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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 29 settembre 2016 (1)

Causa C-592/15

Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs

contro

British Film Institute

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles, Regno Unito)]

«Imposta sul valore aggiunto – Sesta direttiva 77/388/CEE – Articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n) – Esenzione di talune prestazioni di servizi culturali – Potere discrezionale degli Stati membri riguardo ai servizi culturali ai quali può essere applicata l’esenzione»





1.        Nella presente causa, la Corte è invitata a precisare la portata dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva 77/388/CEE (2). Tale disposizione prevede che gli Stati membri esonerino «talune prestazioni di servizi culturali e le forniture di beni loro strettamente connesse effettuate da organismi culturali di diritto pubblico o da altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro interessato».

2.        La Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles, Regno Unito), giudice del rinvio, si chiede se tale disposizione lasci un certo margine di discrezionalità agli Stati membri riguardo alla scelta delle prestazioni di servizi culturali che possano beneficiare di una siffatta esenzione. Detto giudice intende parimenti appurare se la citata disposizione abbia effetto diretto e possa, pertanto, essere direttamente fatta valere dai soggetti passivi dinanzi al giudice nazionale ove lo Stato membro interessato abbia omesso di trasporre entro i termini la sesta direttiva nell’ordinamento nazionale.

3.        Nelle presenti conclusioni spiegherò per quali motivi ritengo che l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che la nozione di «talune prestazioni di servizi culturali» lasci agli Stati membri il compito di individuare quali prestazioni di servizi culturali possano essere esentate dall’imposta sul valore aggiunto (IVA). Preciserò che spetta al giudice nazionale stabilire, tenendo conto del contenuto delle prestazioni di servizi di cui trattasi, se l’esclusione del British Film Institute, convenuto nel procedimento principale, dal beneficio dell’esenzione dell’IVA rispetti il principio di neutralità fiscale e, segnatamente, se comporti una violazione del principio di parità di trattamento rispetto agli altri operatori che erogano le stesse prestazioni in situazioni analoghe e ai quali è riconosciuta l’esenzione dall’IVA in relazione a tali prestazioni.

4.        In seguito, spiegherò per quale motivo, a mio avviso, tale disposizione non possa essere direttamente fatta valere da un soggetto passivo dinanzi al giudice nazionale.

I –    Contesto normativo

A –          Diritto dell’Unione

5.        L’articolo 13, parte A, della sesta direttiva dispone quanto segue:

«1.      Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

(...)

m)      talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica;

n)      talune prestazioni di servizi culturali e le forniture di beni loro strettamente connesse effettuate da organismi culturali di diritto pubblico o da altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro interessato;

(...)».

6.        La sesta direttiva è stata abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2007, dalla direttiva 2006/112/CE (3). Essa riproduce sostanzialmente le disposizioni della sesta direttiva.

7.        L’articolo 132 di detta direttiva è così redatto:

«1.      Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:

(...)

m)      talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica;

n)      talune prestazioni di servizi culturali e le cessioni di beni loro strettamente connesse effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro interessato;

(...)».

B –          Normativa del Regno Unito

8.        Prima del 1° giugno 1996, nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non esistevano disposizioni che prevedessero l’esenzione delle prestazioni di servizi culturali. È solo da tale data, che corrisponde a quella dell’entrata in vigore del gruppo 13 dell’allegato 9 del Value Added Tax Act 1994 (legge del 1994 relativa all’imposta sul valore aggiunto), che la legislazione del Regno Unito ha previsto l’esenzione dall’IVA di talune prestazioni di servizi culturali. Così, i punti 1 e 2 di tale legge prevedono che la cessione, ad opera di un organismo pubblico o di un ente qualificato, di un diritto d’ingresso a un museo, a una galleria d’arte, a una mostra artistica o a uno zoo oppure a uno spettacolo teatrale, musicale o coreografico di natura culturale sia esente dall’IVA.

9.        Secondo la nota 1 della suddetta legge, per organismo pubblico s’intende un’amministrazione locale, un ministero ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 6, della medesima legge, o un organismo pubblico non ministeriale elencato nell’edizione del 1995 dell’elenco pubblicato dall’Office of Public Service (servizio responsabile della pubblicazione dei testi ufficiali) e intitolata «Enti pubblici». Inoltre, ai sensi della nota 2 della legge del 1994 relativa all’imposta sul valore aggiunto, per «ente qualificato» s’intende ogni ente (diverso da un organismo pubblico) che non può distribuire, e di fatto non distribuisce, i propri proventi eventuali, che destina tutti i proventi realizzati mediante le prestazioni descritte al punto 2 di tale legge al mantenimento o al miglioramento del servizio fornito nell’ambito delle prestazioni e che è gestito ed amministrato a titolo gratuito da persone che non hanno alcun interesse diretto o indiretto nelle sue attività.

10.      In forza della nota 3 della suddetta legge, il punto 1 della stessa non si applica a prestazioni la cui esenzione possa creare distorsioni della concorrenza e in tal modo svantaggiare un’impresa commerciale di un soggetto d’imposta. Inoltre, la nota 4 della legge del 1994 sull’imposta sul valore aggiunto precisa che il punto 1, lettera b), della medesima legge si applica alla cessione di un diritto d’ingresso ad uno spettacolo solo se lo spettacolo è offerto esclusivamente da uno o più organismi pubblici, da uno o più enti qualificati o da un’associazione di organismi pubblici ed enti qualificati.

II – Fatti della controversia principale

11.      Il British Film Institute è un organismo senza fini di lucro che si occupa di promuovere il cinema nel Regno Unito. In particolare, nel 1951 si è stabilito che tale organismo assumesse la direzione del National Film Theatre e, dall’aprile del 2011, si è parimenti deciso che avrebbe gestito le attività dell’UK Film Council (Consiglio cinematografico britannico).

12.      Durante il periodo compreso tra il 1° gennaio 1990 e il 31 maggio 1996 (in prosieguo: il «periodo controverso»), il British Film Institute ha versato l’IVA secondo l’aliquota normalmente dovuta sulle prestazioni di cessione dei diritti d’ingresso alle proiezioni di film organizzate presso il National Film Theatre e in occasione di altri festival cinematografici.

13.      Ritenendo che dette prestazioni si configurassero come «prestazioni di servizi culturali», ai sensi dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva, e che, pertanto, le medesime avrebbero dovuto essere esenti dall’IVA, il British Film Institute ha presentato un reclamo diretto ad ottenere il rimborso dell’IVA versata durante il periodo controverso. Con lettera del 23 novembre 2009, l’Her Majesty’s Revenue and Customs (amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito) ha respinto tale domanda. Detta amministrazione ha confermato la propria decisione in sede di riesame della medesima in data 3 febbraio 2010.

14.      Il British Film Institute ha quindi presentato ricorso avverso la citata decisione dinanzi al First-tier Tribunal (Tax Chamber) [tribunale di primo grado (sezione tributaria), Regno Unito]. Quest’ultimo, con decisione del 5 dicembre 2012, ha ritenuto che l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva avesse effetto diretto, con la conseguenza che le prestazioni consistenti nella cessione di diritti d’ingresso a proiezioni cinematografiche erogate dal convenuto nel procedimento principale durante il periodo controverso risultavano esenti in forza di tale disposizione.

15.      L’amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito ha impugnato la decisione del 5 dicembre 2012 dinanzi all’Upper Tribunal (Tax and Chancery Chamber) [tribunale superiore (sezione tributaria e della Chancery), Regno Unito]. Con decisione del 12 agosto 2014, detto giudice ha respinto l’appello. L’amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito è stata quindi autorizzata ad adire la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles), che ha deciso di sospendere il procedimento e di interrogare la Corte sulle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione.

III – Questioni pregiudiziali

16.      La Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles) ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)       Se i termini dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva, segnatamente l’espressione “talune prestazioni di servizi culturali”, siano sufficientemente chiari e precisi cosicché tale disposizione sia dotata di effetto diretto, nel senso di esentare le prestazioni di servizi culturali offerte da organismi di diritto pubblico o da altri enti culturali riconosciuti, come le prestazioni fornite dal convenuto nel procedimento principale nella fattispecie, in mancanza di una legislazione nazionale di trasposizione.

2)      Se i termini dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva, segnatamente l’espressione “talune prestazioni di servizi culturali”, lascino agli Stati membri un potere discrezionale nell’applicazione mediante una normativa di trasposizione e, in tal caso, quale margine di discrezionalità.

3)      Se le conclusioni relative alle precedenti questioni si applichino anche all’articolo 132, paragrafo 1, lettera n), della direttiva 2006/112».

IV – Analisi

17.      Atteso che, nella presente causa, il periodo controverso si colloca tra il 1° gennaio 1990 e il 31 maggio 1996 e che l’articolo 413 della direttiva 2006/112 precisa che la data dell’entrata in vigore della medesima è il 1° gennaio 2007, ritengo che tale direttiva non sia applicabile ai fatti della controversia principale. Pertanto, è irrilevante rispondere all’ultima questione posta dal giudice del rinvio riguardante l’articolo 132, paragrafo 1, lettera n), della citata direttiva.

18.      Con la sua seconda questione, che, a mio parere, dev’essere trattata per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che la nozione di «talune prestazioni di servizi culturali» comprende tutte le prestazioni di servizi culturali oppure lascia agli Stati membri il compito di stabilire quali prestazioni di servizi culturali possano essere oggetto di esenzione dall’IVA.

19.      Escludo a priori che si debba ritenere, come sostiene il convenuto nel procedimento principale, che l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva preveda l’obbligo per gli Stati membri di esentare tutte le prestazioni di servizi culturali. Il solo fatto che sia stato scelto il termine «talune» in luogo di «tutte» o di «le» è sufficiente a dimostrare che il legislatore dell’Unione intendeva non tanto conferire a tale esenzione un carattere generale valevole per tutti i servizi in parola, quanto piuttosto prevedere una siffatta esenzione per alcuni di essi.

20.      A tal riguardo, è indubbio che, utilizzando il termine «talune», il legislatore abbia inteso lasciare agli Stati membri il compito di decidere quali prestazioni di servizi culturali possano essere esenti dall’IVA.

21.      Come precisato dalla Commissione europea, dai lavori preparatori che hanno portato all’adozione della sesta direttiva risulta che, inizialmente, era stato proposto di stabilire un elenco esaustivo delle prestazioni di servizi culturali oggetto di esenzione dall’IVA. Tale elenco comprendeva segnatamente le prestazioni di servizi dei teatri, dei cine-club, dei concerti, dei musei, delle biblioteche, dei parchi pubblici, dei giardini botanici o zoologici, delle esposizioni di carattere educativo, nonché le operazioni effettuate nel quadro di attività che presentano un interesse collettivo di natura sociale, culturale o educativa (4). Va constatato che tale proposta non è stata accolta dal legislatore dell’Unione.

22.      Osservo inoltre che, nella prima relazione della Commissione al Consiglio sul funzionamento del sistema di imposta sul valore aggiunto presentata conformemente all’articolo 34 della sesta direttiva (77/388/CEE) del 17 maggio 1977 (5), la Commissione, che aveva criticato l’imprecisione del testo dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettere m) ed n), della sesta direttiva, precisava quanto segue: «[s]embra paradossale istituire casi di esenzione obbligatoria il cui contenuto è lasciato al potere discrezionale dei singoli Stati membri». La proposta di modifica della sesta direttiva che è seguita a tale relazione introduceva, di conseguenza, un cambiamento di detta formulazione. Ancora una volta, la Commissione proponeva un elenco esaustivo delle prestazioni di servizi culturali oggetto di esenzione dall’IVA (6). Tuttavia, tale modifica non è stata accettata dagli Stati membri.

23.      L’ampio margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri in materia di esenzione delle prestazioni di servizi culturali non deve stupire. Infatti, all’interno dell’Unione europea, e talvolta all’interno di uno stesso Stato membro, si rinvengono tradizioni culturali e identità regionali molto diverse. Esistono tante culture quanti sono gli Stati membri. Pertanto, logicamente, questi ultimi, sono i soggetti più indicati per individuare le prestazioni di servizi culturali maggiormente idonee a perseguire l’interesse pubblico, visto che, vorrei ricordare, l’articolo 13, parte A, della sesta direttiva riguarda le esenzioni a favore di alcune attività di interesse pubblico.

24.      Aggiungo che, contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto nel procedimento principale nella sua replica in sede di udienza, non ritengo che, per poter fruire dell’esenzione di cui all’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della direttiva in esame, rilevi unicamente la natura dell’organismo che eroga le prestazioni, ossia che si tratti di un organismo di diritto pubblico o di altri organismi culturali riconosciuti dallo Stato membro. Il convenuto nel procedimento principale sembra, infatti, ritenere che, a partire dal momento in cui le prestazioni di servizi di cui trattasi sono state erogate da un organismo di questo tipo, quest’ultimo benefici automaticamente dell’esenzione. Orbene, anche se la qualità del prestatore di servizi culturali costituisce, effettivamente, una condizione essenziale per il riconoscimento di tale esenzione, la natura della prestazione di servizi oggetto della disposizione in esame è un’altra. Non basta dunque che l’organismo che eroga la prestazione di servizi culturali sia un organismo di diritto pubblico o sia riconosciuto come organismo culturale dallo Stato membro interessato perché tale prestazione sia esente dall’IVA, ma occorre anche che tale Stato, come abbiamo visto innanzi, riconosca l’idoneità di tale prestazione.

25.      Tuttavia, la Corte ha più volte ribadito che le esenzioni di cui all’articolo 13 della sesta direttiva costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione, che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’IVA da uno Stato membro all’altro (7). Sempre secondo giurisprudenza costante, i termini con i quali sono state designate le esenzioni devono essere interpretati restrittivamente, dato che tali esenzioni costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (8).

26.      Come conciliare, allora, l’ampio margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri riguardo all’esenzione di talune prestazioni di servizi culturali con tale giurisprudenza?

27.      A mio parere, sarebbe vano, proprio per i motivi precedentemente illustrati, offrire una definizione della nozione di «talune prestazioni di servizi culturali». Ritengo, invece, che l’ampio potere discrezionale lasciato agli Stati membri debba essere esercitato nel rigoroso rispetto degli obiettivi perseguiti dalla sesta direttiva e dei principi che disciplinano l’IVA.

28.      Difatti, rammento che l’articolo 13 della direttiva in esame, che prevede una serie di esenzioni dall’IVA, costituisce un’eccezione al principio sancito dall’articolo 2 della medesima direttiva, il quale precisa, segnatamente, che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, sono soggette all’IVA (9). Pertanto, la regola generale per tali prestazioni è l’assoggettamento all’IVA.

29.      D’altronde, la Corte ha dichiarato che l’articolo 13, parte A, della sesta direttiva prevede un’esenzione dall’IVA per alcune attività di interesse pubblico e non per tutte dette attività (10).

30.      È dunque innegabile che, se è vero che gli Stati membri possiedono un ampio margine di discrezionalità riguardo alla scelta delle prestazioni di servizi culturali esentabili dall’IVA, questi ultimi non possono, invece, esentare tutte le prestazioni che rientrano in tale categoria.

31.      Inoltre, ricordo che le esenzioni elencate dall’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettere da h) a p), di tale direttiva riguardano enti che agiscono nel pubblico interesse in un settore sociale, culturale, religioso e sportivo o in un settore simile. L’obiettivo di tali esenzioni è dunque un trattamento più favorevole, in materia di IVA, di alcuni organismi le cui attività siano orientate verso finalità non commerciali (11).

32.      In aggiunta, i legislatori nazionali, quando decidono quali prestazioni di servizi culturali possano beneficiare dell’esenzione dall’IVA, sono tenuti a rispettare il principio di neutralità dell’IVA, principio fondamentale del sistema comune dell’IVA applicato dal diritto dell’Unione in materia (12). Una differenza di trattamento ai fini dell’IVA di due prestazioni di servizi identiche o simili dal punto di vista del consumatore e che soddisfano le medesime esigenze di quest’ultimo è sufficiente a dimostrare una violazione di tale principio (13). Il principio di neutralità fiscale comporta, parimenti, l’eliminazione delle distorsioni della concorrenza risultanti da un trattamento differenziato sotto il profilo dell’IVA. La distorsione risulta quindi provata una volta constatato che le prestazioni di servizi si trovano in una situazione di concorrenza e sono trattate in maniera diversa sotto il profilo dell’IVA (14).

33.      Pertanto, ritengo che, nell’ambito del procedimento principale, spetti al giudice del rinvio stabilire, tenendo conto del contenuto delle prestazioni di servizi di cui trattasi, se l’esclusione del convenuto nel procedimento principale dal beneficio dell’esenzione dall’IVA comporti una violazione del principio di parità di trattamento rispetto ad altri operatori che eroghino le stesse prestazioni in situazioni analoghe e che beneficino dell’esenzione di cui all’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva. A mio avviso, tenuto conto del ruolo del convenuto nel procedimento principale, consistente nel promuovere il cinema nel Regno Unito, tale verifica dovrà focalizzarsi, in particolare, sul punto 1, gruppo 13, dell’allegato 9 della legge del 1994 sull’imposta sul valore aggiunto, che prevede una siffatta esenzione per la concessione, da parte di un organismo pubblico o di un ente qualificato, del diritto d’ingresso ad uno spettacolo teatrale, musicale o coreografico di natura culturale.

34.      Ciò premesso, si deve ora esaminare la prima questione pregiudiziale. Con tale questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte se, in circostanze come quelle del procedimento principale, l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva possa essere fatto valere direttamente da un soggetto passivo dinanzi al giudice nazionale.

35.      Secondo costante giurisprudenza, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti d’attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto atte a definire diritti che i singoli possono far valere nei confronti dello Stato (15).

36.      Per quanto riguarda, più in particolare, il contenuto dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva, va constatato che tale disposizione non fa alcuna menzione delle attività che possono beneficiare dell’esenzione dall’IVA. Come abbiamo visto, tale disposizione lascia, invece, agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità in materia. Pertanto, mi sembra difficile che i giudici nazionali o altre autorità possano applicare direttamente tale disposizione qualora gli Stati membri non abbiano varato provvedimenti specifici preordinati a precisarne il contenuto. Diverso sarebbe se, come nel caso dell’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera g), o dell’articolo 13, parte B, lettera d), di detta direttiva ai quali la Corte ha riconosciuto effetto diretto (16), i termini utilizzati fossero chiari e precisi, così da non lasciare spazio ad alcun dubbio di carattere interpretativo, consentendo in tal modo di individuare agevolmente il soggetto passivo beneficiario dell’esenzione.

37.      A mio avviso, dunque, l’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva non ha effetto diretto. Di conseguenza, ritengo che non possa essere fatto valere da un soggetto passivo dinanzi al giudice nazionale qualora lo Stato membro interessato abbia omesso di trasporre entro i termini la suddetta direttiva nell’ordinamento nazionale.

V –    Conclusione

38.      Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere come segue alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles, Regno Unito):

1)      L’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 92/77/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «talune prestazioni di servizi culturali» lascia agli Stati membri il compito di stabilire quali prestazioni di servizi culturali possano essere oggetto di un’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto.

Spetta al giudice nazionale stabilire in particolare, tenendo conto del contenuto delle prestazioni di servizio di cui trattasi, se l’esclusione del convenuto nel procedimento principale dal beneficio dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto rispetti il principio di neutralità fiscale e, segnatamente, se essa comporti una violazione del principio di parità di trattamento rispetto ad altri operatori che eroghino le stesse prestazioni in situazioni analoghe e beneficino dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto in relazione a tali prestazioni.

2)      L’articolo 13, parte A, paragrafo 1, lettera n), della sesta direttiva, come modificata dalla direttiva 92/77, non può essere fatto valere direttamente da un soggetto passivo dinanzi al giudice nazionale qualora lo Stato membro interessato abbia omesso di trasporre entro i termini detta direttiva nell’ordinamento nazionale.


1 Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva 92/77/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992 (GU 1992, L 316, pag. 1) (in prosieguo: la «sesta direttiva»).


3      Direttiva del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).


4      V. proposta di sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, COM(73) 950 def., del 20 giugno 1973 (Bollettino delle Comunità europee, supplemento 11/73, pag. 42).


5      COM(83) 426 def.


6      V. proposta di diciannovesima direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, che modifica la direttiva 77/388/CEE – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto, COM(84) 648 def., del 5 dicembre 1984 (GU 1984, C 347, pag. 5).


7      V., in particolare, sentenza del 28 luglio 2011, Nordea Pankki Suomi (C-350/10, EU:C:2011:532, punto 22 e giurisprudenza citata). Per una giurisprudenza recente riguardante l’articolo 132 della direttiva 2006/112, v. sentenza del 26 maggio 2016, National Exhibition Centre (C-130/15, non pubblicata, EU:C:2016:357, punto 28).


8      V. sentenza del 28 luglio 2011, Nordea Pankki Suomi (C-350/10, EU:C:2011:532, punto 23 e giurisprudenza citata). V., anche, sentenza del 26 maggio 2016, National Exhibition Centre (C-130/15, non pubblicata, EU:C:2016:357, punto 29).


9      V., in particolare, sentenza del 18 gennaio 2001, Stockholm Lindöpark (C-150/99, EU:C:2001:34, punto 19).


10      V. sentenza del 9 febbraio 2006, Stichting Kinderopvang Enschede (C-415/04, EU:C:2006:95, punto 14 e giurisprudenza citata). V., anche, sentenza del 21 febbraio 2013, Žamberk (C-18/12, EU:C:2013:95, punto 18 e giurisprudenza citata).


11      V. sentenza del 21 marzo 2002, Kennemer Golf (C-174/00, EU:C:2002:200, punto 19).


12      V. sentenza del 23 aprile 2015, GST – Sarviz Germania (C-111/14, EU:C:2015:267, punto 34 e giurisprudenza citata).


13      V. sentenza del 10 novembre 2011, The Rank Group (C-259/10 e C-260/10, EU:C:2011:719, punto 36).


14      V. sentenza del 19 luglio 2012, A (C-33/11, EU:C:2012:482, punto 33 e giurisprudenza citata.


15      V. sentenze del 6 novembre 2003, Dornier (C-45/01, EU:C:2003:595, punto 78 e giurisprudenza citata), nonché del 16 luglio 2015, Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt (C-108/14 e C-109/14, EU:C:2015:496, punto 48 e giurisprudenza citata).


16      V., rispettivamente, sentenze del 10 settembre 2002, Kügler (C-141/00, EU:C:2002:473, punti 52 e segg.) nonché del 19 gennaio 1982, Becker (8/81, EU:C:1982:7, punti 17 e segg.).