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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 24 marzo 2009 1(1)

Causa C-2/08

Amministrazione dell’Economia e delle Finanze

e Agenzia delle Entrate

contro

Fallimento Olimpiclub Srl

«Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia)»

«IVA – Pratica abusiva – Primato del diritto comunitario – Certezza del diritto – Principio dell’autorità di cosa giudicata – Sentenze definitive»





I –    Introduzione

1.        Con ordinanza 10 ottobre 2007, pervenuta in cancelleria il 2 gennaio 2008, la Corte suprema di cassazione (in prosieguo: la «Corte di cassazione» o il «giudice del rinvio»), ha sottoposto alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, vertente sull’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata nei procedimenti giudiziari in materia di IVA.

2.        Il giudice del rinvio intende sapere, in sostanza, se, alla luce della giurisprudenza Lucchini (2), il diritto comunitario gli imponga di disapplicare una disposizione nazionale che sancisce il principio dell’autorità di cosa giudicata, sulla cui base si conferisce carattere definitivo a una sentenza pronunciata da un diverso giudice in una causa avente il medesimo oggetto (giudicato esterno), qualora ciò gli impedisca di dichiarare, in una controversia vertente sul pagamento dell’IVA, che l’operazione di cui trattasi era volta in realtà unicamente a conseguire un vantaggio fiscale e costituiva quindi una pratica abusiva.

3.        Tale questione è stata sollevata nell’ambito di un procedimento che oppone il Fallimento Olimpiclub Srl (in prosieguo: l’«Olimpiclub») all’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze (in prosieguo: l’«Amministrazione finanziaria») e all’Agenzia delle Entrate in relazione ad avvisi di rettifica delle dichiarazioni IVA concernenti gli anni 1988-1991.

II – Ambito normativo

4.        L’art. 2909 del codice civile italiano (in prosieguo, anche: il «codice civile)», che sancisce il principio dell’autorità del giudicato, dispone quanto segue:

«L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».

5.        A tal riguardo, nell’ordinanza di rinvio si rileva che, in materia tributaria, la Corte di cassazione è restata a lungo ancorata al cosiddetto principio della frammentazione dei giudicati, in base al quale ogni annualità fiscale conserva la propria autonomia rispetto alle altre e comporta la costituzione, tra contribuente e fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi alle annualità precedenti e successive. Ne consegue che, qualora le controversie vertano su annualità d’imposta diverse, esse vengono decise separatamente con più sentenze - anziché con una sola, previa riunione dei relativi giudizi -, anche nel caso in cui riguardino il medesimo tributo e questioni in tutto o in parte analoghe. Ciò significa che nessuna delle sentenze pronunciate è suscettibile di costituire cosa giudicata rispetto ai giudizi relativi alle altre annualità.

6.        Tuttavia, secondo l’ordinanza di rinvio, il principio della frammentazione dei giudicati è stato superato dalla giurisprudenza più recente della Corte di cassazione, secondo cui l’oggetto del giudizio tributario non resta necessariamente circoscritto all’atto impugnato, ma coinvolge anche il merito della pretesa tributaria dell’amministrazione e il contesto normativo che sottende tale pretesa. Si è quindi voluto valorizzare l’unitarietà del tributo, anche laddove riguardi periodi d’imposta successivi e separati (3).

7.        Pertanto, un giudicato può attualmente invocarsi nell’ambito di un giudizio tributario anche laddove formatosi in relazione ad un periodo d’imposta diverso da quello oggetto del giudizio, sempreché riguardi un punto fondamentale comune ad entrambe le cause. Ciò discende, secondo il giudice del rinvio, dal fatto che il principio dell’autonomia dei periodi d’imposta non impedisce che il giudicato relativo ad un periodo d’imposta faccia stato anche per altri, quando incida su elementi che siano rilevanti per più periodi.

III – Fatti, procedimento e questione sottoposta alla Corte

8.        L’Olimpiclub è una società a responsabilità limitata il cui oggetto sociale è la costruzione e la gestione di infrastrutture sportive: essa è proprietaria di un complesso di attrezzature sportive ubicate su un terreno di proprietà del demanio dello Stato.

9.        Il 27 dicembre 1985 l’Olimpiclub e l’Associazione Polisportiva Olimpiclub (in prosieguo: l’«Associazione»), i cui membri fondatori coincidono pressoché tutti con i detentori delle quote sociali dell’Olimpiclub, stipulavano un contratto di comodato, ossia un contratto con cui una parte consegna all’altra beni mobili o immobili affinché quest’ultima li utilizzi per un periodo, determinato o meno, e il comodatario ha l’obbligo di restituire il bene (in prosieguo: il «contratto del 27 dicembre 1985»). Tale contratto consentiva all’Associazione di utilizzare tutte le attrezzature del complesso sportivo, ed essa doveva, a titolo di corrispettivo, assumere a proprio carico il pagamento del canone demaniale, pagare LIT 5 000 000 all’anno a titolo di rimborso delle spese forfettarie e trasferire all’Olimpiclub tutte le entrate lorde dell’Associazione, consistenti nell’ammontare complessivo delle quote associative versate dai suoi soci.

10.      Nel 1992 la Guardia di Finanza avviava verifiche fiscali, successivamente estese anche all’Associazione, che si concludevano con la redazione di due processi verbali di constatazione con i quali venivano rilevate irregolarità nel contratto del 27 dicembre 1985. Si perveniva alla conclusione che il contratto non era opponibile all’amministrazione tributaria.

11.      Di conseguenza, venivano emessi quattro avvisi di rettifica delle dichiarazioni IVA relative agli anni 1988-1991. L’Olimpiclub impugnava tali avvisi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di primo grado di Roma.

12.      Dinanzi a detto giudice, l’Agenzia delle Entrate affermava che dalle indagini esperite dalla Guardia di Finanza era emerso che, con la conclusione del contratto formalmente lecito del 27 dicembre 1985, le parti avevano perseguito, in realtà, esclusivamente il fine di eludere la legge fiscale, onde ottenere in favore dell’Olimpiclub un indebito risparmio d’imposta. In sostanza, ricorrendo all’espediente strumentale del contratto di comodato, l’Olimpiclub avrebbe trasferito ad un’associazione di persone non avente fini di lucro tutte le incombenze amministrative e gestionali del complesso sportivo, beneficiando, poi, del reddito prodotto dall’Associazione, senza che questo fosse assoggettato a prelievi fiscali di sorta. Con la gestione degli impianti della società, l’Associazione produceva, infatti, ricchezza sottratta ad imposizione diretta e indiretta, in quanto realizzata in forma di riscossione di quote associative.

13.      La Commissione tributaria provinciale, tuttavia, accoglieva il ricorso dell’Olimpiclub, dichiarando che non era consentito all’Amministrazione finanziaria porre nel nulla gli effetti del contratto del 27 dicembre 1985 e che, in ogni caso, quest’ultimo non costituiva un accordo fraudolento.

14.      Tale decisione veniva confermata in sede di appello dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale ribadiva, in particolare, che non risultavano dimostrati intenti fraudolenti, posto che le ragioni che avevano indotto alla stipulazione del contratto del 27 dicembre 1985 andavano individuate nell’antieconomicità della gestione diretta di attività essenzialmente sportive da parte della società commerciale e non nell’intento di eludere obblighi fiscali.

15.      Nella causa principale, la Corte di cassazione è chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria contro tale sentenza. Intervenuto, nelle more, il fallimento dell’Olimpiclub, il curatore della procedura si è costituito in giudizio, resistendo con controricorso.

16.      L’Amministrazione finanziaria ha dedotto un unico, complesso motivo, lamentando una motivazione illogica ed insufficiente su un punto decisivo della controversia così come una violazione e falsa applicazione dell’art. 116 del codice di procedura civile italiano, nonché dell’art. 37 bis del d.p.r. n. 600/1973 e dell’art. 10 della legge n. 408/1990, entrambi considerati inapplicabili alla controversia dalla Commissione tributaria regionale. Con il motivo di ricorso si contesta in sostanza la constatazione, formulata nella sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, secondo cui non sarebbe stato rilevabile alcun intento elusivo.

17.      L’Olimpiclub, dall’altro lato, ha fatto riferimento nella sua difesa a varie sentenze definitive, pronunciate dalla Commissione tributaria provinciale di Roma e dalla Commissione tributaria regionale del Lazio e concernenti accertamenti fiscali relativi a periodi d’imposta diversi ma basati sugli stessi processi verbali di contestazione che hanno dato luogo alle verifiche fiscali e agli avvisi di rettifica in discussione nella causa principale.

18.      L’Olimpiclub ha sostenuto che tali sentenze, con le quali si è dichiarato che il sistema istituito dal contratto del 27 dicembre 1985 non perseguiva illecite finalità elusive da un punto di vista fiscale, avevano acquisito autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. 2909 del codice civile e che, pertanto, per quanto gli accertamenti operati in tali pronunce riguardassero periodi fiscali anteriori a quello in esame, esse erano vincolanti nella causa principale. Di conseguenza, secondo l’Olimpiclub, il giudice del rinvio non potrebbe riesaminare la questione della pratica abusiva.

19.      Per quanto attiene all’eccezione preliminare concernente l’irricevibilità del ricorso, derivante dall’autorità di cosa giudicata, il giudice del rinvio afferma che, mentre le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma richiamate dall’Olimpiclub devono essere considerate irrilevanti ai presenti fini, vanno invece ritenute astrattamente utilizzabili le sentenze nn. 138/43/00 e 67/01/03 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciate in relazione a contestazioni in materia di IVA e concernenti, rispettivamente, gli esercizi fiscali 1987 e 1992.

20.      Risulta quindi dall’ordinanza di rinvio che la Corte di cassazione, conformemente al principio dell’autorità del giudicato, quale sancito dall’art. 2909 del codice civile e interpretato dalla medesima Corte, si considera vincolata da tali sentenze, che sono state pronunciate sulla base delle medesime questioni di fatto e di diritto sollevate dal caso in esame e hanno escluso che il contratto del 27 dicembre 1985 fosse abusivo o fraudolento.

21.      Il giudice del rinvio rileva, tuttavia, come detta situazione giuridica, la quale, in procedimenti come quello di cui esso è investito, consente a un soggetto passivo di far valere un giudicato esterno formatosi in relazione a un diverso periodo d’imposta, posto che potrebbe precludere l’accertamento dell’esistenza di un abuso di diritto, sembrerebbe impedire la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso di diritto, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria proprio in materia di IVA, quale strumento diretto a garantire la piena attuazione del sistema comunitario dell’imposta (4).

22.      A tal riguardo, secondo il giudice del rinvio, sorgono dubbi anche in ordine alla giurisprudenza della Corte relativa all’obbligo di dare piena efficacia alle disposizioni del diritto comunitario e di disapplicare le disposizioni della legge (processuale) nazionale incompatibili con il diritto comunitario e atte a comprometterne l’applicazione (5).

23.      In particolare, il giudice del rinvio nutre dubbi in ordine alla rilevanza nel caso di specie della sentenza Lucchini (6), nella quale la Corte ha affermato il principio secondo cui il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 2909 del codice civile, tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, ove tale applicazione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario. Secondo la Corte di cassazione, tale pronuncia sembra rientrare in una più generale tendenza della giurisprudenza della Corte di giustizia a relativizzare l’autorità di cosa giudicata delle sentenze pronunciate dai giudici nazionali e ad obbligare questi ultimi a disapplicarle in considerazione del primato del diritto comunitario (7).

24.      In tale contesto, la Corte di cassazione ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 2909 [del codice civile], tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, quando tale applicazione venga a consacrare un risultato contrastante con il diritto comunitario, frustrandone l’applicazione, anche in settori diversi da quello degli aiuti di Stato (per cui, v. [sentenza della Corte 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini SpA, Racc. pag. I-6199)] e, segnatamente, in materia di IVA e di abuso di diritto posto in essere per conseguire indebiti risparmi d’imposta, avuto, in particolare, riguardo anche al criterio di diritto nazionale, così come interpretato dalla giurisprudenza di questa corte, secondo cui, nelle controversie tributarie, il giudicato esterno, qualora l’accertamento consacrato concerna un punto fondamentale comune ad altre cause, esplica, rispetto a questo, efficacia vincolante anche se formatosi in relazione ad un diverso periodo d’imposta».

IV – Analisi giuridica

25.      Come risulta da quanto precede, con la sua questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, quale l’art. 2909 del codice civile, tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, ove l’applicazione di tale disposizione, come interpretata dai giudici nazionali, impedisca a un giudice nazionale – in una controversia come quella principale, vertente sull’applicazione dell’IVA – di esaminare se una determinata operazione costituisca una pratica abusiva, qualora una decisione sullo stesso oggetto sia già contenuta in un giudicato esterno, ancorché formatosi in relazione a un diverso periodo d’imposta.

A –    Principali argomenti delle parti

26.      Nel presente procedimento hanno presentato osservazioni scritte il governo italiano, la Commissione e l’Olimpiclub. Ad eccezione dell’Olimpiclub, tali parti erano rappresentate all’udienza tenutasi il 22 gennaio 2009, in cui era rappresentato anche il governo slovacco.

27.      Le parti concordano in sostanza sul fatto che la sentenza della Corte nella causa Lucchini (8) non possa essere applicata a situazioni come quella di cui alla causa principale e che detta sentenza sia quindi irrilevante nel caso di specie. Esse affermano, in proposito, che la sentenza Lucchini va letta nel suo specifico contesto, vale a dire in relazione alla mancata presa in considerazione da parte di un giudice nazionale di un’esistente decisione della Commissione relativa alla compatibilità di un determinato aiuto di Stato con il mercato comune. Mentre la sentenza Lucchini riguardava quindi una questione rispetto alla quale i giudici nazionali non dispongono, in linea di principio, di alcuna competenza, nella causa principale spetta esclusivamente all’amministrazione tributaria e ai giudici nazionali applicare il sistema dell’IVA e accertare l’esistenza di pratiche abusive.

28.      La Commissione sostiene, più in particolare, che dalla giurisprudenza citata dal giudice del rinvio, relativa al rapporto tra principi di diritto comunitario e legge processuale nazionale, emerge che solo in via eccezionale e a condizioni piuttosto restrittive la Corte di giustizia ha concluso che una norma processuale nazionale, come quella in discussione nella presente causa, non soddisfa i requisiti del diritto comunitario. La Commissione rileva, tuttavia, che le sentenze definitive pronunciate dai giudici nazionali, richiamate dall’Olimpiclub nel caso di specie, riguardano esercizi fiscali e procedimenti diversi da quelli cui farà riferimento l’emananda decisione del giudice del rinvio. Su questo punto, il caso in esame andrebbe tenuto distinto anche da quello relativo a cause quali Eco Swiss (9) e Kapferer (10).

29.      La Commissione sostiene, inoltre, che l’incompatibilità con il diritto comunitario di una disposizione relativa al giudicato, come interpretata dal giudice del rinvio, secondo cui le sentenze sono vincolanti in relazione ad annualità fiscali diverse, discende dal principio, inerente al sistema dell’IVA, che ciascuna annualità dà luogo a una separata imponibilità fiscale.

30.      La Commissione ritiene quindi ingiustificato – anche alla luce delle esigenze della certezza del diritto e del principio dell’effetto utile del diritto comunitario, ma tenuto conto dell’importanza attribuita, in generale, al principio dell’autorità di cosa giudicata – impedire a un giudice nazionale di esaminare, ai fini dell’applicazione dell’IVA, se la pratica abusiva abbia avuto luogo, per il solo motivo che un giudicato esterno contiene un accertamento su tale aspetto in relazione a un diverso periodo d’imposta.

31.      Il governo italiano condivide in sostanza la tesi secondo cui tale interpretazione del principio dell’autorità di cosa giudicata è sproporzionata ed eccede un obbligo sancito dalla direttiva comunitaria. Il detto principio, per quanto fondamentale, dev’essere conciliato con la norma parimenti fondamentale che vieta l’abuso di diritto in materia tributaria. Come emergerebbe dall’ordinanza di rinvio, sarebbe piuttosto evidente che tale abuso sussista nel caso di specie.

32.      Il governo italiano osserva che, per quanto riguarda l’oggetto della causa principale – vale a dire, in relazione ai periodi d’imposta compresi tra il 1988 e il 1991 – per il momento non è stata concretamente adottata alcuna decisione. Pertanto, il giudice del rinvio potrebbe ancora esaminare la questione della pratica abusiva.

33.      Per contro, l’Olimpiclub afferma che l’art. 2909 del codice civile, quale interpretato dal giudice del rinvio, non contrasta con il diritto comunitario. Evidenziando le differenze tra il caso in esame e le varie sentenze della Corte di giustizia citate nell’ordinanza di rinvio, essa sostiene che la suddetta tesi non è rimessa in discussione da tali sentenze. L’Olimpiclub sottolinea, inoltre, l’importanza fondamentale del principio della certezza del diritto – e del principio dell’autorità di cosa giudicata – sia nell’ordinamento giuridico nazionale che in quello comunitario.

34.      Il governo slovacco condivide in sostanza la tesi esposta dall’Olimpiclub e sottolinea la funzione fondamentale del principio della cosa giudicata, la cui osservanza è di interesse generale. La controversia in esame andrebbe risolta, semmai, in base alla giurisprudenza Kühne & Heitz (11) ed Eco Swiss (12). Benché detto principio non sia assoluto, le condizioni restrittive alle quali ne è subordinata la disapplicazione, indicate nella sentenza Lucchini (13), non sarebbero soddisfatte nel caso di specie. Spetterebbe in definitiva ai giudici nazionali stabilire se i due casi siano analoghi o meno.

B –    Valutazione

35.      Per collocare le questioni sollevate dal caso in esame nel loro più ampio contesto, si deve ricordare anzitutto che il compito di dare attuazione al diritto comunitario – salvo laddove sia specificamente affidato alle istituzioni comunitarie – spetta in primo luogo alle autorità amministrative e giudiziarie nazionali degli Stati membri (14), che sono tenute, in forza dell’art. 10 CE, ad adottare tutte le misure, generali o specifiche, necessarie a garantire l’adempimento degli obblighi sanciti dal diritto comunitario.

36.      In mancanza di specifiche disposizioni di diritto comunitario, gli Stati membri, nell’attuazione delle norme comunitarie, agiscono in linea di principio secondo le modalità procedurali e sostanziali del loro diritto nazionale. Così, secondo una giurisprudenza consolidata, in mancanza di una disciplina comunitaria, è l’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta (15).

37.      Si può quindi affermare che i diritti e gli obblighi derivanti da fonti del diritto comunitario passano, di regola, attraverso i «canali» istituzionali e procedurali previsti dai vari ordinamenti giuridici nazionali.

38.      Tale contesto nazionale relativo all’applicazione del diritto comunitario deve, tuttavia, soddisfare determinati requisiti di diritto comunitario intesi a garantire la piena applicazione dello stesso.

39.      Così, secondo una giurisprudenza consolidata, quando gli Stati membri stabiliscono, secondo quella che è stata definita la loro autonomia procedurale, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la salvaguardia dei diritti derivanti, per i privati, dall’effetto diretto delle norme comunitarie, i detti Stati devono far sì che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non siano strutturate in modo da rendere in pratica eccessivamente difficile o impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (16).

40.      A parte tali limitazioni al diritto processuale nazionale formulate dalla Corte in relazione al principio dell’autonomia procedurale, taluni obblighi relativi all’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri discendono direttamente – e «oggettivamente», vale a dire del tutto autonomamente rispetto a un contesto caratterizzato dalla «affermazione di diritti comunitari da parte di singoli» – dal principio del primato del diritto comunitario e dall’obbligo di garantire l’effetto utile di questo.

41.      Come è noto, da tali principi discende fondamentalmente che il diritto comunitario prevale su qualsiasi norma nazionale, sia essa sostanziale o procedurale, incompatibile con esso (17).

42.      La Corte ha precisato, con riguardo agli obblighi derivanti dal principio del primato del diritto comunitario, che spetta sia agli organi amministrativi nazionali che ad ogni giudice garantire il rispetto delle norme del diritto comunitario nell’ambito delle rispettive competenze e, se del caso, rifiutare d’ufficio l’applicazione di qualsiasi disposizione nazionale che costituisca un ostacolo alla piena efficacia del diritto comunitario (18).

43.      Tale obbligo, incombente ai giudici nazionali, di proteggere il primato del diritto comunitario e garantire l’effetto utile di questo – o, più in generale, di tutelare il principio dello stato di diritto nella Comunità – potrebbe essere compromesso da una norma interna come quella in discussione nel caso di specie, che è intesa a sancire il principio della cosa giudicata, se tale norma rendesse impossibile per i giudici nazionali applicare correttamente una disposizione comunitaria. Pertanto, la disposizione del diritto nazionale dev’essere valutata tenendo conto del suddetto obbligo (19).

44.      In proposito, si deve rilevare, in primo luogo, che la Corte ha sottolineato a più riprese che le norme che conferiscono carattere definitivo alle decisioni giurisdizionali o amministrative contribuiscono alla certezza del diritto, che è un principio fondamentale del diritto comunitario (20).

45.      Alla luce di tale principio, la Corte – in particolare nelle cause Eco Swiss, Köbler e Kapferer, che vertevano sul carattere definitivo di decisioni giurisdizionali e, per quanto riguarda la causa Eco Swiss, sul carattere definitivo di un lodo arbitrale – ha riconosciuto l’importanza, sia per l’ordinamento giuridico comunitario, sia per gli ordinamenti nazionali, del principio della cosa giudicata. Essa ha ammesso che, per garantire la stabilità del diritto e una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento di tutti i mezzi di ricorso o dopo la scadenza dei termini per essi previsti non possano più essere rimesse in discussione (21).

46.      Come hanno rilevato l’Olimpiclub e il governo slovacco, dalle sentenze Eco Swiss e Kapferer emerge in particolare che, in linea di principio, il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali che conferiscono carattere definitivo a una decisione, anche quando ciò gli consentirebbe di porre rimedio a una violazione del diritto comunitario inerente a tale decisione (22).

47.      Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che il principio della certezza del diritto – e il carattere definitivo delle decisioni derivante da tale principio – non è assoluto nel senso che prevale in ogni circostanza: semmai, esso dev’essere conciliato con altri valori meritevoli di tutela, quali i principi dello stato di diritto e del primato del diritto comunitario, nonché il principio di effettività (23).

48.      Di conseguenza, qualora le norme nazionali che conferiscono carattere definitivo alle decisioni ostacolino l’applicazione dei suddetti principi, i giudici nazionali – e, se del caso, gli organi amministrativi – possono essere tenuti, come emerge dalla giurisprudenza della Corte, a disapplicare tali norme in determinate circostanze (24).

49.      In tal senso, nella causa Kühne & Heitz la Corte ha dichiarato che l’organo amministrativo responsabile dell’adozione di una decisione amministrativa è tenuto, in applicazione del principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE, a riesaminare tale decisione ed eventualmente a tornare sulla stessa, se sussistono quattro condizioni specifiche (25).

50.      Dall’importanza attribuita alle circostanze particolari della causa Kühne & Heitz (26), nonché dalla successiva causa i-21 Germany e Arcor, che la Corte ha tenuto distinta dalla prima sulla base di dette circostanze (27), discende che le norme di diritto interno che, nell’interesse della certezza del diritto, conferiscono carattere definitivo alle decisioni possono essere rimesse in discussione, tenuto conto della forza e dell’efficacia del diritto comunitario, solo in via eccezionale e a condizioni molto restrittive.

51.      Va rilevato che, nella sentenza Kapferer, la Corte non ha né confermato né escluso che i principi sanciti dalla sentenza Kühne & Heitz – che riguardava l’obbligo di un organo amministrativo di riesaminare una decisione amministrativa definitiva contrastante con il diritto comunitario – potessero essere applicati a un contesto, come quello della causa Kapferer, relativo a una decisione giurisdizionale: la Corte si è limitata a dichiarare che, in ogni caso, non era soddisfatta una delle condizioni elaborate dalla giurisprudenza Kühne & Heitz (28).

52.      Infine, nella sentenza Lucchini la Corte ha invece dichiarato, riferendosi all’obbligo dei giudici nazionali di dare piena attuazione alle disposizioni del diritto comunitario e al suo primato, che il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale – la stessa in discussione nella presente causa – volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunità europee divenuta definitiva (29).

53.      L’elemento che la Corte sembra, in sostanza, avere considerato decisivo in detta causa è che, emanando la decisione controversa, secondo cui la Lucchini poteva fruire dell’aiuto di Stato, mentre quest’ultimo era già stato dichiarato incompatibile con il mercato comune da una decisione della Commissione, il giudice nazionale aveva travalicato i limiti della propria competenza, come definiti dal diritto comunitario, in quanto la valutazione in ordine alla compatibilità delle misure di aiuto con il mercato comune rientra, come ha rilevato la Corte, nella competenza esclusiva della Commissione, fatto salvo il controllo del giudice comunitario (30).

54.      L’approccio adottato dalla Corte nella menzionata giurisprudenza in relazione all’obbligo di riesaminare e ritornare su decisioni finali contrastanti con il diritto comunitario è indubbiamente caratterizzato dal riferimento alle circostanze dei singoli casi. In definitiva, tuttavia, ciascuna delle menzionate sentenze rispecchia il bilanciamento che occorre trovare, nelle particolari circostanze di fatto e di diritto della controversia, tra la certezza del diritto, perseguita attribuendo carattere definitivo alle decisioni, e l’imperativo della legalità comunitaria (31).

55.      Pertanto, non condivido la tesi suggerita dal giudice del rinvio, secondo cui dai casi sopra illustrati emergerebbe una tendenza generale della giurisprudenza della Corte a erodere o ad attenuare il principio della cosa giudicata.

56.      Per valutare, alla luce delle suesposte considerazioni, la questione se il diritto comunitario imponga al giudice del rinvio di disapplicare nella specie il principio della cosa giudicata, quale interpretato nel senso descritto da detto giudice, occorre esaminare in modo più approfondito il contesto in cui tale questione è stata sollevata.

57.      Si deve rilevare, in proposito, che il giudice remittente sembra nutrire dubbi in ordine all’esattezza della constatazione del giudice inferiore – la cui sentenza è stata impugnata con un ricorso per cassazione – secondo cui il meccanismo contrattuale scelto dall’Olimpiclub, ossia il contratto di comodato del 27 dicembre 1985, non era abusivo e quindi non costituiva un’operazione illecita ai fini della riscossione dell’IVA.

58.      Benché, come ha osservato la Commissione, il giudice del rinvio non abbia precisato gli elementi sui quali si fondano i suoi dubbi in ordine all’esattezza di tale valutazione, dall’ordinanza di rinvio emerge tuttavia che esso sospetta che detta valutazione non sia conforme alla nozione di abuso di diritto nel settore dell’IVA, quale definito dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Corte di cassazione ha fatto riferimento alla sentenza Halifax (32) e alla sentenza Part Service (33), che era ancora pendente dinanzi alla Corte nel momento in cui è stato effettuato il rinvio pregiudiziale in questione. In quelle cause la Corte ha elaborato il principio del divieto dell’abuso di diritto sulla base della sesta direttiva (34) e ha fornito chiarimenti in merito alle condizioni cui è subordinata la possibilità di dichiarare che un’operazione costituisce una pratica abusiva ai fini dell’applicazione dell’IVA.

59.      Il giudice del rinvio si preoccupa quindi di garantire la corretta applicazione nella causa principale della norma comunitaria che vieta le pratiche abusive nel settore dell’IVA, ma si trova nell’impossibilità di farlo a causa del principio della cosa giudicata sancito dal diritto italiano. In forza di detto principio, il giudice del rinvio è obbligato ad accettare la constatazione, formulata in giudicati esterni relativi a periodi di imposta diversi, secondo cui l’operazione controversa non costituisce una pratica abusiva, anche se si tratta, a suo parere, di una constatazione inesatta.

60.      Infatti, come hanno rilevato le parti del presente procedimento, le circostanze del caso di specie presentano scarse analogie con quelle di cui alla causa Lucchini (35). Nel contesto in esame, il giudice del rinvio ha posto l’accento sul fatto che la controversia si colloca nel settore dell’IVA, vale a dire un settore regolamentato dalle autorità fiscali e dai giudici nazionali, e non riguarda l’esercizio di una competenza esclusiva della Comunità.

61.      A mio parere, invece, la sentenza Lucchini non è caratterizzata dalla sua «peculiarità», nel senso che il diritto comunitario osta all’applicazione di nozioni nazionali del principio della cosa giudicata solo nei casi implicanti una competenza esclusiva della Commissione, come in materia di aiuti di Stato.

62.      A tale riguardo si possono formulare due osservazioni. In primo luogo, si deve ricordare che le esigenze del primato e dell’effetto utile valgono in generale per le disposizioni del diritto comunitario, comprese quelle della sesta direttiva, essendo irrilevante a tal fine che le norme scaturiscano dall’esercizio di una competenza esclusiva da parte della Commissione, come nella decisione di cui alla causa Lucchini (36), che ha dichiarato un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune.

63.      In secondo luogo, si può ritenere che, laddove sia implicata una competenza esclusiva della Commissione, la violazione di una norma comunitaria, o l’applicazione inesatta della stessa, sia strettamente connessa all’inosservanza della ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e la Comunità. In altre parole, se, ad esempio, un giudice nazionale adottasse una decisione contrastante con un regolamento o una direttiva comunitaria, esso di fatto sostituirebbe, al riguardo, la propria decisione a quella già adottata dalle istituzioni comunitarie competenti e riflessa nelle disposizioni comunitarie violate. In un certo senso, pertanto, ove l’applicazione di una norma comunitaria venga frustrata in uno Stato membro, emergono immancabilmente due questioni, ancorché a latere: quella della definizione dei limiti tra l’ordinamento giuridico comunitario e l’ordinamento nazionale e quella della competenza dei giudici nazionali in relazione a tali ordinamenti.

64.      Resta peraltro il fatto che, qualora, come nella causa Lucchini, la decisione del giudice nazionale intervenga in un settore soggetto alla competenza esclusiva della Commissione e rispetto al quale sia quindi chiaramente esclusa qualsiasi competenza di detto giudice, si rimette in discussione direttamente la ripartizione dei poteri tra la Comunità e gli Stati membri e la violazione del diritto comunitario determinata dalla sentenza in questione risulta particolarmente flagrante. Di conseguenza, viste, in sostanza, le flagranti violazioni del diritto comunitario sulle quali era fondata la sentenza in discussione nella causa Lucchini, l’autorità di cosa giudicata di tale sentenza doveva passare in secondo piano rispetto agli imperativi del primato e dell’effetto utile del diritto comunitario.

65.      Per contro, in casi concernenti settori come quello del sistema comunitario dell’IVA, che è solo parzialmente armonizzato (37), la distinzione tra la sfera del diritto comunitario e quella del diritto nazionale, e quindi la delimitazione della competenza del giudice nazionale, può risultare più sottile.

66.      Pertanto, non tutti gli errori commessi da un giudice nazionale nell’accertare l’esistenza di una pratica abusiva sotto il profilo dell’IVA sollevano una questione di legalità comunitaria: ad esempio, ove tale accertamento sia viziato da un’errata valutazione o in caso di mancata applicazione della nozione corretta di pratica abusiva, quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

67.      Ciò detto, è diversa anche la prospettiva dalla quale si deve esaminare il caso di specie. Il fattore chiave – che, a mio parere, depone a favore della soluzione affermativa della questione posta – va individuato nell’ambito particolare, e secondo me piuttosto inusuale, del principio della cosa giudicata quale applicabile nella causa principale e quale dev’essere esaminato in questa sede.

68.      Come comunemente interpretata, l’autorità di cosa giudicata attribuita a una sentenza osta a che la medesima questione o controversia – definita con riferimento all’oggetto, al fondamento normativo e alle parti in causa – venga ridiscussa in un procedimento successivo. Di regola, un siffatto identico procedimento si conclude con una dichiarazione di irricevibilità.

69.      Nel caso in esame, tuttavia, le sentenze che hanno acquistato forza di giudicato sono state pronunciate in procedimenti diversi vertenti sul prelievo dell’IVA con riferimento ad avvisi di rettifica emessi nel corso degli esercizi fiscali 1987 e 1992, mentre le annualità fiscali in discussione nella causa principale sono quelle comprese tra il 1988 e il 1991. Allo stesso modo, mentre esistono decisioni definitive relative al prelievo dell’IVA nel 1987 e nel 1992, le controversie tributarie in discussione nel procedimento principale sono tuttora pendenti.

70.      Pertanto, la controversia principale, pur presentando varie analogie con le controversie tributarie definite dalle due sentenze definitive sopra menzionate, dev’essere considerata, nella parte vertente su periodi d’imposta diversi, sostanzialmente differente per quanto riguarda l’oggetto.

71.      Di conseguenza, come risulta dall’ordinanza di rinvio, il giudice a quo non intende dichiarare irricevibile il ricorso nella sua interezza. Semmai, per effetto del principio della cosa giudicata (quale applicabile nella causa principale), esso si considera vincolato sotto taluni aspetti dalle sentenze definitive in questione, vale a dire per quanto riguarda la valutazione del contratto del 27 dicembre 1985, con la conseguenza che detto giudice non può accertare, nella controversia di cui deve conoscere, se tale contratto costituisca una pratica abusiva secondo la definizione del diritto comunitario.

72.      Alla luce di quanto precede, si deve rilevare, in primo luogo, che in tali circostanze le considerazioni relative alla certezza del diritto valgono solo in relazione a una parte degli accertamenti consacrati nelle sentenze che hanno acquistato forza di giudicato, e non in relazione a tali sentenze nella loro interezza.

73.      In secondo luogo, le circostanze di cui alla causa principale sono diverse da quelle che hanno dato luogo alle sentenze Eco Swiss (38) o Kapferer (39) – richiamate dall’Olimpiclub –, nelle quali la Corte era chiamata a decidere se una decisione che ha acquistato autorità di cosa giudicata debba essere annullata o modificata nel caso in cui risulti contraria al diritto comunitario. Nella specie, per contro, le sentenze definitive in questione, che sono state pronunciate in relazione ad esercizi fiscali diversi, non vengono rimesse in discussione in quanto tali dalla decisione che il giudice del rinvio è chiamato ad adottare nella controversia principale in relazione al pagamento dell’IVA negli esercizi fiscali controversi.

74.      Sotto questo profilo, la situazione in esame è invece comparabile a quella di cui alla sentenza Köbler, nella quale la Corte ha respinto l’argomento, basato sulla forza del giudicato, che veniva opposto al riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, in quanto tale riconoscimento non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità di cosa giudicata di detta decisione (40).

75.      Nella specie, quindi, a mio giudizio, non sussistono interessi sostanziali connessi alla certezza del diritto che possano prevalere rispetto all’obbligo incombente al giudice a quo di applicare e dare piena efficacia al diritto comunitario, in questo caso al divieto di pratiche abusive nel settore dell’IVA. Pertanto, si deve concludere che il diritto comunitario osta all’applicazione di una norma che sancisce il principio della cosa giudicata con la portata e gli effetti in discussione nel caso di specie.

76.      Alla luce delle suesposte considerazioni, la questione sottoposta alla Corte dev’essere risolta nel senso che il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, quale l’art. 2909 del codice civile italiano diretta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, ove l’applicazione di detta disposizione, come interpretata dai giudici nazionali, impedisca a un giudice nazionale, in una controversia come quella principale, vertente sul pagamento dell’IVA, di accertare correttamente e conformemente al diritto comunitario l’esistenza di pratiche abusive, qualora una decisione sullo stesso oggetto sia già contenuta in una sentenza definitiva pronunciata da un giudice diverso (giudicato esterno) in relazione a un diverso periodo d’imposta.

V –    Conclusione

77.      Pertanto, propongo alla Corte di risolvere come segue la questione posta:

«Il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, quale l’art. 2909 del codice civile italiano, diretta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, ove l’applicazione di detta disposizione, come interpretata dai giudici nazionali, impedisca a un giudice nazionale, in una controversia come quella principale, vertente sul pagamento dell’IVA, di accertare correttamente e conformemente al diritto comunitario l’esistenza di pratiche abusive, qualora una decisione sullo stesso oggetto sia già contenuta in una sentenza definitiva pronunciata da un giudice diverso (giudicato esterno) in relazione a un diverso periodo d’imposta».


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Sentenza 18 luglio 2007, causa C-119/05 (Racc. pag. I-6199).


3 – La Corte di cassazione fa riferimento alle proprie sentenze nn. 13919/06, 16258/07 e 25681/06.


4 – In tale contesto si fa riferimento, in particolare, alle sentenze 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax (Racc. pag. I-1609), e 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service (Racc. pag. I-897).


5 – Il giudice del rinvio fa riferimento, in particolare, alle sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I-4599); 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel (Racc. pag. I-4705), e 27 febbraio 2003, causa C-327/00, Santex (Racc. pag. I-1877).


6 – Cit. alla nota 2.


7 – In tale contesto si fa riferimento, in particolare, alle sentenze 1° giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss (Racc. pag. I-3055); 28 giugno 2001, causa C-118/00, Larsy (Racc. pag. I-5063); 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells (Racc. pag. I-723), e 13 gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz (Racc. pag. I-837).


8 – Cit. alla nota 2.


9 – Cit. alla nota 7.


10 – Sentenza 16 marzo 2006, causa C-234/04 (Racc. pag. I-2585).


11 – Cit. alla nota 7.


12 – Cit. alla nota 7.


13 – Cit. alla nota 2.


14 – In tal senso, v., ad esempio, sentenza 23 novembre 1995, causa C-476/93 P, Nutral/Commissione (Racc. pag. I-4125, punto 14).


15 – In tal senso, v., in particolare, sentenze 21 settembre 1983, cause riunite da 205/82 a 215/82, Deutsche Milchkontor e a. (Racc. pag. 2633, punto 17); 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe/Landwirtschaftskammer Saarland (Racc. pag. 1989, punto 5), e Peterbroeck, cit. alla nota 5 (punto 12).


16 – In tal senso v., ad esempio, sentenze Kapferer, cit. alla nota 10 (punto 22); Wells, cit. alla nota 7 (punto 67), e 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a. (Racc. pag. I-3201, punto 31).


17 – V. anche sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa (Racc. pag. 1129). Va rilevato che, generalmente, la soluzione di un conflitto di norme in base a tale principio può risultare meno semplice qualora l’applicazione del diritto comunitario sia indirettamente ostacolata dal contesto procedurale e istituzionale interno laddove, ad esempio, il diritto comunitario collida direttamente con una disposizione sostanziale del diritto interno. Per riprendere la mia precedente metafora, la risposta alla domanda se i «canali» procedurali e istituzionali interni attraverso i quali deve operare il diritto comunitario siano «sufficientemente ampi» – nel senso che la norma comunitaria in questione può essere effettivamente applicata – ha carattere graduale e impone in realtà di contemperare, da un lato, l’interesse a conservare l’integrità delle norme nazionali di cui trattasi e, dall’altro, le prescrizioni del diritto comunitario relative al suo primato e alla sua piena efficacia.


18 – In tal senso, v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629, punti 21-24); 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a. (Racc. pag. I-2433, punti 19-21), nonché Larsy, cit. alla nota 7 (punti 51 e 52), Kühne & Heitz, cit. alla nota 7 (punto 20), e Lucchini, cit. alla nota 2 (punto 61).


19 – Per un’impostazione analoga, v. conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Kühne & Heitz, cit. alla nota 7 (in particolare paragrafi 45, 58 e 75), e dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor (Racc. pag. I-8559, paragrafo 69).


20 – In tal senso, v., in particolare, sentenze Kühne & Heitz, cit. alla nota 7 (punto 24); Eco Swiss, cit. alla nota 7 (punto 46), e 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Willy Kempter (Racc. pag. I-411, punto 37).


21 – V., in tal senso, sentenze Eco Swiss, cit. alla nota 7 (punti 46 e 47); 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler (Racc. pag. I-10239, punto 38), e Kapferer, cit. alla nota 10 (punto 20); v. anche, per quanto riguarda le decisioni amministrative, sentenze i-21 Germany e Arcor, cit. alla nota 19 (punto 51), e Kühne & Heitz, cit. alla nota 7 (punto 24).


22 – V., in tal senso, sentenze Kapferer, cit. alla nota 10 (punto 21), ed Eco Swiss, cit. alla nota 7 (punti 46 e 47).


23 – V., in tal senso, sentenza 22 marzo 1961, cause riunite 42/59 e 49/59, SNUPAT/Alta Autorità (Racc. pag. 99); i-21 Germany e Arcor, cit. alla nota 19 (punto 52), e conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella medesima causa (paragrafo 76).


24 – V., in proposito, sentenze Kühne & Heitz, cit. alla nota 7 (punto 27); i-21 Germany e Arcor, cit. alla nota 19 (punto 52); Willy Kempter, cit. alla nota 20 (punto 38), e Lucchini, cit. alla nota 2 (punto 63).


25 – V. sentenza Kühne & Heitz (punti 26 e 27): in primo luogo, l’organo amministrativo deve disporre, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; in secondo luogo, la decisione amministrativa in questione dev’essere divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; in terzo luogo, tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, deve risultare fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni previste all’art. 234, terzo comma, CE; in quarto luogo, l’interessato dev’essersi rivolto all’organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta giurisprudenza della Corte.


26 – V. punti 26 e 28 della sentenza.


27 – V. punti 52-54 della sentenza i-21 Germany e Arcor.


28 – Vale a dire, la condizione che l’organo amministrativo interessato disponga, in virtù del diritto nazionale, del potere di tornare sulla decisione; v. sentenza Kapferer, cit. alla nota 10 (punto 23).


29 – V. sentenza Lucchini, cit. alla nota 2 (punti 60-63).


30 – In tal senso v., in particolare, punti 52, 59 e 62 della sentenza.


31 – Tenendo conto di fattori quali lo specifico contesto procedurale in cui opera il giudice o l’organo amministrativo, se ed entro quali limiti i giudici o le amministrazioni abbiano assolto i propri obblighi per quanto riguarda l’applicazione e l’attuazione del diritto comunitario e se le parti si siano avvalse dei mezzi disponibili per fare valere i loro diritti.


32 – Cit. alla nota 4.


33 – Cit. alla nota 4.


34 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE (GU L 102, pag. 18) (in prosieguo: la «sesta direttiva»).


35 – Cit. alla nota 2.


36 – Cit. alla nota 2.


37 – Sentenza 12 giugno 2008, causa C-462/05, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-4183) punto 51).


38 – Cit. alla nota 7.


39 – Cit. alla nota 10.


40 – Cit. alla nota 21 (punto 39). La Corte ha rilevato, in quel contesto, che un procedimento inteso a far dichiarare la responsabilità dello Stato non ha lo stesso oggetto e non implica necessariamente le stesse parti del procedimento da cui è scaturita la decisione che ha acquisito l’autorità della cosa definitivamente giudicata.