.      Nella sentenza Karageorgou (17), la Corte ha esaminato una situazione in cui un importo indicato come IVA su una fattura emessa da una persona che forniva servizi allo Stato non poteva in realtà essere qualificato come IVA. Ciò era dovuto al fatto che le persone interessate ritenevano erroneamente di prestare i loro servizi come lavoratori autonomi, mentre, in realtà, si era in presenza di un rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente. La Corte, nel solco della giurisprudenza Genius Holding e Schmeink & Cofreth, ha dichiarato che l’art. 21, n. 1, lett. c) non osta al rimborso di un importo del genere. In caso di regolarizzazione dell’importo in tal modo riportato, che in nessun caso può costituire IVA, non vi è alcun rischio di perdita di entrate fiscali nell’ambito del regime dell’IVA. Ancora una volta la Corte ha rilevato che la sesta direttiva non prevede espressamente tali casi, e ha dichiarato che, fino a quando tale lacuna non sarà colmata dal legislatore comunitario, spetta agli Stati membri il compito di ovviarvi (18).

17.      Un’altra sentenza, menzionata nelle osservazioni presentate nella presente causa, riguardava circostanze di fatto leggermente diverse. Si tratta della causa Langhorst (19), nella quale un agricoltore aveva venduto dei suini ad alcuni commercianti di bestiame. Anziché essere lui a rilasciare ai commercianti una fattura per il prezzo, erano stati questi ultimi a trasmettergli note di credito per quel prezzo, sul quale avevano erroneamente calcolato l’IVA ad un’aliquota superiore a quella applicabile. La Corte ha dichiarato che una tale nota di credito poteva essere considerata un documento che «fa le veci di una fattura» e che il destinatario della nota (nella fattispecie, l’agricoltore) doveva essere considerato come la persona che aveva effettivamente indicato l’IVA in quel documento, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), cosicché era debitore dell’importo indicato (20).

 Luogo delle prestazioni pubblicitarie

18.      L’art. 9 della sesta direttiva contiene norme in merito al luogo in cui si considera avvenuta una prestazione di servizi ai fini della direttiva. L’art. 9, n. 2, lett. e), così dispone:

«Il luogo delle seguenti prestazioni di servizi, rese (…) a soggetti passivi stabiliti nella Comunità, ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile nel quale si è avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:

(…)

–        Prestazioni pubblicitarie,

(…)»

19.      Ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b) (21), «[il] destinatario di un servizio di cui all’art. 9, paragrafo 2, lett. e), prestato da un soggetto passivo residente all’estero» è debitore dell’IVA sul servizio di cui trattasi (22). «Tuttavia, gli Stati membri possono stabilire che il prestatore sia tenuto in solido al pagamento dell’imposta».

 Rimborsi nell’ambito delle prestazioni transfrontaliere ai sensi dell’ottava direttiva

20.      L’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, precedentemente illustrato (23), riguarda la deduzione dell’IVA pagata a monte dall’imposta da versarsi a valle all’interno dello stesso Stato membro. Per le altre situazioni, l’art. 17, nn. 3 e 4 (24), così dispone, per quanto qui di rilievo:

«3.   Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la deduzione o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:

(a)      di sue operazioni (…) effettuate all’estero che darebbero diritto a deduzione [(25)] se fossero effettuate all’interno del paese;

(…)»

4.     Il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 3 viene effettuato:

–        A favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti all’interno del paese ma che sono stabiliti in un altro Stato membro, secondo le modalità di applicazione stabilite dalla [ottava direttiva],

(…)».

21.      L’art. 2 dell’ottava direttiva così dispone:

«Ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente all’interno del paese, ma residente in un altro Stato membro, alle condizioni stabilite in appresso, l’imposta sul valore aggiunto applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all’importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettere a ) (…)» della sesta direttiva.

22.      Ai sensi dell’art. 5 della stessa direttiva:

«Ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso dell’imposta è determinato conformemente all’articolo 17 [della sesta direttiva], quale si applica nello Stato membro del rimborso.

(…)».

 Effetti della normativa sulle prestazioni transfrontaliere

23.      In forza delle disposizioni citate, qualora un soggetto stabilito nello Stato membro A fornisca beni o presti servizi ad un destinatario commerciale (26) stabilito in uno Stato membro B, che non sia soggetto ad IVA nello Stato membro A in quanto non vi svolge operazioni imponibili a valle, il principio generale è che il destinatario commerciale ha diritto al rimborso dell’IVA fatturatagli dal prestatore nello Stato membro A, e non avrà su tali prestazioni alcuna imposta a monte da dedurre dalla sua imposta a valle nello Stato membro B.

24.      Nelle specifiche situazioni in cui si applica invece il meccanismo dell’autofatturazione (ad esempio nel caso di prestazione di servizi pubblicitari, che si ritiene siano forniti nello Stato membro B, e non nello Stato membro A), il prestatore non dovrebbe fatturare l’IVA sulla prestazione nello Stato membro A. Al contrario, il destinatario commerciale è debitore dell’IVA sulla prestazione ricevuta nello Stato membro B, e può dedurre l’imposta pagata a monte dall’imposta a valle cui è tenuto nello Stato membro B.

25.      Qualora, ciononostante, il prestatore fatturi l’IVA al destinatario commerciale nello Stato membro A (come se la prestazione fosse avvenuta nello Stato membro A), in una situazione in cui avrebbe dovuto applicarsi il meccanismo dell’autofatturazione (poiché si reputa che la prestazione abbia avuto luogo nello Stato membro B), l’IVA è stata fatturata erroneamente. È esattamente quanto avvenuto nella fattispecie.

26.      Ove il destinatario commerciale paghi quindi l’IVA erroneamente fatturata e il prestatore la versi, debitamente, alle autorità tributarie nello Stato membro A, allora – a meno che e fintanto che il destinatario commerciale non riesca a farsi rimborsare (a) sia dal prestatore (b) sia dalle autorità tributarie dello Stato membro A l’IVA erroneamente pagata – l’operazione non è «neutrale dal punto di vista dell’IVA» per il destinatario commerciale, e le autorità tributarie dello Stato membro A hanno riscosso l’IVA indebitamente.

 La causa principale

 Contesto di fatto e processuale

27.      I fatti di causa, come risultano dall’ordinanza di rinvio nonché dalle osservazioni presentate alla Corte, possono essere riassunti nel modo seguente.

28.      La Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH (in prosieguo: la «Reemtsma») è una società avente la sede principale in Germania. Non possiede una sede stabile in Italia.

29.      Nel 1994 una società italiana ha fornito alla Reemtsma servizi pubblicitari e di marketing, sui quali ha applicato l’IVA per un importo totale di LIT 175 022 025 (27).

30.      Si trattava, come risulta dall’ordinanza di rinvio, di servizi esenti da IVA, cosicché erroneamente l’imposta è stata menzionata in fattura e pagata, dapprima dalla Reemtsma alla società italiana, e poi da quest’ultima alle autorità tributarie.

31.      Sembra emergere dalla normativa citata (28) che i servizi non fossero esenti strictu sensu, ma si reputava fossero stati forniti in Germania, dove la Reemtsma aveva sede, conformemente all’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva. Ciononostante, sempre per errore l’IVA era stata fatturata e pagata in Italia. Poiché trovava applicazione il meccanismo dell’autofatturazione, era in realtà la Reemtsma ad essere debitrice dell’IVA in Germania.

32.      La Reemtsma ha chiesto il rimborso parziale dell’IVA di cui trattasi. Non è chiaro perché sia stato chiesto un rimborso soltanto parziale, probabilmente perché i servizi acquistati non erano destinati unicamente alle operazioni della Reemtsma imponibili a valle. In tale situazione, sorgerebbe un diritto solo parziale al rimborso (29).

33.      A fronte del diniego di rimborso oppostole dalle autorità tributarie, la Reemtsma ha adito l’autorità giudiziaria.

34.      Il ricorso presentato dalla Reemtsma è stato respinto tanto in primo grado quanto in appello, con la motivazione che il pagamento dell’imposta si riferiva a servizi non rientranti tra quelli soggetti ad IVA, essendo stati forniti ad una persona che rivestiva la qualità di soggetto passivo in un altro Stato membro.

35.      Avverso la sentenza d’appello la Reemtsma ha proposto ricorso dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione di alcune disposizioni del diritto nazionale (30), nonché omessa motivazione.

36.      La Corte Suprema di cassazione, nutrendo dubbi sull’interpretazione della normativa italiana alla luce delle sentenze della Corte Genius Holding, Langhorst, Schmeink & Cofreth e Karageorgou, si è rivolta alla Corte di giustizia sottoponendole in via pregiudiziale le seguenti questioni:

(1)      Se gli articoli 2 e 5 dell’ottava direttiva (…), nella parte in cui subordinano il rimborso a favore del cessionario o committente non residente all’utilizzazione dei beni e servizi per il compimento di operazioni soggette ad imposta, debbano essere interpretati nel senso che anche l’IVA non dovuta ed erroneamente addebitata in rivalsa e versata all’erario sia rimborsabile; in caso di risposta affermativa, se sia contraria alle citate disposizioni della direttiva una norma nazionale che escluda il rimborso del cessionario/committente non residente in considerazione della non detraibilità dell’imposta addebitata e versata benché non dovuta.

(2)      Se, in generale, possa ricavarsi dalla disciplina comunitaria uniforme la qualità di debitore di imposta, nei confronti dell’erario, del cessionario/committente; se sia compatibile con tale disciplina, e in particolare coi principi di neutralità dell’IVA, di effettività e di non discriminazione, la mancata attribuzione, nel diritto interno, al cessionario/committente che sia soggetto IVA, e che la legislazione nazionale considera come destinatario degli obblighi di fatturazione e di pagamento dell’imposta, di un diritto al rimborso nei confronti dell’erario nel caso di addebito e di versamento di imposta non dovuti; se sia contraria ai principi di effettività e di non discriminazione, in tema di rimborso di IVA riscossa in violazione del diritto comunitario, una disciplina nazionale – ricavata dall’interpretazione datane dai giudici nazionali – che consente al cessionario/committente di agire solo nei confronti del cedente/prestatore del servizio, e non nei confronti dell’erario, pur nell’esistenza nell’ordinamento nazionale di un caso simile, costituito dalla sostituzione nel campo delle imposte dirette, nel quale entrambi i soggetti (sostituto e sostituito) sono legittimati a chiedere il rimborso all’erario».

37.      Hanno presentato osservazioni scritte la Reemtsma, il governo italiano e la Commissione. All’udienza, svoltasi il 30 marzo 2006, hanno presentato osservazioni orali il governo italiano e la Commissione.

 Valutazione

 Sulla prima questione

38.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio domanda in sostanza se l’impostazione adottata dalla giurisprudenza a far tempo dalla sentenza Genius Holding con riferimento alle deduzioni ai sensi della sesta direttiva debba essere seguita anche con riferimento ai rimborsi ai sensi dell’ottava direttiva.

39.      Prima di risolvere tale questione, è tuttavia necessario esaminare i dubbi sollevati dalla Reemtsma in merito al perdurare della validità dei principi stabiliti nella sentenza Genius Holding.

 I principi stabiliti nella sentenza Genius Holding sono tuttora validi?

40.      A parere della Reemtsma, la decisione della Corte nella sentenza Genius Holding non era giustificata dal tenore testuale dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva ed è stata, per giunta, superata dalla sentenza Langhorst. Essa fa riferimento al passaggio di quest’ultima sentenza in cui la Corte ha dichiarato che, se il soggetto passivo, considerato come colui che ha indicato l’IVA nella nota di credito, non fosse debitore dell’importo indicato, «parte dell’IVA indicata nel documento facente le veci di fattura non dovrebbe essere pagata dal soggetto passivo, pur se (…) tale IVA avrebbe potuto essere detratta per intero dal destinatario dei beni o dei servizi (…)» (31). Ciò implica, a parere della Reemtsma, un capovolgimento di quanto dichiarato nella sentenza Genius Holding e un ritorno a un diritto a deduzione onnicomprensivo. La Reemtsma afferma che il diritto a deduzione è lo strumento principale per garantire l’applicazione del principio fondamentale di neutralità dell’IVA, e che gli Stati membri non hanno la facoltà di porre limiti a tale diritto (32).

41.      La Reemtsma rimarca inoltre le differenze rispetto alla sentenza Karageorgou. Sebbene la motivazione teorica di quella sentenza sia valida, essa scaturisce da un contesto di fatto diverso (33). Nel presente caso, l’importo in questione non può essere, al contempo, IVA che il prestatore che ha emesso la fattura è tenuto a pagare ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), e «non IVA» dal punto di vista del destinatario della prestazione.

42.      Per parte mia, non posso condividere la tesi secondo la quale la sentenza Langhorst metterebbe in discussione la validità della statuizione contenuta nella sentenza Genius Holding.

43.      Il passaggio dal quale la Reemtsma inferisce che la Corte abbia capovolto il proprio orientamento fa parte della soluzione della seconda questione sollevata nella causa Langhorst: se il soggetto passivo che non abbia contestato l’indicazione, figurante in una nota di credito facente le veci di una fattura, di un importo IVA superiore a quello dovuto in base alle operazioni imponibili, possa essere considerato la persona che ha indicato tale importo e se sia, quindi, debitore dell’importo indicato, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva.

44.      A tale questione la Corte ha dato la medesima soluzione (affermativa) preconizzata dall’avvocato generale Léger, che aveva fondato ampiamente la propria analisi sulla sentenza Genius Holding (34). In tali circostanze, mi pare difficile intravedere un ripudio della sentenza Genius Holding nella motivazione della Corte, che semplicemente segue il ragionamento dell’avvocato generale, sebbene con una formulazione molto più breve e omettendo ogni menzione di quella sentenza. Peraltro, la sentenza Genius Holding è stata successivamente seguita, del tutto chiaramente, tanto nella sentenza Schmeink & Cofreth quanto nella sentenza Karageorgou.

45.      Quanto alla frase «avrebbe potuto essere detratta per intero dal destinatario dei beni o dei servizi», contenuta nella sentenza Langhorst, mi pare chiaro che la Corte non stava dicendo che il destinatario avrebbe potuto avere il diritto di dedurre l’imposta erroneamente fatturata. La Corte stava piuttosto considerando l’ipotesi che egli potesse di fatto averla dedotta, e che avrebbe potuto presentarsi un’opportunità di frode qualora il prestatore non fosse stato debitore dell’intero importo indicato.

46.      Ciò premesso, condivido ampiamente l’opinione della Reemtsma sotto un aspetto. È illogico considerare un importo erroneamente fatturato al contempo come IVA, che deve essere pagata dal prestatore ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, e come «non IVA», non deducibile da un destinatario commerciale ai sensi dell’art. 17, n. 2, lett. a).

47.      La tesi della Reemtsma riecheggia ampiamente l’analisi proposta alla Corte dalla Commissione e dall’avvocato generale Mischo nella causa Genius Holding, secondo cui l’IVA che dev’essere pagata dal prestatore in forza dell’art. 21, n. 1, lett. c), dovrebbe anche essere considerata imposta «dovuta o assolta» ai sensi dell’art. 17, n. 2, lett. a). Essa dovrebbe pertanto essere deducibile da un destinatario commerciale (sempre che si eviti ogni frode, escludendo i casi in cui risulti che l’importo di cui trattasi in realtà non è stato pagato).

48.      Quest’analisi, lo confesso, mi sembra preferibile, in termini di coerenza e di semplicità del sistema, rispetto all’impostazione infine adottata dalla Corte nella sentenza Genius Holding. Mi chiedo anche se una tale soluzione non sarebbe stata maggiormente in sintonia con la più recente giurisprudenza della Corte in materia di frodi a carosello.

49.      La frode a carosello è certamente una situazione diversa, nella quale l’IVA è correttamente fatturata attraverso una catena di cessioni, ma viene fraudolentemente sottratta al fisco in uno o più passaggi. Tuttavia, nella sentenza Optigen (35) la Corte ha dichiarato che, qualora un soggetto passivo effettui operazioni che soddisfano i criteri obiettivi sanciti dalla sesta direttiva, il suo diritto di dedurre l’IVA pagata a monte non può essere compromesso dalla circostanza che, nella catena di cessioni, un’altra operazione, precedente o successiva, sia inficiata da frode all’IVA, senza che tale soggetto passivo lo sappia o possa saperlo. È irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA su operazioni precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’erario.

50.      Ritengo che, posto che il diritto a deduzione rimane impregiudicato in circostanze del genere, il sistema sarebbe più coerente se tale diritto rimanesse impregiudicato anche in circostanze come quelle della causa Genius Holding. Inoltre, la Corte ha espressamente dichiarato che la possibilità di rettifica ai sensi dell’art. 20, n. 1, lett. a), della sesta direttiva dipende dalla dimostrazione della buona fede, in origine, da parte della persona che ha emesso la fattura (36), oppure, secondo la sentenza Schmeink & Cofreth, dal fatto che sia stato eliminato qualunque rischio di perdita di gettito fiscale (37). Una condizione del genere avrebbe potuto applicarsi, mutatis mutandis, ove il destinatario avesse mantenuto un diritto a deduzione, piuttosto che un diritto a rettifica.

51.      Ciò nondimeno, non propongo alla Corte di riconsiderare la propria statuizione nella sentenza Genius Holding. Questa statuizione si fonda su principi interpretativi accettati e consegue, pur se attraverso una procedura più macchinosa, lo stesso risultato della tesi propugnata dall’avvocato generale, risultato che sembra manifestamente corretto in termini di neutralità dell’IVA. Inoltre, essa costituisce giurisprudenza costante da più di quindici anni, cosicché ogni sovvertimento oggi comporterebbe presumibilmente un indesiderabile scompiglio nella prassi IVA degli Stati membri.

52.      Ciò detto, non mi pare possano trarsi conclusioni utili dal fatto che il principio sancito nella sentenza Genius Holding sia stato applicato a circostanze diverse nella sentenza Karageorgou. Passerò quindi ad esaminare ora se tale principio debba applicarsi anche a situazioni disciplinate dall’ottava direttiva.

 Il principio sancito dalla sentenza Genius Holding è applicabile nel contesto dell’ottava direttiva?

53.      Il giudice nazionale rileva che la ragione del divieto di deduzione ai sensi della sesta direttiva, nel caso di erronea indicazione in fattura di un’imposta non dovuta, non consiste nel far gravare definitivamente l’onere del tributo sul destinatario commerciale, che sarebbe stato altrimenti autorizzato alla deduzione, bensì piuttosto nella necessità di evitare l’evasione fiscale. Ai sensi dell’ottava direttiva, invece, la finalità di limitare il diritto al rimborso ai casi in cui sarebbe stata concessa la deduzione in forza della sesta direttiva è diversa. Essa consiste nell’escludere i destinatari sui quali deve gravare l’onere del tributo (vuoi in quanto sono consumatori finali, vuoi perché le loro cessioni a monte sono utilizzate per operazioni esenti). Data questa diversa finalità, non è chiaro se debba trovare applicazione lo stesso approccio.

54.      Anche la Reemtsma rileva la differente finalità. Ne conclude che sia inappropriato vietare un rimborso ai sensi dell’ottava direttiva laddove il motivo della non deducibilità ai sensi della sesta direttiva sarebbe stato semplicemente che l’imposta è stata fatturata per errore.

55.      Il governo italiano sottolinea invece che il presente caso riguarda un rimborso dell’IVA erroneamente applicata ad una prestazione. A suo parere, non può trovare applicazione il procedimento di cui agli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva in quanto non ricorre la condizione secondo la quale l’imposta sarebbe stata deducibile se il destinatario fosse stato residente in Italia (38).

56.      Secondo la Commissione, dalla sentenza Debouche (39) risulta che l’ottava direttiva non ha lo scopo di pregiudicare il regime introdotto dalla sesta direttiva. Come l’avvocato generale Tesauro ha affermato nelle conclusioni presentate in quella causa (40), il rimborso dell’IVA a favore di soggetti passivi non residenti all’interno del paese risponde alla medesima logica e, quindi, va sottoposto alle stesse regole applicabili alla deduzione cui procede il soggetto passivo residente nel paese. Ciò è confermato dall’orientamento seguito dalla Corte nella sentenza Monte dei Paschi di Siena (41), che ha applicato le regole in materia di deduzione pro rata di cui all’art. 17, n. 5, della sesta direttiva a un rimborso in forza dell’ottava direttiva.

57.      Su questo punto, condivido le conclusioni cui pervengono il governo italiano e la Commissione.

58.      Sotto il profilo formale, i riferimenti all’art. 17 della sesta direttiva contenuti negli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva sono chiari. L’art. 2 conferisce un diritto al rimborso «nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettera a) (…)» della sesta direttiva. L’art. 5 dispone espressamente che «il rimborso dell’imposta è determinato conformemente all’articolo 17 [della sesta direttiva], quale si applica nello Stato membro del rimborso».

59.      Inoltre, adottando il medesimo criterio interpretativo letterale accolto nella sentenza Genius Holding (42), si può rilevare che l’art. 17, n. 3, della proposta della Commissione di sesta direttiva faceva riferimento, così come l’art. 17, n. 2, lett. a), di quella proposta, all’IVA «fatturata» a un soggetto passivo, ma il testo è stato modificato, per cui ora si parla di IVA «di cui al paragrafo 2» – mentre «fatturata» è divenuto «dovuta o assolta».

60.      Peraltro, la giurisprudenza citata dalla Commissione depone nel senso di un trattamento parallelo.

61.      Ciò che è forse più importante, comunque, è che la coerenza tra il sistema del rimborso e quello della deduzione sembra auspicabile come questione di principio, salvo che vi sia qualche differenza nella natura di una catena transfrontaliera di cessioni che imponga un trattamento differenziato. Ma non sembra che non ve ne siano.

62.      Vero è che il meccanismo del rimborso previsto dall’ottava direttiva non è identico al meccanismo della deduzione ai sensi della sesta direttiva. Ciò nonostante, vi è un considerevole parallelismo tra le situazioni disciplinate dalle due direttive.

63.      Ipotizziamo che X e Y siano soggetti passivi, dei quali X sia il cedente o prestatore nell’ambito di un’operazione e Y il destinatario commerciale. In una situazione limitata ad un singolo Stato membro, X fattura l’IVA a Y, che deduce il corrispondente importo dall’imposta a valle di cui è debitore.

64.      Qualora X sia stabilito in uno Stato membro A, e Y, stabilito in uno Stato membro B, non effettui operazioni imponibili nello Stato membro A, può verificarsi o la situazione (a), nella quale Y, in forza dell’ottava direttiva, ottiene un rimborso dell’IVA fatturata nello Stato membro A, e l’importo dell’IVA che egli fattura ai suoi clienti e che deve versare al fisco nello Stato membro B è calcolato sull’intero prezzo netto al quale egli effettua la propria prestazione, oppure la situazione (b), nella quale trova applicazione il meccanismo di autofatturazione di cui alla sesta direttiva: X non fattura l’IVA e Y diviene debitore dell’IVA sulla cessione o prestazione nello Stato membro B, ma può anche dedurla. In entrambi i casi la catena continua poi normalmente.

65.      Qualora X erroneamente fatturi l’IVA a Y sull’operazione, se Y paga la fattura e X versa il relativo importo alle autorità tributarie, allora, in conformità al principio sancito dalla sentenza Genius Holding, ove la situazione sia limitata a un singolo Stato membro (Stato membro A):

–        X deve restituire a Y l’importo erroneamente fatturato;

–        le autorità tributarie devono rimborsare l’importo a X; e

–        Y deve escludere tale importo dalla sua deduzione [oppure, se è già stato dedotto, rettificare la propria deduzione in conformità all’art. 20, n. 1, lett. a), della sesta direttiva].

66.      Qualora X e Y siano stabiliti in Stati membri diversi, il primo e il secondo di tali requisiti rimangono applicabili. Tuttavia, sia in forza dell’ottava direttiva (43) sia nell’ambito del meccanismo di autofatturazione della sesta direttiva (44), Y non avrebbe mai potuto dedurre l’IVA fatturata da X, in quanto nessuna delle due situazioni consente una deduzione in quanto tale. L’equivalente, pertanto, è che Y non abbia diritto ad alcun rimborso. Ancora una volta, la catena continuerà normalmente.

67.      In entrambi gli scenari, la neutralità dell’IVA è preservata (45) attraverso strumenti che sono sostanzialmente paralleli (quantunque, come già detto, più complessi di quanto avverrebbe se la deduzione o il rimborso, a seconda dei casi, fossero consentiti).

68.      Si può inoltre rilevare che anche la disposizione nazionale in discussione nella causa Genius Holding imponeva un meccanismo di autofatturazione, sebbene si trattasse di un meccanismo autorizzato dal Consiglio in forza dell’art. 27 della sesta direttiva anziché di un meccanismo del genere di cui si occupa l’ottava direttiva (46). Si potrebbe ritenere strano che il principio sotteso a tale sentenza dovesse applicarsi ad un tipo di situazione di autofatturazione e non ad un altro.

69.      Ritengo pertanto che l’approccio assunto dalla Corte nella sentenza Genius Holding con riferimento alle deduzioni ai sensi della sesta direttiva debba essere mantenuto anche rispetto ai rimborsi di cui all’ottava direttiva.

 Sulla seconda questione

70.      Nel caso in cui un destinatario commerciale, che si trovi in una situazione come quella della Reemtsma (vale a dire, nel mio esempio, nella situazione di Y), non abbia il diritto a un rimborso ai sensi dell’art. 17, nn. 3 e 4, della sesta direttiva nonché delle disposizioni dell’ottava direttiva, il giudice nazionale desidera sapere, in sostanza, se sia sufficiente che gli sia conferito un diritto a pretendere la restituzione nei confronti del prestatore (nel mio esempio, X) che ha fatturato l’imposta e che potrebbe, a sua volta, agire nei confronti delle autorità tributarie che l’hanno riscossa, o se debba essergli concesso il diritto di agire direttamente nei confronti delle autorità tributarie.

71.      La questione, come hanno sottolineato il governo italiano e la Commissione, si pone sotto tre profili, che possono riassumersi come segue:

(a)      il destinatario della cessione o della prestazione può essere considerato, in linea generale, debitore dell’IVA su un’operazione?

(b)      è compatibile con il sistema comunitario dell’IVA (e con i principi di neutralità, effettività ed equivalenza o non discriminazione) il fatto che una normativa nazionale non conferisca al destinatario un’azione nei confronti delle autorità tributarie nel caso in cui l’IVA, pur non essendo dovuta, sia stata fatturata e pagata?

(c)      è rilevante il fatto che altre norme nazionali (nel settore della tassazione diretta) consentano un’azione congiunta di entrambe le parti nei confronti delle autorità tributarie in circostanze grosso modo analoghe?

72.      Affronterò questi tre profili nell’ordine.

 Può il destinatario della cessione o della prestazione essere considerato in generale debitore dell’IVA su un’operazione?

73.      Come sottolinea la Reemtsma, l’art. 21, n. 1, lett. a), della sesta direttiva (47) consente agli Stati membri di prevedere che, oltre al cedente o prestatore, «una persona diversa dal soggetto passivo sia tenuta in solido al versamento dell’imposta». L’art. 22, n. 8 (48), attribuisce agli Stati membri la facoltà di stabilire «altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi». È pertanto compatibile con la sesta direttiva il fatto che il destinatario della cessione o della prestazione sia uno dei debitori dell’IVA.

74.      D’altra parte, come osserva il governo italiano, sebbene il diritto comunitario permetta che il destinatario sia considerato solidalmente responsabile dell’imposta, il diritto italiano non conteneva una disposizione del genere nel 1994 (a differenza di quanto avviene oggi).

75.      Inoltre, come correttamente rileva la Commissione, il primo comma dell’art. 21, n. 1, lett. a), della sesta direttiva sancisce la regola generale secondo la quale è in via di principio il prestatore ad essere responsabile del pagamento dell’IVA ed obbligato nei confronti delle autorità tributarie. Le uniche eccezioni sono quelle specificate nelle altre disposizioni dell’art. 21, n. 1 (in particolare, il meccanismo dell’autofatturazione nelle operazioni transfrontaliere) o autorizzate dal Consiglio sulla base dell’art. 27 della sesta direttiva (con previsione, in tali casi, di un meccanismo di autofatturazione in specifiche circostanze all’interno dello Stato membro (49)).

76.      Concordo pertanto con il governo italiano e con la Commissione. Ha ragione la Reemtsma allorché sottolinea che, in determinate circostanze, gli Stati membri possono disporre che il destinatario sia solidalmente responsabile con il prestatore, e nelle situazioni in cui si applica il meccanismo dell’autofatturazione è sempre il destinatario ad essere debitore. Ciò nonostante, si tratta di eccezioni alla regola generale, secondo la quale è il prestatore ad essere tenuto, nei confronti delle autorità tributarie, a versare l’IVA su una determinata operazione. Di conseguenza, in via di principio, solo il prestatore può agire nei confronti di tali autorità per recuperare l’imposta versata erroneamente.

77.      Vero è che, qualora, per qualunque ragione, si applichi un meccanismo di autofatturazione, è il destinatario ad essere debitore dell’IVA sull’operazione. Il destinatario sarà pertanto, in linea di principio, legittimato a pretendere la restituzione (50) nei confronti delle autorità tributarie di qualunque imposta versata erroneamente. Sembra peraltro che, nella fattispecie che ha dato luogo alla causa principale, abbia effettivamente trovato applicazione il meccanismo dell’autofatturazione ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. e), cosicché la Reemtsma dovrebbe essere sia tenuta al versamento dell’imposta sia legittimata a chiedere la restituzione di qualsiasi imposta versata erroneamente. Tuttavia, si ricordi che tale meccanismo dà luogo a un rapporto tra la Reemtsma e le autorità tributarie del suo Stato membro, vale a dire la Germania, e non quelle dello Stato membro in cui il prestatore ha erroneamente fatturato e versato l’IVA, vale a dire l’Italia.

78.      Ritengo pertanto che la prima parte della seconda questione debba essere risolta nel senso che, in via di principio, solo il prestatore dev’essere considerato, nei confronti delle autorità tributarie, debitore dell’IVA su una determinata operazione, e, di conseguenza, legittimato a pretendere la restituzione dell’imposta pagata per errore. Qualora, eccezionalmente, in forza di disposizioni comunitarie o nazionali autorizzate, il debitore sia un’altra persona, tale persona può domandare la restituzione, nei confronti delle autorità tributarie verso le quali era obbligata, di qualunque imposta erroneamente pagata.

 È ammissibile che il diritto nazionale non conferisca al destinatario della cessione o della prestazione un’azione nei confronti delle autorità tributarie nel caso in cui l’IVA, pur non essendo dovuta, sia stata fatturata e pagata?

79.      In Italia, in circostanze in cui non è percorribile né la via della deduzione in forza della sesta direttiva né quella del rimborso in forza dell’ottava direttiva, il prestatore che abbia erroneamente fatturato e riscosso l’IVA su un’operazione, versandola poi alle autorità tributarie, può, a quanto consta, domandare la restituzione del relativo importo alle stesse autorità, mentre il destinatario, nell’ambito della medesima operazione, può chiedere la restituzione di tale importo soltanto mediante un’azione civile di ripetizione nei confronti del prestatore.

80.      I dubbi del giudice nazionale in merito a tale sistema processuale riguardano i principi di equivalenza (o non discriminazione) e di effettività in diritto comunitario. La più recente statuizione in merito a tali principi è rinvenibile nella sentenza MyTravel (51): «In mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tale diritto possa esercitarsi, purché essi rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano casi analoghi di natura interna e non rendano praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario».

81.      La Reemtsma ritiene che, in ossequio al principio di effettività, si debba riconoscere al destinatario un’azione diretta nei confronti delle autorità tributarie. In caso contrario, potrebbero configurarsi almeno due situazioni di potenziale conflitto con tale principio: da un lato, il prestatore potrebbe essere insolvente a fronte dell’azione avviata dal destinatario nei suoi confronti, d’altro lato, il prestatore potrebbe vedersi obbligato a rimborsare il destinatario dinanzi al giudice civile ma poi risultare soccombente nei confronti delle autorità tributarie dinanzi al giudice tributario.

82.      La Commissione si richiama alle statuizioni della Corte, segnatamente nella sentenza Schmeink & Cofreth, secondo cui gli Stati membri devono prevedere le modalità per rimediare agli errori nella fatturazione dell’IVA, ivi incluse le modalità di rettifica della fattura e di restituzione dell’imposta pagata erroneamente. Tale dovere, essa afferma, deriva tanto dal principio di neutralità quanto dal divieto di arricchimento indebito (nella fattispecie, da parte delle autorità tributarie). Gli Stati membri possono scegliere la procedura che ritengono più opportuna, purché il principio di effettività sia rispettato. Una situazione in cui, di regola, soltanto il prestatore, in quanto debitore dell’imposta, può chiedere la restituzione da parte delle autorità tributarie, mentre il destinatario della prestazione può chiederla al prestatore nell’ambito di un’azione di diritto civile, appare in via di principio accettabile. Tuttavia, e sempre che sia escluso qualunque rischio di perdita del gettito fiscale, il principio di effettività può imporre che al destinatario sia attribuita la facoltà di agire nei confronti delle autorità tributarie ove un recupero dell’importo attraverso la procedura ordinaria si riveli «praticamente impossibile o eccessivamente difficile» (ad esempio, nel caso della Reemtsma, qualora il suo prestatore di servizi italiano abbia cessato di esistere). Infine, il principio di non discriminazione imporrebbe allo Stato membro che abbia concesso un’azione nei confronti delle autorità tributarie al destinatario stabilito all’interno del suo territorio di conferire il medesimo diritto di azione al destinatario stabilito in un altro Stato membro.

83.      Il governo italiano concorda con la Commissione nei limiti in cui questa riconosce la legittimità del sistema istituito in Italia. Esso è invece in disaccordo con l’ulteriore tesi della Commissione, secondo la quale il destinatario dev’essere legittimato ad agire per la restituzione direttamente nei confronti delle autorità tributarie qualora, per qualunque ragione, una sua azione civile nei confronti del prestatore non possa essere esperita.

84.      Ciò nonostante, ritengo che l’analisi svolta dalla Commissione sia assolutamente convincente.

85.      In primo luogo, il sistema di rimedi processuali applicabile in Italia, come innanzi descritto, appare in via di principio compatibile con la normativa e con la giurisprudenza in materia di sistema comunitario dell’IVA. Se il prestatore, che abbia erroneamente fatturato e riscosso l’IVA su una determinata operazione, versandola poi alle autorità tributarie, può domandare la restituzione del relativo importo da parte di tali autorità, e il destinatario nell’ambito della medesima operazione è legittimato a recuperare tale importo dal prestatore mediante un’azione civile, allora i principi di neutralità dell’IVA e di effettività della tutela giurisdizionale con riferimento al recupero dell’imposta pagata erroneamente sono rispettati.

86.      In secondo luogo, un sistema del genere è, in via di principio, sufficiente. In tutte le situazioni in cui esso può produrre l’esito preconizzato – restituzione integrale alla persona sulla quale ha inciso l’onere dell’imposta pagata erroneamente – è superfluo prevedere qualunque altro rimedio aggiuntivo a favore del destinatario nei confronti delle autorità tributarie. Di conseguenza, non occorre prevedere un’azione diretta in favore del destinatario nei confronti delle autorità tributarie, del genere di quella che la Reemtsma sembra aver tentato di esperire, a meno che il sistema di rimedi di base sia stato messo in moto ma, a causa di circostanze di fatto indipendenti dal merito dell’azione (52), non abbia prodotto l’esito normale.

87.      In terzo luogo, possono verificarsi casi in cui, appunto, tale esito non si produce. In queste ipotesi, affinché siano rispettati i principi di neutralità dell’IVA e di effettività è necessario che sia praticabile qualche altra soluzione. È difficile immaginare altra soluzione che non sia quella di permettere al destinatario, sul quale ha inciso l’intero onere dell’IVA fatturata erroneamente, di agire direttamente nei confronti delle autorità tributarie, le quali, se dovessero trattenere l’IVA così riscossa, risulterebbero indebitamente arricchite.

88.      Sotto questo profilo, all’udienza sono stati discussi due punti.

89.      Da un lato, la Commissione ha affermato che tali casi sono estremamente rari, ed è improbabile che possano incidere in maniera rilevante sul sistema procedurale di base, laddove invece il governo italiano ha asserito che essi possono considerarsi molto meno rari. Ritengo tuttavia che la frequenza del manifestarsi di tali casi non debba assumere alcuna rilevanza. Ciò che importa è che, ogniqualvolta situazioni del genere si verifichino, esse debbono essere trattate in ossequio ai principi di neutralità ed effettività.

90.      D’altro lato, il governo italiano ha sostenuto che un rimedio per prevenire l’indebito arricchimento da parte delle autorità tributarie, nell’ipotesi di IVA pagata per errore, dovrebbe essere predisposto soltanto ove vi fosse anche un corrispondente rimedio per prevenire l’indebito impoverimento dell’erario nell’ipotesi di omesso pagamento di un’IVA effettivamente dovuta. Con ciò sembra volersi affermare che, altrimenti, vi sarebbe una qualche forma di indebito arricchimento a favore del destinatario. Tale argomento mi pare però frutto di un fraintendimento. Qualora il prestatore abbia fatturato l’IVA al destinatario e l’abbia da lui riscossa, ma abbia poi omesso di versarla alle autorità tributarie, non vi è alcun indebito arricchimento in capo al destinatario (pur potendovi essere effettivamente indebito arricchimento e/o frode in capo al prestatore). Se il prestatore non ha né fatturato l’IVA al destinatario su un’operazione imponibile, né l’ha dunque riscossa da lui, ove il destinatario sia a sua volta un soggetto imponibile, egli non avrà alcuna IVA da dedurre e non si sarà dunque indebitamente arricchito – e/o, indipendentemente dal fatto che sia un destinatario commerciale oppure un consumatore finale, egli può essere a sua volta implicato in una frode ai danni del fisco. In quest’ultima situazione, giustamente la normativa nazionale potrà prevedere l’applicazione di sanzioni penali e il pagamento coercitivo dell’importo di cui trattasi.

91.      Infine, concordo con la Commissione sul fatto che il principio di equivalenza impone allo Stato membro, che conferisca al destinatario stabilito sul proprio territorio un’azione diretta di ripetizione nei confronti delle autorità tributarie, di riconoscere il medesimo diritto di azione al destinatario stabilito in un altro Stato membro. Dinanzi alla Corte, tuttavia, non è stato precisato se ciò sia quanto avviene in Italia.

92.      Ritengo pertanto che, qualora l’IVA su una determinata operazione, pur non essendo dovuta, sia stata fatturata e pagata alle autorità tributarie da un prestatore di servizi o fornitore di beni – che sarebbe stato il debitore se l’IVA fosse stata dovuta – è in via di principio sufficiente, in ossequio ai principi di neutralità dell’IVA e di effettività delle norme nazionali relative alla restituzione delle imposte riscosse in contrasto con il diritto comunitario, che vi siano procedimenti nazionali mediante i quali tale soggetto può domandare la restituzione del relativo importo alle dette autorità, e che il destinatario dell’operazione sia legittimato a recuperare l’importo nei confronti del prestatore mediante un’azione civile. Ove però l’esito favorevole di un’azione civile del genere sia precluso in ragione di circostanze di fatto indipendenti dal merito dell’azione, il diritto nazionale deve predisporre, in ossequio al principio di neutralità dell’IVA, al principio di effettività e al divieto di indebito arricchimento in capo alle autorità tributarie, procedure mediante le quali il destinatario sul quale ha inciso l’onere dell’importo erroneamente fatturato possa recuperare tale importo nei confronti delle autorità tributarie. In ogni caso, ove un’azione sia esperibile da parte del destinatario nell’ambito di una tale transazione che sia stabilito all’interno dello Stato membro di cui trattasi, essa deve essere esperibile anche da parte del destinatario che sia stabilito in un altro Stato membro.

 È rilevante ai fini della valutazione il fatto che altre norme nazionali nel settore della tassazione diretta consentano un’azione congiunta di entrambe le parti nei confronti delle autorità tributarie, in circostanze grosso modo analoghe?

93.      A quanto consta, qualora l’imposta sui redditi sia stata erroneamente trattenuta alla fonte dal datore di lavoro e versata alle autorità tributarie, il diritto italiano consente tanto al datore di lavoro quanto al lavoratore dipendente di domandarne la restituzione alle autorità tributarie. Il giudice del rinvio si chiede se la previsione di una tale legittimazione ad agire, individuale o congiunta, in quella situazione, a fronte di una sua mancata previsione a favore del prestatore e del destinatario della prestazione in una situazione IVA del tipo in discussione nella causa principale, non sia in contrasto con il principio di equivalenza o di non discriminazione sancito dal diritto comunitario.

94.      La Commissione, pur sottolineando che la Corte non è stata edotta in modo esauriente sulle norme italiane in materia di tassazione diretta, ritiene in generale che una situazione in quel settore non sia equiparabile ad una situazione nell’ambito dell’IVA. In quest’ultimo settore, è in via di principio soltanto il prestatore ad avere un rapporto giuridico diretto con le autorità tributarie. In realtà, l’intero sistema della tassazione diretta è del tutto indipendente da quello dell’IVA. Poiché il principio di non discriminazione riguarda soltanto situazioni tra loro comparabili, esso non viene rilievo nel presente caso.

95.      A tale proposito, sono del tutto d’accordo con la Commissione.

 Conclusione

96.      Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, ritengo che le questioni sollevate dalla Corte Suprema di Cassazione debbano essere risolte nel modo seguente:

(1)      Gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva del Consiglio 79/1072/CEE devono essere interpretati nel senso che l’IVA che sia dovuta soltanto in quanto indicata in fattura non dà diritto al rimborso ai sensi delle disposizioni di tale direttiva.

(2)      In via di principio, soltanto il prestatore di servizi o il fornitore di beni dev’essere considerato, nei confronti delle autorità tributarie, debitore dell’IVA su un’operazione, e, di conseguenza, legittimato a pretendere la restituzione dell’imposta pagata per errore. Qualora, eccezionalmente, in forza del diritto comunitario o di disposizioni nazionali autorizzate, il debitore sia un’altra persona, tale persona può domandare la restituzione, nei confronti delle autorità tributarie verso le quali era obbligata, di qualunque imposta erroneamente pagata.

(3)      Qualora l’IVA su una determinata operazione, pur non essendo dovuta, sia stata fatturata e pagata alle autorità tributarie da un prestatore di servizi o fornitore di beni – che sarebbe stato il debitore se l’IVA fosse stata dovuta – è in via di principio sufficiente, in ossequio ai principi di neutralità dell’IVA e di effettività delle norme nazionali relative alla restituzione delle imposte riscosse in contrasto con il diritto comunitario, che vi siano procedimenti nazionali mediante i quali tale soggetto può domandare la restituzione del relativo importo alle dette autorità, e che il destinatario dell’operazione sia legittimato a recuperare lo stesso importo nei confronti del prestatore mediante un’azione civile. Ove però l’esito favorevole di un’azione civile del genere sia precluso in ragione di circostanze di fatto indipendenti dal merito dell’azione, il diritto nazionale deve predisporre, in ossequio al principio di neutralità dell’IVA, al principio di effettività e al divieto di indebito arricchimento in capo alle autorità tributarie, procedure mediante le quali il destinatario sul quale ha inciso l’onere dell’importo erroneamente fatturato possa recuperare tale importo nei confronti delle autorità tributarie. In ogni caso, ove un’azione sia esperibile da parte del destinatario nell’ambito di una tale transazione che sia stabilito all’interno dello Stato membro di cui trattasi, essa deve essere esperibile anche da parte del destinatario che sia stabilito in un altro Stato membro.

(4)      Il fatto che la normativa nazionale attribuisca un’azione, nei confronti delle autorità tributarie, per la restituzione di un importo erroneamente trattenuto e pagato, a titolo di imposta diretta, in favore tanto della parte che ha effettuato la trattenuta quanto della parte sul cui reddito la trattenuta è stata effettuata, non rileva, in via di principio, in sede di valutazione della compatibilità con il principio di equivalenza di una situazione in cui soltanto il prestatore di servizi o fornitore di beni – e non il destinatario nell’ambito di un’operazione – può chiedere la restituzione alle autorità tributarie di un importo fatturato e pagato per errore a titolo di IVA.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1, più volte modificata; in prosieguo: la «sesta direttiva»).


3 – V. sentenze 13 dicembre 1989, causa C-342/87, Genius Holding (Racc. pag. 4227), 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth (Racc. pag. I-6973) nonché 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karageorgou (Racc. pag. I-13295), di cui si parlerà più estesamente infra, ai paragrafi 11 e segg.


4 – Ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all'interno del paese (GU L 331, pag. 11).


5 – L'attuale testo dell'art. 21 si rinviene nell'art. 28 octies della stessa direttiva, introdotto dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1), a sua volta modificata in più occasioni. La presente fattispecie riguarda l'IVA pagata nel 1994. La disposizione contenuta all'epoca nell'art. 21, n. 1, lett. c), coincide oggi con l'art. 21, n. 1, lett. d). Ho scelto di esporre le disposizioni della sesta direttiva non nel loro ordine numerico (che in ogni caso non è più l'ordine secondo il quale appaiono nella direttiva) bensì in un ordine che mi pare di maggiore aiuto per una più rapida comprensione della normativa nel presente contesto.


6 – Attualmente rinvenibile nell'art. 28 septies, anch'esso introdotto dalla direttiva 91/680, e anch'esso modificato.


7 –      Nella versione applicabile all’epoca dei fatti, l’inciso «all’interno del paese» o un suo equivalente, introdotto dalla direttiva 91/680, appariva riferito all’obbligo del fornitore in diverse versioni linguistiche, ivi comprese l’inglese, la francese, l’italiana e la spagnola. Nella versione tedesca, invece, tale inciso si riferiva al luogo in cui l’imposta risultava dovuta o assolta, e nella versione olandese si riferiva al luogo della prestazione. La direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE, che modifica la direttiva 77/388/CEE e introduce nuove misure di semplificazione in materia di imposta sul valore aggiunto – Campo di applicazione delle esenzioni e relative modalità pratiche di applicazione (GU L 102, pag. 18), entrata in vigore il 1° gennaio 1996, ha in seguito allineato tutte le versioni linguistiche a quella tedesca. Di conseguenza, la versione italiana dell’art. 17, n. 2, lett. a), è attualmente così formulata: «l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all’interno del paese per i beni che gli sono o saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo» (il corsivo è mio).


8 – Attualmente rinvenibile nell'art. 28 septies, non più modificato a partire dalla direttiva 91/680.


9 – Attualmente rinvenibile nell'art. 28 nonies, nella versione introdotta dalla direttiva 91/680, applicabile all'epoca dei fatti; successivamente modificato.


10 – Cit. supra, nota 3.


11 – Seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari – Struttura e modalità di applicazione del sistema comune di imposta sul valore aggiunto (GU L 71, pag. 1303). Ai sensi dell'art. 11, n. 1, lett. a), della stessa: «Nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati per i bisogni della sua impresa, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore: (a) l'imposta sul valore aggiunto che gli viene fatturata per i beni che gli sono forniti e per i servizi che gli sono prestati» (il corsivo è mio).


12 – GU 1973, C 80, pag. 1. L'art. 17, n. 2, lett. a) della proposta così disponeva: «Quando i beni ed i servizi sono destinati ad essere impiegati per i bisogni delle proprie attività soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore: (a) l'imposta sul valore aggiunto che gli viene fatturata ai sensi dell'art. 22, n. 3), per i beni che gli sono forniti e per i servizi che gli sono prestati» (il corsivo è mio).


13 – V. punti 12-16 della sentenza.


14 – Punti 18 e 19, nonché dispositivo della sentenza.


15 – Come anche la Commissione nelle sue osservazioni; la Corte aveva invece seguito l'approccio preconizzato dai governi dei Paesi Bassi, tedesco e spagnolo. V., in particolare, paragrafi 17-27 delle conclusioni.


16 – Cit. alla nota 3, punti 58 e 59.


17 – Cit. alla nota 3 della sentenza.


18 – Punti 42 e 48-53 della sentenza.


19 – Sentenza 17 settembre 1997, causa C-141/96 (Racc. pag. I-5073).


20 – V. punti 8, 9, 24, 27 e 28 della sentenza.


21 – Attualmente rinvenibile nell'art. 28 octies, nella versione introdotta dalla direttiva 91/680 e in vigore all'epoca dei fatti; successivamente modificato.


22 – Tale meccanismo è noto come «tassazione inversa» o «autofatturazione».


23 – Al paragrafo 8.


24 – V. art. 28 septies.


25 –      Questa nota non riguarda la versione italiana della direttiva.


26 – Per evitare continue ripetizioni, userò il termine «destinatario» o «destinatario commerciale» per indicare il soggetto passivo che acquisti beni o servizi soggetti a imposta e che li usi ai fini delle proprie operazioni imponibili a valle, in modo da distinguere tale soggetto dal destinatario che sia consumatore finale.


27 – Pari, all'incirca, a EUR 91 000.


28 – Art. 7, quarto comma, lett. d) e e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (in prosieguo: il «DPR 633/1972»).


29 – Sentenza 13 luglio 2000, causa C-136/99, Monte dei Paschi di Siena (Racc. pag. I-6109).


30 – Art. 19 del DPR 633/1972, che stabilisce il diritto a deduzione, e art. 38 bis dello stesso decreto, relativo al rimborso, sostanzialmente, di ogni eccedenza dell'imposta versata rispetto a quella dovuta. L'art. 38 ter provvede in merito al rimborso, conformemente all'ottava direttiva, ai soggetti stabiliti in un altro Stato membro, dell'IVA che sarebbe stata detraibile ai sensi dell'art. 19.


31 – Punti 27 e 28 della sentenza.


32 – La Reemtsma cita le sentenze 21 settembre 1988, causa 50/87, Commissione/Francia (Racc. pag. 4797, punti 16 e 17), e 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz (Racc. pag. I-3795, punto 27).


33  – In quel contesto, infatti, l'importo fatturato non era affatto correttamente qualificabile come IVA, in quanto il prestatore era in realtà un dipendente: v. supra, paragrafo 16.


34 – V. paragrafi 52 e segg. delle conclusioni.


35 – Sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03 (Racc. pag. I-0000; v., in particolare, punti 51-54).


36 – Sentenza Genius Holding, punto 18.


37 – Sentenza Schmeink & Cofreth, punti 56-63.


38  – V. art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva.


39 – Sentenza 26 settembre 1996, causa C-302/93 (Racc. pag. I-4495, punto 18).


40 – Paragrafo 7, terzo comma, a pag. I-4500.


41 – Citata supra, alla nota 29.


42 – V. supra, paragrafo 12.


43  – Con riferimento a cessioni o prestazioni effettuate nello Stato membro A.


44  – Con riferimento a cessioni o prestazioni che si reputano effettuate nello Stato membro B.


45  – In quanto X restituisce l'importo a Y e poi a sua volta lo reclama alle autorità tributarie dello Stato membro A.


46 – V. punto 5 della sentenza.


47 – Nella versione applicabile nel 1994.


48 – Attualmente rinvenibile nell'art. 28 nonies.


49 – Come la norma nazionale in discussione nella causa Genius Holding.


50 – Uso qui il termine «restituzione» in senso generico, per mantenerlo distinto dalla specifica procedura di «rimborso» di cui all'ottava direttiva.


51 – Sentenza 6 ottobre 2005, causa C-291/03(Racc. pag. I-0000), punto 17.


52 – Ad esempio, l'insolvenza del prestatore.