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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 15 settembre 2011 (1)

Causa C-427/10

Banca Antoniana Popolare Veneta SpA, incorporante la Banca Nazionale dell’Agricoltura SpA

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze,

Agenzia delle Entrate

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione]

«Imposta sul valore aggiunto – Imposta indebitamente fatturata e versata – Diritto del prestatore del servizio di chiedere all’amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA indebitamente versata – Diritto del committente del servizio di chiedere al prestatore del servizio la restituzione dell’indebito oggettivo corrispondente all’IVA indebitamente fatturata – Modifica dell’interpretazione della disposizione del diritto nazionale che prevede l’esenzione dall’IVA – Principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento»






 Contesto fattuale e giuridico della causa principale e questioni pregiudiziali

1.        La controversia pendente dinanzi ai giudici italiani riguarda le somme versate all’erario dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura SpA (in prosieguo: la «BNA») a titolo di imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») sui compensi percepiti per l’attività di riscossione dei contributi consortili, svolta per conto di tre consorzi di bonifica dal 1984 al 1994.

2.        All’epoca, l’attività di riscossione dei contributi consortili non era considerata tra le «operazioni relative alla riscossione dei tributi, comprese quelle relative ai versamenti di imposte effettuati per conto dei contribuenti» che sono esenti dall’IVA, in virtù dell’art. 10, n. 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che istituisce e disciplina l’imposta sul valore aggiunto (2) (in prosieguo: il «DPR n. 633/72»).

3.        Successivamente l’amministrazione finanziaria, con la circolare 26 febbraio 1999, n. 52/E, mutava l’originaria interpretazione di detta disposizione del DPR n. 633/72, ritenendo che i contributi consortili avessero natura tributaria e che, conseguentemente, i compensi dovuti dai consorzi fossero da considerarsi esenti da IVA. Secondo le indicazioni fornite dalla Corte suprema di cassazione nella sua ordinanza di rinvio, la suddetta circolare rispondeva al nuovo orientamento giurisprudenziale circa la natura tributaria dei contributi consortili.

4.        In seguito al mutamento di interpretazione dell’art. 10, n. 5, del DPR n. 633/72, i consorzi interessati chiedevano alla SIFER SpA, concessionaria della riscossione dei contributi consortili succeduta alla BNA, la restituzione, a titolo d’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, di quanto pagato a titolo di IVA sui compensi corrisposti per la riscossione dei contributi.

5.        Ai sensi del diritto italiano, una siffatta controversia, ossia la controversia tra il soggetto al quale è stata addebitata l’IVA, da un lato, e il prestatore del servizio che ha prelevato l’IVA, dall’altro, riguardante l’indebito oggettivo, non è considerata di natura tributaria e rientra, quindi, nella competenza del giudice civile ordinario. L’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, prevista dall’art. 2946 del codice civile.

6.        Uno dei consorzi interessati citava la SIFER SpA dinanzi al tribunale civile, il quale accoglieva la richiesta di chiamare in causa la BNA per le somme di sua spettanza. Il tribunale condannava la BNA al pagamento della somma corrispondente all’IVA che era stata fatturata sui compensi corrisposti per la riscossione dei contributi, oltre agli interessi. La BNA ha proposto un ricorso avverso tale decisione.

7.        In seguito all’azione civile, la BNA chiedeva all’amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA corrispondente alle somme riscosse dai consorzi interessati. A seguito del silenzio-rifiuto formatosi su tale domanda, la BNA proponeva tre distinti ricorsi nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

8.        Una controversia come quella tra la BNA, in quanto prestatore del servizio su cui è riscossa l’IVA, da un lato, e l’amministrazione finanziaria, dall’altro, riguardante il rimborso dell’IVA indebitamente versata, rientra nella competenza del giudice tributario. Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, la fonte normativa del diritto al rimborso viene individuata nell’art. 21 delle disposizioni sul contenzioso tributario (decreto legislativo n. 546/92), il quale, al n. 2, prevede che «la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».

9.        Anche se il giudice tributario di primo grado aveva accolto i ricorsi proposti dalla BNA e condannato l’amministrazione finanziaria a rimborsare le somme controverse, il giudice tributario di secondo grado, previa riunione degli appelli proposti dall’amministrazione finanziaria, riformava le sentenze di primo grado, ritenendo la BNA decaduta dal diritto al rimborso per decorrenza del termine di due anni di cui all’art. 21, n. 2, del decreto legislativo n. 546/92 e osservando che la circolare n. 52/E dell’amministrazione finanziaria non poteva configurarsi come fonte idonea per legittimare il verificarsi del presupposto per il riconoscimento del diritto al rimborso.

10.      Sulla base degli elementi di fatto e di diritto sopra esposti, la Corte suprema di cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso per cassazione proposto dalla Banca Antoniana Popolare Veneta SpA (in prosieguo: la «BAPV»), che ha incorporato la BNA, avverso la decisione del giudice tributario di secondo grado, ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se i principi di effettività, di non discriminazione e di neutralità fiscale in materia di [IVA] ostino ad una disciplina o prassi nazionale che ricostruisce il diritto del cessionario/committente al rimborso dell’IVA pagata a torto come indebito oggettivo di diritto comune, a differenza di quello esercitato dal debitore principale (cedente o prestatore del servizio), con un limite temporale, per il primo, assai più lungo di quello posto al secondo, sì che la domanda del primo, esercitata quando il termine per il secondo è da tempo scaduto, possa dar luogo a condanna al rimborso di quest’ultimo senza che lo stesso possa più chiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria; tutto ciò senza la previsione di alcuno strumento di collegamento, atto a prevenire conflitti o contrasti, tra i procedimenti instaurati o da instaurarsi dinanzi alle diverse giurisdizioni.

2)      Se, a prescindere dall’ipotesi precedente, siano compatibili coi già riferiti principi una prassi o giurisprudenza nazionale che consentano l’emanazione di una sentenza di rimborso a carico del cedente/prestatore del servizio a favore del cessionario/committente, il quale non aveva esercitato l’azione di rimborso dinanzi ad altro giudice nei termini a lui imposti, in affidamento di una interpretazione giurisprudenziale, seguita dalla prassi amministrativa, secondo cui l’operazione era soggetta ad IVA».

 Valutazione

 Sulla prima questione pregiudiziale

11.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se sia compatibile con i principi di neutralità dell’IVA, di effettività e di non discriminazione una normativa nazionale che, per quanto riguarda l’IVA indebitamente versata all’erario, in primo luogo conferisce diritti diversi, da un lato, al prestatore del servizio in quanto soggetto passivo dell’IVA (diritto al rimborso dell’IVA indebitamente versata all’amministrazione finanziaria, previa domanda corrispondente da presentarsi entro due anni dalla data del versamento o dalla data di sopravvenienza dell’evento che dà luogo al rimborso) e, dall’altro, al committente del servizio in quanto soggetto cui è stata addebitata l’IVA (diritto alla ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore di servizi, soggetto ad un termine di prescrizione di dieci anni) e, in secondo luogo, attribuisce competenza a giudici diversi per le eventuali relative controversie (al giudice tributario in caso di controversia tra il prestatore di servizi e l’amministrazione finanziaria e al giudice civile in caso di controversia tra il committente e il prestatore di servizi).

12.      In via preliminare, occorre rilevare che, secondo le indicazioni fornite dalla Corte suprema di cassazione nella sua ordinanza di rinvio, detto giudice non contesta che le imposte in questione siano state indebitamente fatturate e versate all’erario. Su questo punto non vi è quindi disaccordo tra il giudice del rinvio e i giudici civili ordinari italiani che hanno statuito sull’azione di ripetizione dell’indebito esercitata dai consorzi interessati contro la BNA. Il problema sollevato dalle questioni pregiudiziali riguarda il diritto che ne deriva, vale a dire il diritto alla restituzione dell’IVA indebitamente percepita e, più precisamente, le modalità e le condizioni del suo esercizio.

13.      Ritengo che si possa dedurre dalla giurisprudenza che il diritto dell’Unione impone, in generale, agli Stati membri di rendere possibile la restituzione dell’IVA indebitamente percepita e l’esercizio da parte dei privati dei diritti corrispondenti. Nel pronunciarsi sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali nella causa che ha condotto alla sentenza Schmeink & Cofreth e Strobel, la Corte è partita da questo presupposto (3).

14.      Tuttavia, la sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (4), non comprende alcuna disposizione relativa alla restituzione dell’IVA indebitamente fatturata e, in seguito, versata all’erario.

15.      A tale riguardo, occorre rammentare che la Corte ha già avuto più volte occasione di dichiarare che, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, tale problema viene risolto in modi diversi nei vari Stati membri. In una situazione del genere, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione, purché le dette modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (5).

16.      Su questo punto, occorre inoltre aggiungere che, in seguito ai cambiamenti introdotti dal Trattato di Lisbona, il medesimo obbligo deriva per gli Stati membri direttamente dal Trattato sull’Unione europea. Ai sensi dell’art. 19, n. 1, secondo comma, TUE, gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

17.      Per quanto riguarda il sistema italiano di restituzione dell’IVA indebitamente riscossa, non è la prima volta che tale sistema e i suoi tre aspetti sono oggetto di questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte dai giudici italiani.

18.      In primo luogo, nella causa che ha condotto alla sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken (6), la Corte ha esaminato, alla luce dei principi di neutralità, di effettività e di non discriminazione, il sistema italiano sotto il profilo della previsione di rimedi diversi per il prestatore di servizi e il committente di servizi al fine di ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e versata. La Corte ha infine concluso che i detti principi non ostano ad una legislazione nazionale secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore (7).

19.      In secondo luogo, nella causa che ha dato luogo alla sentenza Edis (8), la Corte ha affrontato l’altro aspetto del sistema italiano di restituzione dell’IVA indebitamente riscossa, vale a dire quello riguardante i diversi termini di decadenza o di prescrizione nel caso, da un lato, della domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata presentata all’amministrazione finanziaria e, dall’altro, dell’azione di ripetizione dell’indebito tra privati. La Corte ha dichiarato che il diritto comunitario non osta a che la normativa di uno Stato membro contempli, accanto a un termine di prescrizione ordinario applicabile alle azioni di ripetizione dell’indebito tra privati, modalità particolari di reclamo e di azione giudiziale meno favorevoli per la contestazione delle tasse e degli altri tributi (9).

20.      In terzo luogo, per quanto riguarda la durata stessa del termine di decadenza per la domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata presentata all’amministrazione finanziaria, dalla giurisprudenza della Corte risulta che deve trattarsi di un termine ragionevole che tuteli nello stesso tempo il contribuente e l’amministrazione interessata. Infatti, un termine del genere non è tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario (10). La possibilità di presentare una domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata senza alcuna limitazione temporale contrasterebbe col principio della certezza del diritto, il quale esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione fiscale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione (11).

21.      La valutazione della ragionevolezza del termine è effettuata dalla Corte caso per caso. Per quanto riguarda il termine di decadenza biennale, la Corte ha considerato un lasso di tempo del genere come un termine ragionevole in relazione al diritto a detrazione dell’IVA (12). Ritengo che sia possibile applicare per analogia questa conclusione al diritto al rimborso dell’IVA indebitamente versata.

22.      In base alla giurisprudenza sopra menzionata risulta pertanto che, in generale, il sistema italiano di restituzione dell’IVA indebitamente riscossa, oggetto delle presenti questioni pregiudiziali, è, in quanto tale, compatibile con i principi di effettività, di non discriminazione e di neutralità fiscale.

23.      Tuttavia, nella specie, l’equilibrio del sistema italiano è stato turbato dall’amministrazione finanziaria, che ha modificato, mediante circolare, l’interpretazione dell’art. 10, n. 5, del DPR n. 633/72, che prevede l’esenzione dall’IVA nel caso di un’attività di riscossione delle imposte. La circolare ha stabilito che i contributi consortili erano di natura fiscale e, di conseguenza, che i compensi percepiti per le attività di riscossione riguardanti questi ultimi devono essere considerati esenti da IVA.

24.      Dal momento che la summenzionata modifica dell’interpretazione ha avuto luogo dopo la scadenza del termine di decadenza fissato per il soggetto passivo, in questo caso per la BNA, detto soggetto passivo non poteva più chiedere all’amministrazione finanziaria il rimborso della somma corrispondente all’IVA fatturata e poi versata all’erario sui compensi percepiti per l’attività di riscossione dei contributi consortili, mentre i consorzi, in quanto committenti di un servizio consistente in un’attività di riscossione dei contributi consortili, potevano ancora chiedere alla BNA la restituzione delle somme in questione a titolo di indebito oggettivo.

25.      Pertanto, sarebbe la BNA a sopportare l’onere dell’IVA, anche se l’IVA in quanto imposta sul consumo dovrebbe essere sopportata, in generale, dal consumatore finale, ossia nella fattispecie dai consorzi.

26.      Orbene, nel caso di specie, la BNA non è stata causa di questa situazione. Come indicato dalla Corte suprema di cassazione nella sua ordinanza di rinvio, la BNA ha solo seguito una prassi amministrativa e giurisdizionale esistente all’epoca della fatturazione dell’IVA che, considerando i contributi consortili di natura non tributaria, faceva ritenere che l’IVA fosse dovuta.

27.      In effetti, nulla indica che la BNA non abbia agito come un contribuente sufficientemente prudente e accorto. Pertanto, la scadenza, senza presentazione del ricorso, del termine di due anni dal pagamento dell’IVA imposto alla BNA per chiedere il rimborso degli importi indebitamente versati appare non imputabile a quest’ultima, ma al contrario all’amministrazione finanziaria.

28.      Ritengo che, in una situazione di questo tipo, occorra esaminare se le conseguenze sopra descritte della modifica dell’interpretazione dell’art. 10, n. 5 del DPR n. 633/72 sulla situazione giuridica della BAPV, che ha incorporato la BNA, non siano contrarie ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, che, conformemente alla costante giurisprudenza, fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione e devono pertanto essere rispettati dalle sue istituzioni, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie (13).

29.      In effetti, non spetta alla Corte esaminare se una normativa nazionale, la sua interpretazione e la sua applicazione siano conformi ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. Questo ruolo spetta unicamente al giudice del rinvio. La Corte, nel pronunciarsi su un ricorso pregiudiziale ex art. 267 TFUE, è competente solo a fornire a tale giudice tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto comunitario che possano consentirgli di valutare questa conformità (14).

30.      In proposito va ricordato che il principio della certezza del diritto richiede, da un lato, che le norme giuridiche siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per coloro che vi sono sottoposti. Questa necessità s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, per consentire agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che essa impone (15).

31.      A mio avviso, in questo caso, i dubbi vertono non sul carattere chiaro e preciso dell’art. 10, n. 5, del DPR n. 633/72, che prevede l’esenzione dall’IVA nel caso di un’attività di riscossione delle imposte, ma sulla prevedibilità della sua applicazione. Parto dalla premessa che l’applicazione del diritto è indissolubilmente legata alla sua interpretazione, che nella specie è stata modificata dall’amministrazione finanziaria.

32.      Per valutare la prevedibilità dell’interpretazione e dell’applicazione dell’art. 10, n. 5, del DPR n. 633/72, il giudice del rinvio dovrebbe prendere in considerazione non solo il fatto che l’amministrazione finanziaria ha cambiato la sua posizione in merito all’imposizione dei compensi corrisposti per l’attività di riscossione dei contributi consortili, ma anche che la posizione dei giudici italiani su questo punto era in corso di cambiamento.

33.      Per quanto riguarda il principio della tutela del legittimo affidamento, la sentenza Elmeka (16) potrebbe essere utile al giudice nazionale, anche se detta sentenza riguarda il legittimo affidamento dei contribuenti in relazione agli atti delle autorità amministrative. Ritengo che le conclusioni derivanti da tale sentenza possano essere generalizzate a qualsiasi condotta delle autorità amministrative.

34.      Il giudice del rinvio dovrebbe dunque, in primo luogo, verificare se la condotta dell’amministrazione finanziaria abbia generato fondate aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto e, in secondo luogo, ove la risposta a tale quesito dia esito positivo, accertare la legittimità di tali aspettative (17).

35.      In udienza, l’agente del governo italiano ha indicato, a tale riguardo, che la questione dell’esenzione dall’IVA dell’attività di riscossione dei contributi consortili già da un po’ di tempo era oggetto di controversia, cosicché era impossibile valutare se gli atti dell’autorità amministrativa avessero generato fondate aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto.

36.      Ritengo che tale argomento non debba, in quanto tale, svolgere un ruolo determinante nella valutazione effettuata dal giudice del rinvio. Occorre altresì prendere in considerazione, in primo luogo, la durata del periodo durante il quale è stata in vigore la prassi amministrativa o giurisdizionale iniziale di assoggettare a imposta l’attività di riscossione dei contributi consortili e, in secondo luogo, il momento, rispetto ai fatti all’origine della causa principale, in cui sono cominciate le controversie circa la natura dei contributi consortili.

37.      Vorrei, infine, aggiungere che, nella sua valutazione, il giudice del rinvio deve tener conto anche del diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e sancito ugualmente dall’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che, secondo una giurisprudenza costante, fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione. In base a tale giurisprudenza, detto principio non si configura come una prerogativa assoluta, ma deve essere preso in considerazione in relazione alla sua funzione nella società. Conseguentemente, possono essere apportate restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà, a condizione che esse rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione europea e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa del diritto così garantito (18).

38.      Nella fattispecie, il giudice del rinvio deve valutare se il sistema italiano in questione – in particolare i diversi termini di decadenza o di prescrizione da esso previsti, da un lato, per la BAPV e, dall’altro, per i consorzi per quanto riguarda l’esercizio dei loro diritti derivanti dall’IVA indebitamente fatturata e versata all’erario – non comporti, in conseguenza dell’intervento dell’amministrazione tributaria consistente nella modifica dell’interpretazione, una lesione del diritto di proprietà della BAPV.

39.      Se così fosse, spetterebbe al giudice del rinvio stabilire se siano soddisfatte le condizioni risultanti dalla giurisprudenza e menzionate al paragrafo 37 delle presenti conclusioni.

40.      In virtù di quanto precede, ritengo che la Corte dovrebbe risolvere la prima questione dichiarando che i principi di neutralità, di effettività e di non discriminazione non ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che, in materia di IVA indebitamente versata all’erario, in primo luogo, conferisce diritti diversi assoggettati a termini diversi di decadenza o eventualmente di prescrizione, da un lato, al prestatore di servizi in quanto soggetto passivo dell’IVA e, dall’altro, al committente di servizi in quanto soggetto al quale è stata addebitata l’IVA e, in secondo luogo, attribuisce competenza a giudici diversi per le eventuali relative controversie, purché detta normativa sia applicata conformemente ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento e nel rispetto del diritto di proprietà.

 Sulla seconda questione pregiudiziale

41.      Con la seconda questione la Corte suprema di cassazione chiede se i principi di effettività, di non discriminazione e di neutralità fiscale in materia di IVA siano compatibili con una prassi o giurisprudenza nazionale che consentono l’emanazione di una sentenza di rimborso a carico del prestatore di servizi e a favore del committente di servizi, quando il prestatore di servizi non ha esercitato l’azione di rimborso dinanzi ad altro giudice nei termini a lui imposti, in affidamento di un’interpretazione giurisprudenziale seguita nella prassi amministrativa, secondo cui l’operazione era soggetta ad IVA.

42.      Nel corso dell’udienza, l’agente del governo italiano ha chiesto alla Corte di dichiarare irricevibile la seconda questione perché la questione del rimborso dell’IVA indebitamente fatturata dalla BNA, o eventualmente dalla BAPV, che ha incorporato la BNA, non era oggetto della causa principale.

43.      Come risulta da una costante giurisprudenza, spetta soltanto ai giudici nazionali che sono investiti della controversia e che devono assumersi la responsabilità dell’emananda pronuncia giudiziaria valutare, con riguardo alle particolarità di ciascuna causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la loro sentenza quanto la rilevanza delle questioni che sottopongono alla Corte. Il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da detto giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o l’oggetto della controversia della causa principale (19).

44.      Sono dell’avviso che, nella specie, si tratti proprio di una situazione del genere. Va riconosciuto che la controversia di cui alla causa principale, nel quadro della quale sono state poste le questioni pregiudiziali, riguarda solo il rimborso da parte dell’amministrazione tributaria dell’IVA indebitamente versata all’erario, dato che la questione del rimborso da parte della BAPV, che ha incorporato la BNA, dell’IVA indebitamente fatturata è stata risolta da un altro giudice italiano.

45.      Dal momento che la risposta della Corte non potrebbe essere utile per la soluzione della causa principale, ritengo che la Corte debba dichiarare irricevibile la seconda questione sottoposta dalla Corte suprema di cassazione.

46.      Nel caso in cui la Corte fosse in disaccordo con la mia opinione e dichiarasse ricevibile la seconda questione, ritengo che la soluzione da me proposta alla Corte alla prima questione si applichi anche alla seconda questione, dal momento che anche quest’ultima mira a valutare il sistema italiano di rimborso dell’IVA indebitamente riscossa.

 Conclusione

47.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte, in primo luogo, di dichiarare irricevibile la seconda questione pregiudiziale sottoposta dalla Corte suprema di cassazione e, in secondo luogo, di risolvere come segue la prima questione pregiudiziale sollevata da detto giudice:

«I principi di neutralità, di effettività e di non discriminazione non ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che, in materia di imposta sul valore aggiunto indebitamente versata all’erario, in primo luogo, conferisce diritti diversi assoggettati a termini diversi di decadenza o eventualmente di prescrizione, da un lato, al prestatore di servizi in quanto soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto e, dall’altro, al committente di servizi in quanto soggetto al quale è stata addebitata l’imposta sul valore aggiunto e, in secondo luogo, attribuisce competenza a giudici diversi per le eventuali relative controversie, purché detta normativa sia applicata conformemente ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento e nel rispetto del diritto di proprietà».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Supplemento ordinario alla GURI n. 292 dell’11 novembre 1972.


3 – Sentenza 19 settembre 2000, causa C-454/98 (Racc. pag. I-6973, punti 39 e 49).


4 – GU L 145, pag. 1.


5 – V., in tal senso, sentenze 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951, punti 33 e 34); 11 luglio 2002, causa C-62/00, Mark & Spencer (Racc. pag. I-6325, punto 34), nonché 21 gennaio 2010, causa C-472/08, Alstom Power Hydro (Racc. pag. I-623, punto 17).


6 – Sentenza 15 marzo 2007, causa C-35/05 (Racc. pag. I-2425).


7 – Sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken (cit. alla nota 6, punto 42).


8 – Cit. alla nota 5.


9 – Sentenza Edis (cit. alla nota 5, punto 37). La stessa constatazione è presente altresì, per esempio, nella sentenza 9 febbraio 1999, causa C-343/96, Dilexport (Racc. pag. I-579, punto 28).


10 – V., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral (Racc. pag. 1989, punto 5); Edis (cit. alla nota 5, punto 35), nonché 30 giugno 2011, causa C-262/09, Meilicke e a. (Racc. pag. I-5669, punto 56).


11 – V., per analogia, sentenze 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade (Racc. pag. I-3457, punto 44), e Alstom Power Hydro (cit. alla nota 5, punto 16).


12 – V. sentenze Ecotrade (cit. alla nota 11, punto 48), e Alstom Power Hydro (cit. alla nota 5, punto 20).


13 – V., in tal senso, sentenze 14 settembre 2006, cause riunite da C-181/04 a C-183/04, Elmeka (Racc. pag. I-8167, punto 31), e 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol (Racc. pag. I-8343, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


14 – V., in tal senso, sentenza Plantanol (cit. alla nota 13, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).


15 – V., in tal senso, sentenze Plantanol (cit. alla nota 13, punto 46 e giurisprudenza ivi citata), e 2 dicembre 2009, causa C-358/08, Aventis Pasteur (Racc. pag. I-11305, punto 47).


16 – Cit. alla nota 13.


17 – V., in tal senso, sentenza Elmeka (cit. alla nota 13, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


18 – V., in tal senso, sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. I-6351, punto 355 e giurisprudenza ivi citata).


19 – V., in tal senso, in particolare, sentenze 17 maggio 1994, causa C-18/93, Corsica Ferries (Racc. pag. I-1783, punto 14); 18 giugno 1998, causa C-266/96, Corsica Ferries France (Racc. pag. I-3949, punto 27), e 10 marzo 2009, causa C-345/06, Heinrich (Racc. pag. I-1659, punti 36 e 37).