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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 19 luglio 2012 (1)

Causa C-35/11

Test Claimants in the FII Group Litigation

contro

Commissioners of Inland Revenue

The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of England and Wales, Chancery Division (Regno Unito)]






Indice


I – Introduzione

II – Contesto della presente domanda di pronuncia pregiudiziale

III – Sul contesto dell’ordinanza di rinvio

IV – Prima questione

A – La questione e le osservazioni presentate alla Corte

B – Analisi

a) Introduzione

b) Obbligo di concedere un credito corrispondente all’aliquota di imposta legale dello Stato fonte

c) Aliquota effettiva e aliquota nominale

d) Aliquota legale

e) L’esistenza di una restrizione e la sua giustificazione

f) Conclusione

V – Seconda questione

A – La questione e le osservazioni presentate alla Corte

B – Analisi

VI – Terza questione

A – La questione e le osservazioni presentate alla Corte

B – Analisi

VII – Quarta questione

A – La questione e le osservazioni presentate alla Corte

B – Analisi

VIII – Quinta questione

A – La questione e le osservazioni presentate alla Corte

B – Analisi

IX – Conclusione

«Articoli 49 TFUE e 63 TFUE – Imposta sulle società – Sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04) – Parità di trattamento tra dividendi di origine nazionale e dividendi di origine estera – Aliquote di imposta da prendere in considerazione per stabilire se i livelli di imposizione dei dividendi di origine nazionale e di origine estera siano equivalenti – Aliquote legali o effettive – Libera circolazione dei capitali – Norme nazionali applicabili indipendentemente dall’entità della partecipazione – Pagamento indiretto dell’imposta – Imposta non versata dalla società erogante i dividendi – Imposta indebitamente riscossa – Azione di rimborso o azione per danni – Dividendi provenienti da società di paesi terzi – Controllate sulle quali la società che percepisce i dividendi esercita un’influenza determinante – Applicabilità dell’articolo 63 TFUE»


I –    Introduzione

1.        Il 12 dicembre 2006 la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04; in prosieguo: la «prima sentenza FII») (2), in cui essa ha risposto, tra l’altro, alla questione (3) se la normativa del Regno Unito in materia di imposta sulle società che trattava i dividendi di azioni in maniera diversa a seconda che essi provenissero da società residenti nel Regno Unito o da società estere fosse compatibile con determinate disposizioni del diritto dell’Unione.

2.        Il procedimento nazionale è ancora pendente dinanzi alla Chancery Division of the High Court of Justice of England and Wales (in prosieguo: la «High Court»), la quale ha deciso di sospendere nuovamente il procedimento e di sottoporre alla Corte altre cinque questioni pregiudiziali. Alcune di esse richiedono un’elaborazione delle risposte fornite dalla Corte nella prima sentenza FII, mentre con altre si chiedono chiarimenti in ordine a nuovi problemi sollevati nel procedimento nazionale.

3.        L’attenuazione della doppia imposizione economica delle società (vale a dire la duplice tassazione del medesimo reddito presso due contribuenti diversi) rappresenta una questione di notevole rilevanza economica per le attività transfrontaliere e interessa direttamente un numero elevato di società all’interno dell’Unione. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale illustra i problemi derivanti dall’interazione tra il diritto del mercato interno e il diritto tributario nazionale e internazionale, questione non esente da controversie (4).

II – Contesto della presente domanda di pronuncia pregiudiziale

4.        La sostanza della controversia è la seguente. Lo scopo e l’effetto principali della normativa del Regno Unito vigente nel periodo considerato (1973-1999) (5) consistevano nello stabilire a favore degli azionisti una misura di attenuazione della doppia imposizione economica. Venivano applicati due sistemi diversi: i dividendi di origine nazionale erano soggetti ad un sistema di esenzione, mentre i dividendi di origine estera erano soggetti ad un sistema di imputazione (o del credito d’imposta). In base al sistema dell’esenzione, le società residenti che percepivano dividendi da altre società residenti erano semplicemente esentate dal pagamento dell’imposta sui dividendi, sul presupposto che l’imposta sulle società fosse già stata riscossa presso la società che distribuiva i dividendi. Tuttavia, secondo il metodo del credito d’imposta, i dividendi provenienti da società non residenti, vale a dire i dividendi di origine estera, davano solo luogo ad un credito di imposta in capo alla società con sede nel Regno Unito che li percepiva (6).

5.        Il procedimento dinanzi al giudice nazionale oppone le Test Claimants in the Franked Investment Income (FII) Group Litigation (in prosieguo: le «ricorrenti pilota») ai Commissioners of Inland Revenue e ai Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (in prosieguo, congiuntamente, gli «HMRC»).

6.        Nella sua risposta alla prima delle nove questioni sollevate nella prima sentenza FII, la Corte ha dichiarato che gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE (7) non ostavano ad una legislazione di uno Stato membro che, da un lato, esonerava dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente percepiva da un’altra società residente e, dall’altro, assoggettava a tale imposta i dividendi che una società residente percepiva da una società non residente (nella quale la società residente detenesse almeno il 10% dei diritti di voto), accordando nel contempo, in quest’ultimo caso, un credito d’imposta a titolo dell’imposta effettivamente versata dalla società distributrice nel suo Stato membro di residenza (8). Tuttavia, tale soluzione era subordinata alla condizione che:

«l’aliquota d’imposizione sui dividendi di origine estera non sia superiore all’aliquota d’imposizione applicata ai dividendi di origine nazionale e il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato membro della società distributrice sino a concorrenza dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria» (9).

7.        Tale affermazione costituisce l’elemento centrale della decisione di rinvio nella presente causa. Infatti, al punto 56 della sua sentenza, la Corte ha dichiarato quanto segue:

«spetta al giudice del rinvio verificare se l’aliquota d’imposta sia identica e se i diversi livelli d’imposizione sussistano soltanto in casi determinati a motivo di una modifica della base imponibile dovuta ad alcuni sgravi eccezionali».

8.        Tale approccio, che in linea di principio ammette l’applicazione simultanea di due sistemi diversi ai dividendi di origine nazionale e a quelli di origine estera, è stato adottato finora in sentenze quali Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen e Accor (10), entrambe vertenti sul problema dell’attenuazione della doppia imposizione economica dei dividendi di origine estera nel contesto dell’imposta sulle società.

9.        Dopo avere analizzato la prima sentenza FII, la High Court ha deciso di sospendere nuovamente il procedimento nazionale e, con ordinanza del 15 dicembre 2010, ha sottoposto alla Corte le seguenti cinque questioni pregiudiziali (11):

«1)      Se le espressioni “aliquota d’imposta” e “diversi livelli d’imposizione” di cui al punto 56 della [prima sentenza FII]:

a)      si riferiscano unicamente all’aliquota d’imposta legale o nominale, o

b)      si riferiscano all’aliquota d’imposta effettiva pagata oltre che all’aliquota d’imposta legale o nominale, o

c)      se le espressioni di cui trattasi abbiano un altro significato e, in caso di risposta affermativa, quale.

2)      Se comporti una differenza ai fini della soluzione data dalla Corte alla seconda e alla quarta questione pregiudiziale [primo rinvio FII] il fatto che:

a)      l’imposta sulle società corrisposta all’estero non sia (o non sia interamente) pagata dalla società non residente che versa i dividendi alla società residente, ma questi ultimi siano prelevati dagli utili comprendenti i dividendi distribuiti dalle sue controllate dirette o indirette residenti in uno Stato membro e provenienti dagli utili sui quali l’imposta è stata corrisposta in detto Stato; e/o

b)      l’imposta sulle società pagata anticipatamente (l’“ACT”) non sia versata dalla società residente che percepisce il dividendo da una società non residente, ma sia versata dalla società controllante, diretta o indiretta, anch’essa residente, al momento dell’ulteriore distribuzione degli utili della società beneficiaria che direttamente o indirettamente comprendono il dividendo.

3)      Nelle circostanze descritte nella seconda questione, lettera b) supra, se la società che paga l’ACT abbia diritto alla restituzione dell’imposta indebitamente riscossa (causa San Giorgio (12)) o solo a un risarcimento (cause Brasserie du Pêcheur e Factortame (13)).

4)      Se, ove la normativa nazionale in questione non si applichi esclusivamente a situazioni in cui la società controllante esercita un’influenza determinante sulla società che paga i dividendi, una società residente possa invocare l’articolo 63 TFUE (…) in relazione a dividendi percepiti da una controllata sulla quale esercita un’influenza determinante e che è residente in un paese terzo.

5)      Se la soluzione data dalla Corte alla terza questione pregiudiziale nel [primo rinvio FII] si applichi anche quando le controllate non residenti alle quali non potrebbe essere effettuato alcun trasferimento non sono soggette a imposta nello Stato membro della società controllante».

10.      Hanno presentato osservazioni scritte le ricorrenti pilota nel procedimento principale, i governi del Regno Unito, tedesco (sulla prima e quarta questione), francese (sulle prima e quarta questione), irlandese (sulla prima questione), dei Paesi Bassi (sulla quarta questione), nonché la Commissione europea. All’udienza, tenutasi il 7 febbraio 2012, hanno partecipato le ricorrenti pilota nel procedimento principale, i governi del Regno Unito, tedesco, irlandese e la Commissione europea.

III – Sul contesto dell’ordinanza di rinvio

11.      Il seguente schema è inteso a chiarire le strutture societarie sottese alle questioni pregiudiziali:

Regno Unito

A

B

C


D


F

E

G

Altri Stati membri dell’Unione europea

Paesi non membri (paesi terzi)

12.      Tale schema presenta tre gruppi di paesi: il Regno Unito, altri Stati membri dell’Unione europea e paesi non membri (paesi terzi). In esso figurano sette società, presentate in ordine gerarchico e indicate con le lettere A-F. La società A è la capogruppo residente nel Regno Unito. Le società B e C sono controllate di A e residenti nel Regno Unito. Le società D ed E sono controllate di C residenti in un altro Stato membro dell’Unione. Le società F e G sono controllate di C residenti in un paese terzo (14).

13.      La prima questione verte sul confronto tra la nozione di «aliquota d’imposta» e quella di «diversi livelli d’imposizione». Essa riguarda il confronto tra l’imposizione dei dividendi provenienti dal Regno Unito (società B e/o C) e quella dei dividendi provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea (società D) e da paesi terzi (società F).

14.      La seconda questione, lettere a) e b), della presente domanda di pronuncia pregiudiziale trae origine dalle risposte date dalla Corte alla seconda e alla quarta questione nella prima sentenza FII. Esse vertono su una situazione in cui la società D, residente in un altro Stato membro dell’Unione europea, versa dividendi alla sua controllante C residente nel Regno Unito.

15.      Su questo punto, la prima sentenza FII si basava su due presupposti. In primo luogo, la società D aveva pagato l’imposta sulle società nel proprio Stato membro di residenza. In secondo luogo, la società C aveva pagato l’imposta sulle società nel Regno Unito sotto forma di ACT.

16.      In tale contesto, con la seconda questione, lettera a), si tenta di chiarire se la risposta della Corte sarebbe diversa qualora la società D erogante i dividendi non avesse versato (in tutto o in parte) l’imposta sulle società nel suo Stato membro di residenza, ma tale imposta fosse stata pagata dalla società di rango inferiore E, nel medesimo Stato membro o in un altro.

17.      Con la seconda questione, lettera b), si chiede se comporti una differenza il fatto che la società C non abbia pagato essa stessa l’imposta sulle società britannica sotto forma di ACT, ma tale imposta sia stata versata ad un «livello superiore» nella catena del gruppo (da B o da A) in seguito alla scelta dell’imposizione degli utili a livello di gruppo.

18.      La terza questione riguarda il problema se l’ACT, pagata da A o da B nel Regno Unito, possa essere recuperata con un’azione di rimborso dell’imposta indebitamente riscossa o con un’azione di risarcimento dei danni per violazione del diritto dell’Unione.

19.      La quarta questione riguarda i dividendi provenienti da paesi terzi e distribuiti ad un gruppo di società del Regno Unito. In sostanza, tale questione verte sull’applicabilità dell’articolo 63 TFUE ad una situazione in cui la società F, residente in un paese terzo, versa dividendi a C, residente nel Regno Unito, la quale può esercitare un’influenza decisiva su F.

20.      Infine, la quinta questione riguarda le società D e F e il problema se l’ACT versata dalla società A, B o C nel Regno Unito possa essere trasferita a loro favore in una situazione in cui le società D e F non sono assoggettate all’imposta sulle società nel Regno Unito.

IV – Prima questione

A –    La questione e le osservazioni presentate alla Corte

21.      Con la prima questione, la High Court chiede chiarimenti sul significato delle espressioni «aliquota d’imposta» e «diversi livelli d’imposizione» utilizzate al punto 56 della prima sentenza FII.

22.      Nella causa conclusasi con la prima sentenza FII, si chiedeva alla Corte se sia incompatibile con gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE il fatto che uno Stato membro applichi norme che esonerano dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente abbia percepito da altre società residenti mentre assoggettano all’imposta i dividendi che la società residente abbia percepito da società con sede in altri Stati membri (una volta concessa l’esenzione dalla doppia imposizione per qualsiasi ritenuta alla fonte dovuta con riferimento al dividendo e, a determinate condizioni, per l’imposta sottostante pagata dalle società non residenti sui loro utili nel rispettivo paese di residenza).

23.      Quando la High Court è stata nuovamente investita della controversia, le parti si sono trovate in disaccordo circa la corretta interpretazione della prima sentenza FII, e in particolare dei suoi punti 54-56.

24.      Le ricorrenti pilota sostenevano che il compito del giudice nazionale menzionato al punto 56 della prima sentenza FII (15) era quello di esaminare se l’esenzione dei dividendi di origine nazionale distribuiti potesse comportare un’imposizione fiscale inferiore a quella risultante dalla concessione di un credito di imposta indiretto sui dividendi di origine estera. Esse hanno prodotto dinanzi alla High Court una perizia secondo cui, nella maggior parte dei casi, il livello di imposizione effettiva degli utili delle società residenti era inferiore all’aliquota legale. Pertanto, ciò non accadeva «solo in circostanze eccezionali», come aveva sostenuto il governo del Regno Unito nella prima causa FII (16). Gli HMRC non contestavano questa conclusione in quanto tale. Essi sostenevano piuttosto che il giudice nazionale doveva soltanto verificare se le differenze tra le aliquote di imposta legali sussistessero solo in circostanze del tutto eccezionali, e non esaminare i livelli effettivi di imposizione.

25.      La High Court ha accolto l’interpretazione data alla sentenza dalle ricorrenti pilota. In sede di appello, la Court of Appeal era divisa su questo punto. Due giudici concordavano con la tesi degli HMRC, mentre il terzo condivideva le conclusioni della High Court. Considerate tali discrepanze, la Court of Appeal ha deciso di sottoporre alla Corte un’altra domanda di pronuncia pregiudiziale relativa all’interpretazione dei passaggi pertinenti della prima sentenza FII. Tale decisione è stata impugnata dinanzi alla Supreme Court, la quale ha rinviato la causa alla High Court affinché effettuasse il rinvio pregiudiziale.

26.      Nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte, i governi tedesco, irlandese e del Regno Unito suggeriscono che le espressioni «aliquota d’imposta» e «diversi livelli d’imposizione» di cui al punto 56 della prima sentenza FII si riferiscono esclusivamente all’aliquota di imposta legale o nominale. Le ricorrenti pilota suggeriscono che tali espressioni si riferiscono sia all’aliquota di imposta effettiva sia all’aliquota di imposta legale o nominale (17). La Commissione suggerisce che gli Stati membri devono calcolare il credito di imposta in base all’aliquota di imposta nominale applicabile nello Stato fonte.

B –    Analisi

a)      Introduzione

27.      È utile ricordare brevemente i diversi approcci adottati dall’avvocato generale e dalla Corte nella prima sentenza FII.

28.      In detta causa l’avvocato generale Geelhoed ha osservato che l’applicazione di due sistemi diversi per evitare la doppia imposizione economica dei dividendi potrebbe, in linea di principio, essere conforme al Trattato. Tuttavia, dopo un’analisi approfondita, egli ha concluso che l’applicazione di due sistemi, uno per i dividendi di origine nazionale e uno per quelli di origine estera, era inevitabilmente discriminatoria e incompatibile con il Trattato.

29.      Secondo l’avvocato generale, ciò era dovuto al fatto che «l’applicazione da parte del Regno Unito di un sistema di credito d’imposta al fine di attenuare la doppia imposizione sui dividendi di fonte estera [può], in determinati casi, produrre effetti meno favorevoli rispetto al sistema di esenzione applicato ai dividendi di origine nazionale. Mentre, in un sistema di esenzione, i vantaggi fiscali costituiti dalle esenzioni e dalle detrazioni relativi all’imposta sottostante sulle società possono essere trasferiti alla società madre che percepisce i dividendi, in un sistema di credito d’imposta tali vantaggi non possono essere trasferiti poiché l’imposta gravante sui dividendi viene [aumentata fino a raggiungere] l’aliquota di base dell’imposta sulle società [del Regno Unito]. In tali casi, l’effetto prodotto da tale meccanismo potrebbe essere considerato come un’applicazione da parte del Regno Unito di una diversa (inferiore) aliquota d’imposta ai dividendi versati dalle società residenti rispetto all’aliquota gravante sui dividendi di fonte estera» (18).

30.      A questo punto occorre svolgere due osservazioni. In primo luogo, lo scopo dell’applicazione di un sistema di credito di imposta ai dividendi di origine estera è, ovviamente, ottenere l’effetto descritto dall’avvocato generale Geelhoed, vale a dire annullare, nell’imposizione dello Stato di residenza, gli effetti di un’aliquota di imposta effettiva meno elevata nello Stato fonte. Ciò si ottiene tassando, nello Stato di residenza, la differenza tra l’aliquota effettiva nello Stato fonte e l’aliquota (19) applicabile ai dividendi di origine estera nello Stato di residenza.

31.      In secondo luogo, dalle conclusioni sembra emergere che l’avvocato generale Geelhoed non era in disaccordo con il Regno Unito e con la Commissione nei limiti in cui essi sostenevano che entrambi i sistemi hanno l’effetto di evitare la doppia imposizione economica (20).

32.      Nella prima sentenza FII, tuttavia, la Corte ha concluso che l’applicazione di due sistemi diversi per evitare la doppia imposizione economica dei dividendi di origine nazionale e di origine estera poteva essere compatibile con il Trattato, purché sussistessero determinate condizioni (21). Si chiede ora alla Corte di chiarire la sua decisione.

33.      A mio parere, la proposta dell’avvocato generale sarebbe stata più in linea con la giurisprudenza della Corte relativa alle restrizioni alle libertà fondamentali derivanti dall’imposizione diretta. È chiaro che l’applicazione simultanea di due metodi diversi per evitare la doppia imposizione economica dei dividendi di origine nazionale e dei dividendi di origine estera diverge inevitabilmente dalla neutralità rispetto all’esportazione di capitali (22). I due metodi perseguono obiettivi diversi per quanto riguarda la possibilità di trasferire all’azionista le esenzioni e i vantaggi sottostanti all’imposta sulle società. Il metodo del credito d’imposta mira ad evitare tale trasferimento, mentre il metodo dell’esenzione mira ad ottenerlo, sempreché non esista un’imposizione supplementare che aumenti la tassazione dei dividendi distribuiti fino a raggiungere le aliquote legali (23).

34.      Inoltre, poiché tale mancanza di neutralità è causata dalle norme applicabili nello Stato membro di residenza dell’azionista, non si tratta di per sé di una conseguenza diretta delle differenze tra le normative fiscali di Stati membri diversi (24).

35.      Nondimeno, detto questo, l’approccio scelto dalla Corte nella prima sentenza FII è stato seguito in cause successive (25). Ciò considerato, e per motivi di certezza del diritto, non suggerisco alla Corte di abbandonare tale orientamento giurisprudenziale, sul quale hanno certamente fatto affidamento giudici, imprese e amministrazioni tributarie degli Stati membri. Tuttavia, l’orientamento di cui trattasi può essere confermato solo se la Corte ammette che l’applicazione del sistema asimmetrico misto sopra descritto comporta un trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera. Ciò deriva dalla differenza per quanto riguarda la possibilità di trasferire all’azionista gli sgravi fiscali applicabili agli utili sottostanti delle società (26).

36.      Qualora, invece, la Corte decidesse di riconsiderare tale giurisprudenza relativamente recente, la soluzione più appropriata sarebbe adottare l’approccio proposto dall’avvocato generale Geelhoed nell’ambito del primo rinvio FII.

37.      In prosieguo esaminerò le tre interpretazioni alternative indicate dalla High Court nella prima questione pregiudiziale.

b)      Obbligo di concedere un credito corrispondente all’aliquota di imposta legale dello Stato fonte

38.      La High Court chiede, come terza interpretazione alternativa, se i riferimenti all’«aliquota d’imposta» e ai «diversi livelli d’imposizione» contenuti al punto 56 della prima sentenza FII abbiano un significato diverso dall’aliquota d’imposta legale o dall’aliquota d’imposta effettiva, e, in caso affermativo, quale.

39.      Solo la proposta della Commissione segue tale approccio. Essa propone di rispondere alla prima questione affermando che lo Stato membro «deve assicurare che il credito di imposta sia equivalente allo sgravio concesso per i dividendi [di origine nazionale], calcolando il credito in base all’aliquota di imposta nominale applicabile nello Stato dal quale provengono i dividendi».

40.      Secondo la Commissione, tale proposta mira a garantire la parità di trattamento formale e la facilità di applicazione, e consente di raggiungere un risultato equo. Da un lato, ciò viene ottenuto senza favorire sistematicamente i dividendi di origine estera generati in Stati con basse aliquote di imposta. Dall’altro, non occorrerebbe ricalcolare sistematicamente la situazione fiscale della società estera che distribuisce i dividendi, simulando l’imposta che essa avrebbe pagato se fosse stata residente nel Regno Unito. Tale metodo, secondo la Commissione, rifletterebbe più fedelmente l’esenzione dei dividendi di origine nazionale.

41.      Malgrado la semplicità e l’eleganza della proposta della Commissione, ritengo che la Corte non debba accoglierla, per quattro motivi.

42.      In primo luogo, la proposta della Commissione non è collegata né alla prima sentenza FII, né agli argomenti presentati dalle parti nel contesto del primo rinvio FII, salvo interpretarla come una spiegazione del termine «equivalente» contenuto nella risposta alla prima questione pregiudiziale nella prima sentenza FII. La soluzione della Commissione è emersa come alternativa autonoma, separata dagli argomenti addotti nel procedimento principale.

43.      In secondo luogo, adottare la soluzione della Commissione significherebbe che, in un sistema fiscale che esenta i dividendi di origine nazionale, una sola modalità di applicazione del metodo del credito d’imposta per attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi di origine estera sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione. Ciò equivarrebbe ad un’armonizzazione giudiziaria delle norme fiscali relative ad una questione che è di competenza nazionale, sebbene tale metodo, come ammesso dalla Commissione, non garantisca la parità di trattamento sostanziale in tutti i casi, ma venga proposto in ragione della sua praticabilità. Per sua natura, la ponderazione tra il grado di parità voluto e la praticabilità amministrativa è un compito di carattere legislativo, e non giurisdizionale (27).

44.      In terzo luogo, la soluzione non risulta neutrale rispetto all’esportazione dei capitali se lo Stato membro di residenza del percettore dei dividendi applica aliquote di imposta effettive prossime all’aliquota legale, e lo Stato fonte combina aliquote legali elevate con basse aliquote effettive. In altre parole, lo Stato membro del percettore sarebbe obbligato a concedere un credito di imposta corrispondente alla differenza tra l’aliquota di imposta effettiva e quella legale sugli utili generati nello Stato fonte, vale a dire concedere un credito per un’imposta estera non corrisposta (28). Dal punto di vista economico, tale soluzione è analoga all’obbligo di concedere un cd. credito di imposta figurativo (cd. «tax sparing credit»), come quello utilizzato nei trattati per evitare la doppia imposizione conclusi tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, in quanto anch’essa mira a trasferire gli sgravi e gli incentivi fiscali dello Stato fonte all’imposizione nel paese di residenza (29).

45.      In quarto luogo, tale soluzione, a mio parere, non è intellettualmente coerente. Come rilevato dalla stessa Commissione, l’idea di applicare il metodo del credito d’imposta ai dividendi di origine estera ed esentare invece i dividendi di origine nazionale può essere utile in particolare per tenere conto delle differenze tra il livello impositivo nello Stato fonte e quello nello Stato di residenza. Secondo la Commissione, uno Stato membro può legittimamente mirare a garantire che i redditi, compresi i dividendi, percepiti dalle sue società residenti vengano tassati all’aliquota stabilita dalla sua legislazione.

46.      Tuttavia, se si accogliesse questa tesi, sarebbe incoerente esigere, da un lato, che lo Stato membro del percettore assoggetti ad imposta i dividendi di origine estera senza tenere conto della differenza tra l’aliquota di imposta effettiva e quella legale nello Stato fonte, e consentire, dall’altro, che lo Stato di residenza assoggetti ad imposta la differenza tra l’aliquota legale (meno elevata) applicata nello Stato fonte e l’aliquota legale dello Stato di residenza. Non sembra logico che sull’imposizione dell’azionista da parte dello Stato di residenza debba ripercuotersi solo l’effetto delle agevolazioni e delle esenzioni applicabili nello Stato fonte (che determinano la differenza tra l’aliquota effettiva e l’aliquota legale in tale Stato), ma non l’effetto dell’aliquota estera meno elevata in una situazione nella quale lo Stato di residenza esenta i dividendi di origine nazionale.

c)      Aliquota effettiva e aliquota nominale

47.      Le ricorrenti pilota sostengono un’interpretazione della prima sentenza FII secondo cui si dovrebbero prendere in considerazione sia le aliquote legali che quelle effettive al fine di stabilire se sussista una differenza tra il livello di imposizione dei dividendi di origine estera e quello della tassazione a titolo di imposta sulle società degli utili soggiacenti ai dividendi nazionali, che, in quanto tali, sono esenti da imposta. Accogliere tale interpretazione significherebbe che, qualora tale differenza esistesse (o il giudice nazionale dichiarasse che essa esiste) più spesso che non solo in casi eccezionali, ne conseguirebbe una discriminazione contro i dividendi di origine estera, che costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento.

48.      La nozione di aliquota di imposta legale o nominale è sufficientemente chiara ai fini del presente rinvio pregiudiziale. Essa si riferisce alla percentuale di imposta gravante su un determinato importo di reddito imponibile ai sensi delle norme giuridiche applicabili. Nel contesto della presente causa esistono due aliquote legali, ossia l’aliquota dell’imposta britannica sulle società applicabile ai dividendi di origine estera, e l’aliquota dell’imposta britannica sulle società applicata nell’imposizione degli utili soggiacenti delle società distributrici del Regno Unito. Poiché i dividendi di origine nazionale sono esenti, non viene applicata loro alcuna aliquota legale.

49.      La nozione di aliquota effettiva è molto più ambigua (30). Essa può riferirsi al livello effettivo di imposizione di un determinato reddito o soggetto passivo, ma può anche riferirsi ad una misura statistica elaborata per calcolare gli oneri fiscali inerenti a determinate attività (31).

50.      La nozione di aliquota di imposta effettiva utilizzata dalla High Court, e sostenuta dalle ricorrenti pilota, si riferisce all’importo proporzionale dell’imposta effettivamente pagato sugli utili contabili. È apparentemente pacifico tra le parti, ed ammesso dalla High Court, che tale aliquota effettiva può essere inferiore all’aliquota legale per effetto di sgravi e agevolazioni che riducono l’onere fiscale di una società controllata con sede nel Regno Unito. Si ammette inoltre che ciò si verifica spesso e non «solo in casi del tutto eccezionali».

51.      L’applicazione di tale nozione dell’aliquota di imposta effettiva – che implica un confronto tra gli oneri fiscali sui dividendi di origine estera e quelli sui dividendi di origine nazionale – causerebbe gravi problemi teorici e pratici. L’aliquota di imposta effettiva varia per ciascuna società e per ciascun esercizio in funzione delle agevolazioni e delle esenzioni che incidono sul calcolo della base imponibile (quali i riporti delle perdite o gli sgravi di gruppo).

52.      A tal riguardo, l’Irlanda osserva giustamente che, ai fini fiscali, gli utili sono utili contabili, come modificati in base ad eventuali criteri stabiliti dalle norme applicabili. È quindi altamente improbabile che, concretamente, l’importo degli utili contabili coincida con quello degli utili a fini fiscali. L’Irlanda sostiene che la Corte, pronunciando la prima sentenza FII, sapeva, sulla base degli argomenti presentati dinanzi ad essa, che quando vi erano differenze tra utili contabili e utili a fini fiscali, il che avveniva quasi sistematicamente, l’aliquota di imposta effettiva era diversa dall’aliquota di imposta legale. È proprio in considerazione della probabile discrepanza tra aliquota legale e aliquota effettiva che l’avvocato generale Geelhoed ha concluso che gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE ostavano all’utilizzo simultaneo di un sistema di esenzione e di un sistema di credito d’imposta (32).

53.      In conclusione, solo eccezionalmente le aliquote di imposta effettive calcolate in base all’imposta sulle società effettivamente pagata sugli utili contabili equivarrebbe alle aliquote legali o nominali applicate agli utili imponibili. Inoltre, tale confronto non può essere svolto ragionevolmente senza una piena conoscenza delle caratteristiche fiscalmente rilevanti delle società da confrontare e delle loro attività.

54.      Pertanto, a mio parere, la combinazione di aliquote nominali ed aliquote effettive risulta, a priori, inadeguata. Sarebbe difficile, se non impossibile, applicare tale sistema oggettivamente.

d)      Aliquota legale

55.      La terza possibile interpretazione del punto 56 della prima sentenza FII comporta l’applicazione delle aliquote legali o nominali. Secondo tale interpretazione, la Corte avrebbe fatto riferimento alle aliquote di imposta legali al fine di valutare l’impatto dell’applicazione simultanea dei metodi del credito d’imposta e dell’esenzione.

56.      Tenuto conto della discussione tra le parti e del fatto che la Corte non ha accolto la soluzione proposta dall’avvocato generale, questa sembra l’interpretazione più plausibile della prima sentenza FII. La questione sulla quale dovrebbe pronunciarsi il giudice nazionale consisterebbe quindi nell’esaminare se sia vero che solo in casi eccezionali vengono utilizzate, nell’imposizione degli utili delle società, aliquote nominali inferiori alla normale aliquota d’imposta legale, il che è implicito nel regime fiscale britannico relativo ai dividendi di origine nazionale.

57.      Sebbene intenda proporre di rispondere alla prima questione nel senso che la Corte si riferiva alle aliquote legali o nominali, proseguirò l’esame di tale questione ed analizzerò i problemi che, a mio parere, derivano necessariamente da questa risposta.

e)      L’esistenza di una restrizione e la sua giustificazione

58.      Come ho già rilevato, ritengo che l’avvocato generale Geelhoed abbia considerato a giusto titolo che la combinazione dell’esenzione per i dividendi di origine nazionale con il credito d’imposta per i dividendi di origine estera determina inevitabilmente un trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera (33). Tale conclusione sembra valere nel caso del Regno Unito, a prescindere dalla questione se il confronto sia basato unicamente sulle aliquote legali oppure su una combinazione delle aliquote legali e di quelle effettive.

59.      Infatti, se il confronto è basato sulle aliquote legali, il trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera è una conseguenza sistemica delle differenze tra i due metodi per quanto riguarda la possibilità di trasferire i vantaggi fiscali applicabili alla sottostante imposta sulle società. Se, invece, il confronto è basato su una combinazione di aliquote legali ed effettive, il trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera è una constatazione di fatto relativa all’effettivo funzionamento del sistema del Regno Unito e, in quanto tale, non è in discussione nel procedimento principale.

60.      Pertanto, al fine di fornire una risposta utile al giudice nazionale, e per evitare un terzo rinvio pregiudiziale nel procedimento a quo, la Corte, a mio parere, dovrebbe esaminare la questione se la situazione sopra descritta configuri una restrizione alla libertà di stabilimento e, in caso affermativo, se tale restrizione possa essere obiettivamente giustificata.

61.      Qualora la Corte dovesse rispondere che il punto 56 della prima sentenza FII si riferisce alle aliquote legali o nominali, e le aliquote legali fossero le medesime (fatte salve le situazioni eccezionali), rimarrebbero il problema del trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera, quale conseguenza sistemica dell’applicazione di due norme diverse in situazioni equiparabili, nonché la questione se si tratti o meno di una restrizione e, in caso affermativo, se essa possa o meno essere giustificata. In quest’ottica, qualora la Corte dovesse optare per l’applicazione combinata delle aliquote nominale ed effettiva, al giudice nazionale occorrerebbero chiarimenti in merito alle modalità di calcolo delle aliquote effettive. Gli occorrerebbero inoltre chiarimenti in ordine alla questione se qualsiasi differenza tra le aliquote effettive costituisca una restrizione oppure sia consentito un certo margine prima che una differenza configuri una restrizione. In tale contesto assume rilevanza anche il problema della giustificazione.

62.      Tale restrizione, ammesso che esista, non deriva dal fatto che una parte dei dividendi di origine estera è stata assoggettata a doppia imposizione economica, cui si sottraggono i dividendi di origine nazionale (34). La restrizione deriva dal fatto che una parte degli utili soggiacenti ai dividendi di origine nazionale non è tassata in alcun modo, poiché l’aliquota effettiva di imposta sulle società dovuta dalla società erogante è inferiore all’aliquota legale, e l’esenzione dei dividendi trasferisce tale sgravio agli azionisti. Pertanto, il confronto va effettuato non tra la doppia imposizione economica e l’imposizione unica, ma tra quest’ultima e la non imposizione parziale. Dal punto di vista della prevenzione della doppia imposizione economica, i metodi del credito d’imposta e dell’esenzione sono sistemi dotati della medesima efficacia.

63.      La questione successiva è se sussista una restrizione alla libertà di stabilimento e, in caso affermativo, se tale restrizione possa essere giustificata. Come ho già rilevato, interpreto la giurisprudenza anteriore alla prima sentenza FII nel senso che le norme nazionali applicabili nel Regno Unito hanno determinato una restrizione per quanto riguarda le situazioni transfrontaliere e che tale restrizione non era giustificabile.

64.      Tuttavia, attualmente la prima sentenza FII e la giurisprudenza successiva consentono di formulare anche una conclusione alternativa.

65.      Per quanto concerne i dividendi di portafoglio, l’obiettivo perseguito utilizzando il metodo del credito d’imposta, che consiste nell’aumentare l’imposizione dei dividendi di origine estera fino a raggiungere l’imposizione nazionale, è stato espressamente riconosciuto dalla Corte nella sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen. La Corte ha dichiarato che «[l]’applicazione del metodo dell’imputazione ai dividendi provenienti da società non residenti consente infatti di garantire che i dividendi di portafoglio di origine estera e quelli di origine nazionale sopportino il medesimo carico fiscale, segnatamente nel caso in cui lo Stato da cui provengono i dividendi applichi, nell’ambito dell’imposta sulle società, un’aliquota fiscale inferiore a quella applicabile nello Stato membro nel quale è stabilita la società beneficiaria dei dividendi. In un simile caso, l’eventuale esenzione dei dividendi provenienti da società non residenti avvantaggerebbe i contribuenti che avessero investito in partecipazioni estere rispetto a quelli che avessero investito i loro capitali in partecipazioni nazionali» (35).

66.      Se ne potrebbe dedurre che lo Stato membro della società beneficiaria non è tenuto a trasferire i vantaggi fiscali conferiti dalla normativa tributaria dello Stato fonte ai percettori dei dividendi, ma può legittimamente eliminare l’effetto di tali vantaggi nella propria imposizione nazionale. In altre parole, uno Stato membro che intenda eliminare la doppia imposizione economica a livello nazionale deve tenere conto delle imposte versate all’estero, ma non è tenuto a riconoscere i vantaggi fiscali concessi negli Stati di origine esteri.

67.      Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale Kokott nelle conclusioni relative alla causa Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, se uno Stato membro decide di evitare la doppia imposizione economica degli utili delle società esentando i dividendi di origine nazionale dall’imposta sulle società, è lecito presumere che il livello di tassazione desiderato sia garantito già attraverso la riscossione dell’imposta sulle società in capo alla società erogante. Poiché nel singolo caso tale corrispondenza interna tra esenzione a livello dell’azionista e imposizione a livello della società può mancare del tutto o in parte, per valutare se sussista una discriminazione, ciò che è determinante non è la valutazione del singolo caso, bensì la visione complessiva del sistema (36).

68.      L’avvocato generale Kokott rileva inoltre che tale stretta corrispondenza tra l’esenzione applicabile ai dividendi di origine nazionale e l’imposizione a livello della società, sottesa al sistema dell’esenzione, non può essere esclusa con metodi comuni di riduzione del carico fiscale quali la compensazione delle perdite e lo sgravio di gruppo. Si può ritenere che l’obiettivo di un sistema fiscale non sia quello di scongiurare la doppia imposizione economica solo se, sulla base di un’analisi complessiva del sistema, risulta che la corrispondenza tra esenzione e tassazione precedentemente assolta sussiste soltanto in apparenza o addirittura manca manifestamente (37).

69.      Pertanto, il metodo dell’esenzione, se applicato nell’imposizione di un gruppo di società, si basa sul principio secondo cui, a livello sistemico, l’imposta sulle società riscossa sugli utili soggiacenti è sufficiente. In altre parole, il legislatore nazionale sceglie di evitare una situazione in cui gli effetti dei vantaggi fiscali di cui beneficia una società del gruppo verrebbero annullati dall’imposizione a carico di società ad un livello più elevato del gruppo.

70.      Ne consegue che, secondo tale approccio, in mancanza di armonizzazione a livello dell’Unione, gli Stati membri non sarebbero tenuti né a riconoscere l’effetto economico delle scelte di politica fiscale dello Stato fonte nel loro trattamento dei dividendi di origine estera né a tassare i dividendi di origine nazionale distribuiti sulla base di utili assoggettati all’imposta sulle società conformemente alla disciplina fiscale applicabile. Gli Stati membri potrebbero invece applicare le loro politiche in materia di aliquote legali e di basi imponibili sia in relazione ai dividendi di origine estera che ai dividendi di origine nazionale (38). Pertanto, la mancanza di neutralità rispetto all’esportazione dei capitali e il conseguente disincentivo alla libertà di stabilimento non configurerebbero una restrizione vietata, purché vengano applicate le medesime aliquote di imposta nominali.

71.      Tuttavia, tale imposizione asimmetrica non è una conseguenza inevitabile della ripartizione delle competenze fiscali all’interno dell’Unione. Essa deriva piuttosto dalle scelte di politica fiscale dello Stato membro della società controllante. Infatti, tale scelta politica consiste nell’adottare due elementi di politica fiscale che, di per sé, sono giustificati in forza del diritto dell’Unione, ma la cui applicazione simultanea determina una disparità di trattamento.

72.      In conclusione, l’applicazione di un sistema misto asimmetrico tende a determinare un trattamento meno favorevole dei dividendi di origine estera, a prescindere dalla circostanza che vengano prese in considerazione le aliquote effettive o le aliquote legali. Secondo l’approccio sopra descritto, tale disparità di trattamento conseguirebbe all’applicazione combinata di due principi legittimi di politica fiscale, e come tale non costituirebbe una restrizione, o sarebbe una restrizione giustificata. Ciò condurrebbe senza dubbio, in tale ambito dell’imposizione diretta, ad un’applicazione dei principi del mercato interno più flessibile rispetto alla norma.

f)      Conclusione

73.      Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione affermando che le espressioni «aliquota d’imposta» e «diversi livelli d’imposizione» di cui al punto 56 della prima sentenza FII si riferiscono all’aliquota d’imposta legale o nominale. Per i motivi sopra esposti, tale risposta lascia irrisolta la questione della restrizione e della sua giustificazione. Detta questione può essere esaminata riprendendo la risposta suggerita dall’avvocato generale Geelhoed al paragrafo 56 delle sue conclusioni nella prima causa FII, che costituisce la mia proposta in subordine, oppure semplicemente considerando ammissibili, allo stato attuale del diritto dell’Unione, le conseguenze economiche del sistema misto asimmetrico.

V –    Seconda questione

A –    La questione e le osservazioni presentate alla Corte

74.      Con la seconda questione, si chiedono chiarimenti sulla risposta data dalla Corte alla seconda e alla quarta questione del primo rinvio FII, relative ai regimi britannici dell’ACT e dei dividendi di redditi esteri (39).

75.      In risposta alla seconda questione nel primo rinvio FII, la Corte ha dichiarato che gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro che consenta ad una società residente che percepisce dividendi da un’altra società residente di detrarre dall’ammontare da essa dovuto quale ACT l’ammontare di tale imposta pagato dalla seconda società, laddove, nel caso di una società residente che percepisce dividendi da una società non residente, una tale detrazione non sia consentita relativamente all’imposta sugli utili distribuiti versata dalla società erogante nel suo Stato di residenza.

76.      La High Court osserva che la soluzione della Corte è incentrata sull’ACT pagata da una società residente che percepisce direttamente dividendi di origine estera, in situazioni nelle quali l’imposta sulle società è stata versata dalla società non residente che paga i dividendi (la cd. «water’s edge company», ossia la società D dello schema di cui sopra) (40). In pratica, tuttavia, molto spesso la «water’s edge company» non versava alcuna imposta nel suo Stato di residenza relativamente agli utili dai quali provenivano i dividendi versati alla sua controllante residente nel Regno Unito (la società C dello schema), per effetto dell’impiego generalizzato, da parte dei gruppi internazionali, di società holding intermedie che pagavano un’imposta molto modesta o nessuna imposta sui propri utili.

77.      Quando la High Court è stata nuovamente investita della controversia, gli HMRC hanno sostenuto che la risposta data dalla Corte alla seconda questione nel primo rinvio FII riguardava solo il caso in cui la stessa «water’s edge company» aveva versato l’imposta sulle società nel proprio Stato di residenza. Le ricorrenti pilota, per contro, hanno affermato che la sentenza della Corte si applicava anche quando i dividendi provenivano da utili che includevano dividendi versati da una subcontrollata residente in un altro Stato membro sulla base di utili per i quali l’imposta sulle società veniva corrisposta in tale Stato (la società E dello schema).

78.      Si pone il medesimo problema in relazione alla risposta data dalla Corte alla quarta questione nel primo rinvio FII, in cui essa ha dichiarato che gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE erano incompatibili con una normativa di uno Stato membro che, se da una parte esonerava dall’ACT le società residenti che distribuivano ai loro azionisti dividendi provenienti da dividendi di origine nazionale, dall’altra invece concedeva alle società controllanti residenti, che distribuivano ai loro azionisti dividendi di origine estera, la facoltà di optare per il regime FID. Tale regime, da un lato, consentiva loro di recuperare l’ACT versata ma imponeva loro di versare l’imposta e di chiederne il rimborso successivamente e, dall’altro, comportava per gli azionisti la perdita del credito di imposta di cui avrebbero beneficiato in caso di una distribuzione di dividendi provenienti da dividendi di origine nazionale.

79.      Le ricorrenti pilota e la Commissione suggeriscono che la risposta data dalla Corte alla seconda e alla quarta questione nella prima sentenza FII dovrebbe applicarsi nei casi descritti nella seconda questione, lettere a) e b). Il governo del Regno Unito propone invece di interpretare la sentenza nel senso che non sussiste violazione degli articoli 49 TFUE e 63 TFUE in nessuno dei due casi.

B –    Analisi

80.      A prima vista, non vedo perché il cambiamento della controllata che paga l’imposta (le società D o E dello schema di cui sopra) dovrebbe condurre ad un’interpretazione diversa da quella fornita dalla Corte nella prima sentenza FII. Infatti, il principio giuridico applicato dalla Corte nei punti pertinenti della prima sentenza FII era la non discriminazione tra dividendi di origine estera e dividendi di origine nazionale in relazione all’obiettivo di evitare l’imposizione a catena perseguito dalla normativa del Regno Unito (41).

81.      In sostanza, il giudice nazionale chiede chiarimenti sulla questione se agli Stati membri incombesse già un obbligo analogo in forza del Trattato, a prescindere dalle situazioni disciplinate dalle disposizioni della direttiva 90/435 (42), in quanto sembra evidente che, dato il loro ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis, la direttiva 90/435 e in particolare le sue disposizioni modificate non sono applicabili.

82.      Su tale questione condivido l’analisi della Commissione. Essa rileva che, nel regime ACT, una società residente potrebbe distribuire dividendi agli azionisti senza pagare l’ACT nei limiti in cui tali dividendi provengano da dividendi ad essa pagati da una società controllata residente. Una siffatta esenzione dall’ACT era esclusa se i dividendi provenivano da dividendi versati da una controllata estera. Il pagamento dell’ACT in relazione a tali distribuzioni determinava quanto meno uno svantaggio in termini di liquidità rispetto alle distribuzioni basate su dividendi di origine nazionale. In molti casi ne conseguiva un onere fiscale aggiuntivo sui redditi esteri, che non esisteva e non poteva esistere in relazione ai redditi nazionali. Tale onere aggiuntivo costituiva una doppia imposizione economica.

83.      È importante rammentare che l’ACT consisteva in un pagamento anticipato dell’imposta sulle società. Pertanto, la riscossione dell’ACT in relazione a distribuzioni che includevano dividendi di origine estera era giustificata solo nei limiti in cui i dividendi esteri provenivano da utili tassati ad un’aliquota inferiore rispetto a quella applicabile nel Regno Unito.

84.      Nelle situazioni puramente interne l’ACT viene versata una sola volta, dalla controllata del Regno Unito in occasione della distribuzione dei propri utili, oppure dalla società controllante in occasione della distribuzione finale ai singoli azionisti. L’ACT corrisposta viene successivamente detratta dall’imposta sulle società dovuta da una di tali società. Nelle situazioni transfrontaliere non vi sono motivi per pagare l’ACT, poiché nulla è dovuto a titolo di imposta sulle società nel Regno Unito (salvo per compensare la differenza tra l’aliquota applicata nel Regno Unito e quella applicata nello Stato fonte).

85.      Come dichiarato dalla Corte al punto 87 della prima sentenza FII, una società che percepisce dividendi di origine estera si trova, in relazione all’obiettivo di prevenzione dell’imposizione a catena perseguito dalla normativa controversa nel procedimento principale, in una situazione analoga a quella di una società che percepisce dividendi di origine nazionale, anche se soltanto quest’ultima percepisce dividendi sui quali è stata pagata l’ACT. A mio parere, ciò vale a prescindere dalla circostanza che essa percepisca detti dividendi tramite una controllata intermedia.

86.      Tali considerazioni valgono anche per la risposta alla seconda questione, lettera b). Una società residente che percepisce dividendi da una società estera non deve versare l’ACT, in quanto non è assoggettata all’imposta ordinaria sulle società in relazione a tali dividendi (fatti salvi, come detto, eventuali versamenti compensativi). Del pari, la società controllante alla quale essa distribuisce i propri utili comprensivi dei detti dividendi non è assoggettata all’imposta ordinaria sulle società per la parte di utili corrispondente a tali dividendi, e pertanto non si potrebbe fondatamente pretendere che essa paghi l’ACT.

87.      In considerazione di tali elementi, propongo di rispondere alla seconda questione che le due situazioni descritte alle lettere a) e b) non richiedono una risposta diversa da quella data dalla Corte alla seconda e alla quarta questione nell’ambito del primo rinvio FII.

VI – Terza questione

A –    La questione e le osservazioni presentate alla Corte

88.      Con la terza questione, il giudice nazionale chiede che vengano valutate le eventuali conseguenze della risposta alla seconda questione, lettera b). Concretamente, si tratta di stabilire se una società controllante con sede nel Regno Unito che abbia percepito indirettamente dividendi di origine estera tramite una controllata intermedia residente e sia stata illegittimamente obbligata a pagare l’ACT possa chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa oppure solo il risarcimento dei danni, alle condizioni stabilite dalla sentenza Brasserie du Pêcheur e Factortame (43).

89.      A tale proposito, il giudice del rinvio rileva che la seconda questione del primo rinvio FII faceva riferimento ad una situazione semplificata, in cui l’ACT veniva pagata da una società residente nel Regno Unito (la società C dello schema di cui sopra), la quale percepiva il dividendo direttamente dalla controllata «water’s edge» non residente (la società D dello schema). In pratica, tuttavia, l’ACT veniva pagata dalla società capogruppo residente (la società A dello schema), la quale poteva essere la controllante diretta o indiretta della società residente (la società C dello schema) che percepiva effettivamente i redditi di origine estera (44).

90.      Quando il giudice nazionale è stato nuovamente investito della controversia, gli HMRC hanno sostenuto che l’ACT versata dalla società capogruppo costituiva un’imposizione legittima (45). Le ricorrenti pilota hanno invece affermato che in tali circostanze si configurava una violazione del diritto dell’Unione, a prescindere da se la società residente che percepiva i dividendi da una società non residente pagasse essa stessa l’ACT oppure optasse per il regime fiscale di gruppo, con la conseguenza che l’ACT veniva versata da una società residente posta ad un livello superiore della struttura societaria. Pertanto, i principi elaborati dalla Corte impongono che la società posta ad un livello superiore della struttura societaria che ha effettivamente versato l’ACT disponga di un’azione di rimborso.

91.      La Commissione propone che la società che versa l’ACT possa chiedere solo il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa. Per contro, il governo del Regno Unito ritiene che, qualora la società residente che ha percepito dividendi da una società non residente abbia beneficiato di un’esenzione dall’ACT, il successivo pagamento dell’ACT da parte della società che la controlla direttamente o indirettamente non possa costituire il fondamento di un’azione in forza del diritto dell’Unione diretta al rimborso dell’imposta indebitamente riscossa.

B –    Analisi

92.      Considerata la soluzione precedentemente proposta per la seconda questione, lettera b), non è del tutto chiaro se la terza questione richieda una risposta separata. Mi sembra che l’obbligo degli Stati membri di rimborsare le imposte riscosse in violazione del diritto dell’Unione sia già stato esaminato approfonditamente dalla giurisprudenza (46), a meno che vi sia un problema sottostante di diritto nazionale che non risulta dall’ordinanza di rinvio, e sul quale la Corte non sarebbe comunque competente a pronunciarsi.

93.      Infatti, nelle sue osservazioni scritte, il governo del Regno Unito afferma che, qualora la Corte dichiarasse che il diritto dell’Unione vieta di riscuotere l’ACT in capo alla società controllante di una società «water’s edge» del Regno Unito, esso ammetterebbe che la società controllante che ha versato l’ACT possa chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente riscossa. Come già rilevato, ritengo che le risposte date nella prima sentenza FII alla seconda e alla quarta questione valgano anche nella situazione descritta supra nella seconda questione, lettera b).

94.      Come ha ricordato la Corte nella prima sentenza FII, «il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai singoli dalle disposizioni comunitarie nell’interpretazione datane dalla Corte» (47). In tali circostanze, lo Stato membro deve rimborsare l’imposta riscossa in violazione del diritto comunitario.

95.      Si tratta di un obbligo di risultato. La sua esecuzione rientra nell’ambito del diritto processuale nazionale, fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività (48). Tuttavia, l’ordinamento giuridico nazionale deve offrire al contribuente un mezzo di ricorso effettivo che gli consenta di obbligare lo Stato membro ad adempiere tale obbligo, vale a dire a rimborsare effettivamente l’imposta illegittima (49).

96.      Come la Corte ha recentemente rilevato nella sentenza Accor, spetta ancora al giudice del rinvio stabilire come si debba porre rimedio in concreto a una violazione del divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali (50).

97.      La Corte ha inoltre ricordato, nella prima sentenza FII, che «qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto comunitario, gli amministrati hanno diritto al rimborso non solo dell’imposta indebitamente riscossa, ma altresì degli importi pagati a questo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale imposta», compresa la perdita di liquidità derivante dal pagamento anticipato dell’imposta (51). A tal riguardo, la Corte aveva già dichiarato, nella sentenza Metallgesellschaft e a., che quando «la violazione del diritto comunitario risulta non già dal pagamento dell’imposta stessa bensì dalla sua esigibilità anticipata, la concessione di interessi rappresenta il “rimborso” di ciò che è stato indebitamente versato e appare indispensabile al ripristino della parità di trattamento salvaguardata dall’articolo 52 del Trattato» (52).

98.      Si deve rilevare che, nella prima sentenza FII, la Corte ha anche esaminato la questione dei danni. In tale contesto, è sufficiente osservare che l’imposizione illegittima costituisce anche un atto le cui conseguenze possono formare oggetto di una domanda di risarcimento dei danni conformemente alla giurisprudenza Francovich (53), che deve essere valutata tenendo conto delle condizioni indicate nella sentenza Brasserie du Pêcheur, citata supra alla nota 13. L’obbligo di rimborsare l’imposta illegittima e gli interessi non è soggetto a tali condizioni. Tuttavia, la natura giuridica di detto obbligo è definita dall’ordinamento giuridico nazionale, e non dal diritto dell’Unione (54).

99.      Pertanto, poiché le società controllanti di cui alla seconda questione, lettera b), sono state obbligate a versare l’ACT in violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, esse possono chiedere il rimborso dell’imposta e/o della perdita di liquidità che hanno subito a causa del pagamento anticipato dell’imposta. Lo Stato membro deve garantire che il sistema nazionale conduca a tale risultato. Nell’adempiere tale obbligo, esso deve applicare i principi di equivalenza e di effettività, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

100. Il diritto alla restituzione si distingue da qualsiasi altro diritto a compensazione per gli asseriti danni derivanti dall’imposizione illegittima di cui al punto 207 della prima sentenza FII. Tale perdita economica può essere recuperata conformemente alla giurisprudenza Francovich.

101. Si deve quindi rispondere alla terza questione che, nelle circostanze descritte nella seconda questione, lettera b), la società che versa l’ACT può chiedere il rimborso dell’imposta illegittimamente riscossa, senza dover dimostrare che ricorrano le condizioni cui è subordinata la responsabilità risarcitoria dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione.

VII – Quarta questione

A –    La questione e le osservazioni presentate alla Corte

102. La quarta questione riguarda i dividendi provenienti da società con sede in paesi terzi. Il giudice del rinvio chiede se una società residente (ad esempio la società C dello schema di cui sopra) possa invocare l’articolo 63 TFUE in relazione a dividendi percepiti da una controllata sulla quale esercita un’influenza determinante e che risiede in un paese terzo (ad esempio la società F dello schema).

103. La High Court rileva che tale problema non è stato esplicitamente sottoposto alla Corte nel primo rinvio FII. La questione si porrebbe qualora il giudice nazionale, in considerazione della risposta data dalla Corte alla prima questione, ritenesse che la normativa del Regno Unito che assoggetta ad imposta i dividendi percepiti da società residenti in altri Stati membri sia incompatibile con gli articoli 49 TFUE o 63 TFUE.

104. La prima questione pregiudiziale del primo rinvio FII riguardava i dividendi percepiti da società residenti in altri Stati membri. Tuttavia, quando la High Court è stata nuovamente investita della controversia, le ricorrenti pilota hanno sostenuto che, considerata l’evoluzione della giurisprudenza della Corte, il regime britannico era incompatibile anche con l’articolo 63 TFUE, in quanto si applicava ai dividendi provenienti da società controllate residenti in paesi terzi. Gli HMRC hanno sostenuto che l’articolo 63 TFUE non era applicabile a situazioni nelle quali la società residente nel Regno Unito esercitasse una sicura influenza sulle decisioni della società residente nel paese terzo e potesse determinarne le attività, poiché tale situazione rientrava esclusivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE.

105. Le ricorrenti pilota e la Commissione considerano che, nella situazione sopra descritta, una società residente può invocare l’articolo 63 TFUE in relazione ai dividendi provenienti da controllate residenti in paesi terzi sulle quali essa esercita effettivamente un’influenza decisiva. Per contro, secondo i governi del Regno Unito, tedesco, francese e dei Paesi Bassi, una società residente non può invocare l’articolo 63 TFUE, poiché a tali partecipazioni possono applicarsi solo le norme del Trattato relative alla libertà di stabilimento, che non sono applicabili ai paesi terzi.

B –    Analisi

106. La Corte ha analizzato il trattamento fiscale dei dividendi in entrata operando una distinzione fra Stati membri e paesi terzi.

107. Conformemente a una giurisprudenza ben consolidata, l’imposizione dei dividendi in entrata provenienti da altri Stati membri può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE sulla libertà di stabilimento e dell’articolo 63 TFUE sulla libera circolazione dei capitali (55). Per esaminare se una normativa nazionale rientri nell’una o nell’altra delle libertà di circolazione, occorre prendere in considerazione l’oggetto della normativa nazionale di cui trattasi (56).

108. Quando una normativa nazionale è intesa ad essere applicata solo alle partecipazioni che consentono al detentore di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività, essa rientra nell’ambito di applicazione delle disposizioni sulla libertà di stabilimento (57). Se le norme nazionali si applicano alle partecipazioni acquisite al solo scopo di realizzare un investimento economico e senza alcuna intenzione di influenzare la gestione e il controllo dell’impresa, vale a dire agli investimenti di portafoglio, esse vanno esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (58).

109. Quanto al trattamento fiscale dei dividendi provenienti da paesi terzi, finora la giurisprudenza ha esaminato solo un aspetto di tale questione. Nella prima sentenza FII la Corte ha analizzato la situazione di una società residente nel Regno Unito che percepisce dividendi da una società stabilita in un paese terzo sulla base di una partecipazione che non le conferisce una sicura influenza sulle decisioni della società erogante e non le consente di determinarne le attività. La Corte ha dichiarato che provvedimenti nazionali come quelli in discussione nel procedimento principale sono in contrasto con l’articolo 63 TFUE (59).

110. La questione da risolvere nel caso di specie è se il Trattato contenga disposizioni, e in caso affermativo quali, applicabili al trattamento fiscale dei dividendi distribuiti da società residenti in paesi terzi nei quali le partecipazioni societarie consentono al detentore di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività, tenendo conto del fatto che la normativa nazionale controversa non si applica esclusivamente a tali circostanze.

111. Le situazioni in cui il detentore esercita una sicura influenza sulle decisioni di una società di un paese terzo e ne determina le attività possono essere classificate principalmente in due modi.

112. Il primo consiste nel proporre un parallelismo con le situazioni interne all’Unione. In altre parole, quando la società stabilita in un paese terzo subisce un’influenza decisiva, la valutazione andrebbe effettuata nel contesto della libertà di stabilimento. L’applicazione della libera circolazione dei capitali sarebbe quindi esclusa. Tuttavia, poiché non esiste alcuna libertà di stabilimento nei rapporti con i paesi terzi, la fattispecie non rientrerebbe nell’ambito di applicazione del Trattato. Tale è la posizione sostenuta dagli Stati membri che partecipano al presente procedimento (60).

113. Il secondo consiste nel sostenere che il distinguo tra libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali è pertinente solo nelle situazioni interne all’Unione. Nei rapporti con i paesi terzi, tale distinzione non è necessaria, né richiesta. Pertanto, le norme in materia di libera circolazione dei capitali sarebbero applicabili nei rapporti con i paesi terzi non solo agli investimenti di portafoglio, ma anche alle situazioni in cui la società del paese terzo che distribuisce i dividendi sia soggetta ad un’influenza decisiva.

114. Quanto alla prima opzione, occorre rilevare che i criteri di applicazione della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali sono stati elaborati ed applicati dalla Corte nei rapporti interni all’Unione. Secondo la giurisprudenza, quando i diritti di voto superano la soglia del 10% nelle situazioni interne all’Unione, il centro di gravità si sposta dalle disposizioni del Trattato concernenti la libera circolazione dei capitali a quelle concernenti la libertà di stabilimento.

115. Nei rapporti con i paesi terzi non è necessario, né possibile, stabilire tali criteri di applicazione delle due libertà, dal momento che sono applicabili solo le norme in materia di libera circolazione dei capitali. Nel Trattato non esistono disposizioni alternative che possano applicarsi, in luogo dell’articolo 63 TFUE, nei rapporti con i paesi terzi nel caso in cui venga superata la soglia del 10% dei diritti di voto. Inoltre, nulla nel testo del Trattato sembra indicare che la libera circolazione dei capitali non sia applicabile nei rapporti con i paesi terzi qualora il livello di partecipazione superi quello degli investimenti di portafoglio (61).

116. Se la norma nazionale si applica a prescindere dall’entità della partecipazione, la giurisprudenza impone di esaminare, alla luce della situazione di fatto, il centro di gravità della restrizione, ossia individuare precisamente la libertà che subisce la restrizione. La Corte ha adottato tale approccio nella prima sentenza FII (v. supra, paragrafi 37 e 38). Occorre prendere in considerazione lo scopo della normativa nazionale e, qualora il provvedimento nazionale riguardi l’altra libertà solo in via subordinata, si dovrà analizzare unicamente la libertà interessata in via principale (62). Tuttavia, ritengo che tale orientamento pragmatico non sia utile nel caso di specie, in cui la questione pregiudiziale è incentrata sulle partecipazioni diverse dagli investimenti di portafoglio e le norme relative alla libertà di stabilimento non sono applicabili.

117. Pertanto, a mio parere, la Corte dovrebbe rispondere che, per quanto riguarda i paesi terzi, una norma giuridica in base alla quale uno Stato membro concede uno sgravio per evitare la doppia imposizione economica dei dividendi in relazione a tutte le partecipazioni, indipendentemente dall’entità di queste, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE.

118. Ciò detto, rimangono ancora da esaminare due questioni.

119. In primo luogo, in forza dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, l’applicazione dell’articolo 63 TFUE lascia impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi delle restrizioni esistenti al 31 dicembre 1993. Sembra che le norme nazionali in discussione nel procedimento principale esistessero già prima di tale data. Inoltre, le norme nazionali adottate dopo il 31 dicembre 1993, nella misura in cui hanno in realtà limitato l’effetto delle norme relative al pagamento dell’ACT per le società che possiedono controllate non residenti, non hanno costituito una restrizione nuova (63). Spetta al giudice nazionale verificare tale circostanza.

120. In secondo luogo, se la Corte segue l’approccio da me proposto, sorge il problema della giustificazione con riguardo a una restrizione alla libera circolazione dei capitali nell’ambito del controllo degli investimenti in società di paesi terzi.

121. Come ha rilevato la Corte, gli investimenti nei paesi terzi avvengono in un contesto normativo diverso da quello degli investimenti interni all’Unione, soprattutto sotto il profilo della cooperazione amministrativa con le autorità fiscali. Pertanto, non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una limitazione dei movimenti di capitali a destinazione di paesi terzi o in provenienza da essi è giustificata da un determinato motivo in circostanze nelle quali il medesimo motivo non costituirebbe una valida giustificazione per una restrizione a movimenti di capitali tra Stati membri. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, la riduzione del gettito fiscale non può essere considerata un motivo imperativo atto a giustificare una restrizione, e tale principio si applica anche ai redditi provenienti da paesi terzi e anche in mancanza di reciprocità fra gli Stati fonte che sono paesi terzi e lo Stato membro di residenza (64).

122. Ciò detto, la Corte deve tenere presente che l’interpretazione da me proposta per quanto riguarda l’applicabilità dell’articolo 63 TFUE può rendere la posizione degli Stati membri più vulnerabile in termini di concorrenza fiscale nociva da parte di paesi terzi. Ciò vale soprattutto qualora nel contesto della prima questione si concluda che il Regno Unito debba esentare i dividendi di origine estera in quanto l’applicazione a questi ultimi del sistema del credito d’imposta determina un livello di imposizione effettiva più elevato rispetto all’applicazione del sistema dell’esenzione ai dividendi di origine nazionale (65). Pertanto, l’interpretazione accolta dalla Corte non dovrebbe condurre in definitiva ad un’estensione unilaterale della libertà di stabilimento ai paesi terzi per vie traverse, poiché è evidente che non era questo lo scopo del Trattato FUE.

123. Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alla quarta questione che una norma giuridica in base alla quale uno Stato membro concede uno sgravio diretto ad evitare la doppia imposizione economica dei dividendi in relazione a tutte le partecipazioni, indipendentemente dall’entità di queste, rientra, per quanto riguarda i rapporti con i paesi terzi, nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE.

VIII – Quinta questione

A –    La questione e le osservazioni presentate alla Corte

124. La quinta questione verte sul trasferimento e sul rimborso transfrontaliero dell’ACT. Con tale questione si chiedono chiarimenti in merito alla risposta data dalla Corte al terzo quesito nel primo rinvio FII. Detto quesito riguardava le norme del Regno Unito in materia di ACT che consentivano ad una società controllante residente (la società A dello schema di cui sopra) di trasferire l’eccedenza di ACT alle proprie controllate residenti (le società B e C dello schema di cui sopra), così che l’ACT corrisposta poteva essere compensata dalle controllate con l’imposta sulle società da esse dovuta. Ciò comportava che tale eccedenza di ACT non potesse essere trasferita alle controllate non residenti, nemmeno nel caso in cui fossero assoggettate all’imposta sulle società nel Regno Unito in quanto possedevano una stabile organizzazione in tale Stato.

125. Nel contesto della prima causa FII, l’avvocato generale Geelhoed ha concluso che sussisteva una restrizione incompatibile con gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE. La Corte, tuttavia, ha impostato la propria analisi di tale questione osservando, al punto 115, che «la discussione dinanzi alla Corte si è limitata all’impossibilità per una società residente di trasferire un’eccedenza di ACT a filiali non residenti affinché queste ultime possano compensarla con l’imposta sulle società da esse dovuta nel Regno Unito per le attività esercitate in quest’ultimo Stato membro». La risposta della Corte, al punto 139, era quindi limitata a tale questione e non riguardava il caso in cui la controllata non residente non era soggetta all’imposta sulle società nel Regno Unito.

126. Quando la High Court è stata nuovamente investita della controversia, le ricorrenti pilota hanno sostenuto che la Corte aveva interpretato erroneamente gli argomenti con i quali, in udienza, esse avevano sottolineato che la compensazione dell’ACT non era consentita neppure nel caso in cui la controllata estera operasse nel Regno Unito tramite una filiale. Tuttavia, esse non intendevano limitare la questione a tale caso concreto. La High Court ha accolto questo argomento e ha concluso che la suddetta incomprensione aveva indotto la Corte a limitare la portata della propria risposta.

127. Le ricorrenti pilota fanno valere nelle loro osservazioni che la risposta data dalla Corte alla terza questione nel primo rinvio FII si applica anche se gli utili delle controllate non residenti alle quali non può essere trasferita l’ACT non sono soggette ad imposizione nello Stato membro della società controllante. Per contro, il governo del Regno Unito e la Commissione suggeriscono che la risposta data dalla Corte alla terza questione nel primo rinvio FII non dovrebbe applicarsi in tali circostanze.

B –    Analisi

128. È utile ricordare che, nella prima sentenza FII, è stato dichiarato che la normativa del Regno Unito consentiva di trasferire l’eccedenza di ACT ad una controllata residente per imputarla all’imposta sulle società da essa dovuta nel Regno Unito. Per contro, detta normativa non consentiva di trasferire l’ACT e di compensarla con l’imposta sulle società dovuta nel Regno Unito da una controllata non residente. La Corte ha dichiarato che tale regime costituiva un vantaggio fiscale per le società controllate residenti di cui non godevano le controllate non residenti e configurava quindi una restrizione alla libertà di stabilimento (66).

129. Tuttavia, sembra che non esista alcuno svantaggio nel caso in cui la controllata non residente non debba versare l’imposta sulle società nel Regno Unito. Lo scopo del trasferimento dell’ACT è quello di garantire che l’ACT pagata possa essere compensata con l’imposta sulle società dovuta nel Regno Unito, in quanto l’ACT costituisce un pagamento anticipato dell’imposta sulle società britannica. Se non sussiste un debito a titolo di imposta sulle società nel Regno Unito, non occorre effettuare il trasferimento e la compensazione.

130. Se la normativa consentisse ad una società controllante del Regno Unito di trasferire l’ACT ad una controllata non residente che non deve pagare l’imposta sulle società in tale Stato, essa conferirebbe a tale gruppo di società un vantaggio di cui non godrebbe un gruppo costituito interamente da società nazionali. La Commissione osserva giustamente che, se si consentisse a società non residenti non soggette ad imposta nel Regno Unito di ottenere il rimborso dell’eccedenza di ACT, si permetterebbe ai gruppi di ridurre arbitrariamente il loro debito fiscale nel Regno Unito e si impedirebbe a tale Stato di tassare gli utili imponibili sul suo territorio.

131. Una controllata non residente nel Regno Unito potrebbe naturalmente essere assoggettata all’imposta sulla società in un altro Stato membro. In tal caso, spetterebbe a tale Stato membro stabilire se si debba concedere uno sgravio per evitare la doppia imposizione economica mediante la compensazione dell’ACT dovuta nel Regno Unito con l’imposta sulle società dovuta nello Stato membro in questione.

132. In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alla quinta questione che la risposta data dalla Corte alla terza questione nella prima sentenza FII non si applica nel caso in cui le controllate non residenti verso le quali non può essere effettuato alcun trasferimento non debbano versare l’imposta sulle società nel Regno Unito.

IX – Conclusione

133. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia di rispondere nel seguente modo alle questioni poste dalla High Court of Justice of England and Wales, Chancery Division:

1)      Le espressioni «aliquota d’imposta» e «diversi livelli d’imposizione» di cui al punto 56 della sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04, Racc. pag. I-11753), si riferiscono unicamente all’aliquota d’imposta legale o nominale.

In alternativa, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione che è incompatibile con gli articoli 49 TFUE e 63 TFUE il fatto che uno Stato membro mantenga in vigore ed applichi provvedimenti come quelli di cui trattasi nella presente causa, che esonerano dall’imposta sulle società i dividendi che una società residente in tale Stato membro abbia percepito da altre società residenti, e che assoggettano i dividendi che una società residente abbia percepito da società residenti in altri Stati membri ad un’imposta sulle società, una volta concessa l’esenzione dalla doppia imposizione per qualsiasi ritenuta alla fonte dovuta sul dividendo e, a determinate condizioni, per l’imposta sottostante pagata dalle società non residenti sui loro utili nei rispettivi paesi di residenza.

2)      Non comporta una differenza ai fini della risposta data dalla Corte alla seconda e alla quarta questione pregiudiziale nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04) il fatto che:

a)      l’imposta sulle società corrisposta all’estero non sia (o non sia interamente) pagata dalla società non residente che versa i dividendi alla società residente, ma questi ultimi siano prelevati dagli utili comprendenti i dividendi distribuiti dalle sue controllate dirette o indirette residenti in uno Stato membro e provenienti dagli utili sui quali l’imposta è stata corrisposta in detto Stato; e/o

b)      l’imposta sulle società pagata anticipatamente non sia versata dalla società residente che percepisce il dividendo da una società non residente, ma sia versata dalla società controllante diretta o indiretta, anch’essa residente, al momento dell’ulteriore distribuzione degli utili della società beneficiaria che direttamente o indirettamente comprendono il dividendo.

3)      Nelle circostanze descritte nella seconda questione, lettera b), la società che versa anticipatamente l’imposta sulle società può chiedere il rimborso dell’imposta illegittimamente riscossa, senza dover dimostrare che ricorrano le condizioni cui è subordinata la responsabilità risarcitoria dello Stato membro per violazione del diritto dell’Unione.

4)      Una norma giuridica in base alla quale uno Stato membro concede uno sgravio diretto ad evitare la doppia imposizione economica dei dividendi in relazione a tutte le partecipazioni, indipendentemente dall’entità di queste, rientra, per quanto riguarda i rapporti con i paesi terzi, nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE.

5)      La risposta data dalla Corte alla terza questione nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation (C-446/04) non si applica nel caso in cui le controllate non residenti verso le quali non può essere effettuato alcun trasferimento non debbano versare l’imposta sulle società nel Regno Unito.


1       Lingua originale: l’inglese.


2       Racc. pag. I-11753. Poiché la presente causa trae origine dalla prima causa FII, si presume che il lettore abbia già letto sia le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed che la sentenza.


3       L’ordinanza di rinvio riguardava due aree tematiche e conteneva un totale di nove quesiti. I primi cinque quesiti riguardavano le disposizioni tributarie sostanziali britanniche controverse. Gli ultimi quattro riguardavano i rimedi e questioni temporali.


4       Una breve panoramica delle restrizioni alle libertà fondamentali derivanti dall’imposizione diretta è offerta, ad esempio, da Metzler, V., «The relevance of the Fundamental Freedoms for Direct Taxation», in Lang, M., e a. (ed.), Introduction to European Tax Law on Direct Taxation, Linde, Vienna, 2008, pag. 35. Sulla discussione in generale, v., ad esempio, Kingston, S., «A light in the darkness: recent developments in the ECJ’s direct tax jurisprudence», Common Market Law Review, 2007, pagg. 1321-1359; Graetz, M., e Warren, A., «Dividend Taxation in Europe: When the ECJ makes tax policy», Common Market Law Review, 2007, pagg. 1577-1623, e Snell, J., «Non-discriminatory Tax Obstacles in Community Law», International and Comparative Law Quarterly 2007, pag. 339.


5       Il sistema originario di anticipo dell’imposta sulle società («advance corporation tax»; in prosieguo: l’«ACT») è stato applicato a partire dal 1973. Esso è stato modificato con effetti dal 1° luglio 1994 con l’introduzione del regime relativo ai dividendi di origine estera («foreign income dividend»; in prosieguo: il «FID»). Per una descrizione più dettagliata della normativa nazionale e del procedimento nazionale, v. la prima sentenza FII (punti 6-30), e le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed (paragrafi 2-22).


6       Il credito veniva concesso per ogni ritenuta alla fonte dovuta su tale dividendo e, a determinate condizioni, per l’imposta sottostante pagata dalle società non residenti sui loro utili nei rispettivi paesi di residenza.


7       Per chiarezza, in prosieguo si farà riferimento al Trattato FUE.


8       Punto 73 della prima sentenza FII.


9       Punto 73 della prima sentenza FII; v. anche punto 57 della medesima sentenza. Tale passaggio sembra contenere un lapsus linguae: viene menzionata l’«aliquota d’imposta applicata ai dividendi di origine nazionale». Tuttavia, la High Court osserva nella sua sentenza che i dividendi di origine nazionale sono esenti da imposta. L’esistenza di tale errore esclude, a mio parere, l’interpretazione letterale della prima sentenza FII.


10       Sentenze del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C-436/08 e C-437/08, Racc. p. I-305, punto 86), e del 15 settembre 2011, Accor (C-310/09, Racc. p. I-8115, punto 44).


11       Per chiarezza, desidero precisare che la prima decisione della High Court del 27 novembre 2008 di effettuare un secondo rinvio pregiudiziale alla Corte conteneva solo la seconda, la terza e la quinta questione [v. (2008) EWHC 2893 (Ch)]. Tale decisione è stata parzialmente impugnata: la Court of Appeal, con sentenza del 23 febbraio 2010 [v. (2010) EWCA Civ 103], ha aggiunto la prima questione e, su ulteriore impugnazione, la Supreme Court, con ordinanza dell’8 novembre 2010, ha aggiunto la quarta questione. I quesiti contenuti nella domanda di pronuncia pregiudiziale sono stati tutti esposti nella menzionata ordinanza della High Court del 15 dicembre 2010. Le questioni sollevate nella presente causa sono state formulate nell’ambito di un procedimento nazionale completo e riflettono un esame attento e dettagliato dei problemi sui quali il giudice nazionale chiede chiarimenti alla Corte.


12       Sentenza del 9 novembre 1983 (199/82, Racc. pag. 3595).


13       Sentenza del 5 marzo 1996 (C-46/93 e C-48/93, Racc. pag. I-1029).


14       In alcune situazioni fiscali di carattere internazionale, C, D e F possono agire in qualità di cd. «water’s edge companies», utilizzate come canali di distribuzione dei dividendi da/verso altre società del gruppo.


15       Punto 56 della prima sentenza FII, cit. supra al paragrafo 7 delle presenti conclusioni.


16       Punto 55.


17       Tale è, sostanzialmente, anche la posizione del governo francese, che ne trae tuttavia conclusioni diverse; v. infra, nota 36.


18       Paragrafo 50 delle conclusioni.


19       La High Court osserva, nella sua sentenza del 27 novembre 2008 (cit. supra alla nota 11, punto 51), che la società controllante britannica non verserà necessariamente l’imposta sulle società all’aliquota prevista dalla legge sui propri dividendi di origine estera, in quanto può perfettamente beneficiare essa stessa delle detrazioni. In altre parole, l’aliquota d’imposta effettiva sui dividendi di origine estera può anche essere inferiore a quella prevista dalla legge e gli oneri fiscali complessivi non saranno «sempre» aumentati fino a raggiungere l’imposta di base del Regno Unito, come aveva affermato l’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni (paragrafo 50, cit. supra alla nota 2).


20       V. paragrafo 48, letto congiuntamente al paragrafo 51 delle conclusioni.


21       Punto 56 della prima sentenza FII, cit. supra al paragrafo 7 delle presenti conclusioni.


22       Si può definire la neutralità rispetto all’esportazione dei capitali come la situazione in cui «gli investitori sopportano il medesimo onere fiscale sui redditi da capitale a prescindere dal paese in cui tali redditi vengono generati». Per contro, la neutralità rispetto all’importazione di capitali indica la situazione «in cui gli investimenti sopportano il medesimo onere fiscale, a prescindere dalla circostanza che l’investitore sia nazionale o estero». Il metodo del credito d’imposta illustra il primo principio, mentre il metodo dell’esenzione illustra il secondo. V. Larking, B., IBFD International Tax Glossary. 5a ed., Amsterdam, IBFD 2005.


23       Così interpreto il principio soggiacente, ad esempio, alle sentenze del 6 giugno 2000, Verkooijen (C-35/98, Racc. pag. I-4071); del 18 settembre 2003, Bosal (C-168/01, Racc. pag. I-9409); del 15 luglio 2004, Lenz (C-315/02, Racc. pag. I-7063); del 7 settembre 2004, Manninen (C-319/02, Racc. pag. I-7477); del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, Racc. pag. I-10837), e del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, Racc. pag. I-7995).


24       V. conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (sentenza del 12 dicembre 2006, C-374/04, Racc. pag. I-11673, paragrafi 31-54), e nella prima causa FII (paragrafo 38); v. anche sentenza del 14 novembre 2006, Kerckhaert e Morres (C-513/04, Racc. pag. I-10967, punti 20 e 22), e conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed relative a tale sentenza (paragrafo 31).


25       V. supra, paragrafo 8 e nota 10.


26       V. infra, sub e) (paragrafi 58 e segg.).


27       Occorre aggiungere che tale soluzione non figura nella direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6).


28       Rilevo che, nelle sue osservazioni scritte, la Commissione consiglia ad uno Stato membro che applichi tale misura di corredarla di una clausola di salvaguardia che ne limiti l’applicazione ai dividendi distribuiti da una società soggetta al regime impositivo normale nello Stato fonte.


29       Sui crediti di imposta figurativi, v. Viherkenttä, T., Tax incentives in developing countries and international taxation, Deventer, Kluwer, 1991, pagg. 140-177 e 206, nonché Terra, B., e Wattel, P., European Tax Law, 6a ed., Alphen an den Rijn, Wolters Kluwer, 2012, pag. 215. Un riferimento recente al credito di imposta figurativo è contenuto nella sentenza dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C-157/10, Racc. p. I-13023, punto 35).


30       L’«aliquota di imposta effettiva» è stata definita come «l’importo effettivamente dovuto dal contribuente (o una stima ragionevole di tale importo) espresso sotto forma di percentuale del reddito ante imposte, piuttosto che come percentuale del reddito imponibile, vale a dire l’aliquota di imposta che tiene conto non solo dell’aliquota prevista dalla legge, ma anche di altri aspetti del sistema fiscale che determinano l’importo dell’imposta da pagare. L’aliquota d’imposta effettiva indica l’onere fiscale reale, economico, in opposizione al rapporto tra l’obbligo tributario e gli utili, ecc., modificati artificialmente a fini fiscali»; v. Larking, cit. supra alla nota 22, pag. 146.


31       Per questioni attinenti alle aliquote d’imposta effettive, v., ad esempio, Nicodème, G., Computing effective corporate tax rates: comparisons and results, European Commission, Economic paper, n. 153, giugno 2001, disponibile su http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication942_en.pdf.


32       Pronunciandosi a maggioranza, la Court of Appeal (v. allegato 3 della sentenza della Court of Appeal del 23 febbraio 2010, cit. supra alla nota 11) ha dichiarato che presumere che la Corte, nella prima sentenza FII, intendesse fare riferimento alle aliquote effettive implica che essa abbia interpretato erroneamente gli argomenti delle ricorrenti pilota nel procedimento principale, le spiegazioni del governo del Regno Unito e le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed.


33       Paragrafo 50 delle conclusioni, cit. supra al paragrafo 29.


34       Nella prima sentenza FII la Corte ha constatato una restrizione alla libera circolazione dei capitali in relazione agli investimenti di portafoglio in quanto non era disponibile alcun credito di imposta, il che comportava una doppia imposizione economica.


35       Cit. al punto 89 della sentenza.


36       V. paragrafi 33, 34 e 39 delle conclusioni. Invero, la risposta suggerita nella presente causa dal governo francese implica, sostanzialmente, che il giudice nazionale verifichi, sulla base di un confronto tra le aliquote di imposta effettive applicate nel Regno Unito alle società eroganti e alle società beneficiarie, se il sistema di esenzioni applicato non miri in realtà ad attenuare la doppia imposizione economica o l’imposizione a catena, bensì a consentire alle società beneficiarie di fruire di esenzioni fiscali non eccezionali concesse alla società erogante.


37       V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit. supra alla nota 10 (paragrafo 38).


38       La Commissione osserva giustamente che il sistema asimmetrico conduce a trattare diversamente uno sgravio analogo concesso nello Stato fonte e nello Stato di residenza. Tuttavia, è anche possibile che, nel sistema fiscale dello Stato di residenza, le differenze tra le aliquote effettive e le aliquote legali dell’imposta sulle società derivino unicamente da ampie possibilità di beneficiare, a livello di gruppo, delle perdite subite da una qualsiasi delle società del gruppo stesso, mentre lo Stato fonte adotta una politica in virtù della quale vengono concessi vantaggi fiscali significativi in base a considerazioni di carattere industriale e regionale.


39       V. supra, nota 5.


40       V. supra, paragrafo 11.


41       V. prima sentenza FII, cit. supra alla nota 2 (punto 87).


42       Per scrupolo di completezza, devo rilevare che tale questione è disciplinata entro certi limiti dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 90/435. Infatti, la versione originale dell’articolo 4, paragrafo 1, secondo trattino, della direttiva 90/435 faceva riferimento all’«imposta pagata dalla società figlia a fronte dei suddetti utili». Nel 2003, tuttavia, la Commissione ha proposto di modificare tale passaggio in «imposta dovuta a fronte dei suddetti utili dalla società figlia o da una sua sub-affiliata», v. COM(2003) 462, punti 17-19. Il Consiglio ha adottato tale modifica nella direttiva 2003/123/CE, ma ha aggiunto una precisazione: «a condizione che a ciascun livello la società e la sua sub-affiliata soddisfino i requisiti di cui agli articoli 2 e 3» (v. direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, GU 2004, L 7, pag. 41).


43       Cit. supra alla nota 13.


44       V. anche sentenza della Corte dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C-397/98 e C-410/98, Racc. pag. I-1727).


45       V. supra, paragrafo 83.


46       V., ad esempio, sentenza Metallgesellschaft e a., cit. supra alla nota 44, nonché la prima sentenza FII.


47       Punto 202 della prima sentenza FII, in cui viene citata la sentenza San Giorgio, cit. supra alla nota 12 (punto 12). V. anche sentenza Accor, cit. supra alla nota 10 (punto 71).


48       Sentenze dell’8 settembre 2011, Q-Beef e Bosschaert (C-89/10 e C-96/10, Racc. pag. I-7879, punto 32), e del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C-398/09, Racc. pag. I-7375, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).


49       Sentenza del 19 giugno 1990, Factortame e a. (C-213/89, Racc. pag. I-2433, punto 19).


50       Sentenza Accor, cit. supra alla nota 10 (punto 80).


51       Punto 205 della prima sentenza FII.


52       Sentenza Metallgesellschaft e a., cit. supra alla nota 44 (punto 87).


53       Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C-6/90 e C-9/90, Racc. pag. I-5357).


54       Le azioni dirette ad ottenere l’adempimento di tale obbligo possono rientrare nell’ambito di vari istituti degli ordinamenti giuridici nazionali, quali condictio indebiti, ripetizione dell’indebito, arricchimento senza causa o restituzione.


55       V. prima sentenza FII (punto 36) e sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit. supra alla nota 10 (punto 33).


56       V. sentenze Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. supra alla nota 23 (punti 31-33); del 3 ottobre 2006, Fidium Finanz (C-452/04, Racc. pag. I-9521, punti 34 e 44-49); Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. supra alla nota 24 (punti 37 e 38); prima sentenza FII (punto 36); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C-524/04, Racc. pag. I-2107, punti 26-34), e Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit. supra alla nota 10 (punto 34). V. anche Terra, B., e Wattel, P., op. cit., pagg. 77 e 78.


57       V. sentenze del 13 aprile 2000, Baars (C-251/98, Racc. pag. I-2787, punto 22); prima sentenza FII (punto 37); del 21 ottobre 2010, Idryma Typou (C-81/09, Racc. pag. I-10161, punto 47), e Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit. supra alla nota 10 (punto 35).


58       V. prima sentenza FII (punto 8) e sentenza del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome (C-182/08, Racc. pag. I-8591, punti 40 e 45-52).


59       V. prima sentenza FII (punti 38, 165 e 166).


60       Anche l’avvocato generale Trstenjak ha recentemente sostenuto tale posizione. V. le sue conclusioni nella causa Scheunemann (sentenza del 19 luglio 2012, C-31/11, , paragrafo 64).


61       Quando la Comunità europea ha completamente liberalizzato i movimenti di capitali, non solo tra gli Stati membri ma anche tra Stati membri e paesi terzi, non esistevano indicazioni chiare circa la futura evoluzione della giurisprudenza della Corte in materia di imposizione diretta.


62       V. supra, nota 56.


63       V. prima sentenza FII (punti 189-196).


64       V. prima sentenza FII (punto 171); sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit. supra alla nota 10 (punti 119-131 e giurisprudenza ivi citata, in particolare sentenza del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud, C-72/09, Racc. pag. I-10659).


65       La Commissione rileva che esentare i dividendi provenienti da altri paesi la cui legislazione preveda un’aliquota di imposta inferiore comporterebbe che le società residenti sarebbero tassate solo all’aliquota inferiore in relazione ai redditi corrispondenti, il che determinerebbe un trattamento più favorevole degli investimenti all’estero.


66       V. prima sentenza FII (punto 132).