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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 9 luglio 2009 1(1)

Causa C-182/08

Glaxo Wellcome GmbH & Co.

contro

Finanzamt München II

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesfinanzhof (Germania)]

«Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Imposta sulle società – Distribuzione di dividendi – Credito d’imposta – Trattamento distinto degli azionisti residenti e degli azionisti non residenti – Convenzione bilaterale preventiva della doppia imposizione – Vantaggi fiscali relativi alla detraibilità delle perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni – Esclusione nel caso in cui l’azionista residente abbia acquistato la sua partecipazione da un’azionista non residente – Ostacolo – Giustificazione – Lotta contro l’evasione fiscale – Proporzionalità»





1.        L’interpretazione che viene chiesta con il presente rinvio pregiudiziale riguarda una normativa tributaria che si inserisce in un regime nazionale volto a prevenire la doppia imposizione economica all’atto della distribuzione dei dividendi da parte di una società residente ai propri azionisti.

2.        Si tratta di stabilire se uno Stato membro possa limitare la possibilità per un soggetto passivo residente di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento parziale di partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le proprie quote da un azionista che risiede in un altro Stato membro.

3.        La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la Glaxo Wellcome GmbH & Co. e il Finanzamt München II (2) avente ad oggetto la determinazione degli utili imponibili maturati dalla prima tra il 1995 e il 1998. La controversia si inserisce nell’ambito della ristrutturazione complessiva del gruppo Glaxo Wellcome, le cui società sono stabilite in Stati membri diversi, nella specie la Repubblica federale di Germania e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

4.        Conformemente alla normativa tedesca applicabile, un azionista che risiede in Germania e che percepisce un dividendo di una società avente sede nel medesimo Stato membro può dedurre dai propri redditi imponibili non solo l’ammontare dell’imposta che la società distributrice abbia già pagato sui propri utili, e ciò grazie ad un credito d’imposta, ma altresì le riduzioni di utili dovute al deprezzamento delle sue quote sociali.

5.        In via di principio, il credito d’imposta è riservato ai soli azionisti residenti. Tuttavia, è stato possibile aggirare questa normativa per consentire agli azionisti residenti in un altro Stato membro, e che non sono soggetti ad imposta in questo Stato, di godere indebitamente di questo vantaggio fiscale.

6.        Allo scopo di contrastare questa prassi il governo tedesco ha adottato la misura fiscale controversa.

7.        Nella presente causa la Corte è chiamata ad esaminare se una misura di questo tipo costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE o ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE ed eventualmente se tale restrizione possa essere giustificata.

8.        Ai fini di detta analisi, suggerirò alla Corte di esaminare, in via preliminare, la compatibilità alla luce del diritto comunitario, e in particolare dell’art. 56 CE, del sistema cui appartiene la misura fiscale controversa, diretta ad escludere dal beneficio del credito d’imposta gli azionisti che non risiedono in Germania.

9.        Successivamente, sulla base delle conclusioni di questa prima analisi, inviterò la Corte a valutare se l’art. 56 CE osti ad una normativa di uno Stato membro che limita la possibilità per un contribuente residente di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le proprie quote sociali da un contribuente che risiede in un altro Stato membro, mentre riconosce tale possibilità ad un soggetto passivo che le abbia acquistate da un contribuente residente.

10.      Nelle presenti conclusioni sosterrò che una normativa di questo tipo costituisce effettivamente una restrizione ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56 CE. Spiegherò peraltro in che misura tale restrizione può essere giustificata dalla necessità di prevenire l’evasione fiscale e chiarirò in quali condizioni la si può giudicare proporzionata al suddetto obiettivo.

I –    Il contesto normativo

A –    Il diritto comunitario

11.      L’art. 43, primo comma, CE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, la libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese.

12.      In forza dell’art. 48, primo comma, CE, dei diritti previsti dall’art. 43 CE beneficiano anche le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità europea.

13.      Inoltre, a termini dell’art. 56, n. 1, CE, sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Stati terzi (3).

14.      Sono tuttavia previste deroghe al suddetto principio, enunciate agli artt. 57 CE e 58 CE. L’art. 57 CE riguarda unicamente le relazioni con gli Stati terzi e verte sui movimenti di capitali considerati come particolarmente sensibili.

15.      L’art. 58 CE descrive invece le competenze riservate degli Stati membri, che consentono a questi di limitare i movimenti di capitali diretti verso o provenienti tanto da Stati membri quanto da Stati terzi. Esso dispone quanto segue:

«1.   Le disposizioni dell’articolo 56 [CE] non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

a)      di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

b)      di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

(…)

3.      Le misure e le procedure di cui [al paragrafo 1] (…) non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56 [CE]».

16.      Dalla giurisprudenza emerge che i provvedimenti considerati indispensabili per impedire le infrazioni alle leggi e ai regolamenti di uno Stato membro comprendono, in particolare, i provvedimenti intesi a combattere l’evasione fiscale (4).

17.      Inoltre, l’elenco delle misure che giustificano una restrizione della libera circolazione di capitali, contenute nell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, non è esaustivo. La Corte ha ammesso che la libera circolazione di capitali, alla stregua delle altre libertà di circolazione, può essere limitata sulla base di altri motivi, riconducibili a ragioni o a esigenze imperative e d’interesse generale (5). È stato infatti più volte affermato che la necessità di salvaguardare la coerenza di un regime fiscale nazionale e quella di combattere contro le costruzioni artificiose costituiscono un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione alla libera circolazione dei capitali (6). 

18.      Tuttavia, a prescindere dal motivo invocato, è rilevante che la misura di cui trattasi risulti idonea al conseguimento dell’obiettivo perseguito e che non vada oltre quanto necessario a tal fine.

B –    Il diritto nazionale

1.      Il regime tedesco in materia di trattamento fiscale degli utili distribuiti

a)      La situazione dei soci residenti

19.      Le persone fisiche considerate fiscalmente residenti in Germania sono soggette ad imposta sull’insieme dei loro redditi mondiali nell’ambito del cosiddetto regime «dell’imposizione illimitata» o «dell’obbligo tributario integrale».

20.      Allorché percepiscono un dividendo, tali persone possono dedurre dai propri redditi imponibili, da un lato, l’importo dell’imposta sulle società che la società distributrice abbia già pagato e, dall’altro lato, le perdite dovute ad un ammortamento parziale sul valore delle partecipazioni da esse possedute in tale società.

i)      Il sistema di imputazione integrale e il credito d’imposta concesso agli azionisti residenti

21.      La Repubblica federale di Germania applica un sistema di imposizione detto «d’imputazione integrale» a favore dei contribuenti residenti. Questo sistema permette di evitare la doppia imposizione economica che si verificherebbe all’atto della distribuzione di dividendi. Infatti, questi ultimi sono oggetto di imposta presso due contribuenti diversi, una prima volta presso la società nell’ambito dell’imposta sugli utili, e una seconda volta presso il socio cui sono distribuiti, nell’ambito dell’imposta sulle società o dell’imposta sul reddito, a seconda che tale socio sia una società o un privato.

22.      In forza di detto sistema, qualsiasi distribuzione di dividendi da parte di una società residente ad un azionista residente produce, a beneficio di quest’ultimo, un credito d’imposta corrispondente alla frazione dell’ammontare dell’imposta sulle società versata dalla società distributrice. Tale credito d’imposta è imputato sia sull’imposta sul reddito del socio, nel caso in cui si tratti di una persona fisica (7), sia sull’imposta sulle società, nel caso in cui si tratti di una persona giuridica (8). Il credito d’imposta può quindi essere dedotto dall’importo dovuto dall’azionista a titolo dei propri redditi imponibili.

23.      Ai sensi dell’art. 36, n. 4, secondo comma, dell’EStG, tale imputazione può trasformarsi in un rimborso se il debito fiscale del contribuente è inferiore all’ammontare dell’imposta sulle società che è stata prelevata a monte.

24.      L’effetto di tali disposizioni è che gli utili distribuiti da società residenti sono soggetti ad imposta una volta a carico delle società e sono imputati a carico del socio finale solo nei limiti in cui l’imposta sul reddito o l’imposta sulle società di quest’ultimo ecceda il credito d’imposta cui egli ha diritto.

ii)    L’ammortamento parziale sul valore delle partecipazioni

25.      Come ho accennato, il contribuente tedesco può altresì dedurre dai propri redditi imponibili le perdite legate all’ammortamento parziale delle partecipazioni che egli possiede in una società. L’ammortamento parziale corrisponde alla diminuzione del prezzo dell’azione nel momento in cui vengono distribuiti i dividendi della società. In linea di principio, il prezzo dell’azione viene ridotto dell’importo degli utili distribuiti. Pertanto, quando la partecipazione del contribuente in una società fa parte del suo capitale di gestione, l’art. 6, n. 1, punto 1, dell’EStG gli permette di ridurre, al momento della percezione del dividendo, il valore di tale partecipazione nel suo bilancio fiscale.

b)      La situazione degli azionisti non residenti

26.      In linea di principio, i contribuenti che non risiedono in Germania non sono soggetti ad imposta sugli utili che percepiscono a seguito di una distribuzione di dividendi da parte di una società residente o di una cessione delle quote da essi possedute in tale società. Essi non beneficiano del sistema di imputazione integrale previsto dal regime fiscale tedesco e non possono quindi avere diritto al relativo credito d’imposta.

27.      Tuttavia, il 26 novembre 1964 la Repubblica federale di Germania ha stipulato con il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord una convenzione relativa all’eliminazione della doppia imposizione e alla prevenzione dell’evasione fiscale (9).

28.      Ai sensi dell’art. III della convenzione, le società con sede nel Regno Unito sono soggette all’imposta sulle società in Germania solo se svolgono la loro attività attraverso organismi stabili aventi sede in Germania.

29.      Inoltre, ai sensi dell’art. XVIII, primo comma, lett. b), della stessa convenzione, esse possono beneficiare di un credito d’imposta legato alla distribuzione dei dividendi da parte di una società con sede in Germania qualora controllino direttamente o indirettamente almeno il 25% dei diritti di voto di tale società.

30.      La suddetta disposizione recita nel modo seguente:

«Fatto salvo quanto disposto dalla legge britannica sulla detraibilità dell’imposta dovuta in un territorio al di fuori del Regno Unito sull’imposta dovuta nel Regno Unito (senza pregiudizio per i principi generali qui stabiliti), il credito d’imposta è accordato:

(…)

b)      Quando una società residente nella Repubblica federale [di Germania] paga un dividendo ad una società residente nel Regno Unito e che controlla direttamente o indirettamente almeno il 25 per cento dei diritti di voto della prima società, nel calcolo dell’imputazione si tiene conto (…) dell’imposta dovuta alla Repubblica federale [di Germania] da parte della società sugli utili che servono al pagamento del dividendo».

c)      L’art. 50c, nn. 1 e 4, dell’EStG

31.      Tale disposizione riguarda i casi in cui un contribuente che ha diritto alla detrazione dell’imposta acquista da un venditore privo di tale diritto una partecipazione in una società stabilita in Germania.

32.      L’art. 50 dell’EStG, nel testo di cui alla legge per il miglioramento delle condizioni fiscali finalizzato alla tutela della posizione economica della Germania nel mercato interno europeo (10), recita nel modo seguente:

«1)   Il soggetto passivo legittimato alla detrazione dell’imposta sulle società che acquisti una partecipazione in una società di capitali tenuta (…) ad un obbligo tributario illimitato da un socio non legittimato a tale detrazione (…) non può tener conto, nella determinazione degli utili, di diminuzioni degli utili derivanti:

1.      dalla contabilizzazione del valore parziale inferiore o

2.      dalla cessione o dal prelievo della partecipazione,

nell’anno dell’acquisto o in uno dei successivi nove, purché la contabilizzazione del valore parziale inferiore o qualunque altra diminuzione degli utili possa ricondursi in modo esclusivo a distribuzioni o a trasferimenti degli utili in attuazione di accordi di controllo, e le diminuzioni degli utili non siano complessivamente superiori all’importo di blocco ai sensi del n. 4.

(…)

4.     L’importo di blocco corrisponde all’importo differenziale tra i costi di acquisto ed il valore nominale della partecipazione».

2.      Il regime tedesco sulla fiscalità delle ristrutturazioni di imprese

33.      Il sistema previsto dall’art. 50c dell’EStG può riguardare anche due tipi di operazioni assimilate ad una distribuzione di dividendi, che si possono verificare nell’ambito di talune ristrutturazioni di imprese. Si tratta, in primo luogo, del caso di trasferimenti di talune attività tra una società di capitali e una società di persone, previsto dall’art. 4, nn. 4-6, della legge sull’imposizione fiscale delle trasformazioni societarie, del 28 ottobre 1994 (11), e, in secondo luogo, del caso, soggetto a identiche disposizioni, di una società di capitali trasformata in una società di persone (12).

II – Fatti e procedimento nella causa principale

34.      Sintetizzerò i fatti che ritengo rilevanti ai fini del mio ragionamento nel modo seguente.

35.      La presente causa verte sulla determinazione degli utili imponibili della ricorrente nella causa principale a titolo del triennio 1995-1998. La ricorrente è una società con sede in Germania, costituita nella forma di società a responsabilità limitata in accomandita semplice. L’impresa deriva dalla fusione, avvenuta il 25 agosto 1995, tra la Glaxo Wellcome GmbH (in prosieguo: la «GW-GmbH») e la Wellcome GmbH (in prosieguo: la «W-GmbH»).

36.      La determinazione degli utili di detta impresa ha creato numerose difficoltà in quanto il gruppo Glaxo Wellcome cui essa appartiene è stato interessato da una ristrutturazione complessa nei mesi di giugno e luglio 1995.

37.      Nel quadro di tale ristrutturazione, la Glaxo Verwaltungs-GmbH (in prosieguo: la «GV-GmbH»), che è una controllata del gruppo con sede in Germania, ha acquistato, presso la propria società madre stabilita nel Regno Unito (13), l’insieme delle partecipazioni nella GW-GmbH. Secondo il Finanzamt, questa operazione ha generato un importo vincolato gravante sulle quote acquistate dalla ricorrente nella causa principale di importo pari a DEM 22 887 706.

38.      Allo stesso modo, la suddetta ricorrente ha acquistato, presso due società del gruppo con sede nel Regno Unito, l’insieme delle quote della W-GmbH, che è una controllata del gruppo stabilita in Germania. Secondo il Finanzamt, anche questa operazione ha prodotto un importo vincolato, pari a DEM 322 565 500, gravante sulle quote acquistate da tale controllata.

39.      Dinanzi al Finanzgericht München la ricorrente nella causa principale ha contestato la legittimità degli avvisi fiscali emanati dal Finanzamt, in particolare la contabilizzazione degli importi vincolati che esso aveva effettuato. Il suddetto giudice ha accolto il ricorso con sentenza 10 febbraio 2006. Il Finanzamt ha allora interposto appello dinanzi al Bundesfinanzhof (Germania) chiedendo l’annullamento di tale sentenza.

III – Il rinvio pregiudiziale

40.      Il Bundesfinanzhof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se [gli artt. 43 CE e 56 CE] ostino alla normativa di uno Stato membro la quale, nell’ambito di un sistema nazionale di imputazione dell’imposta sui redditi delle società, esclude che la diminuzione di valore delle quote di partecipazione dovuta a distribuzioni di utili possa influire sulla determinazione della base imponibile nel caso in cui un soggetto passivo, legittimato alla detrazione dell’imposta sui redditi delle società, abbia acquisito una quota di partecipazione di una società di capitali con illimitato obbligo d’imposta da un socio non legittimato alla suddetta detrazione, laddove, nel caso di acquisto da un socio legittimato a tale detrazione, detta diminuzione di valore comporta una siffatta riduzione della base imponibile del soggetto acquirente».

IV – Analisi

41.      Con la sua domanda pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 43 CE e 56 CE ostino alla normativa di uno Stato membro che limita la possibilità per un socio residente in detto Stato di dedurre dai propri utili imponibili le perdite relative all’ammortamento sul valore delle partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le sue quote da un socio residente in un altro Stato membro, mentre concede tale possibilità ad un contribuente che abbia acquistato le sue quote da un socio residente.

42.      La domanda solleva quindi due interrogativi. Essa porta a stabilire, anzitutto, se la normativa di cui trattasi debba essere analizzata come una restrizione alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’art. 43 CE o alla circolazione dei capitali, ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE. In caso di soluzione affermativa al primo interrogativo, si tratta poi di accertare se siffatta restrizione possa essere giustificata.

43.      Prima di esaminare la questione sollevata dal giudice del rinvio, ritengo opportuno ricordare gli orientamenti della giurisprudenza relativa alla delimitazione della competenza degli Stati membri in materia di tassazione dei dividendi, in particolare quelli riguardanti i meccanismi destinati a prevenire i casi di doppia imposizione sugli utili di una società e quelli relativi all’impatto delle convenzioni bilaterali (14).

A –    Gli orientamenti della giurisprudenza

1.      Ambito generale

44.      La tassazione dei dividendi rientra nell’ambito della fiscalità diretta, che, sino ad oggi, non costituisce oggetto di un’espressa attribuzione di competenza alla Comunità (15). Gli Stati membri possono quindi determinare sovranamente le condizioni del loro potere impositivo, vale a dire l’aliquota, la base imponibile, le modalità di riscossione e l’ambito di applicazione del loro potere impositivo, in maniera unilaterale o convenzionale, mediante convenzioni internazionali (16).

45.      Tuttavia, come ricorda costantemente la Corte, tale competenza deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e, in particolare, delle libertà di circolazione previste dal Trattato (17). 

46.      La delimitazione della competenza degli Stati membri dettata da tali libertà di circolazione si è tradotta in due principi. Il primo è il divieto di misure discriminatorie. In forza di tale principio, il contribuente proveniente da un altro Stato membro non deve costituire oggetto di un trattamento fiscale discriminatorio da parte dello Stato membro di accoglienza. Il secondo principio consiste nel divieto, per lo Stato membro di origine, di ostacolare la libertà di circolazione dei suoi cittadini. Si tratta del divieto relativo agli «ostacoli all’uscita».

47.      Nell’ambito della libertà di circolazione dei capitali applicata all’imposizione sugli utili delle società, questi due principi si traducono nella giurisprudenza, da un lato, nel divieto di misure fiscali di uno Stato membro che ostacolino la raccolta, da parte di società estere, di capitali in tale Stato e, dall’altro, nel divieto di misure fiscali di uno Stato membro che dissuadano i contribuenti di tale Stato dall’investire i loro capitali in società stabilite all’estero.

48.      Conformemente al principio di non discriminazione, uno Stato membro non può applicare norme fiscali diverse a situazioni analoghe ovvero la stessa norma fiscale a situazioni diverse (18). Inoltre, tale principio non vieta solo le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza (19). Esso osta anche a tutte quelle che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conducano allo stesso risultato.

49.      Come ho già evidenziato nelle conclusioni relative alla causa che ha dato luogo alla citata sentenza Orange European Smallcap Fund, nel settore della fiscalità diretta il principio di non discriminazione e la competenza riservata degli Stati membri hanno avuto modo di assumere opposto rilievo, in particolare, a proposito dei provvedimenti nazionali che prevedono un trattamento distinto in funzione della residenza del contribuente.

50.      Da un lato, infatti, il criterio della residenza fiscale è quello che, in linea di principio, delimita le rispettive competenze impositive degli Stati membri. Così, gli Stati membri, di regola, assoggettano ad imposta i contribuenti persone fisiche e persone giuridiche residenti nel loro territorio e possono tassare i contribuenti non residenti sugli utili che risultano da un’attività esercitata nel detto territorio. Analogamente, essi prevedono vantaggi fiscali il cui beneficio è limitato ai contribuenti residenti, come nel caso delle misure destinate a tener conto delle situazioni personali e familiari, elementi che essi sono nella posizione migliore per valutare. A tal proposito, la Corte ha dichiarato che la situazione dei contribuenti residenti e quella dei contribuenti non residenti non sono di regola analoghe (20). 

51.      Dall’altro lato, una normativa nazionale di uno Stato membro che riserva vantaggi fiscali ai residenti del territorio nazionale è a beneficio principalmente dei cittadini di tale Stato, in quanto, nella maggior parte dei casi, i non residenti sono perlopiù cittadini di altri Stati. Una normativa fondata sul criterio della residenza può quindi costituire una discriminazione indiretta legata alla cittadinanza (21).

52.      Come la Corte ha di recente ricordato nella sentenza Persche (22), tale opposto rilievo trova formulazione nell’art. 58, n. 1, lett. a), CE. Ai sensi di tale disposizione, l’art. 56 CE non pregiudica il diritto degli Stati membri di stabilire, nella loro legislazione fiscale, una distinzione tra contribuenti che non si trovino nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale, a condizione tuttavia che tali disposizioni non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti, vietate dal n. 3 del suddetto art. 58.

53.      Pertanto, una normativa nazionale che opera una distinzione tra i contribuenti in funzione del loro luogo di residenza o del luogo di collocamento del loro capitale può essere considerata compatibile con gli artt. 56 CE e 58 CE solo se tale differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente paragonabili ai fini dell’applicazione della misura fiscale di cui trattasi (23). In forza di un consolidata giurisprudenza, questo esame dev’essere effettuato in concreto (24).

54.      In caso contrario, se le situazioni a confronto sono obiettivamente paragonabili, una tale distinzione, secondo la giurisprudenza, è conforme al diritto comunitario solo se è giustificata da uno dei motivi di cui all’art. 58, n. 1, lett. b), CE o da motivi imperativi di interesse generale, quale la necessità di salvaguardare la coerenza del regime tributario o di assicurare l’efficacia dei controlli fiscali. Inoltre, per essere giustificata, tale differenza di trattamento non deve eccedere quanto è necessario perché sia raggiunto l’obiettivo perseguito dalla normativa in questione (25).

2.      Misure dirette a prevenire o attenuare una doppia imposizione

55.      In diverse sentenze, la Corte ha precisato la portata di tale delimitazione generale della competenza degli Stati membri in materia di fiscalità diretta nel caso di provvedimenti statali, unilaterali o convenzionali, diretti a prevenire o ad attenuare una doppia imposizione sugli utili distribuiti dalle società.

56.      In primo luogo, occorre ricordare che gli utili di una società possono costituire oggetto di una doppia imposizione in vari casi. Ad esempio, essi possono formare oggetto di un’«imposizione a catena» o di una «doppia imposizione economica» qualora siano tassati in capo a due contribuenti diversi, una prima volta presso la società nell’ambito dell’imposizione sugli utili, una seconda volta presso l’azionista al quale essi sono distribuiti, in sede di applicazione dell’imposta sulle società o dell’imposta sui redditi, a seconda che tale azionista sia una società o un privato (26).

57.      Tali utili possono anche costituire oggetto di una «doppia imposizione giuridica», qualora uno stesso contribuente sia soggetto a due imposizioni sullo stesso reddito. Questa situazione può verificarsi quando l’azionista che riceve i dividendi è soggetto, da un lato, ad una ritenuta alla fonte su tali dividendi da parte dello Stato membro nel quale la società distributrice è stabilita e, dall’altro, all’imposta sui redditi a titolo di tali dividendi nel suo Stato di residenza.

58.      L’interpretazione della giurisprudenza in tale materia parte dalla premessa secondo cui una doppia imposizione non è, in linea generale, contraria al diritto comunitario.

59.      Infatti, nessuna misura relativa alla ripartizione delle competenze tra gli Stati membri diretta a eliminare le doppie imposizioni è stata adottata nell’ambito del Trattato. Le doppie imposizioni sono vietate solo da alcune direttive, come la direttiva del Consiglio 90/435/CEE (27). Inoltre, fatta eccezione per la convenzione 90/436/CEE (28), gli Stati membri non hanno stipulato nessuna convenzione multilaterale a tal fine, ai sensi dell’art. 293 CE (29).

60.      Da tale premessa derivano due conseguenze. Da un lato, se una doppia imposizione risulta dall’esercizio da parte degli Stati membri delle rispettive competenze, quali l’imposizione sul reddito di un contribuente da parte dello Stato di residenza e l’imposizione sui dividendi del medesimo contribuente da parte di uno Stato nel cui territorio tali dividendi sono stati percepiti, essa non costituisce, in quanto tale, un’infrazione al diritto comunitario (30).

61.      Dall’altro, in mancanza di specifiche misure e di una convenzione multilaterale a tal fine, gli Stati membri sono liberi di fissare i criteri per la ripartizione tra di essi del potere impositivo e di adottare, unilateralmente o attraverso convenzioni bilaterali, le misure necessarie per prevenire i casi di doppia imposizione (31). Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri, nell’ambito di misure tanto unilaterali che convenzionali, devono rispettare i precetti del diritto comunitario e, in particolare, quelli derivanti dalle libertà di circolazione (32).

62.      Diverse cause hanno consentito alla Corte di chiarire la portata di tale obbligo per quanto riguarda la tassazione da parte degli Stati membri, da un lato, dei dividendi distribuiti all’interno del paese, come Stato di residenza dell’azionista, e, dall’altro, dei dividendi versati all’estero, come Stato della fonte di tali dividendi (33).

63.      Per quanto riguarda la tassazione dei dividendi distribuiti all’interno del paese, risulta dalla giurisprudenza che, se uno Stato membro assoggetta ad imposta l’insieme dei dividendi che i contribuenti residenti percepiscono e adotta delle disposizioni per prevenire o attenuare la doppia imposizione economica di tali dividendi, esso non può limitare il vantaggio di tali disposizioni ai dividendi di origine nazionale, ma deve estendere tale vantaggio ai dividendi versati dalle società stabilite in altri Stati membri (34).

64.      La Corte ha dichiarato che tale parità di trattamento s’imponeva in quanto, alla luce della finalità di tali disposizioni, la situazione di un contribuente che percepiva dividendi provenienti da altri Stati membri era paragonabile a quella di un contribuente che percepiva dividendi di origine nazionale dal momento che, in entrambi i casi, tali dividendi potevano essere oggetto di un’imposizione a catena o di una doppia imposizione economica che le dette disposizioni avevano precisamente lo scopo di prevenire o attenuare (35).

65.      Per quanto riguarda la tassazione dei dividendi versati all’estero, la giurisprudenza è più sfumata. Qualora la società distributrice e l’azionista beneficiario non risiedano nello stesso Stato membro, la Corte ritiene che lo Stato membro della fonte degli utili non si trova, per quanto riguarda la prevenzione o l’attenuazione dell’imposizione a catena e della doppia imposizione economica, nella stessa posizione dello Stato membro di residenza dell’azionista beneficiario.

66.      Nella sua giurisprudenza la Corte distingue due fattispecie a seconda della competenza fiscale esercitata dallo Stato membro di residenza della società distributrice.

67.      La prima fattispecie è quella in cui tale Stato membro assoggetta all’imposta sul reddito non solo gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che percepiscono dalla società residente. In questo caso, secondo la Corte, tale Stato deve vigilare affinché, rispetto al meccanismo previsto dal suo diritto nazionale per prevenire o attenuare l’imposizione a catena, gli azionisti non residenti siano soggetti ad un trattamento equivalente a quello di cui beneficiano gli azionisti residenti (36).

68.      Nella fattispecie, la parità di trattamento s’impone allo Stato membro della fonte dei dividendi in quanto tale Stato ha deciso di esercitare la sua competenza fiscale non solo sui dividendi versati agli azionisti residenti, ma anche sui dividendi distribuiti agli azionisti non residenti (37). È il solo esercizio da parte di questo stesso Stato della sua competenza fiscale che, indipendentemente da ogni imposizione in un altro Stato membro, genera un rischio di imposizione a catena.

69.      Il secondo caso è quello in cui lo Stato membro di residenza della società che produce utili non assoggetta all’imposta gli azionisti beneficiari residenti in un altro Stato membro per i dividendi percepiti.

70.      In questo caso, per quanto riguarda l’applicazione della legislazione fiscale di tale Stato membro di residenza, la Corte ammette che la situazione degli azionisti residenti e quella degli azionisti non residenti non è comparabile (38).

71.      In primo luogo, essa ricorda che non spetta allo Stato di residenza della società distributrice assicurare che gli utili distribuiti ad un azionista non residente non siano colpiti da un’imposizione a catena o da una doppia imposizione economica: se così fosse, significherebbe infatti che il detto Stato debba rinunciare al suo diritto di assoggettare ad imposta un reddito generato da un’attività economica esercitata nel suo territorio. In secondo luogo, essa rileva che normalmente lo Stato membro di residenza dell’azionista finale è nella migliore posizione per valutare la capacità contributiva personale del detto azionista.

72.      In questi casi, secondo la Corte, la legislazione di uno Stato membro che, al momento di una distribuzione di dividendi da parte di una società residente, conceda alle società beneficiarie che risiedono nel detto Stato un credito d’imposta, ma non lo conceda alle società beneficiarie che risiedono in un altro Stato membro e che non sono assoggettate all’imposta in questo primo Stato a titolo di tali dividendi, non costituisce una discriminazione vietata dagli artt. 43 CE e 56 CE (39).

3.      Effetti delle convenzioni bilaterali

73.      L’esame della giurisprudenza relativa agli effetti delle convenzioni bilaterali in materia tributaria consente di trarre due indicazioni pertinenti per la presente causa.

74.      La prima indicazione è che i diritti derivanti dalle libertà di circolazione in seno all’Unione europea garantite dal Trattato sono assoluti e uno Stato membro non può far dipendere la loro osservanza dal contenuto di una convenzione stipulata con un altro Stato membro. In altri termini, uno Stato membro non può subordinare tali diritti ad una convenzione di reciprocità stipulata con un altro Stato membro allo scopo di ottenere vantaggi corrispondenti in tale Stato (40).

75.      La seconda indicazione è che, in presenza di una misura fiscale di uno Stato membro che ostacoli una libertà di circolazione prevista dal Trattato, una convenzione bilaterale può essere presa in conto qualora neutralizzi tale ostacolo (41). La Corte esamina se l’applicazione combinata della legislazione di cui trattasi e della convenzione bilaterale lasci sussistere una restrizione alla libertà di circolazione applicabile (42) o rinvii tale valutazione al giudice nazionale (43).

76.      È in riferimento a tali orientamenti della giurisprudenza che esaminerò la questione pregiudiziale sottoposta dal Bundesfinanzhof.

B –    Sulla libertà di circolazione applicabile

77.      Poiché il giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione tanto dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento, quanto dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali, occorre stabilire preliminarmente se e in quale misura una normativa come quella discussa nella causa principale sia idonea a pregiudicare tali libertà (44).

78.      Nella sua giurisprudenza recente la Corte ha fornito precisazioni riguardo alla delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali.

79.      Risulta da tale giurisprudenza che, quando la normativa di uno Stato membro, a motivo del suo oggetto, si applichi alle situazioni in cui una società detiene una partecipazione all’interno di un’altra società che le conferisce una sicura influenza sulle decisioni di quest’ultima e le consente di indirizzarne le attività, è alla luce delle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento e di queste soltanto che dev’essere esaminata la normativa di cui trattasi (45).

80.      Per contro, se la partecipazione dell’azionista nel capitale della società non gli conferisce una sicura influenza sulle decisioni della società stessa e non consente di indirizzarne le attività, si applicano solamente le disposizioni dell’art. 56 CE (46).

81.      La Corte ha inoltre dichiarato che una normativa nazionale che assoggetti la riscossione di dividendi ad un’imposta la cui aliquota dipende dall’origine, nazionale o meno, di tali dividendi a prescindere dall’entità della partecipazione detenuta dall’azionista nella società distributrice, può rientrare nell’ambito di applicazione sia dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento, sia dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali (47).

82.      Secondo una giurisprudenza allo stato consolidata, per stabilire se una normativa nazionale rientri nell’una o nell’altra libertà, occorre prendere in considerazione l’oggetto della normativa in questione (48).

83.      Secondo la Commissione delle Comunità europee, lo scopo di tale normativa è di fissare le condizioni in cui le imprese possono investire nel capitale sociale di un’altra impresa. Di conseguenza, essa sostiene, la compatibilità della normativa controversa dev’essere esaminata con riferimento alle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali.

84.      Da parte sua, il governo tedesco ritiene che la compatibilità della normativa controversa debba essere esaminata alla luce delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. A questo proposito, esso si basa sulla natura concreta delle partecipazioni di cui trattasi. Il governo tedesco osserva che l’applicazione della normativa in parola non dipende, in effetti, dall’entità della partecipazione che la società beneficiaria dei dividendi possedeva nella società distributrice, ma fa rilevare tuttavia che le due operazioni di acquisizione di cui trattasi sono finalizzate all’assunzione o al rafforzamento di una partecipazione di controllo. Di conseguenza, esso ritiene che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, vada applicato soltanto l’art. 43 CE.

85.      Quanto alla ricorrente nella causa principale, essa suggerisce di esaminare la compatibilità della suddetta normativa alla luce non solo della libertà di stabilimento, ma altresì della libera circolazione dei capitali.

86.      La normativa in esame limita, in sostanza, la possibilità per un azionista residente di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento parziale di partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le sue quote da un contribuente che risiede in un altro Stato membro, prima della distribuzione dei dividendi della società e ad un prezzo superiore al valore nominale delle partecipazioni. Tale normativa pertanto trova applicazione a prescindere dall’entità della partecipazione acquisita dall’azionista residente nel capitale della società residente distributrice. Di conseguenza, mi sembra che siffatta normativa possa rientrare tanto nell’ambito dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento, quanto dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali.

87.      Tuttavia, ritengo che la normativa di cui trattasi debba essere valutata unicamente alla luce dell’art. 56 CE, tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie e degli obiettivi perseguiti dal governo tedesco.

88.      Infatti, l’esame delle circostanze della presente causa indicano che la prassi seguita dalle imprese interessate non era affatto finalizzata ad assumere il controllo dell’impresa distributrice. Detta prassi si inseriva più in una logica di movimenti di capitali nell’ambito di un gruppo di società il cui sistema decisionale non ha subito modifiche a seguito delle cessioni di partecipazioni. Inoltre, lo spirito del sistema tedesco è quello di combattere le prassi dirette ad ottenere un indebito vantaggio fiscale attraverso l’acquisto e la successiva rivendita di azioni.

89.      Ritengo pertanto che la compatibilità della misura fiscale di cui trattasi con il diritto comunitario debba essere valutata alla luce delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali.

90.      Tuttavia, poiché l’art. 56 CE riguarda altresì le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e gli Stati terzi, faccio notare che le presenti conclusioni varranno nei limiti in cui la controversia si applica tra Stati membri.

91.      Occorre ora stabilire se la normativa tedesca in esame costituisca una restrizione ad un movimento di capitali e, in tal caso, se tale restrizione possa essere giustificata.

C –    L’esistenza di una restrizione ad un movimento di capitali

92.      Considerata la particolare complessità della misura fiscale di cui trattasi, ritengo necessario capire bene il regime e il contesto nei quali essa si inserisce.

1.      Il regime fiscale di base

93.      Come ho spiegato, il regime fiscale tedesco assoggetta ad imposta ogni azionista residente in Germania su tutti gli utili che gli vengono distribuiti. Al momento della distribuzione di dividendi, tale azionista può però dedurre dai propri redditi imponibili, da un lato, l’ammontare dell’imposta che la società distributrice ha già pagato e, dall’altro lato, le riduzioni di utili dovute ad un ammortamento parziale della partecipazione che egli possiede nella stessa società.

94.      Per quel che riguarda il credito d’imposta, abbiamo visto che è stato istituito per prevenire i rischi di doppia imposizione economica all’atto della distribuzione di dividendi da parte di una società residente ai propri azionisti. L’importo di tale credito corrisponde alla frazione dell’imposta sulle società che la società distributrice ha già pagato.

95.      In linea di principio, il credito d’imposta è concesso ai soli azionisti che beneficiano del diritto alla detraibilità dell’imposta, ossia ai contribuenti che risiedono in Germania.

96.      Mi par di capire che un credito d’imposta viene altresì concesso dal Regno Unito agli azionisti residenti in detto Stato e che possiedono almeno il 25% dei diritti di voto in una società con sede in Germania, in forza dell’art. XVIII, n. 1, lett. b), della convenzione (49).

97.      Pertanto, se non viene raggiunta la soglia del 25% stabilita dalla convenzione, gli azionisti che risiedono nel Regno Unito non beneficiano di nessun diritto al credito d’imposta collegato alla distribuzione dei dividendi di una società tedesca.

98.      La presente controversia si inserisce nel contesto appena descritto. Infatti, le partecipazioni possedute dai due azionisti britannici, ossia la GG-Ltd e la W-Ltd, nel capitale sociale della GW-GmbH e della W-GmbH, entrambe con sede in Germania, erano ampiamente al di sotto della suddetta soglia. Conformemente alle disposizioni della convenzione, tali partecipazioni non permettevano quindi ai suddetti azionisti di beneficiare di un credito di imposta nel Regno Unito al momento della distribuzione dei dividendi di tali società.

2.      L’art. 50c, nn. 1 e 4, dell’EStG

99.      Scopo di tale disposizione è di combattere una prassi che ha permesso a taluni azionisti stabiliti all’estero di beneficiare, in modo indebito e anticipato, del credito d’imposta riservato agli azionisti residenti.

100. In base alle indicazioni fornite dal governo tedesco nelle sue osservazioni, tale prassi è qui di seguito descritta (50):

–        prima della distribuzione degli utili della società residente, l’azionista stabilito all’estero cede la partecipazione che possiede in tale società ad un azionista residente il quale, in tale qualità, può beneficiare di un credito d’imposta collegato alla futura distribuzione dei dividendi.

–        Tale partecipazione è ceduta ad un prezzo superiore al suo valore nominale. Questa maggiorazione corrisponde al credito d’imposta che, in linea di principio, è collegato alla distribuzione dei dividendi della società, cui l’azionista estero non può avere diritto. La detta maggiorazione viene versata dall’acquirente sulla base delle proprie riserve tacite. Quanto al venditore, la maggiorazione gli consente di realizzare un plusvalore di cessione, che non è soggetto ad imposta in Germania, al quale si aggiunge quindi, in modo anticipato e indebito, il rimborso dell’ammontare dell’imposta che la società distributrice ha già pagato sui propri utili (51).

–        Al momento della distribuzione dei dividendi da parte della società residente, il nuovo azionista, contrariamente a quel che sarebbe avvenuto con il possessore iniziale, può beneficiare del credito d’imposta conformemente alla normativa applicabile.

–        Inoltre, a norma dell’art. 6, n. 1, dell’EStG, egli può dedurre dai propri utili imponibili le perdite legate all’ammortamento parziale delle sue partecipazioni.

–        Dopo la distribuzione dei dividendi, le partecipazioni sono a volte nuovamente cedute al portatore di quote non residente.

–        Per quanto riguarda l’azionista estero, la cessione della sua partecipazione prima della distribuzione degli utili ha quindi come conseguenza il fatto che egli ottiene, grazie ad prezzo di vendita «gonfiato», non soltanto gli utili soggetti ad imposta, ma altresì il credito d’imposta connesso alla distribuzione degli utili, senza al contempo essere soggetto ad imposta in Germania. In tal modo, il nuovo azionista residente usufruisce di un vantaggio che consiste nel diritto non solo al credito d’imposta, ma anche all’ammortamento parziale.

101. L’art. 50c dell’EStG è stato adottato dal governo tedesco allo scopo di combattere questa prassi e di garantire la coerenza del proprio regime fiscale.

102. Come emerge dall’esposizione dei motivi del progetto di legge riguardante tale disposizione, il legislatore tedesco voleva prevenire il «rischio (…) che portatori di quote non aventi diritto alla detraibilità [dell’imposta] si facessero pagare almeno in parte, in occasione della vendita di quote a portatori aventi diritto alla detraibilità [dell’imposta], l’imposta sulle società cui sono assoggettate le riserve» e che «[l]a distinzione, tipica del sistema di imputazione, tra i portatori di quote aventi diritto e non aventi diritto alla detrazione, non appa[risse] quindi, in molti casi, nel risultato economico». Da questa illustrazione dei motivi emerge che il legislatore tedesco voleva colpire, in particolare, le operazioni effettuate in seno ad un gruppo di società e, segnatamente, le cessioni di partecipazioni operate tra una società madre non residente e talune controllate stabilite in Germania.

103. L’art. 50c dell’EStG limita, in sostanza, il diritto del nuovo azionista di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento parziale delle partecipazioni che possiede in una società residente, nel caso in cui egli abbia acquistato le sue quote da un azionista che non risiede in Germania, prima della distribuzione dei dividendi della società.

104. Tale disposizione interessa tutti i contribuenti persone fisiche o imprese, appartenenti o meno allo stesso gruppo. Essa riguarda le perdite legate ad un ammortamento parziale delle partecipazioni nel corso dell’anno dell’acquisto o di uno dei successivi nove, e si riferisce unicamente alle diminuzioni di utili che si possano ricondurre ad un’operazione di distribuzione o di trasferimento di utili in attuazione di un accordo di controllo.

105. La suddetta disposizione è applicabile nel caso in cui il nuovo azionista abbia acquistato le proprie quote ad un prezzo superiore al loro valore nominale. Detto importo, che corrisponde alla differenza tra il prezzo di acquisto pagato dall’azionista residente e il valore nominale della quota sociale, è denominato «importo vincolato». Secondo il legislatore tedesco, tale importo corrisponde, almeno in parte, al credito d’imposta indebitamente accordato al portatore di quote estero. È questo importo che le autorità fiscali intendono spostare sulla base imponibile del nuovo azionista residente, e ciò attraverso un gioco di scritture contabili consistente nel non tener conto, a suo carico, delle quote dovute all’ammortamento parziale delle sue partecipazioni.

106. Pertanto, in forza dell’art. 50c dell’EStG, una volta che la società residente abbia distribuito i suoi dividendi al nuovo azionista, questi non può più dedurre dalla propria base imponibile le perdite dovute all’ammortamento parziale delle sue partecipazioni, a condizione però che l’importo di tali perdite non sia superiore all’importo vincolato, ossia all’ammontare del vantaggio fiscale indebitamente accordato. Di conseguenza, nel caso in cui tale importo sia pari a zero, ossia quando l’azionista residente abbia acquistato le sue quote ad un prezzo corrispondente al loro valore nominale, tale disposizione non si applica.

107. La presa in considerazione dell’importo vincolato elimina quindi gli effetti dell’ammortamento parziale nel caso in cui, e nei limiti in cui, la diminuzione del valore delle quote sociali sia dovuta esclusivamente alla distribuzione degli utili. In tal modo, il governo tedesco riesce a tassare il plusvalore di cessione realizzato dall’azionista non residente con la vendita della sua partecipazione, plusvalore che non era stato oggetto di alcuna imposizione fiscale.

108. Nella presente causa si tratta di accertare se una normativa di questo tipo costituisca una restrizione ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56 CE.

109. Al fine di risolvere tale questione, ritengo indispensabile esaminare, in via preliminare, se il regime fiscale, che è alla base di tale normativa e che il governo tedesco mira a proteggere, sia compatibile con le norme del Trattato.

110. In altri termini, occorre anzitutto chiedersi se l’art. 56 CE osti ad una normativa di uno Stato membro che, al momento della distribuzione dei dividendi da parte di una società residente, riserva il vantaggio del credito d’imposta ai soli azionisti residenti, escludendone quelli che risiedono in un altro Stato membro.

3.      La compatibilità del regime fiscale di base con l’art. 56 CE

111. Come ho spiegato, in forza del regime fiscale di cui trattasi, soltanto gli azionisti che risiedono sul territorio tedesco possono usufruire di un credito d’imposta connesso alla distribuzione di dividendi da parte di una società residente. Questa disparità di trattamento fiscale non è inerente alla convenzione.

112. Nella presente causa occorre verificare se tale normativa costituisca una restrizione ai movimenti di capitali, in contrasto con le norme del Trattato (52).

113. Il giudice del rinvio esprime numerose riserve riguardo alla compatibilità di tale misura con il diritto comunitario.

114. Secondo il Bundesfinanzhof, tale regime potrebbe dissuadere gli investitori soggetti ad un obbligo tributario illimitato dall’acquistare quote di società tedesche da azionisti residenti in un altro Stato membro. Tale normativa, inoltre, privando del vantaggio del credito d’imposta gli azionisti residenti in un altro Stato membro, dissuaderebbe i contribuenti stabiliti negli altri Stati membri dall’investire i loro capitali in Germania. Questa normativa fiscale avrebbe pertanto un effetto restrittivo nei confronti delle società stabilite in Germania, perché rappresenterebbe per esse un ostacolo alla raccolta di capitali in altri Stati membri. Poiché, difatti, all’atto della distribuzione dei redditi da capitale di origine nazionale, gli azionisti non residenti in Germania vengono trattati in modo meno favorevole rispetto a quelli che risiedono in tale Stato membro, le azioni delle società stabilite in Germania sono meno attraenti per gli investitori residenti in un altro Stato membro.

115. La ricorrente nella causa principale, da parte sua, adotta una posizione più rigida e sostiene che tale regime, che mira ad escludere totalmente da tale vantaggio fiscale gli azionisti residenti all’estero, ha un effetto discriminatorio ed ostacola la libera circolazione dei capitali nonché la libertà di stabilimento.

116. Il governo tedesco e la Commissione sostengono invece che il rifiuto di concedere il detto vantaggio fiscale agli azionisti non residenti non costituisce una restrizione ad un movimento di capitali ai sensi dell’art. 56 CE.

117. La Commissione riconosce che il regime di base previsto dal legislatore tedesco rischia di produrre effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali. A suo parere, tale legislazione sarebbe idonea ad impedire ad alcuni contribuenti residenti di acquistare le quote di una società da azionisti residenti in un altro Stato membro. Inoltre, tale normativa produrrebbe l’effetto di impedire agli investitori esteri di investire il loro capitale sociale in società tedesche.

118. Tuttavia il governo tedesco, così come la Commissione, sostengono che tale normativa non è contraria al diritto comunitario per le ragioni che la Corte ha esposto nella sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, precedentemente citata.

119. Al pari del governo tedesco e della Commissione, anch’io sono del parere che tale normativa fiscale sia ammissibile, tenuto conto della posizione difesa dalla Corte nella suddetta sentenza, della quale ho riepilogato contenuto e analisi ai paragrafi 69-72 delle presenti conclusioni.

120. In tale causa, con una delle questioni sollevate si voleva sapere se la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali ostino ad una normativa di uno Stato membro che, al momento di una distribuzione di dividendi da parte di una società residente, concede un credito d’imposta pieno agli azionisti finali beneficiari dei detti dividendi che risiedono in tale Stato membro o in un altro Stato con cui questo primo Stato ha concluso una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione che prevede un tale credito d’imposta, ma non concede alcun credito d’imposta, pieno o parziale, a società beneficiarie di tali dividendi che risiedono in alcuni altri Stati membri (53).

121. Alla luce delle competenze che gli Stati membri mantengono in materia di imposte dirette, la Corte ha dichiarato che una normativa di uno Stato membro che, al momento di una distribuzione di dividendi da parte di una società residente nel detto Stato, conceda alle società beneficiarie dei detti dividendi che risiedono anch’esse nel detto Stato un credito d’imposta corrispondente alla frazione dell’imposta versata dalla società distributrice sugli utili distribuiti, ma non lo conceda alle società beneficiarie che risiedono in un altro Stato membro e che non sono assoggettate all’imposta in questo primo Stato a titolo di tali dividendi, non costituisce una discriminazione vietata dagli artt. 43 CE e 56 CE.

122. Nella stessa causa la Corte si era basata sulla ripartizione e sulla portata delle competenze fiscali esercitate dagli Stati membri interessati. Lo Stato membro in questione non era competente ad assoggettare ad imposizione fiscale gli utili realizzati dalle società azioniste non residenti, per cui non poteva essere tenuto ad accordare loro nessun vantaggio sul piano fiscale per l’imposta sulle persone giuridiche. Infatti, il credito d’imposta accordato alle società azioniste residenti veniva loro concesso per l’imposta sulle persone giuridiche pagata nel rispettivo Stato membro di residenza (54).

123. Questa giurisprudenza è stata di recente confermata nella sentenza Burda, citata in precedenza.

124. Tale giurisprudenza mi sembra del tutto applicabile alla presente causa in quanto, conformemente alla normativa tedesca in vigore, gli azionisti che non risiedono in Germania non sono soggetti all’imposta sui redditi o all’imposta sulle persone giuridiche per i dividendi distribuiti da una società residente. Gli azionisti residenti in Germania e quelli residenti nel Regno Unito non versano, pertanto, in una situazione oggettivamente comparabile per quanto riguarda la misura nazionale di cui trattasi. Di conseguenza, e benché vi sia una disparità di trattamento fiscale tra questi azionisti, tale normativa non mi sembra discriminatoria.

125. A questo proposito vorrei aggiungere che, nella presente causa, quando la ricorrente distribuisce i suoi dividendi alla GV-GmbH, è nella sua qualità di Stato di residenza dell’azionista che la Repubblica federale di Germania concede alla GV-GmbH un credito d’imposta corrispondente alla frazione dell’imposta sulle società versata dalla prima società che ha prodotto gli utili distribuiti.

126. La posizione di questo Stato nel quale risiedono sia la società distributrice sia l’azionista beneficiario non è analoga a quella in cui esso versa allorché la società residente distribuisce i suoi dividendi ad una società non residente perché, in questo caso, tale Stato agisce, in via di principio, solo in qualità di Stato della fonte degli utili distribuiti.

127. Alla luce degli elementi che precedono, ritengo pertanto che l’art. 56 CE non osti a che uno Stato membro, all’atto di una distribuzione dei dividendi da parte di una società residente, riservi il vantaggio di un credito d’imposta agli azionisti che risiedono in detto Stato, senza concederlo ad azionisti che risiedono in un altro Stato membro.

128. Fatta questa premessa, mi accingo ora ad esaminare la compatibilità delle disposizioni dell’art. 50c dell’EStG con il diritto comunitario.

4.      La compatibilità dell’art. 50c de l’EStG con l’art. 56 CE

129. Come ho accennato, l’art. 50c dell’EStG è stato adottato al fine di combattere le prassi che permettono agli azionisti non residenti in Germania di usufruire per vie traverse del credito d’imposta riservato agli azionisti tedeschi.

130. Abbiamo visto che tale disposizione introduce una differenza di trattamento fiscale a seconda che il contribuente residente abbia acquistato quote in una società residente da un azionista che gode del diritto al credito d’imposta, ossia un azionista residente su territorio tedesco, oppure da un azionista che non usufruisce di tale diritto, ossia un azionista residente in un altro Stato membro.

131. Difatti, nel caso in cui un azionista tedesco abbia acquistato le sue quote in una società residente da un azionista che ha diritto al credito d’imposta, allora l’autorità fiscale tedesca deduce dalla sua base imponibile non soltanto l’ammontare dell’imposta che la società distributrice ha già versato su tali dividendi, ma altresì le diminuzioni di utili dovute all’ammortamento parziale sul valore delle quote sociali che egli possiede in tale società.

132. Per contro, se detto contribuente ha acquistato le sue quote da un azionista che non ha diritto al credito d’imposta e ad un prezzo superiore al loro valore nominale, non può dedurre dai suoi utili imponibili le perdite dovute a tale ammortamento.

133. Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 56 CE osti ad una normativa di uno Stato membro che esclude la possibilità, per un contribuente residente, di dedurre dal suo reddito imponibile le perdite dovute all’ammortamento sul valore delle quote sociali che egli possiede in una società residente nel caso in cui abbia acquistato le quote da un azionista non residente, mentre la stessa normativa concede tale possibilità ad un contribuente che le abbia acquistate da un contribuente residente.

a)      L’esistenza di una restrizione ad un movimento di capitali

134. A mio avviso, la restrizione controversa è contraria all’art. 56 CE se ne esaminiamo gli effetti sui movimenti di capitali tra gli azionisti residenti in Germania e quelli residenti in un altro Stato membro.

135. È assodato che l’autorità fiscale tedesca considera dunque in maniera diversa il deprezzamento delle quote sociali all’atto della distribuzione degli utili in sede di determinazione della base imponibile, a seconda che tali quote siano state acquistate da un contribuente che risiede in Germania o da un contribuente che risiede in un altro Stato membro.

136. Di conseguenza, per gli investitori tedeschi è più vantaggioso acquistare quote in una società tedesca da azionisti che hanno anche diritto alla detrazione dell’imposta, ossia da azionisti residenti in Germania. Infatti, in questo caso le autorità fiscali tedesche possono dedurre dai loro redditi imponibili le diminuzioni di utili legate al deprezzamento delle loro quote sociali, il che comporta una riduzione della loro base imponibile. Gli investitori tedeschi sono invece privati di tale vantaggio fiscale se acquistano la loro quota da azionisti che non hanno diritto al credito d’imposta, ossia da azionisti che risiedono in un altro Stato membro.

137. Mi sembra evidente che la possibilità di ottenere una riduzione della base imponibile può influire in modo significativo sull’atteggiamento degli investitori tedeschi. Tale normativa può dissuaderli dall’acquistare quote in società tedesche da azionisti che risiedono in un altro Stato membro. Inoltre, tale normativa può produrre effetti restrittivi nei confronti di tali società perché rappresenta per essi un ostacolo alla raccolta di capitali provenienti da altri Stati membri e può dissuadere gli investitori esteri dall’acquistare quote in esse. Infatti, poiché, al momento dell’acquisto di quote sociali, gli investitori tedeschi che acquistano le loro quote da un azionista residente in un altro Stato membro sono trattati in modo meno favorevole rispetto agli investitori tedeschi che acquistano le loro quote da un azionista residente in Germania, le quote sociali in possesso degli investitori esteri sono meno interessanti.

138. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza, tali restrizioni sono in contrasto con le disposizioni dell’art. 56 CE solo se sono la conseguenza di una discriminazione, palese o dissimulata, vale a dire se esse sono imputabili ad uno stesso regime fiscale di uno Stato membro che applichi una norma diversa a situazioni analoghe o la stessa norma a situazioni diverse.

139. Orbene, nella presente causa è assodato che la Repubblica federale di Germania tratta in modo molto diverso situazioni obiettivamente analoghe. Infatti, mettendo a confronto il modo in cui, nel regime fiscale controverso, viene determinata la base imponibile di un contribuente tedesco, si rileva che le autorità tedesche trattano in maniera diversa le perdite dovute ad un ammortamento parziale delle quote sociali possedute in una società residente a seconda che tali quote siano state acquistate da un azionista residente in Germania oppure da un azionista residente in un altro Stato membro.

140. Questa misura pertanto costituisce, a mio avviso, una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56 CE, in quanto opera una disparità di trattamento fiscale tra acquisti effettuati da un contribuente residente e acquisti compiuti da un contribuente non residente.

141. Di conseguenza, ritengo che il regime fiscale controverso costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in via di principio, dall’art. 56 CE.

142. Tuttavia, siffatta restrizione può essere considerata non in contrasto con le disposizioni del Trattato se persegue uno scopo legittimo con esso compatibile o se è giustificata da ragioni imperative di interesse generale. Inoltre, per essere giustificata, tale disparità di trattamento dev’essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non andare oltre quanto è necessario per raggiungerlo (55).

b)      La giustificazione della restrizione

143. La ricorrente nella causa principale e, in misura minore, il giudice del rinvio sostengono che la restrizione in parola non può essere giustificata dalla necessità di garantire il principio dell’imposizione fiscale nazionale unica o di evitare l’evasione fiscale se ha per obiettivo di escludere gli azionisti non residenti dal vantaggio del credito d’imposta. La ricorrente nella causa principale aggiunge altresì che tale normativa non è necessaria né appropriata.

144. Il governo tedesco e la Commissione sostengono che la suddetta misura non è contraria al diritto comunitario e che la restrizione di cui trattasi è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Essi fanno leva sulla compatibilità del regime di base con il diritto comunitario e insistono sull’obiettivo perseguito dall’art. 50c dell’EStG, ossia evitare che gli azionisti di una società avente sede sul territorio tedesco ottengano abusivamente un vantaggio fiscale cui non avrebbero avuto diritto in caso di distribuzione degli utili. Tale disposizione permetterebbe dunque di preservare la coerenza del sistema di imputazione integrale previsto dalla normativa tedesca e impedirebbe lo spostamento all’estero della base imponibile.

145. La Commissione tuttavia rimette al giudice nazionale il compito di valutare se tale normativa si limiti a quanto necessario a tal fine o se produca effetti che possono costituire una discriminazione diretta o indiretta nei confronti degli azionisti non residenti, contraria all’art. 56 CE.

 i)     La necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale nazionale

146. Contrariamente al governo tedesco, non ritengo che la disposizione controversa possa essere giustificata dalla necessità di garantire la coerenza del regime fiscale nazionale e, in particolare, del suo sistema di imputazione integrale.

147. Vero è che nelle sue sentenze 28 gennaio 1992, Bachmann e Commissione/Belgio (56), la Corte ha ammesso che la necessità di salvaguardare la coerenza di un regime fiscale costituisce effettivamente un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una normativa tale da restringere le libertà fondamentali garantite dal Trattato.

148. Tuttavia, la portata di tale motivo è stata ristretta in modo significativo nelle sentenze da essa successivamente pronunciate. Difatti, la Corte ha subordinato l’applicazione del suddetto motivo, da un lato, alla condizione che esista un legame diretto tra il beneficio fiscale di cui trattasi e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale, dovendosi determinare il carattere diretto del suddetto nesso alla luce della finalità della normativa fiscale di cui trattasi (57) e, dall’altro, alla condizione che questi due elementi riguardino lo stesso contribuente per una stessa imposizione fiscale (58).

149. Infatti, nelle cause definite con le citate sentenze Bachmann e Commissione/Belgio esisteva, trattandosi di un solo e stesso contribuente, un legame diretto tra la concessione di un vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio con un prelievo fiscale, che erano avvenuti nell’ambito di una stessa imposizione. Invece, quando un tale legame diretto manca, perché si tratta, per esempio, d’imposte distinte o del trattamento fiscale di soggetti passivi diversi, la Corte respinge l’argomento basato sulla necessità di salvaguardare la coerenza del regime fiscale (59).

150. Nella presente causa, a mio avviso, l’esistenza di un nesso diretto di tale natura manca. Infatti, il regime fiscale di cui trattasi mira a prevenire la doppia imposizione economica che si produce allorché una società residente distribuisce i propri dividendi ad un azionista stabilito nello stesso Stato membro. Di conseguenza, esso presuppone due contribuenti diversi, ossia la società distributrice e l’azionista.

151. Pertanto, e tenuto conto della giurisprudenza della Corte, ritengo che il motivo attinente alla necessità di garantire la coerenza del regime fiscale non possa essere fatto valere nella presente causa.

ii)    La necessità di prevenire l’evasione fiscale e di lottare contro le costruzioni artificiose

152. Come il governo tedesco e la Commissione, ritengo che la restrizione possa essere effettivamente giustificata dalla necessità di prevenire l’evasione fiscale e di combattere contro gli strumenti artificiosi destinati ad aggirare il regime fiscale tedesco.

153. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la necessità di prevenire l’evasione fiscale e, in particolare, di combattere le pratiche abusive possa essere invocata, in forza dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, per giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali fra gli Stati membri (60). Essa inoltre costituisce un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare normative tali a restringere le libertà fondamentali garantite dal Trattato (61).

154. Nella presente causa, va rilevato che la disposizione controversa mira effettivamente a combattere le disposizioni artificiose che permettono ad un contribuente che non risiede in Germania e che, in quanto tale, non può essere assoggettato ad imposta in detto Stato membro, di usufruire di un credito d’imposta al quale non può avere diritto, in linea di principio, in forza della normativa fiscale in vigore.

155. Come emerge chiaramente dall’esposizione dei motivi del progetto di legge, il legislatore tedesco si occupa, in particolare, delle operazioni effettuate all’interno di un gruppo di società, segnatamente le cessioni di partecipazioni compiute tra una società madre non residente e talune controllate stabilite in Germania. Dalle osservazioni depositate dal governo tedesco emerge che il legislatore prende in considerazione il caso in cui la società madre non residente ottiene in maniera indebita un credito d’imposta optando per la vendita delle quote da essa possedute in una controllata residente ad un’altra controllata residente – la quale, in quanto tale, potrà anch’essa beneficiare di un credito d’imposta al momento della distribuzione dei dividendi – ad un prezzo superiore al valore nominale delle sue quote, prima di riacquistarle (62). In tal modo, la società madre non residente beneficia di un plusvalore di cessione, corrispondente in realtà al credito d’imposta.

156. La concessione di tale vantaggio fiscale ad un contribuente non assoggettabile ad imposta in Germania e che, di conseguenza, non ha diritto alla detrazione d’imposta, viola il regime fiscale tedesco in forza del quale solo i contribuenti residenti possono beneficiare di un credito d’imposta. A mio avviso, lo ricordo, tale regime è compatibile con il diritto comunitario. Tale concessione indebita, inoltre, comporta un’erosione della base fiscale e costituisce, al riguardo, un caso particolare di evasione fiscale che il governo tedesco è legittimato a combattere.

157. Di conseguenza, ritengo che l’art. 50c dell’EStG possa essere giustificato dalla necessità di prevenire l’evasione fiscale alla quale portano talune costruzioni artificiose.

158. Tuttavia, come già spiegato, perché la restrizione possa essere giustificata, occorre ancora che la misura nazionale di cui trattasi sia idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito e che non vada oltre quanto necessario a tal fine, conformemente al principio di proporzionalità.

159. Nella presente causa, ritengo che la disposizione di cui trattasi sia effettivamente idonea a prevenire le costruzioni fittizie cui possono ricorrere taluni operatori. Infatti, limitando il diritto per il nuovo azionista di dedurre dai propri utili imponibili l’importo delle perdite conseguenti al deprezzamento delle quote sociali in questione, nei limiti in cui non eccedano l’«importo vincolato» (63), il legislatore ricostituisce in capo a tale azionista una base imponibile corrispondente alla maggiorazione del prezzo di vendita e al plusvalore di cessione realizzato dall’azionista estero. A mio avviso, siffatta legislazione è ben idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito, ossia quello di garantire che il credito d’imposta non sia trasferito indebitamente e anticipatamente ad un contribuente non residente che, in tale qualità, non può aver diritto a tale vantaggio fiscale.

160. Occorre ora chiedersi se la misura di cui alla causa principale sia proporzionata al suddetto obiettivo.

161. Ai fini di tale esame, partiamo dalla premessa che tale disposizione può applicarsi anche quando, in forza della convenzione, il venditore disponga di oltre il 25% dei diritti di voto nella società distributrice. In caso contrario, la coerenza del regime fiscale di cui trattasi sarebbe, a mio avviso, compromessa.

162. Secondo una costante giurisprudenza, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose il cui fine è ottenere un vantaggio fiscale (64).

163. Nel caso di specie, ritengo che la disposizione controversa vada oltre tale limite.

164. Come ho rilevato, tale normativa è applicabile quando un contribuente che risiede in Germania ha acquistato le sua partecipazione in una società residente da un azionista che risiede in un altro Stato membro e ciò prima della distribuzione dei dividendi della società. La detta disposizione riguarda le situazioni in cui le quote sociali vengono cedute ad un prezzo superiore al loro valore nominale. Di conseguenza, la misura limita la deducibilità, per il soggetto passivo residente, delle perdite che derivano dalla presa in considerazione, durante l’anno di acquisto o uno dei successivi nove, dell’ammortamento sul valore delle partecipazioni. La detta misura si applica se la diminuzione degli utili può ricondursi ad un’operazione di distribuzione o ad un trasferimento di utili in attuazione di un accordo di controllo. Si applica, inoltre, solo se le perdite non eccedono l’importo vincolato, ossia l’importo corrispondente alla differenza tra il prezzo di acquisto ed il valore nominale delle partecipazioni. In altri termini, la misura in parola non si applica qualora la partecipazione sia stata ceduta ad un prezzo pari al valore nominale della quota, poiché in questo caso l’importo vincolato è pari a zero.

165. Nonostante queste condizioni di applicazione, mi sembra che la legislazione in esame non tenga conto con precisione sufficiente dell’ipotesi in cui il rischio di evasione fiscale sia più probabile e contro il quale la Repubblica federale di Germania intende combattere.

166. Infatti, alla luce delle pratiche fittizie denunciate dal governo tedesco (65), mi sembra che la costruzione artificiosa che il legislatore è legittimato a combattere sia il meccanismo in base al quale un azionista estero vende ad un prezzo maggiorato la partecipazione che possiede in una società residente ad un contribuente residente, prima della distribuzione dei dividendi, per poi riacquistarla ad un prezzo non superiore al suo valore nominale. A mio avviso, è questa operazione, priva di qualsiasi effettività economica, che dimostra l’esistenza di una costruzione puramente artificiosa.

167. Orbene, in base alla descrizione del contesto normativo effettuata dal giudice del rinvio, non è sicuro che la disposizione nazionale di cui trattasi riguardi specificamente questa costruzione.

168. In primo luogo, mi par di capire che tale misura riguardi tutte le operazioni di vendita di partecipazioni, indipendentemente dal fatto che siano compiute tra contribuenti persone fisiche o che siano effettuate tra società indipendenti o appartenenti ad uno stesso gruppo.

169. Orbene, contrariamente a quanto emerge dall’esposizione dei motivi del progetto di legge, la misura di cui trattasi non riguarda specificamente le operazioni effettuate all’interno di un gruppo di società, nel quale dette pratiche sembrano peraltro più facilmente realizzabili.

170. In secondo luogo, sappiamo che tale disposizione si applica allorché un contribuente che risiede in Germania abbia acquistato la sua partecipazione in una società residente da un azionista estero ad un prezzo che, per un motivo o per l’altro, è superiore al valore nominale delle quote sociali.

171. Orbene, mi sembra che la sola maggiorazione del prezzo di vendita non sia un indizio sufficiente a dimostrare che la transazione in esame costituisce una costruzione artificiosa volta ad ottenere un vantaggio fiscale, specie se tale prezzo è stato concordato tra due contribuenti che non appartengono allo stesso gruppo di società.

172. Ritengo pertanto che tale misura faccia insorgere una presunzione di evasione o di frode fiscale che non può essere fondata su questa sola circostanza. Infatti, mi pare difficile escludere che delle quote sociali possano essere cedute ad un prezzo superiore al loro valore nominale per ragioni diverse da quelle volte ad aggirare la normativa fiscale. Così, in condizioni di concorrenza piena (66), talune società potrebbero accordarsi per maggiorare il prezzo di vendita della partecipazione tenuto conto, per esempio, del valore degli utili non distribuiti o per evitare, in caso di inflazione, una svalutazione delle quote sociali.

173. Sono questi i termini in cui la disposizione nazionale di cui trattasi potrebbe apparire sproporzionata.

174. Per essere conforme al principio di proporzionalità, una misura volta a combattere le costruzioni artificiose descritte dovrebbe permettere al giudice nazionale di procedere ad un esame caso per caso prendendo in considerazione le peculiarità di ciascuna fattispecie, sulla base di elementi oggettivi, al fine di tener conto del comportamento abusivo o fraudolento dei soggetti interessati.

175. In effetti, la vendita di una partecipazione posseduta in una società residente da un azionista che risiede in un altro Stato membro ad un azionista residente e ad un prezzo superiore al suo valore nominale può essere indice della volontà di quest’ultimo di ottenere un vantaggio fiscale al quale non può avere diritto in forza della normativa in vigore. Tuttavia, questo non è sufficiente, a mio avviso, a rivelare l’intenzione fraudolenta.

176. Per contro, un criterio basato sulla rapidità della rivendita di tale partecipazione all’azionista estero costituirebbe un grave indizio di evasione fiscale e sarebbe, a priori, in un rapporto più stretto con l’obiettivo perseguito dal governo tedesco, ossia evitare, tramite costruzioni fittizie prive di qualsiasi effettività economica, che un vantaggio fiscale venga indebitamente trasferito ad un contribuente estero. Il fatto che una società non stabilita in Germania organizzi la vendita ad un prezzo maggiorato delle proprie quote sociali per riacquistarle successivamente ad un prezzo pari al loro valore nominale costituisce, per lo Stato membro di residenza dell’acquirente, un elemento oggettivo e verificabile da parte di terzi per stabilire se la transazione in esame costituisca una costruzione artificiosa. Il fatto che l’acquirente possa comprare una partecipazione ad un prezzo superiore al suo valore nominale, senza beneficiare di alcuna contropartita, per poi rivenderla al prezzo normale del mercato dimostra che tale operazione non ha altri obiettivi se non di permettere al detentore iniziale di ottenere indebitamente il credito d’imposta. Un’operazione di questo tipo è sufficiente per dimostrare che l’acquirente non è, in realtà, che un agente la cui qualità di azionista residente permette, di fatto, il trasferimento indebito del vantaggio fiscale.

177. In un caso del genere, tenuto conto della facilità con cui questo tipo di operazioni può essere realizzato, specie in seno ad un gruppo di società, non riterrei eccessivo il fatto che uno Stato membro possa istituire una presunzione di evasione fiscale. Quel che importa, peraltro, è che tale presunzione possa essere esclusa nei casi in cui gli operatori interessati diano prova di ragioni economiche o finanziarie, ovvero di circostanze assai particolari che giustificano una simile operazione.

178. In ogni caso, come ho già precisato, l’applicazione della misura controversa deve poter essere limitata alle costruzioni puramente artificiose, il cui scopo è effettivamente quello di aggirare la normativa fiscale nazionale.

179. Tuttavia, ho già spiegato che non esistono elementi sufficienti per essere certi che la normativa nazionale di cui trattasi riguarda specificamente questi artifici di vendita e di acquisto consecutivo di partecipazioni.

180. Di conseguenza, ritengo che spetti al giudice del rinvio, il quale è tenuto a verificare la compatibilità della normativa di cui trattasi con il diritto comunitario, valutare la proporzionalità di tale misura.

181. Spetta a quest’ultimo, in particolare, esaminare se tale disposizione possa essere oggetto di un’interpretazione che permetta di limitarne l’applicazione alle costruzioni artificiose dirette ad aggirare la legge fiscale nazionale. Egli ha quindi il dovere di verificare se l’art. 50c dell’EStG riguardi effettivamente le costruzioni in forza delle quali il contribuente residente, dopo aver acquistato la sua partecipazione da un azionista stabilito in un altro Stato membro alle condizioni previste da tale disposizione, gli cede nuovamente la partecipazione stessa entro termini assai brevi e ad un prezzo non superiore al suo valore nominale.

182. Alla luce di quanto precede, ritengo pertanto che l’art. 56 CE debba essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa fiscale nazionale che limiti la possibilità, per un contribuente residente, di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le sue quote sociali da un contribuente che risiede in un altro Stato membro, prima della distribuzione dei dividendi di tale società e ad un prezzo superiore al loro valore nominale, qualora tale normativa si applichi unicamente alle costruzioni puramente artificiose dirette ad aggirare la legge nazionale.

183. A mio avviso spetta quindi al giudice nazionale verificare che la detta normativa si applica solo nelle situazioni in cui la partecipazione di cui trattasi viene nuovamente ceduta al detentore iniziale, entro termini assai brevi e ad un prezzo non superiore al suo valore nominale.

184. Nell’ambito della presente controversia, spetterà al giudice nazionale verificare, conformemente alle regole nazionali in tema di prove e nei limiti in cui questo non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario, se, riguardo alle operazioni compiute dalla ricorrente nella causa principale, sussistano gli elementi costitutivi di una pratica abusiva. A tal fine, egli dovrà accertare il contenuto e il significato effettivi di tali operazioni e potrà prendere in considerazione i legami di natura giuridica e/o economica esistenti tra gli operatori interessati.

V –    Conclusione

185. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sollevata dal Bundesfinanzhof nel modo seguente:

«L’art. 56 CE dev’essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa fiscale nazionale che limiti la possibilità, per un contribuente residente, di dedurre dai propri utili imponibili le perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni che egli possiede in una società residente, nel caso in cui abbia acquistato le sue quote sociali da un contribuente che risiede in un altro Stato membro, prima della distribuzione dei dividendi di tale società e ad un prezzo superiore al loro valore nominale, qualora tale normativa si applichi unicamente alle costruzioni puramente artificiose dirette ad aggirare la legge nazionale.

Spetta quindi al giudice nazionale verificare che la detta normativa si applica solo nelle situazioni in cui la partecipazione di cui trattasi viene nuovamente ceduta al detentore iniziale, entro termini assai brevi e ad un prezzo non superiore al suo valore nominale».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – In prosieguo : il «Finanzamt».


3 – Alla luce del carattere preciso e incondizionato di tale disposizione, nella sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera e a. (Racc. pag. I-4821), la Corte ha dichiarato che il principio della libera circolazione dei capitali possiede efficacia diretta in quanto vieta sia le restrizioni tra Stati membri sia quelle tra Stati membri e Stati terzi.


4 – Sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-7587, punto 38, e giurisprudenza ivi citata, nonché punto 39).


5 – V., in particolare, sentenza 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle (Racc. pag. I-3099, punto 40).


6 – V. in particolare, per quanto riguarda la necessità di salvaguardare la coerenza del regime fiscale nazionale, sentenza 27 novembre 2008, causa C-418/07, Papillon (Racc. pag. I-8947, punto 43, e giurisprudenza ivi citata) nonché, riguardo alla necessità di prevenire l’evasione fiscale e di combattere contro le costruzioni abusive, sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (Racc. pag. I-2107, punti 71-74).


7 – Art. 36, n. 2, punto 3, della legge relativa all’imposta sul reddito (Einkommensteuergesetz 1990, BGBl. 1990 I, pag. 1898; in prosieguo: l’«EStG»).


8 – Art. 49 della legge in materia di imposte sui redditi delle persone giuridiche (Körperschaftsteuergesetz 1996, BGBl. 1996 I, pag. 340; in prosieguo: la «KStG»). In forza della normativa fiscale in vigore in Germania, gli utili realizzati, nel corso di un esercizio contabile, da ogni società residente in tale Stato membro sono soggetti all’imposta sulle società nel detto Stato, fino al 30% (v. art. 27, n. 1, del KStG).


9 – BGBl. 1966 II, pag. 358. Convenzione come modificata dal Protocollo di revisione del 23 marzo 1970 (BGBl. 1971 II, pag. 46; in prosieguo: la «convenzione»).


10 – Gesetz zur Verbesserung der steuerlichen Bedingungen zur Sicherung des Wirtschaftsstandorts Deutschland im Europäischen Binnenmarkt (Standortsicherungsgesetz).


11 – Umwandlungssteuergesetz, BGBl. 1994 I, pag. 3267.


12 – Ricordo che il trasferimento di attività tra una società di capitali ed una società di persone o la trasformazione di una società di capitali in una società di persone può implicare un mutamento del regime fiscale. Infatti, al contrario delle società di capitali, le società di persone non sono soggette all’imposta in quanto tale. Solo il socio è soggetto passivo, a concorrenza della sua partecipazione, a titolo degli utili realizzati dalla società di persone. Questo comporta delle conseguenze nel caso in cui le attività di una società di capitali siano trasferite in una società di persone. In tal caso, gli utili che, fino ad allora, erano parte del patrimonio della società di capitali, vengono automaticamente imputati, a causa dell’assorbimento, al patrimonio del socio. L’operazione è assimilata ad una distribuzione dei suoi utili.


13 – Si trattava della Glaxo-Group Ltd (in prosieguo: la «GG-Ltd»). Quest’ultima era controllata anche dalla Burroughs Wellcome Ltd (in prosieguo: la «W-Ltd»).


14 – Al riguardo, faccio rinvio agli sviluppi che ho dedicato a questa giurisprudenza nelle conclusioni che ho presentato relativamente alla causa che ha dato origine alla sentenza 20 maggio 2008, causa C-194/06, Orange European Smallcap Fund (Racc. pag. I-3747).


15 – V., in particolare, sentenza 26 giugno 2008, causa C-284/06, Burda (Racc. pag. I-4571, punto 66, e giurisprudenza ivi citata).


16 – Ibidem (punti 86 e 87, nonché giurisprudenza ivi citata).


17 – Ibidem (punto 66, e giurisprudenza ivi citata).


18 – Sentenza 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (Racc. pag. I-11673, punto 46, e giurisprudenza ivi citata).


19 – Per quanto riguarda le società ai sensi dell’art. 48 CE, la loro sede serve per determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato [sentenza 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank (Racc. pag. I-4017, punto 13)].


20 – Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225, punto 31).


21 – V., per quanto riguarda le persone fisiche, sentenza Schumacker, cit., (punti 28 e 29), e, per le persone giuridiche, sentenza Commerzbank, cit., (punto 15).


22 – Sentenza 27 gennaio 2009, causa C-318/07, Persche (Racc. pag. I-359, punti 40 e 41).


23 – Ibidem (punto 41).


24 – V., in particolare, sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer (Racc. pag. I-10837, punto 38).


25 – Sentenza Persche, cit. (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


26 – V., in particolare, sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 49).


27 – Direttiva 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6). V. anche le direttive del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (GU L 157, pag. 38), nonché 3 giugno 2003, 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU L 157, pag. 49).


28 – Convenzione del 23 luglio 1990, relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, pag. 10).


29 – In forza dell’art. 293 CE, gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini, l’eliminazione della doppia imposizione fiscale all’interno della Comunità. V., in particolare, sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 51 e giurisprudenza ivi citata).


30 – V., a tal riguardo, sentenza 14 novembre 2006, causa C-513/04, Kerckhaert e Morres (Racc. pag. I-10967), a proposito della legislazione belga che, nell’ambito dell’imposta sul reddito, assoggetta alla stessa aliquota d’imposta uniforme i dividendi di azioni di società stabilite in Belgio e i dividendi di azioni di società stabilite in un altro Stato membro, senza prevedere la possibilità di imputare l’imposta prelevata mediante ritenuta alla fonte in quest’altro Stato membro. La Corte ha dichiarato che il regime fiscale di cui trattasi non opera nessuna distinzione tra i dividendi di società stabilite in Belgio e quelli di società stabilite in un altro Stato membro. Essa ha affermato che le conseguenze svantaggiose che l’applicazione di un tale sistema potrebbe comportare per un contribuente che percepisce dei dividendi assoggettati ad una ritenuta alla fonte in un altro Stato membro derivano unicamente dall’esercizio parallelo da parte di due Stati membri della loro competenza fiscale (punto 20).


31 – Sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 52, e giurispudenza ivi citata).


32 – Sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN (Racc. pag. I-6161, punti 57 e 58), nonché Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 54).


33 – I dividendi distribuiti all’interno del paese vengono versati ad un azionista che risiede in uno Stato membro da parte di una società stabilita in un altro Stato membro, mentre i dividendi versati all’estero sono distribuiti da una società residente dello Stato membro interessato ad un azionista che risiede in un altro Stato membro.


34 – V., a proposito della concessione di un’esenzione dall’imposta sul reddito alla quale sono assoggettati i dividendi versati ad azionisti persone fisiche, sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071); a proposito dell’applicazione di un’aliquota di imposta liberatoria o ridotta della metà, sentenza 15 luglio 2004, causa C-315/02, Lenz (Racc. pag. I-7063); a proposito della concessione di un credito d’imposta, sentenze 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I-7477) e 6 marzo 2007, causa C-292/04, Meilicke e a. (Racc. pag. I-1835), nonché, a proposito di un’esenzione dall’imposta sulle società dei dividendi di origine nazionale, mentre i dividendi di origine estera erano soggetti a tale imposta e conferivano solo il diritto ad uno sgravio per l’eventuale ritenuta alla fonte praticata nello Stato membro di residenza della società distributrice, sentenza 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation (Racc. pag. I-11753, punti 61-71).


35 – Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 62). La stessa esigenza non si impone automaticamente per i dividendi versati da società stabilite in Stati terzi. Nella detta sentenza, la Corte ha affermato che non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una limitazione dei movimenti di capitali a destinazione di Stati terzi o in provenienza da essi sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non potrebbe costituire una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri. Ciò può verificarsi, in particolare, in una situazione che comporti l’accertamento dell’imposta versata da società distributrici stabilite in Stati terzi, in quanto, non essendo applicabili le misure legislative comunitarie dirette alla cooperazione tra autorità fiscali nazionali, come la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799//CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), l’accertamento dell’imposta versata da tali società nel loro Stato di residenza può risultare più difficile che in un ambito puramente comunitario (punti 169-171).


36 – V., a proposito di una legislazione di uno Stato membro che prevede un sistema di credito d’imposta per i dividendi versati da una società residente ai suoi azionisti residenti nonché agli azionisti non residenti qualora ciò sia previsto da una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione, sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., nonché, per quanto riguarda una legislazione nazionale che assoggetta ad imposta i dividendi versati da società controllate residenti a delle società madri stabilite in un altro Stato membro e che esenta quasi totalmente i dividendi versati a delle società madri residenti, sentenza 14 dicembre 2006, causa C-170/05, Denkavit Internationaal e Denkavit France (Racc. pag. I-11949).


37 – Sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 70).


38 – Ibidem (punti 57 e segg.).


39 – Ibidem (punto 74).


40 – Sentenza 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 273, punto 26).


41 – Sentenza Denkavit Internationaal e Denkavit France, cit., (punto 45, nonché giurisprudenza ivi citata).


42 – Ibidem (punto 47).


43 – Sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. (punto 71).


44 – Titolo III, punto 2, della decisione di rinvio.


45 – V., in particolare, sentenza Burda, cit. (punto 69, e giurisprudenza ivi citata).


46 – V., in tal senso, sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit. (punto 38).


47 – Sentenza 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck (Racc. pag. I-4051, punto 24, e giurisprudenza ivi citata).


48 – V. sentenza Persche, cit. (punto 28, e giurisprudenza ivi citata).


49 – Questi azionisti devono infatti controllare direttamente o indirettamente almeno il 25% dei diritti di voto della società distributrice per poter usufruire di questo vantaggio fiscale, il che, in altri termini, significa che debbono possedere almeno il 25% delle quote di tale società. In forza del principio di uguaglianza, tutti i soci di una società a responsabilità limitata (s.r.l.) dispongono di un numero di voti pari a quello delle quote da essi possedute.


50 – Punto 10 delle dette osservazioni.


51 – Un plusvalore di cessione è un guadagno realizzato al momento della vendita di una immobilizzazione ad un prezzo superiore al suo costo di acquisto.


52 – V. giurisprudenza consolidata indicata ai paragrafi 13-17 delle presenti conclusioni.


53 – Punti 29 e 30.


54 – V. paragrafi 69-72 delle presenti conclusioni. V. altresì K. Lenaerts, e L. Bernardeau, «L’encadrement communautaire de la fiscalité directe», Cahiers de droit européen, 2007, nn. 1 e 2, pag. 19, in particolare pag. 86.


55 – V., in particolare, sentenza Persche, cit. (punto 41, e giurisprudenza ivi citata).


56 – Rispettivamente, causa C-204/90 (Racc. pag. I-249, punto 28) e causa C-300/90 (Racc. pag. I-305, punto 21). V. altresì sentenza Papillon, cit. (punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


57 – V. sentenze Papillon, cit. (punto 44, e giurisprudenza ivi citata); 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra (Racc. pag. I-9099, punto 34, e giurisprudenza ivi citata), nonché 22 gennaio 2009, causa C-377/07, STEKO Industriemontage (Racc. pag. I-299, punti 52 e 53).


58 – Sentenza 18 settembre 2003, causa C-168/01, Bosal (Racc. pag. I-9409, punto 30).


59 – V., in tal senso, sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag. I-2787, punto 40), e Bosal, cit. (punto 30).


60 – Sentenza 26 settembre 2000, Commissione/Belgio, cit. (punto 38, e giurisprudenza ivi citata, nonché punto 39).


61 – V., in particolare, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695, punto 26); 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I-1727); 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829, punto 61); 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst (Racc. pag. I-11779, punto 37), nonché Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit. (punti 71-74, e giurisprudenza ivi citata).


62 – Punto 10 delle dette osservazioni.


63 – Ricordo che l’«importo vincolato» corrisponde alla differenza tra il prezzo di acquisto della quota sociale e il valore nominale della stessa.


64 – V., in tal senso, sentenze citate Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (punti 72-74 e giurisprudenza ivi citata), nonché Jobra (punto 35, e giurisprudenza ivi citata).


65 – V. l’esposizione dei motivi del progetto di legge relativo alla misura di cui trattasi (punto 20 delle osservazioni della Commissione), nonché le osservazioni depositate dal governo tedesco (punto 10).


66 – Mi riferisco a condizioni commerciali sulle quali tali società possono mettersi d’accordo se non appartengono allo stesso gruppo.