Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

Share

Highlight in text

Go

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 29 maggio 2013 (1)

Causa C-140/12

Peter Brey

contro

Pensionsversicherungsanstalt

[domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]

«Cittadinanza dell’Unione – Libera circolazione delle persone – Articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38/CE – Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro – Persone che hanno cessato la loro attività professionale – Condizioni di soggiorno – Domanda di prestazione speciale in denaro a carattere non contributivo («Ausgleichszulage») – Nozione di «assistenza sociale»





1.        L’idea che un cittadino dell’Unione possa affermare «civis europeus sum» e invocare detto status a fronte di difficoltà incontrate in altri Stati membri è stata notoriamente lanciata 20 anni fa (2). La fattispecie in esame solleva la questione se detto status possa essere invocato oggigiorno contro le difficoltà economiche della vita moderna.

2.        Il presente rinvio pregiudiziale proviene dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) (Austria), chiamato a statuire in ultima istanza sul diritto del sig. Brey ad un’«integrazione compensativa» ai sensi della normativa austriaca (Ausgleichszulage; in prosieguo: l’«integrazione compensativa»), diritto che gli è stato negato dalla Pensionsversicherungsanstalt (ente previdenziale austriaco). Segnatamente, il giudice del rinvio intende sapere se l’integrazione compensativa costituisca assistenza sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38/CE (in prosieguo: la «direttiva») (3).

3.        Sebbene la controversia verta sul diritto della previdenza sociale, il problema di fondo è in sostanza se il sig. Brey risieda legalmente in Austria, una condizione imposta dal diritto austriaco per avere diritto all’integrazione compensativa. Il governo austriaco è evidentemente preoccupato per il crescente numero di cittadini migranti dell’Unione inattivi che si stabiliscono in Austria presentando domanda di integrazione compensativa (4). La questione dell’integrazione compensativa è stata in precedenza esaminata dalla Corte (5) in relazione al regolamento (CEE) n. 1408/71 (6). Il giudice del rinvio chiede ora se l’integrazione compensativa rientri nella nozione di «assistenza sociale» ai sensi della direttiva.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

1.      Direttiva 2004/38

4.        L’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva garantisce il diritto di soggiornare in un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi a persone che non lavorano, che lavorano in proprio, o a studenti, a condizione che, tra l’altro, «dispongano, per se stessi e per i loro familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga[no] un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno».

5.        Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva gli Stati membri si astengono dal fissare l’importo preciso delle risorse che considerano «sufficienti», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), ma tengono invece conto della situazione personale dell’interessato.

6.        Riguardo al mantenimento del diritto di soggiorno, l’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva dispone, in particolare, che i cittadini dell’Unione beneficiano del diritto di soggiorno di cui all’articolo 7 finché soddisfano le condizioni dal medesimo fissate. Qualora vi sia un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione non soddisfi dette condizioni, lo Stato membro ospitante può effettuare una verifica in tal senso. Tale verifica non e' effettuata sistematicamente. Infine, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, una misura di allontanamento non può essere l’automatica conseguenza del ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

2.      Regolamento n. 883/2004

7.        Ai sensi del considerando 1 del regolamento n. 883/2004 (7) (in prosieguo: il «regolamento»), le norme di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale s’iscrivono nell’ambito della libera circolazione delle persone. Tuttavia, il considerando 4 sottolinea la necessità di rispettare le caratteristiche proprie delle legislazioni nazionali di sicurezza sociale ed elaborare unicamente un sistema di coordinamento. In virtù dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera a), l’assistenza sociale è esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento.

8.        Ciononostante, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 3, il regolamento si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all’articolo 70. Come indicato all’articolo 70, paragrafo 1, ciò si spiega con il fatto che tali prestazioni presentano caratteristiche sia della sicurezza sociale, sia dell’assistenza sociale.

9.        L’articolo 70, paragrafo 2, del regolamento elenca le caratteristiche sostanziali che una prestazione deve possedere per essere qualificata come una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo (8). La conseguenza giuridica è che, ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 3, talune norme stabilite dal regolamento – compresa l’abolizione delle clausole di residenza ai sensi dell’articolo 7 – non si applicano a dette prestazioni. Infatti, l’articolo 70, paragrafo 4, specifica che esse sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui gli interessati risiedono, ai sensi della sua legislazione e a carico dell’istituzione del luogo di residenza.

10.      L’articolo 90, paragrafo 1, del regolamento ha abrogato il regolamento n. 1408/71 con effetto a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (1°maggio 2010), salve talune disposizioni derogatorie. Come nel caso del regolamento, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, l’assistenza sociale era esclusa dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1408/71. Inoltre, gli articoli 4, paragrafo 2 bis, e 10 bis del regolamento n. 1408/71, come il suo allegato II bis, contenevano norme simili a quelle sopra menzionate, che sono state introdotte dal regolamento (CEE) n. 1247/92 (9).

B –    La normativa nazionale

1.      Il Niederlassungs- e Aufenthaltsgesetz austriaco

11.      L’ingresso legale in Austria è disciplinato dal Niederlassungs- und Aufenthaltsgesetz (legge austriaca in materia di stabilimento e di soggiorno, in prosieguo: il «NAG»). L’articolo 51, paragrafo 1, punto 2, del NAG prevede che, in forza della direttiva, i cittadini dello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») economicamente inattivi hanno il diritto a un soggiorno superiore a tre mesi qualora dispongano, tra l’altro, di risorse economiche sufficienti per se stessi e per i propri familiari, per non essere obbligati a ricorrere alle prestazioni di assistenza sociale o all’integrazione compensativa durante il periodo di soggiorno.

12.      Ai sensi dell’articolo 53 del NAG, i cittadini del SEE titolari di un diritto di soggiorno previsto dal diritto dell’Unione che intendano trattenersi in Austria per più di tre mesi sono tenuti a informare le autorità competenti entro quattro mesi dall’ingresso. Queste ultime, in presenza delle condizioni pertinenti, devono rilasciare un titolo di soggiorno. Per le persone economicamente inattive devono essere esibite prove del possesso di risorse sufficienti.

13.      Il giudice del rinvio e il governo austriaco spiegano che la formulazione attuale dell’articolo 51, paragrafo 1, del NAG deriva da una modifica del NAG introdotta dalla legge finanziaria del 2011, che ha aggiunto una condizione per il soggiorno legale con effetto dal 1° gennaio 2011 (10). Secondo il giudice del rinvio, l’obiettivo della modifica consisteva nell’evitare che i cittadini dell’Unione inattivi e i loro familiari potessero rappresentare un onere eccessivo per il bilancio austriaco.

2.      L’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz austriaco

14.      L’articolo 292, paragrafo 1, dell’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (legge austriaca sul regime generale della previdenza sociale (11); in prosieguo: l’«ASVG») prevede che il titolare della pensione ha diritto a un’integrazione compensativa qualora la pensione, oltre ai redditi netti da altre fonti, resti inferiore al livello del reddito minimo di sussistenza. Dall’adozione della legge finanziaria menzionata al precedente paragrafo 13, detto diritto è soggetto alla condizione che l’interessato soggiorni legalmente e abitualmente in Austria.

II – Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

15.      Il sig. Brey è cittadino tedesco. Insieme alla moglie, anch’essa tedesca, nel marzo 2011 si è trasferito in Austria con l’intenzione di risiedervi permanentemente.

16.      Ai sensi del NAG, il Bezirkhauptmannschaft Deutschlandsberg (amministrazione distrettuale del Deutschlandsberg) il 22 marzo 2011 ha rilasciato al sig. Brey e alla moglie un titolo di soggiorno per cittadini SEE.

17.      Ai sensi dell’ordinanza di rinvio, al momento del suo ingresso in Austria il sig. Brey percepiva due diversi tipi di reddito da fonti tedesche: una pensione d’invalidità dell’ammontare di EUR 862,74 lordi mensili, nonché un assegno di assistenza per persone non autosufficienti, pari a EUR 225 mensili. Egli non dispone di ulteriori redditi o beni patrimoniali. Quando la coppia viveva in Germania, la moglie percepiva una prestazione previdenziale di base che tuttavia non le viene più corrisposta dal 1° aprile 2011, a seguito del suo trasferimento in Austria. Il sig. Brey e la moglie pagano un affitto mensile di EUR 532,29 per il loro appartamento in Austria.

18.      Con decisione del 2 marzo 2011, la Pensionsversicherungsanstalt ha respinto la domanda del sig. Brey diretta a ottenere un’integrazione compensativa per un ammontare di EUR 326,82 mensili, in quanto egli non disponeva di risorse sufficienti e non poteva pertanto soggiornare legalmente nel paese.

19.      Il sig. Brey ha impugnato tale decisione dinanzi al Landesgericht für Zivilrechtssachen (Tribunale regionale in materia civile) (Graz), che ha statuito contro la Pensionsversicherungsanstalt con sentenza del 17 maggio 2011. La sentenza è stata impugnata dinanzi all’Oberlandesgericht (Corte d’appello regionale) (Graz), che, in sostanza, ha confermato la sentenza di primo grado. La Pensionsversicherungsanstalt ha quindi proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio, che ha disposto la sospensione del procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’integrazione compensativa sia da considerarsi quale “onere a carico dell’assistenza sociale”, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della [direttiva]».

20.      Osservazioni scritte sono state presentate dal sig. Brey, dai governi tedesco, greco, irlandese, olandese, austriaco, svedese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione. All’udienza del 7 marzo 2013 sono state presentate osservazioni orali dai governi tedesco, irlandese, olandese, austriaco, svedese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione.

III – Osservazioni del giudice del rinvio e delle parti dinanzi alla Corte di giustizia

21.      L’Oberster Gerichtshof sottopone alla valutazione della Corte due ipotesi distinte. Ai sensi della prima tesi, la direttiva e il regolamento devono essere interpretati in modo armonico e uniforme. La nozione di «assistenza sociale», come utilizzata nel regolamento, dovrebbe dunque essere pienamente trasponibile alla direttiva. Sotto questo profilo, il regolamento esclude l’assistenza sociale dal suo ambito di applicazione, ma disciplina ciononostante le prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo in forza dell’articolo 3, paragrafo 3, indipendentemente dal fatto che dette prestazioni non siano esportabili. Atteso che, nella sentenza Skalka, l’integrazione compensativa è stata qualificata come una prestazione speciale di carattere non contributivo, essa non costituirebbe una prestazione di assistenza sociale ai sensi del regolamento e, di conseguenza, non potrebbe configurare una prestazione di assistenza sociale neppure ai sensi della direttiva. Questa tesi è difesa dal sig. Brey e dalla Commissione.

22.      In base alla tesi alternativa, la nozione di «assistenza sociale» utilizzata nella direttiva è collegata all’obiettivo particolare della direttiva medesima e deve dunque essere diversa dalla nozione di «assistenza sociale» ai sensi del regolamento. Si sostiene che tale approccio sarebbe maggiormente coerente con il considerando 13 della direttiva 2003/109/CE (la «direttiva sul soggiorno di lungo periodo») (12). Di conseguenza, la nozione di «assistenza sociale» utilizzata nella direttiva comprenderebbe l’erogazione di prestazioni di base finanziate da uno Stato membro mediante il gettito fiscale generale, essendo irrilevante l’esistenza di diritti attribuiti dalla legge o di rischi particolari. A giudizio della Pensionsversicherungsanstalt, che sostiene questa tesi, l’integrazione compensativa è concessa sulla base di un’esigenza reale e non è finanziata tramite contributi ma con denaro pubblico. Essa rientra dunque nella nozione di «assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Questo è l’approccio fatto proprio dal legislatore austriaco.

23.      Tutti i governi che hanno presentato osservazioni al riguardo si allineano in sostanza a questa seconda tesi.

IV – Analisi

A –    Portata della questione pregiudiziale

24.      Con la sua questione, il giudice del rinvio intende sapere se una prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo, come l’integrazione compensativa, configuri «assistenza sociale» ai sensi della direttiva. Il giudice del rinvio spiega che la Corte ha già qualificato l’integrazione compensativa come una prestazione speciale a carattere non contributivo ai sensi del regolamento n. 1408/71. Esso chiede quindi un ulteriore chiarimento sulla nozione di «assistenza sociale» come utilizzata nella direttiva e sul suo rapporto con tale nozione come utilizzata in altri atti normativi, in primo luogo nel regolamento.

25.      Molte delle parti dinanzi alla Corte non limitano le loro osservazioni a questo problema. In generale, le osservazioni vertono su altre due questioni: i) se la condizione del soggiorno legale come presupposto per il diritto all’integrazione compensativa sia compatibile non solo con il regolamento, ma anche con la direttiva, e ii) se una persona nella situazione del sig. Brey soddisfi la condizione del possesso di risorse economiche sufficienti, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

26.      Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione sostiene che la normativa austriaca non è compatibile né con la direttiva, né con il regolamento. La Commissione chiede alla Corte di riformulare la domanda e di statuire sulla questione se il diritto dell’Unione, segnatamente la direttiva, consenta che sia negata l’erogazione di un’integrazione compensativa a una persona nella situazione del sig. Brey.

27.      Tuttavia, in questa fase, dato che la controversia concerne il diritto della previdenza sociale, l’unica questione sulla quale il giudice del rinvio è chiamato a statuire è se la prestazione debba essere erogata al sig. Brey. Dal testo della questione è evidente che il giudice del rinvio chiede solo se l’integrazione compensativa possa essere considerata come prestazione di «assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Poiché esso non ha presentato alla Corte nessun’altra questione – ad esempio, sulla legittimità del requisito del soggiorno – non occorre che siano presi in considerazione gli argomenti relativi ad altre questioni, che sono stati dedotti dalla Commissione e dai vari Stati membri che hanno presentato osservazioni (13).

28.      Per lo stesso motivo, respingerei la proposta, presentata dal governo dei Paesi Bassi, che la Corte risolva anche la questione se una persona economicamente inattiva che non soddisfa le condizioni poste dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, possa ciononostante avere diritto a percepire una prestazione nello Stato membro ospitante. Infatti, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (14).

29.      In ogni caso, la questione se un cittadino dell’Unione nella situazione del sig. Brey soddisfi la condizione del possesso di sufficienti risorse economiche presuppone che l’integrazione compensativa debba essere qualificata come «assistenza sociale» nel contesto della direttiva. Tale valutazione è scindibile da quella concernente il diritto di soggiorno, che non è oggetto del procedimento principale. È ovvio, tuttavia, che il giudice del rinvio può presentare un’altra questione su tale punto, ai sensi dell’articolo 267, paragrafo 3, TFUE.

30.      Ciononostante, mi rendo conto che il risultato del presente procedimento può avere un impatto sul diritto del sig. Brey di soggiornare in Austria. Di conseguenza, per l’eventualità in cui la Corte decida di esaminare problemi che esulano dai termini della questione sollevata, nella parte finale delle presenti conclusioni includerò ulteriori osservazioni su questo punto.

B –    La nozione di «assistenza sociale», come utilizzata all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva

1.      Osservazioni preliminari

31.      La direttiva non definisce il termine «assistenza sociale». Pertanto, spetta alla Corte interpretare questa nozione.

32.      La Commissione e il sig. Brey richiamano non solo la direttiva, ma anche il regolamento. A loro giudizio, nessuna delle prestazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento – indipendentemente dal modo o dalla forma in cui sono disciplinate – può configurare assistenza sociale.

33.      D’altro canto, molti dei governi che hanno presentato osservazioni si riferiscono sostanzialmente ad altri due atti di diritto derivato, ossia la direttiva sul soggiorno di lungo periodo e la «direttiva sul ricongiungimento familiare» (15), sostenendo che la nozione di «assistenza sociale», come utilizzata in tali direttive, si avvicina maggiormente a quella utilizzata nella direttiva.

34.      In linea generale, è opportuno interpretare le nozioni di diritto dell’Unione in modo uniforme, per garantire una maggiore certezza del diritto. Tuttavia, in pratica non è sempre possibile un’interpretazione uniforme (16). Nella fattispecie, le parti dinanzi alla Corte giungono a conclusioni opposte relativamente alla nozione di «assistenza sociale» come utilizzata nella direttiva, interpretandola alla luce di vari altri atti di diritto derivato. In considerazione delle divergenze tra dette misure, è evidente che il termine «assistenza sociale», come usato in tutti questi diversi contesti, non può indicare la stessa nozione. Occorre dunque operare una scelta.

2.      Analisi della nozione di «assistenza sociale» come usata nella direttiva

35.      La direttiva disciplina il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Essa è strutturata in modo tale da distinguere tra il soggiorno inferiore a tre mesi, il soggiorno superiore a tre mesi e il soggiorno permanente, che si ottiene dopo un soggiorno di cinque anni consecutivi.

36.      Da questa struttura conseguono condizioni diverse con riguardo al diritto di soggiorno. Segnatamente, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva, i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi. Per un periodo superiore a tre mesi, l’articolo 7 fonda le condizioni per il soggiorno sul fatto che il cittadino dell’Unione sia economicamente attivo. Coloro che non sono lavoratori dipendenti, lavoratori in proprio o studenti devono soddisfare, tra l’altro, la condizione del possesso di risorse economiche sufficienti di cui al paragrafo 4 supra. Ai sensi dell’articolo 16 della direttiva, una volta acquisito il diritto al soggiorno permanente, l’articolo 7 non determina più il diritto al soggiorno.

37.      Un’analisi della direttiva rivela che una delle sue disposizioni – l’articolo 8, paragrafo 4 – ricollega la nozione di «assistenza sociale» a quella di «sicurezza sociale». Ai sensi di detta norma, l’importo delle risorse considerate «sufficienti», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), non può essere superiore al livello delle risorse al di sotto del quale i cittadini dello Stato membro ospitante beneficiano di prestazioni di assistenza sociale o, qualora non possa trovare applicazione tale criterio, alla pensione minima sociale erogata dallo Stato membro ospitante. In tale situazione, invece dell’assistenza sociale si utilizza la pensione minima sociale come parametro e, di conseguenza, essa viene impiegata per determinare se il cittadino dell’Unione disponga di risorse sufficienti. Pertanto, al fine di stabilire se un cittadino dell’Unione abbia diritto di soggiornare in un altro Stato membro, le nozioni di «assistenza sociale» e di «sicurezza sociale» presentano una parziale sovrapposizione.

38.      Mentre l’obiettivo generale della direttiva è quello di semplificare e rafforzare il diritto di tutti i cittadini dell’Unione a circolare e soggiornare liberamente (17), l’obiettivo specifico dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) è quello di assicurare che coloro che esercitano il diritto di soggiorno non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante nel periodo iniziale del soggiorno (18). Ciò indica che detta norma cerca di evitare che cittadini dell’Unione economicamente inattivi utilizzino il sistema sociale dello Stato membro ospitante per finanziare il loro sostentamento.

39.      La Corte ha dichiarato che la nozione di «sistema di assistenza sociale dello Stato membro» ha un significato autonomo in diritto dell’Unione (19). Sebbene la Corte sia pervenuta a questa conclusione riguardo a un’altra direttiva, quella sul ricongiungimento familiare, il linguaggio da essa impiegato non indica che le sue conclusioni siano limitate a detta direttiva. Inoltre, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva non fa riferimento al diritto nazionale.

40.      Pur avendo un significato autonomo in diritto dell’Unione, il termine «assistenza sociale», come utilizzato nella direttiva, non deve necessariamente essere interpretato allo stesso modo nel contesto di altri atti normativi dell’Unione.

41.      Da un punto di vista letterale, il termine «assistenza sociale» ha connotazioni tecniche e nessun apparente senso corrente. Inoltre, un raffronto tra le diverse versioni linguistiche ufficiali rivela che il termine non sembra essere usato in modo uniforme (20). Ciò indica che il termine «assistenza sociale», ai sensi della direttiva, non era inteso in un senso preciso. Tenuto conto degli obiettivi e delle finalità della direttiva, esso sembrerebbe tutt’al più riferirsi alle prestazioni per le quali un cittadino dell’Unione non ha versato contributi e che sono finanziate dalle risorse pubbliche.

42.      La Commissione sostiene che il significato del termine «assistenza sociale», come usato nella direttiva, deve essere considerato alla luce della proposta di direttiva che ha preceduto la sua adozione (21). La Commissione, riferendosi al principio della non esportabilità dell’assistenza sociale – un principio fondamentale del regolamento –, afferma che i lavori preparatori indicano che l’interpretazione della direttiva deve riflettere il regolamento. Tuttavia, nonostante la vaghezza della relazione contenuta nella proposta («… non siano, generalmente…»), il fatto che le altre istituzioni non abbiano reagito su questo punto particolare nel corso dell’iter legislativo non conferma o invalida di per sé le osservazioni esposte dalla Commissione nel suo documento. Inoltre, il nesso sopra menzionato tra «assistenza sociale» e «sicurezza sociale» di cui all’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva indebolisce questo argomento.

43.      In ogni caso, se la non esportabilità fosse il criterio principale che i lavori preparatori sembrano suggerire per la nozione di «assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, contrariamente alla tesi difesa dalla Commissione, l’integrazione compensativa configurerebbe una prestazione di assistenza sociale. Infatti, ai sensi dell’articolo 70, paragrafo 4, del regolamento, le prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo non sono esportabili.

44.      Da quanto testé osservato deduco che: i) conformemente all’obiettivo della direttiva, la nozione di «assistenza sociale», come dalla medesima utilizzata, è intesa a limitare il diritto dei cittadini dell’Unione alla libera circolazione, tutelando le risorse pubbliche di uno Stato membro (v. paragrafo 38 supra); ii) la nozione non è necessariamente correlata ad altri atti normativi dell’Unione (v. paragrafi 39 e 40 supra); e iii) la nozione è, a quanto pare, volutamente imprecisa (v. paragrafi 37 e 47 supra). Nei paragrafi successivi esaminerò se detta interpretazione sia confermata o confutata dagli altri atti di diritto derivato richiamati dal giudice del rinvio e dalle parti che hanno presentato osservazioni.

3.      Raffronto con la nozione di «assistenza sociale» utilizzata nel regolamento

45.      Come sopra menzionato, la Commissione e il giudice del rinvio suggeriscono la possibilità di interpretare la direttiva in linea con il regolamento. Si sostiene che ciò implicherebbe l’esclusione dell’integrazione compensativa dalla nozione di «assistenza sociale», poiché la si è ritenuta rientrante nell’ambito di applicazione del regolamento.

46.      Il regolamento coordina i sistemi di sicurezza sociale esistenti negli Stati membri. Nell’ambito di detto coordinamento, il titolo I enuncia le norme di applicazione generale, compreso un elenco, all’articolo 3, paragrafo 1, dei settori della sicurezza sociale ai quali il regolamento è applicabile. Il titolo II contiene norme per determinare la legislazione nazionale applicabile. Le disposizioni del regolamento costituiscono dunque un sistema di norme di conflitto (22). Il titolo III contiene la maggior parte delle disposizioni che coordinano più in dettaglio le diverse categorie di prestazioni alle quali si applica il regolamento, e comprende il capitolo 9 sulle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo. I titoli IV, V e VI contengono diverse altre norme (come quelle in materia di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri). Il regolamento è completato da alcuni allegati (da I a XI) che specificano, tra l’altro, la legislazione applicabile in ciascuno Stato membro alle categorie di prestazioni, elencate per nome, alle quali si applica il regolamento.

47.      Tuttavia, al fine di comprendere la struttura e il contesto del regolamento, occorre esaminare nel dettaglio le distinzioni tracciate tra la sicurezza sociale, l’assistenza sociale e le prestazioni speciali a carattere non contributivo.

48.      L’articolo 35, paragrafo 5, lettera a), del regolamento opera una distinzione tra assistenza sociale e sicurezza sociale. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, talune categorie di prestazioni possono svolgere una duplice funzione sia di assistenza sociale sia di sicurezza sociale («prestazioni ibride») (23). Queste categorie di prestazioni sono attualmente disciplinate dall’articolo 70 del regolamento. L’articolo 70, paragrafo 1, enuncia le loro caratteristiche principali.

49.      Da una giurisprudenza costante emerge che, nell’ambito del regolamento, una prestazione può essere considerata come una prestazione di natura previdenziale se è attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita ex lege, e se si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati nell’articolo 3, paragrafo 1 (24). La prestazione speciale a carattere non contributivo è definita dalla sua finalità. Essa interviene in sostituzione o a integrazione di una prestazione previdenziale, pur distinguendosi da questa, e ha le caratteristiche di un aiuto sociale giustificato da motivi economici e sociali e deciso da una normativa che fissa criteri obiettivi (25). Le nozioni di «prestazioni di natura previdenziale» e di «prestazione speciale a carattere non contributivo» si escludono pertanto reciprocamente (26).

50.      L’assistenza sociale, tuttavia, non è definita dal regolamento. Essa tende dunque ad essere definita in termini negativi, come comprendente quelle prestazioni che non rientrano nella descrizione positiva di «prestazione di natura previdenziale» di cui al paragrafo 49 supra (27). Tuttavia, una caratteristica importante dell’«assistenza sociale» è la necessità. La Corte ha dichiarato che garantire una prestazione condizionale sulla base di una valutazione individuale delle esigenze personali del richiedente «rientra nella previdenza sociale»(28). Da ciò consegue anche che l’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento, che esclude, tra l’altro, l’assistenza sociale, deve essere interpretato restrittivamente (29).

51.      L’obiettivo generale e la finalità del regolamento, conformemente all’articolo 42 CE (attualmente articolo 48 TFUE), è quello di garantire la libera circolazione ai lavoratori migranti, dipendenti e autonomi, e ai loro aventi diritto, adottando norme appropriate in materia di sicurezza sociale. Il regolamento mira, in particolare, ad assicurare che i contributi versati al sistema di previdenza sociale in uno Stato membro possano essere esportati in un altro Stato membro, instaurando in tal modo la libera circolazione delle persone e contribuendo al miglioramento del livello di vita e delle condizioni d’occupazione (30). In forza dell’articolo 308 CE (attualmente articolo 352 TFUE) questo obiettivo è esteso, in generale, alle persone che non esercitano un’attività lavorativa.

52.      Tuttavia, dal considerando 4 si evince che l’obiettivo del regolamento non è quello di armonizzare, ma solo di coordinare i sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri. La Corte ha infatti dichiarato che l’assistenza sociale e altre prestazioni analoghe che esulano dall’ambito di applicazione del regolamento restano di competenza degli Stati membri (31).

53.      In tale contesto, sembra che l’obiettivo specifico dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera a), del regolamento sia quello di assicurare che l’assistenza sociale come tale resti priva di coordinamento e rimanga di competenza degli Stati membri. Per gli stessi motivi, l’obiettivo delle disposizioni del regolamento che disciplinano le prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo è quello di assicurare che tali prestazioni – che sono di natura ibrida e che sarebbero altrimenti esportabili – restino soggette a un criterio di soggiorno nello Stato membro che si fa carico delle relative spese (32).

54.      A questo punto, è opportuno confrontare l’uso della nozione di «assistenza sociale» nel regolamento con quello nella direttiva.

55.      Premesso che nessuno di questi atti si riferisce in alcun modo all’altro, la terminologia impiegata nelle varie versioni linguistiche dei due atti non è uniforme. Inoltre, la direttiva, come testé ricordato, crea una certa sovrapposizione tra «assistenza sociale» e «previdenza sociale». Per contro, il regolamento distingue con precisione le due nozioni. Inoltre, l’interpretazione restrittiva della nozione di «assistenza sociale» come impiegata nel regolamento (v. paragrafo 50 supra) non può essere ragionevolmente impiegata ai fini della direttiva, che non opera con la stessa dicotomia.

56.      Anzitutto, la nozione di «assistenza sociale», come utilizzata nei due strumenti normativi, non può essere la medesima, in quanto essi mirano ad obiettivi diversi (33). L’obiettivo degli articoli 3, paragrafo 5, lettera a), e 70, paragrafo 4, del regolamento è quello di evitare l’esportazione delle prestazioni che disciplinano. L’obiettivo dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, per contro, è quello di assicurare che i beneficiari di un diritto di soggiorno non divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Questa problematica è stata armonizzata dalla direttiva e pertanto gli Stati membri non sono competenti a disciplinare la materia, diversamente dal contenuto del termine «assistenza sociale» come usato nel regolamento.

57.      Su questa base, non ritengo che il contenuto della nozione di «assistenza sociale», come utilizzata nel regolamento, invalidi in alcun modo l’opinione preliminare enunciata nel precedente paragrafo 44, in quanto le due nozioni non riguardano le stesse questioni. A questo punto mi restano da esaminare gli altri due strumenti giuridici che sono stati invocati al fine di spiegare la nozione di «assistenza sociale».

4.      Raffronto con la nozione di «assistenza sociale» come utilizzata nella direttiva sul ricongiungimento familiare e nella direttiva sul soggiorno di lungo periodo

58.      I governi olandese, austriaco, svedese e del Regno Unito fanno riferimento all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul ricongiungimento familiare, che sostengono essere simile all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva e che è stato interpretato dalla Corte nella sentenza Chakroun.

59.      La direttiva sul ricongiungimento familiare disciplina il diritto dei cittadini di paesi terzi al ricongiungimento familiare, in forza del diritto dell’Unione. Il suo obiettivo è quello di stabilire le condizioni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento da parte di cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri, e fissa le condizioni per l’esercizio di tale diritto (34). Sotto questo profilo, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), limita il diritto a cittadini di paesi terzi che dispongono di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenersi «senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato». Il capitolo VI disciplina l’ingresso e il soggiorno dei familiari.

60.      Nella sentenza Chakroun, la Corte ha dichiarato che la nozione di «assistenza sociale», di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul ricongiungimento familiare dev’essere interpretata come riferita all’assistenza che supplisce a una mancanza di risorse stabili, regolari e sufficienti, e non all’assistenza che consente di far fronte a necessità straordinarie o impreviste (35).

61.      Per quanto concerne la direttiva sul soggiorno di lungo periodo, alla quale si riferiscono il giudice del rinvio e il governo austriaco, essa disciplina non solo l’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro, ma anche il soggiorno in altri Stati membri in forza di tale status, e i requisiti economici che devono essere soddisfatti a tal fine. L’articolo 11, paragrafo 4, di tale direttiva dispone che gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle «prestazioni essenziali». Al riguardo, il governo austriaco e il giudice del rinvio rinviano al considerando 13 (36), e il primo anche alla sentenza Kamberaj (37).

62.      Al punto 90 della sentenza Kamberaj la Corte ha dichiarato che la finalità perseguita dalla direttiva sul soggiorno di lungo periodo è l’integrazione dei cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente e a titolo duraturo negli Stati membri. Al punto 92, la Corte ha proseguito dichiarando che l’assistenza abitativa costituisce una prestazione essenziale di assistenza sociale, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, di tale direttiva, purché l’obiettivo di detta prestazione sia garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, ai sensi dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, al punto 85 della sentenza Kamberaj, la Corte ha dichiarato che l’elenco delle prestazioni essenziali di cui al considerando 13 non è esaustivo.

63.      La tesi sulla nozione di «assistenza sociale» come usata nella direttiva, esposta al paragrafo 44 supra, sembra dunque essere confermata dalla direttiva sul ricongiungimento familiare e da quella sul soggiorno di lungo periodo.

64.      Tutte e tre queste direttive evidenziano una nozione imprecisa e ampia di «assistenza sociale». Ad esempio, per stabilire se un cittadino di un paese terzo disponga di risorse stabili e regolari ai fini del diritto al ricongiungimento familiare ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul ricongiungimento familiare, gli Stati membri possono «tenere conto della soglia minima delle retribuzioni e delle pensioni nazionali». Ciò avviene parimenti per i cittadini di paesi terzi aventi lo status di residenti di lungo periodo che desiderano soggiornare in un altro Stato membro ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva sul soggiorno di lungo periodo. Queste norme sono paragonabili all’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva. Inoltre, l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva sul soggiorno di lungo periodo non distingue tra previdenza sociale, assistenza sociale e protezione sociale.

65.      Sebbene la direttiva e le altre due direttive riguardino categorie diverse di persone e non abbiano obiettivi e portata identici (38), esse hanno in comune lo scopo di disciplinare il diritto di soggiorno. Inoltre, le norme relative all’assistenza sociale sembrano perseguire in tutte e tre le direttive l’intento comune di tutelare il denaro pubblico. Di conseguenza, il termine «assistenza sociale» può essere inteso come indicante la stessa nozione in tutte e tre le direttive. Ciò sembra corrispondere al giudizio della Corte, dato che nella sentenza Chakroun, riguardo alla nozione di «assistenza sociale», si fa rinvio al punto 29 della sentenza Eind (39), concernente, tra l’altro, l’interpretazione della direttiva 90/364/CEE (40).

66.      La conclusione della Corte secondo cui l’espressione «sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato», come usata nell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva sul ricongiungimento familiare comprende l’assistenza sociale prestata dalle autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale (41) è rilevante anche rispetto alla direttiva. Essa è coerente con la tesi secondo la quale la prestazione deve rientrare in un sistema di assistenza sociale.

67.      Per questi motivi, ritengo che la nozione di «assistenza sociale», come usata nella direttiva, sia analoga a quella usata nelle altre due direttive. Essa dovrebbe quindi essere interpretata di conseguenza.

5.      Conclusione intermedia

68.      Sulla base di quanto precede, sono del parere che la definizione di «assistenza sociale» enunciata nella sentenza Chakroun debba essere applicata all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Ne consegue che, ai fini di detta disposizione, l’«assistenza sociale» si riferisce all’assistenza prestata dalle autorità pubbliche – a livello nazionale, regionale o locale – che supplisce a una mancanza di risorse stabili, regolari e sufficienti, e non all’assistenza che consente di far fronte a necessità straordinarie o impreviste.

69.      Sebbene la questione se una prestazione sia disciplinata dal regolamento non dovrebbe essere determinante in relazione alla nozione di «assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, ciò non significa che il regolamento non abbia nessuna rilevanza, né rende obsolete le conclusioni della Corte nella sentenza Skalka. Nella misura in cui una prestazione configura assistenza sociale ai sensi del regolamento – il che implica che il relativo diritto è fondato sulle esigenze del beneficiario e non sui suoi contributi – ciò vale anche per la direttiva.

70.      Inoltre, nella sentenza Skalka, la Corte ha osservato che l’integrazione compensativa garantiva un minimo di mezzi di sussistenza a coloro i cui redditi si situavano al di sotto di una soglia fissata dalla legge, e che era strettamente connessa alla situazione socio-economica in Austria, tenendo conto del livello di vita in detto paese. Il costo per finanziare tale integrazione era sostenuto da risorse federali e non dai beneficiari mediante contributi. Siffatta prestazione presentava pertanto il carattere di un’«assistenza sociale in quanto mira a garantire un minimo vitale al suo beneficiario, in caso di pensione insufficiente» (42).

71.      Di conseguenza, avendo l’obiettivo di compensare la mancanza di risorse stabili, regolari e sufficienti e non solo di far fronte a necessità straordinarie e impreviste, l’integrazione compensativa deve essere qualificata come «assistenza sociale», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

C –    Osservazioni su questioni che esulano dai termini della questione sollevata

72.      Nell’eventualità in cui la Corte decidesse di fornire al giudice del rinvio ulteriori elementi che potrebbero aiutarlo a statuire sulla causa di cui è investito, è giurisprudenza consolidata che, in applicazione dell’articolo 267 TFUE, la Corte può estrapolare dalla formulazione della questione ad essa sottoposta e dai fatti descritti nel rinvio pregiudiziale tutti gli elementi concernenti l’interpretazione del diritto dell’Unione (43). Inoltre, se è vero che, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità di una normativa nazionale con il diritto dell’Unione, essa può fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti a tale diritto che gli consentano di pronunciarsi sulla detta compatibilità per la definizione della causa della quale è adito (44).

73.      Di conseguenza, sembra che occorra approfondire in particolare due questioni: i) se norme nazionali come quelle applicabili nel procedimento principale siano compatibili con la direttiva, e ii) se il pagamento dell’integrazione compensativa costituisca un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale austriaco.

1.      Compatibilità con la direttiva di una normativa nazionale che assoggetta il diritto all’assistenza sociale al presupposto del soggiorno legale

74.      Osservo anzitutto che la versione tedesca dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva usa l’espressione «so dass sie (…) keine Sozialhilfeleistungen des Aufnahmemitgliedstaats in Anspruch nehmen müssen». Questa frase potrebbe essere tradotta con «in modo che essi non necessitino di ricorrere alle prestazioni di assistenza sociale dello Stato membro ospitante» e, di conseguenza, detta norma in lingua tedesca sembra essere formulata in termini più restrittivi rispetto ad altre versioni linguistiche. Sembrerebbe implicare che non si può ricorrere affatto al sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

75.      Una chiave di lettura di questo genere sarebbe contraria ad altre disposizioni della direttiva. Infatti, l’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva richiede una valutazione individuale della situazione personale del cittadino dell’Unione. L’articolo 14, paragrafo 2, prevede che solo qualora sussista un dubbio ragionevole che il cittadino dell’Unione non soddisfi la condizione del possesso di risorse sufficienti, di cui all’articolo 7, lo Stato membro ospitante può verificare, su base non sistematica, se siano riunite le condizioni di soggiorno. Allo stesso modo, l’articolo 14, paragrafo 3, vieta esplicitamente l’allontanamento qualora il cittadino dell’Unione faccia ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Nella sentenza Commissione/Belgio (45), che verteva, tra l’altro, sulla direttiva 90/364, la Corte ha espresso disapprovazione per una prassi che determinava automaticamente l’allontanamento dei cittadini dell’Unione che non fossero in grado di dimostrare la disponibilità di risorse sufficienti entro un certo termine.

76.      Tale chiave di lettura non è neppure compatibile con il preambolo della direttiva. Il considerando 10 non si riferisce infatti a un semplice onere, ma a un onere eccessivo. In altri termini, non qualsiasi onere è idoneo a giustificare la perdita del diritto di soggiorno, ma solo quello che inibisce sufficientemente il corretto funzionamento del sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Gli Stati membri devono infatti tollerare un certo grado di solidarietà finanziaria tra i cittadini di uno Stato membro ospitante e quelli di altri Stati membri (46). Il considerando 16 offre i criteri pertinenti per determinare se un cittadino dell’Unione costituisca un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro. I criteri includono: il carattere temporaneo delle difficoltà, la durata del soggiorno, la situazione personale e l’ammontare dell’aiuto concesso.

77.      La versione tedesca dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva sembra sorprendente alla luce di queste osservazioni. Subordinare il diritto di soggiorno in uno Stato membro alla condizione che l’interessato non faccia ricorso all’assistenza sociale priverebbe completamente del loro scopo le menzionate disposizioni della direttiva. Pertanto, al fine di stabilire il significato di detta disposizione, la versione tedesca deve essere interpretata alla luce dell’obiettivo e dell’economica generale della direttiva. La formulazione della disposizione non può essere l’unico elemento a sostegno della sua interpretazione, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche (47).

78.      A questo punto è importante osservare che l’articolo 51, paragrafo 1, del NAG rispecchia la versione tedesca dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Sembrerebbe dunque che il diritto dei cittadini dell’Unione di soggiornare in Austria sia subordinato alla condizione di non beneficiare di un’integrazione compensativa. Inoltre, ai sensi dell’articolo 292, paragrafo 1, dell’ASVG, l’integrazione compensativa è riservata alle persone che soggiornano legalmente in Austria. Sembra dunque che l’effetto di queste disposizioni sia quello di escludere i cittadini dell’Unione che desiderano soggiornare in Austria per più di tre mesi (e, presumibilmente, finché ottengano il soggiorno permanente, ai sensi dell’articolo 16 della direttiva) dal ricorso al sistema di assistenza sociale di quello Stato membro, nonché da una prestazione come l’integrità compensativa.

79.      Se detta interpretazione del diritto nazionale fosse corretta – questione rimessa alla valutazione dell’Oberster Gerichtshof (48) – dovrei concordare con la Commissione nel senso che ciò colloca i cittadini dell’Unione in una posizione di svantaggio rispetto ai cittadini austriaci, i quali, come riconosciuto dal governo austriaco, hanno un diritto naturale a soggiornare in Austria (49) e soddisfano quindi detta condizione con maggior facilità. Sebbene le norme in questione non discriminino direttamente sulla base della cittadinanza, esse mi sembrano tuttavia configurare una discriminazione indiretta (50).

80.      Ciò premesso, la Corte ha dichiarato in diverse occasioni che gli Stati membri possono esigere il soggiorno legale prima di concedere prestazioni di assistenza sociale, purché detta condizione rispetti il diritto dell’Unione (51). È infatti legittimo che il legislatore nazionale voglia sincerarsi che esista un collegamento reale tra il richiedente una prestazione e lo Stato membro competente (52). Inoltre, l’articolo 70, paragrafo 4, del regolamento dichiara chiaramente che le prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo sono erogate ai sensi della legislazione dello Stato membro ospitante.

81.      Ai sensi della direttiva, sembrerebbe giustificato che uno Stato membro tuteli il proprio sistema di assistenza sociale nei confronti di cittadini dell’Unione inattivi che non abbiano ancora ottenuto il soggiorno permanente. Tuttavia, contrariamente alla tesi sostenuta dal governo tedesco, dai paragrafi 75 e 76 supra consegue che le norme che assoggettano il diritto di soggiorno alla condizione di non fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, senza prevedere una valutazione individuale della capacità economica di un cittadino dell’Unione, sono incompatibili con gli articoli 8, paragrafo 4, e 14, paragrafo 3, della direttiva. Una semplice domanda di assistenza sociale non può costituire di per sé un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale di uno Stato membro e causare la perdita del diritto di soggiorno – come il governo austriaco sembra riconoscere. Infatti, nella sentenza Chakroun, la Corte ha escluso dalla nozione di «assistenza sociale» la prestazione concessa per far fronte ad esigenze straordinarie o impreviste. Di conseguenza, un cittadino dell’Unione non può essere penalizzato per aver chiesto tale prestazione. In ultima analisi, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se il diritto nazionale possa essere interpretato in senso tale da risultare compatibile con il diritto dell’Unione (53).

2.      Sulla questione se l’erogazione dell’integrazione complementare configuri un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale austriaco

82.      Ammesso che la Corte accetti la mia interpretazione della nozione di «assistenza sociale», come utilizzata all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, e che il diritto austriaco possa essere interpretato in modo compatibile con il diritto dell’Unione, resta la questione se il riconoscimento del diritto del sig. Brey all’integrazione compensativa costituisca un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale austriaco. Alla luce del tenore letterale del considerando 16 della direttiva ciò sembrerebbe verificarsi.

83.      Come emerge dal contesto fattuale, il sig. Brey non percepisce reddito all’infuori di due pensioni (una delle quali lorda), per un ammontare di EUR 1089,74 al mese. Con queste egli deve mantenere se stesso e la moglie – che non percepisce più alcun reddito – e pagare un affitto mensile di EUR 532,29, il che lascia loro al massimo EUR 557,45 al mese per vitto, utenze domestiche e altre necessità di base. Questo importo è al di sotto del livello minimo di sussistenza definito nella normativa austriaca, una situazione a cui l’integrazione compensativa è volta a porre rimedio, e a causa della quale il sig. Brey ha chiesto un pagamento mensile di EUR 326,82.

84.      Atteso che il sig. Brey è un pensionato, non sembra che detta situazione di difficoltà finanziaria cambierà con il tempo, o che la prestazione sia richiesta al fine di superare difficoltà straordinarie e impreviste (54).

85.      L’ammontare richiesto non appare manifestamente sproporzionato. Tuttavia, l’ammontare totale della prestazione può diventare un importo considerevole nelle more della decisione delle autorità austriache di revocare il permesso di soggiorno del sig. Brey.

86.      Non sembra che il sig. Brey, un cittadino tedesco di origine russa, abbia legami personali con l’Austria. Infatti, secondo il giudice del rinvio, egli si è trasferito in Austria perché in Germania sarebbe a suo dire stato vittima di discriminazione a causa della sua origine.

87.      Infine, la decisione amministrativa originaria che respingeva la domanda del sig. Brey è stata emessa il 2 marzo 2011, prima della data in cui egli ha ottenuto il permesso di soggiorno, il 22 marzo 2011. Infatti, il giudice del rinvio dichiara che la coppia si è stabilita in Austria nel corso del marzo 2011. Egli non aveva dunque accumulato alcun periodo di soggiorno significativo in Austria prima di presentare la sua domanda. In queste circostanze, sembrerebbe effettivamente che il sig. Brey non soddisfi più le condizioni per il soggiorno legale di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

88.      Precisando le considerazioni che precedono, sembra difficile, a prima vista, comprendere in che modo un singolo individuo possa divenire un onere eccessivo per le finanze di uno Stato membro. Le norme della direttiva sarebbero tuttavia prive di senso se ciò non fosse ipotizzabile. Inoltre, se il procedimento avesse invece riguardato un pagamento unico di EUR 326,82, non si potrebbe ragionevolmente parlare di «onere eccessivo». Il controsenso risiede nel fatto che il pagamento dell’integrazione compensativa è un evento che si ripete indefinitamente, mentre il sig. Brey non è in grado di dimostrare alcun precedente collegamento con la società austriaca a giustificazione di tali pagamenti. La situazione sarebbe diversa se egli avesse instaurato un legame con la società austriaca, ad esempio avendo in precedenza lavorato, soggiornato e pagato le tasse in quel paese.

89.      La tesi da me sostenuta a questo riguardo priva dunque il sig. Brey dell’integrazione compensativa. A causa del trasferimento in Austria, la coppia ha perso anche la pensione che percepiva la moglie, insieme ad altre prestazioni fondate sul soggiorno alle quali il sig. Brey avrebbe potuto avere diritto in Germania. Tuttavia, questa sfortunata conseguenza deve essere attribuita alla mancanza di armonizzazione delle norme degli Stati membri in materia di assistenza sociale. 

90.      In ogni caso, non ritengo che la questione del soggiorno legale del sig. Brey possa essere trattata per intero nel corso del procedimento dinanzi alla Corte. Da un lato, ciò significherebbe applicare il diritto ai fatti. Dall’altro, così facendo si violerebbe la procedura per la revoca del diritto di soggiorno, per i seguenti motivi.

91.      Il governo austriaco sostiene che le proprie autorità competenti in materia sociale decidono separatamente sulla legittimità del diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione, indipendentemente dal fatto che il sig. Brey abbia già ricevuto un permesso di soggiorno dalle autorità per l’immigrazione. Poiché il soggiorno legale è una condizione per l’erogazione dell’integrazione compensativa, detto governo sostiene che le autorità competenti in materia sociale devono essere in grado di verificare se il richiedente soggiorni legalmente in Austria.

92.      A mio giudizio, tale argomento non è rilevante ai fini della questione.

93.      È vero che il permesso di soggiorno di un cittadino dell’Unione ha carattere meramente dichiarativo (55). Ciò significa che il diritto di soggiorno può essere perso o acquisito a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni previste dall’articolo 7 della direttiva in un determinato momento, e non a seconda che il cittadino dell’Unione possieda o meno un permesso di soggiorno valido. Ai sensi dell’articolo 53 del NAG, l’Austria ha colto l’opportunità, prevista al secondo trattino dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva, di esigere che i cittadini dell’Unione che richiedono un permesso di soggiorno dimostrino di soddisfare la condizione della disponibilità di risorse sufficienti. Pertanto, il fatto che le autorità austriache abbiano rilasciato un permesso di soggiorno dimostra che esse ritenevano che il sig. Brey soggiornasse legalmente nel paese in quel momento. Questo avveniva dopo la decisione iniziale di rigetto della sua domanda di integrazione compensativa. Inoltre, i cittadini dell’Unione godono indubbiamente delle garanzie procedurali di cui all’articolo 15 della direttiva, che non possono essere eluse mediante un procedimento concernente, oltre al diritto della persona a una prestazione, anche il suo diritto di soggiorno.

94.      Uno Stato membro può ritenere che un cittadino dell’Unione che faccia ricorso all’assistenza sociale non soddisfi più le condizioni per il suo diritto di soggiorno e può, nei limiti imposti dal diritto dell’Unione, adottare misure per revocare il suo permesso di soggiorno. Infatti, la perdita di risorse sufficienti è sempre un rischio latente. Pertanto, l’articolo 14 della direttiva consente allo Stato membro ospitante di controllare se i cittadini dell’Unione continuino a soddisfare le condizioni previste dall’articolo 7 (56). Tuttavia, in questi casi, secondo l’approccio adottato dalla Corte, fintantoché i cittadini dell’Unione soggiornano legalmente, ai sensi del diritto dell’Unione, in un altro Stato membro, essi possono fare affidamento sul diritto dell’Unione, compreso il principio della parità di trattamento, al fine di ricevere prestazioni sociali, nonostante il fatto che ciò possa in seguito pregiudicare il loro diritto di soggiorno (57).

95.      In questo contesto, occorre osservare che il principio della parità di trattamento, di cui all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva, non è incondizionato. Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, lo Stato membro ospitante può limitare il diritto a una prestazione di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno, a meno che detta prestazione sia intesa a facilitare l’accesso al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante (58). Una prestazione intesa a integrare la pensione di un beneficiario non sembra facilitare detto accesso. Ciononostante, a mio giudizio, il principio della parità di trattamento non risulta direttamente pertinente per la questione del diritto all’integrazione compensativa ai sensi dell’articolo 292, paragrafo 1, dell’ASVG. Tale disposizione apparentemente si limita a subordinare tale diritto alla condizione del soggiorno abituale e legale, ciò che, come menzionato al precedente paragrafo 93, nel caso del sig. Brey è stato riconosciuto dalle autorità austriache.

96.      In sintesi, fino a quando lo Stato membro ospitante abbia messo fine al soggiorno legale di un cittadino dell’Unione con una decisione che rispetti le garanzie procedurali previste, segnatamente, agli articoli 15, 30 e 31 della direttiva – il che non è avvenuto nella fattispecie in esame – un cittadino come il sig. Brey può invocare il diritto dell’Unione per la durata del suo soggiorno legale. Tale decisione deve essere adottata indipendentemente dalla questione se il cittadino dell’Unione soddisfi la condizione della disponibilità di risorse sufficienti, vale a dire la questione in esame nella controversia in materia di diritto della previdenza sociale pendente dinanzi al giudice del rinvio.

V –    Conclusione

97.      Sulla scorta di quanto esposto in precedenza, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione sollevata dall’Oberster Gerichtshof nel modo seguente:

L’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, come modificato, deve essere interpretato nel senso che una prestazione quale l’integrazione compensativa, come definita all’articolo 292, paragrafo 1, dell’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, configura «assistenza sociale» ai sensi del richiamato articolo della direttiva.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Kostantinidis (C-168/91, Racc. pag. I-1191, punto 46).


3 – Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77).


4 – Riguardo alle persone che percepiscono sia una pensione straniera sia un’integrazione compensativa, il governo austriaco riscontra un aumento da 498 nel primo trimestre del 2009 a 764 nel primo trimestre del 2011 e a 940 nel primo trimestre del 2012.


5 – Sentenza del 29 aprile 2004, Skalka (C-160/02, Racc. pag. I-5613.


6 – Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2), come modificato.


7 – Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 (GU L 248, pag. 43), dal regolamento (UE) n. 1244/2010 della Commissione, del 9 dicembre 2010 (GU L 338, pag. 35) e dal regolamento (UE) n. 465/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012 (GU L 149, pag. 4).



8 – In sintesi, siffatta prestazione deve essere di natura complementare rispetto a uno dei rischi menzionati all’articolo 3, paragrafo 1. Essa deve garantire al beneficiario un reddito minimo di sussistenza, il cui importo è fissato alla luce del contesto economico e sociale dello Stato membro interessato. Essa deve anche essere finanziata dalla tassazione obbligatoria invece che da contributi del beneficiario. Infine deve essere elencata nell’allegato X del regolamento, come infatti avviene per l’integrazione compensativa.


9 – Regolamento (CE) n. 1247/92 del Consiglio, del 30 aprile 1992, che modifica il regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 136, pag. 1).


10 –      BGBl. I n. 111/2010.


11 –      Legge del 9 settembre 1955, BGB1 n. 189/1955, come modificata.


12 –      Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU L 16, pag. 44), come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011 (GU L 132, pag. 1).


13 –      V. sentenza del 16 gennaio 2007, Perez Naranjo (C-265/05, Racc. pag. I-347, punto 60).


14 –      V., tra l’altro, sentenze del 4 dicembre 2008, Zablocka-Weyhermüller (C-221/07, Racc. pag. I-9029, punto 20), e del 21 gennaio 2010, SGI (C-311/08, Racc. pag. I-487, punto 22 e giurisprudenza ivi citata). Osservo che nella sentenza del 18 novembre 2008, Förster (C-158/07, Racc. pag. I-8507), la Corte – discostandosi dalle conclusioni dell’avvocato generale Mazák (v. paragrafi 61 e da 76 a 90), non ha seguito il suggerimento della Commissione di analizzare la questione se la sig.ra Förster avesse mantenuto il suo status di lavoratore ai sensi di un’altra legge. Essa ha invece limitato la sua risposta all’ambito della questione sollevata.


15 –      Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251, pag. 12).


16 –      V., in tal senso, sentenze del 12 maggio 1998, Martínez Sala (C-85/96, Racc. pag. I-2691, punto 31); del 23 marzo 2004, Collins (C-138/02, Racc. pag. I-2703, punto 32), e del 14 ottobre 2010, van Delft e a. (C-345/09, Racc. pag. I-9879, punto 88).


17 –      V. considerando 3 della direttiva nonché le sentenze del 23 febbraio 2010, Teixeira (C-480/08, Racc. pag. I-1107, punto 60), e del 23 febbraio 2010, Ibrahim and Secretary of State for the Home Department (C-310/08, Racc. pag. I-1065, punto 49).


18 –      V. considerando 10 della direttiva.


19 –      Sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun (C-578/08, Racc. pag. I-1839, punto 45): la Corte, in quel caso, ha usato l’espressione «nozione autonoma di diritto dell’Unione».


20 –      Alcune versioni linguistiche riflettono la stessa interpretazione della versione inglese. Nella versione francese, il termine «assistenza sociale» è reso con «assistance sociale»; nella versione italiana con «assistenza sociale»; in quella spagnola con «asistencia social» e in quella rumena con «asistenţă socială». D’altro canto, la versione portoghese della direttiva usa il termine «segurança social», nonostante il fatto che l’espressione «assistência social» sia utilizzata all’articolo 8, paragrafo 4, della stessa direttiva. Allo stesso modo, il termine finlandese usato all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), «sosiaalihuoltojärjestelmälle», non corrisponde a quello utilizzato all’articolo 8, paragrafo 4, «sosiaaliavustusta», e la versione tedesca dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva usa il termine «Sozialhilfeleistungen», ma quello «Sozialhilfe» all’articolo 8, paragrafo 4. Tuttavia, la versione tedesca dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), differisce dalle altre versioni, in quanto prescrive che i cittadini dell’Unione debbano disporre di risorse economiche sufficienti per se stessi e per le loro famiglie «così da non avere necessità di fare appello ai servizi di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il loro soggiorno». Tratterò questo punto al paragrafo 74 infra.


21 –      V. proposta della Commissione del 23 maggio 2001 di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 def.], pagg. 10 e 11 (GU C 270 E, pag. 150). Riguardo all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), in tale documento si dichiara che «[b]enché occorra facilitare l’esercizio [del diritto di soggiorno], il fatto che attualmente le prestazioni d’assistenza sociale non rientrino nella normativa comunitaria e non siano generalmente “esportabili” non consente di accordare una piena parità di trattamento in materia di prestazioni sociali, senza rischiare che talune categorie di beneficiari del diritto di soggiorno, in particolare coloro che non esercitano un’attività lavorativa, diventino un [onere] ingiustificato per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante» (il corsivo è mio).


22 –      V., riguardo al regolamento n. 1408/71, la sentenza van Delft e a., cit. (punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).


23 –      V., ad esempio, sentenza del 16 luglio 1992, Hughes (C-78/91, Racc. pag. I-4839, punto 19).


24 –      V., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2007, Habelt e a. (C-396/05, C-419/05 e C-450/05, Racc. pag. I-11895, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).


25 –      V., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2007, Commissione/Parlamento e Consiglio (C-299/05, Racc. pag. I-8695, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


26 –      Sentenza del 21 febbraio 2006, Hosse (C-286/03, Racc. pag. I-1771, punto 36).


27 –      V. in tal senso, sentenza del 7 novembre 2002, Maaheimo (C-333/00, Racc. pag. I-10087, punti da 21 a 23).


28–      Sentenza Hughes, cit. (punto 17) (il corsivo è mio). V. anche, segnatamente, sentenza del 9 ottobre 1974, Biason (24/74, Racc. pag. 999, punto 10).


29 –      V., in tal senso, sentenza Habelt e a., cit. (punti 65 e 108).


30 –      V. considerando 1 del regolamento.


31 –      V. in tal senso, segnatamente, sentenze del 26 ottobre 2006, Tas-Hagen e Tas (C-192/05, Racc. pag. I-10451, punto 21); del 22 maggio 2008, Nerkowska (C-499/06, Racc. pag. I-3993, punto 23), e Zablocka-Weyhermüller, cit. (punto 27). Inoltre, il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri a predisporre i loro sistemi previdenziali; v. sentenza van Delft e a., cit. (punto 84).


32 –      V. ottavo considerando del regolamento n. 1247/92.


33 –      I due atti non hanno lo stesso fondamento giuridico. La direttiva è stata adottata ai sensi degli articoli 12, 18, 40, 44 e 52 CE (attualmente articoli 18, 21, 46, 50 e 59 TFUE) riguardanti, rispettivamente, il principio fondamentale di non discriminazione, la cittadinanza dell’Unione, la libera circolazione dei lavoratori, il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei servizi. Il regolamento è stato invece adottato ai sensi degli articoli 42 e 308 CE (attualmente divenuti articoli 48 e 352 TFUE), relativi alla previdenza sociale nel contesto della libera circolazione dei lavoratori, e delle norme che sostengono una politica dell’Unione per la quale non sussiste un fondamento giuridico sufficiente nel TFUE.


34 –      V. articolo 1 e capitolo IV della direttiva sul ricongiungimento familiare.


35 –      Punto 49 della sentenza; v. anche sentenza del 6 dicembre 2012, O. e S. (C-356/11 e C-357/11, punto 73).


36 -      Detto considerando è così formulato: «[c]on riferimento all’assistenza sociale, la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza a lungo termine. Le modalità di concessione di queste prestazioni dovrebbero essere determinate dalla legislazione nazionale».


37      Sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C-571/10).


38 –      Il fondamento giuridico della direttiva sul ricongiungimento familiare è la disposizione speciale nel vecchio titolo IV del Trattato CE, ossia l’articolo 63, paragrafo 3, lettera a), CE (attualmente sostituito dall’articolo 79 TFUE), con il titolo «Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» (attualmente, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, incluso nel capitolo II del titolo V del TFUE, rinominato «Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione»). Il fondamento giuridico della direttiva sul soggiorno di lungo periodo è l’articolo 63, paragrafi 3 e 4, CE.


39 –      Sentenza dell’11 dicembre 2007, Eind (C-291/05, Racc. pag. I-10719).


40 –      Direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26).


41 –      Sentenza Chakroun, cit. (punto 45).


42 –      Punti 24, 26 e 29 della sentenza.


43 –      Sentenze dell’8 novembre 2007, ING. AUER (C-251/06, Racc. pag. I-9689, punto 38); del 28 aprile 2009, Apostolides (C-420/07, Racc. pag. I-3571, punto 63), e del 5 maggio 2011, McCarthy (C-434/09, Racc. pag. I-3375, punto 24).


44 –      Sentenza del 26 gennaio 2010, Transportes Urbanos y Servicios Generales (C-118/08, Racc. pag. 1-635, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).


45 –      Sentenza del 23 marzo 2006 (C-408/03, Racc. pag. I-2647).


46 –      Sentenza del 20 settembre 2001, Grzelczyk (C-184/99, Racc. pag. I-6193, punto 44), e del 15 marzo 2005, Bidar (C-209/03, Racc. pag. I-2119, punto 56).


47 –      V., in tal senso, sentenza del 12 novembre 1998, Institute of the Motor Industry (C-149/97, Racc. pag. I-7053, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata).


48 –      Osservo, a questo riguardo, che il giudice del rinvio conferma che la percezione di un’integrità compensativa è destinata ad avere effetti pregiudizievoli sul diritto di soggiorno.


49 –      V., in tal senso, l’articolo 3, paragrafo 2, del Quarto Protocollo della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.


50 –      V., in tal senso, le sentenze Collins, cit. (punto65); Bidar, cit. (punto53); del 15 settembre 2005, Ioannidis (C-258/04, Racc. pag. I-8275, punto 28), e del 1° ottobre 2009, Gottwald (C-103/08, Racc. pag. I-9117, punto 28).


51 –      V. sentenze Martínez Sala, cit. (punto 63); del 7 settembre 2004, Trojani (C-456/02, Racc. pag. I-7573, punto 43); Bidar, cit. (punto 37), e Förster, cit. (punto 39).


52 –      V. sentenza del 21 luglio 2011, Stewart (C-503/09, Racc. pag. I-6497, punto 89).


53 –      Sentenza del 10 aprile 1984, Von Colson e Kamann (C-14/83, Racc. pag. 1891, punto 26).


54 –      Sentenze citate Grzelczyk (punto 45) e Chakroun (punto 52).


55 –      V., segnatamente, sentenza del 21 luglio 2011, Dias (C-325/09, Racc- pag. I-6387, punti 48 e 49 e giurisprudenza ivi citata).


56 –      V., in tal senso, le citate sentenze Grzelczyk (punto 42) e Commissione/Belgio (punti 47 e 50).


57 –      V., in tal senso, le citate sentenze Grzelczyk (punto 36); Trojani (punto 40); Bidar (punto 46), e Förster (punto 43).


58 –      Sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C-22/08 e C-23/08, Racc. pag. I-4585, punto 45).