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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

presentate il 28 maggio 2020 (1)

Causa C-620/18

Ungheria

contro

Parlamento europeo,

Consiglio dell’Unione europea

«Ricorso di annullamento – Direttiva (UE) 2018/957 – Direttiva (UE) 96/71 – Distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi – Norme riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori – Base giuridica inadeguata – Sviamento di potere – Restrizioni discriminatorie, superflue o sproporzionate – Violazione del principio di libera prestazione di servizi – Retribuzione dei lavoratori distaccati – Lavoratori distaccati di lunga durata – Violazione del regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa – Azioni collettive dei lavoratori – Trasporto su strada»






1.        L’Ungheria chiede alla Corte, a titolo principale, l’annullamento della direttiva (UE) 2018/957 (2), recante modifica della direttiva 96/71/CE (3) relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. In subordine, chiede l’annullamento di varie disposizioni della direttiva 2018/957.

I.      Contesto normativo

A.      Direttiva 96/71

2.        La direttiva 96/71 è stata adottata sulla base degli articoli 57, paragrafo 2, e 66 del Trattato CE (divenuti articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE).

3.        Ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, detta direttiva aveva lo scopo di garantire ai lavoratori distaccati nel territorio degli Stati membri le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie in essa previste che, nello Stato membro in cui si esegue la prestazione di lavoro, fossero disciplinate da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, o da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale.

4.        Tra le materie contemplate dalla direttiva 96/71 figuravano nel suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), le tariffe minime salariali, comprese quelle maggiorate per lavoro straordinario.

B.      Direttiva 2018/957

5.        La base giuridica della direttiva 2018/957 sono gli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE.

6.        L’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2018/957 inserisce i seguenti paragrafi all’articolo 1 della direttiva 96/71:

«1.      La presente direttiva garantisce la protezione dei lavoratori distaccati durante il loro distacco in relazione alla libera prestazione dei servizi, stabilendo disposizioni obbligatorie riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che devono essere rispettate.

1 bis.      La presente direttiva non pregiudica in alcun modo l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e a livello di Unione, compresi il diritto o la libertà di sciopero o il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. Essa non pregiudica neppure il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi, o di intraprendere azioni collettive in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali».

7.        L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2018/957 modifica l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71, che sostituisce con il seguente testo:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie elencate di seguito che, nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, sono stabilite da:

‐      disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o

‐      da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8:

a)      periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;

b)      durata minima dei congedi annuali retribuiti;

c)      retribuzione, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; la presente lettera non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria;

d)      condizioni di fornitura dei lavoratori, in particolare la fornitura di lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo;

e)      sicurezza, salute e igiene sul lavoro;

f)      provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;

g)      parità di trattamento fra uomo e donna, nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione;

h)      condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro;

i)      indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali.

La lettera i) si applica esclusivamente alle spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute da lavoratori distaccati qualora gli stessi debbano recarsi al loro abituale luogo di lavoro nello Stato membro nel cui territorio sono distaccati e fare da esso ritorno, ovvero qualora siano inviati temporaneamente dal loro datore di lavoro da tale abituale luogo di lavoro verso un altro luogo di lavoro.

Ai fini della presente direttiva il concetto di retribuzione è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8.

(…)».

8.        L’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2018/957 inserisce un paragrafo 1 bis all’articolo 3 della direttiva 96/71, del seguente tenore:

«1 bis.      Qualora la durata effettiva di un distacco superi 12 mesi, gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori che sono distaccati nel loro territorio oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da:

‐      disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o

‐      contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale o che in alternativa si applicano a norma del paragrafo 8.

Il primo comma del presente paragrafo non si applica alle materie seguenti:

a)      procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza;

b)      regimi pensionistici integrativi di categoria.

Qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata, lo Stato membro in cui è prestato il servizio estende il periodo di cui al primo comma a 18 mesi.

Se un’impresa di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata del distacco ai fini del presente paragrafo corrisponde alla durata complessiva dei periodi di distacco dei singoli lavoratori distaccati interessati.

Il concetto di “stesse mansioni nello stesso luogo” di cui al quarto comma del presente paragrafo è determinato tenendo in considerazione, tra l’altro, la natura del servizio da prestare, il lavoro da effettuare e l’indirizzo o gli indirizzi del luogo di lavoro».

9.        Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2018/957, l’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71 ha ora la seguente formulazione:

«7.      I paragrafi da 1 a 6 non ostano all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori.

Le indennità specifiche per il distacco sono considerate parte della retribuzione, purché non siano versate a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco, come le spese di viaggio, vitto e alloggio. Fatta salva la lettera h) del primo comma del paragrafo 1, il datore di lavoro provvede a rimborsare tali spese al lavoratore distaccato, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro.

Qualora le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili al rapporto di lavoro non determinino se elementi dell’indennità specifica per il distacco sono versati a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco o se fanno parte della retribuzione e, nel caso, quali siano detti elementi, l’intera indennità è considerata versata a titolo di rimborso delle spese».

10.      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957 dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica al settore del trasporto su strada a decorrere dalla data di applicazione di un atto legislativo che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e stabilisce norme specifiche in relazione alla direttiva 96/71/CE e alla direttiva 2014/67/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71 e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (“regolamento IMI”) (GU 2014, L 159, pag. 11)] per il distacco dei conducenti nel settore dei trasporti su strada».

II.    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

11.      Il governo ungherese chiede alla Corte di annullare integralmente la direttiva 2018/957. In subordine, limita le sue domande all’annullamento:

–      delle disposizioni contenute all’articolo 1, punto 2, lettera a), della direttiva 2018/957, con cui sono stati previsti la lettera c) e il terzo comma del nuovo articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71;

–      delle disposizioni contenute all’articolo 1, punto 2, lettera b), della direttiva 2018/957, con cui è stato inserito il paragrafo 1 bis nell’articolo 3 della direttiva 96/71;

‐      dell’articolo 1, punto 2, lettera c), della direttiva 2018/957;

–      dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957.

12.      Il governo ungherese chiede inoltre la condanna alle spese del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.

13.      Il Parlamento europeo e il Consiglio chiedono alla Corte di respingere il ricorso e di condannare l’Ungheria alle spese.

14.      La Germania, la Francia, i Paesi Bassi e la Commissione sono stati ammessi a intervenire nel procedimento a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio. Tutti i predetti hanno depositato osservazioni scritte benché i Paesi Bassi si siano limitati a sostenere gli argomenti del Consiglio e del Parlamento europeo.

15.      Il governo ungherese ha chiesto, ai sensi dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, che la causa sia definita dalla Grande Sezione.

16.      All’udienza del 3 marzo 2020 hanno partecipato il Consiglio, il Parlamento, la Commissione e i governi ungherese, tedesco, francese e dei Paesi Bassi.

III. Osservazioni preliminari

17.      Il distacco di lavoratori (4) nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi tra Stati membri è stato sempre una questione delicata all’interno dell’Unione europea. Nonostante la sua ridotta rilevanza economica in termini relativi (5), la sua disciplina giuridica ha generato controversie, poiché nella sua disciplina confluiscono due logiche contrapposte:

‐      da un lato, la logica della libera prestazione di servizi nel mercato interno. In base ad essa, devono essere eliminate le restrizioni che impediscono a un’impresa di uno Stato membro con bassi costi del lavoro di distaccare i propri lavoratori per prestare servizi in un altro Stato membro con un costo del lavoro superiore. Gli Stati di origine di tali imprese mettono l’accento sulla necessità di agevolare la libera prestazione di servizi. A loro parere, pertanto, i lavoratori distaccati temporaneamente dovrebbero essere soggetti alla legislazione dello Stato di origine e si dovrebbe applicare loro il minor numero possibile di norme dello Stato di destinazione;

‐      dall’altro lato, la logica della tutela delle condizioni di lavoro e sociali dei lavoratori distaccati temporaneamente. Gli Stati di destinazione pretendono che questi lavoratori si assoggettino alle stesse norme lavoristiche degli altri lavoratori del proprio territorio (percependo lo stesso salario per le stesse mansioni in tale Stato). In tal modo, le imprese distaccanti non potrebbero fare concorrenza sleale alle imprese stabilite nel loro territorio e si eviterebbe il cosiddetto dumping sociale, garantendo allo stesso tempo una migliore tutela dei lavoratori distaccati.

18.      Le difficoltà di regolamentazione del distacco transnazionale di lavoratori derivano, in definitiva, dal fatto che l’Unione non ha la competenza per armonizzare le condizioni di lavoro. Sono gli Stati membri che dispongono di tale competenza, il che si traduce in considerevoli differenze tra le condizioni di lavoro e salariali di ciascuno di essi (6).

19.      Il distacco transnazionale dei lavoratori, oltre alle norme lavoristiche degli Stati interessati e a quelle dell’Unione relative alla libera prestazione di servizi, è soggetto alle regole di diritto internazionale privato dell’Unione (sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali), alle norme sulla previdenza sociale dell’Unione e degli Stati membri interessati e a quelle di natura fiscale. Tale molteplice assoggettamento aumenta le difficoltà di regolamentazione del fenomeno.

A.      Giurisprudenza della Corte sui lavoratori distaccati nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi

20.      Prima dell’armonizzazione delle legislazioni in questa materia, la Corte si è dovuta pronunciare su quale fosse la legge applicabile ai lavoratori distaccati (7). L’imposizione, pura e semplice, da parte dello Stato di destinazione del rispetto delle proprie norme lavoristiche ostacolerebbe la prestazione di servizi da parte delle imprese di altri Stati che intendono avvalersi di tale categoria di lavoratori.

21.      L’approccio adottato dalla Corte in relazione alle misure nazionali in questa materia è stato quello solitamente utilizzato nel campo della libera prestazione di servizi. In primo luogo, stabilisce se la norma nazionale rende difficile la prestazione transnazionale di servizi con distacco di manodopera e, in caso positivo, applica il criterio della proporzionalità per valutare se sia giustificata da un’esigenza imperativa, vale a dire da un motivo di interesse generale meritevole di tutela.

22.      Per giurisprudenza costante, l’articolo 56 TFUE prescrive non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro a causa della sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare o da rendere meno interessanti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro (8).

23.      La Corte ha ritenuto restrittive misure nazionali che imponevano ai datori di lavoro l’obbligo di pagare nello Stato ospitante la parte a carico del datore di lavoro dei contributi previdenziali per i lavoratori da essi distaccati (9), o quello di pagare i contributi a titolo di «marche-fedeltà» e di «marche-intemperie» laddove versavano contributi comparabili nel proprio Stato di origine (10).

24.      Essa ha inoltre dichiarato che una norma nazionale che prevede, nell’ambito di un distacco di lavoratori, l’obbligo di redigere e conservare documenti sociali e di lavoro nello Stato membro ospitante può comportare costi e oneri amministrativi ed economici supplementari per le imprese stabilite in un altro Stato membro e, pertanto, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi (11).

25.      Le misure nazionali restrittive possono, tuttavia, essere giustificate se rispondono a ragioni imperative d’interesse generale, a condizione che: a) tale interesse non sia tutelato dalle norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito; e b) siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (vale a dire, siano proporzionate) (12).

26.      Fra le ragioni imperative di interesse generale ammesse dalla Corte a sostegno dell’applicazione delle misure lavoristiche dello Stato di destinazione ai lavoratori distaccati troviamo: a) la tutela dei lavoratori (13); b) la «tutela previdenziale dei lavoratori» (14); c) la «tutela sociale dei lavoratori nel settore edile» (15); d) la prevenzione della concorrenza sleale da parte delle imprese che retribuiscono i loro dipendenti distaccati a un livello inferiore rispetto a quello corrispondente al salario minimo, dato che questo obiettivo comprende una finalità di tutela dei lavoratori mediante la lotta contro il «dumping» sociale (16), ed e) la lotta contro la frode.

27.      La Corte ha dichiarato nella sentenza Seco e Desquenne & Giral (17) che, in mancanza di armonizzazione, gli Stati membri possono imporre a coloro che occupano lavoratori distaccati per fornire servizi, ad esempio, il pagamento della retribuzione minima applicabile nello Stato membro ospitante, anche se questi lavoratori svolgono la loro attività solo temporaneamente nel territorio dello Stato membro ospitante e quale che sia il paese in cui è stabilito il datore di lavoro. Gli Stati membri possono anche imporre il rispetto di tali norme sul lavoro (18).

28.      L’adozione della direttiva 96/71 ha ridotto, ma non ha eliminato, i contenziosi nei quali la Corte era chiamata a verificare la compatibilità delle misure nazionali restrittive del distacco dei lavoratori con l’articolo 56 TFUE.

29.      Poiché la direttiva 96/71 non prevedeva disposizioni per far valere il rispetto delle proprie norme sostanziali, la Corte ha continuato a ricorrere all’articolo 56 TFUE per pronunciarsi sulle restrizioni nazionali imposte in questa materia. Tale situazione viene modificata con l’entrata in vigore della direttiva 2014/67.

30.      Nello specifico, si è continuato a operare la disamina delle norme amministrative nazionali accessorie, destinate a consentire la verifica dell’osservanza delle condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori distaccati, mediante l’applicazione dell’articolo 56 TFUE (19):

‐      Secondo la sentenza Čepelnik, l’articolo 56 TFUE osta a che le autorità competenti dello Stato ospitante possano imporre ad un committente stabilito in tale Stato membro di sospendere i pagamenti alla sua controparte contrattuale stabilita in un altro Stato membro (di origine) e persino di costituire una cauzione di importo equivalente al compenso per la prestazione non ancora versato, a garanzia del pagamento dell’eventuale sanzione pecuniaria che potrebbe essere inflitta a detta controparte in caso di accertata violazione del diritto del lavoro dello Stato ospitante (20).

–      Nello stesso senso si pronuncia la sentenza Maksimovic e a. (21).

‐      Per quanto attiene al distacco di lavoratori di uno Stato terzo da parte di un’impresa prestatrice di servizi stabilita in uno Stato membro, la Corte ha avuto modo di dichiarare che subordinare la prestazione di servizi sul territorio nazionale, da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione ai sensi dell’articolo 56 TFUE (22). Lo stesso vale se si impone l’obbligo di ottenere permessi di lavoro per trasferire i propri lavoratori che siano cittadini di Stati extracomunitari che risiedono e lavorano legalmente in tale altro Stato membro (23).

B.      Armonizzazione di normative mediante direttive

1.      Direttiva 96/71 e relative modifiche anteriori al 2018

31.      Dinanzi ai dubbi su quali norme del diritto del lavoro nazionale potessero essere imposte alle imprese che distaccavano i propri lavoratori, gli Stati membri hanno chiesto al legislatore dell’Unione di armonizzare tali legislazioni.

32.      La direttiva 96/71 disciplina tre tipi di distacco: a) la prestazione diretta di servizi da parte di un’impresa, nell’ambito di un contratto di servizi (24); b) il distacco nel contesto di uno stabilimento o di un’impresa appartenente allo stesso gruppo («distacco infragruppo»), e c) il distacco mediante somministrazione di un lavoratore da parte di un’impresa di lavoro temporaneo con sede in un altro Stato membro.

33.      La direttiva 96/71 mirava a incentivare la prestazione transnazionale di servizi creando un clima di concorrenza leale e attraverso misure che garantissero il rispetto dei diritti dei lavoratori distaccati.

34.      Il suo obiettivo era, pertanto, quello di soddisfare le condizioni di occupazione e di lavoro applicabili a un rapporto di lavoro svolto in un contesto transnazionale. Essa intendeva, a questo scopo, coordinare le regolamentazioni degli Stati membri «per definire un nucleo di norme vincolanti ai fini della protezione minima cui deve attenersi nel paese ospite il datore di lavoro che distacca dipendenti a svolgere un lavoro a carattere temporaneo nel territorio di uno Stato membro dove vengono prestati i servizi» (25).

35.      Questi propositi si concretizzano nell’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 96/71:

‐      Da un lato, tende a garantire una leale concorrenza tra le imprese nazionali e quelle che svolgono una prestazione di servizi transnazionale: queste ultime devono riconoscere ai loro dipendenti, in una limitata serie di materie, le condizioni di lavoro e di occupazione stabilite nello Stato membro ospitante.

‐      Dall’altro lato, cerca di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione delle norme di protezione minima dello Stato membro ospitante per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie di cui trattasi nel periodo in cui gli stessi eseguono temporaneamente un’attività lavorativa nel suo territorio (26).

36.      L’attuazione pratica della direttiva 96/71 è stata difficile sin dal primo momento, a causa della mancanza di chiarezza e dell’imprecisione di alcuni dei suoi termini e condizioni di applicazione (27).

37.      La Corte ha cercato di chiarire alcune delle nozioni più rilevanti in questa materia:  

–      Per quanto riguarda le «tariffe minime salariali», la definizione degli elementi che costituiscono questa nozione dipende dal diritto dello Stato membro interessato, con l’unica condizione che tale definizione (che può derivare dalla legislazione o dai contratti collettivi nazionali applicabili, o dalla loro interpretazione ad opera dei giudici nazionali) non ostacoli la libera prestazione di servizi tra gli Stati membri.

‐      La Corte ha dovuto precisare caso per caso quali elementi dovessero integrare (o meno) tali tariffe minime salariali, in particolar modo nelle sentenze Commissione/Germania, Isbir e Sähköalojen ammattiliitto (28).

38.      Particolarmente importante è stata la sentenza Laval un Partneri, in quanto: a) da un lato, ha affermato che gli Stati membri hanno l’obbligo di riconoscere il livello minimo di protezione previsto nella propria legislazione nazionale ai lavoratori distaccati; e b) dall’altro lato, ha dichiarato che, fatta salva la facoltà, per le imprese aventi sede in altri Stati membri, di sottoscrivere volontariamente nello Stato membro ospitante, in particolare nell’ambito di un impegno preso con il proprio personale distaccato, un contratto collettivo di lavoro eventualmente più favorevole, il livello di protezione che deve essere garantito ai lavoratori distaccati sul territorio dello Stato membro ospitante è limitato, in linea di principio, a quello previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettere da a) a g), della direttiva 96/71 (29).

39.      Inoltre, in tale sentenza, la Corte ha dichiarato che l’articolo 3 della direttiva 96/71 (in combinato disposto con l’articolo 56 TFUE) doveva essere interpretato nel senso che esso ostava a che un’organizzazione sindacale possa, mediante un’azione collettiva sotto forma di blocco dei cantieri, tentare di costringere un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro ad avviare con essa una trattativa sulle retribuzioni da pagare ai lavoratori distaccati, nonché a sottoscrivere un contratto collettivo del quale talune clausole stabiliscono, per alcune di tali materie, condizioni più favorevoli di quelle che derivano dalle disposizioni legislative vigenti, mentre altre clausole riguardano materie non previste dall’articolo 3 della direttiva citata (30).

40.      La sentenza Laval un Partneri è stata preceduta dalla sentenza International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union (31) e seguita dalle sentenze Rüffert e Commissione/Lussemburgo (32), che hanno ritenuto ingiustificate alcune misure di protezione dei lavoratori che limitavano la libera prestazione di servizi o la libertà di stabilimento.

41.      I sindacati hanno interpretato questa giurisprudenza come sfavorevole per gli interessi dei lavoratori distaccati (33) e l’hanno criticata perché sembrava trasformare la direttiva 96/71 nel limite massimo dei diritti che lo Stato membro ospitante poteva riconoscere ai lavoratori distaccati e imporre alle imprese che li spostavano (34). Non sorprende il fatto che abbia dato luogo alla rivendicazione di una riforma della direttiva 96/71 (35).

42.      A quanto precede si è aggiunto l’impatto degli allargamenti dell’Unione nel 2004 e 2007, cioè l’ingresso di nuovi Stati membri con un notevole potenziale di esportazione di lavoratori distaccati. Anche la crisi economica del 2008 ha inciso sull’applicazione della direttiva 96/71, in quanto ha favorito i distacchi transnazionali dei lavoratori e ha contribuito allo sviluppo di pratiche fraudolente (imprese fittizie o letter box companies, falsi lavoratori autonomi) (36) finalizzate a eludere la protezione «minima» che offriva ai lavoratori distaccati.

43.      Un primo passo avanti nel processo di riforma è stato l’approvazione della direttiva 2014/67, intesa all’attuazione della direttiva 96/71 mediante la previsione di strumenti nuovi e rafforzati per combattere e sanzionare qualsiasi abuso, elusione o frode nei casi di distacco transnazionale di lavoratori (37).

44.      La direttiva 2014/67 contiene altresì disposizioni per migliorare la cooperazione amministrativa tra le autorità nazionali competenti in materia di distacco. Disciplina le misure di controllo applicabili dagli Stati membri quando vigilano sul rispetto delle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati. Impone inoltre di istituire controlli e meccanismi di monitoraggio adeguati ed efficaci, nonché ispezioni a carico delle autorità nazionali, per vigilare sul rispetto della direttiva 96/71.

2.      Direttiva 2018/957

45.      Gli Stati membri avevano tempo fino al 18 giugno 2016 per recepire la direttiva 2014/67 nel proprio ordinamento nazionale (38). Prima della scadenza di tale termine, la Commissione aveva presentato, l’8 marzo 2016, una proposta di modifica della direttiva 96/71 (39).

46.      La trattazione di tale proposta ha messo in risalto lo scontro tra gli Stati membri esportatori e quelli ricevitori di lavoratori distaccati:

–      in una lettera comune l’Austria, il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svezia hanno manifestato il loro sostegno per una modernizzazione della direttiva 96/71 al fine di introdurre il principio della «parità di retribuzione a parità di lavoro nello stesso posto». Essi suggerivano di modificare i precetti di tale direttiva sulle condizioni sociali e di lavoro applicabili ai lavoratori distaccati, in particolare in materia di retribuzione; la fissazione di un limite di durata massima dei distacchi, con particolare attenzione all’allineamento delle disposizioni al regolamento dell’Unione sul coordinamento della sicurezza sociale; nonché il chiarimento delle condizioni applicabili al settore del trasporto su strada;

–      al contrario, la Bulgaria, la Repubblica ceca, l’Estonia, l’Ungheria, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Romania e la Slovacchia sostenevano, in un’altra lettera comune, che un riesame della direttiva 96/71 fosse prematuro e avrebbe dovuto essere rinviato fino alla scadenza del termine per il recepimento della direttiva 2014/67 e fino alla sottoposizione ad attenta valutazione degli effetti della direttiva. Detti Stati membri esprimevano la preoccupazione che il principio della «parità di retribuzione a parità di lavoro nello stesso posto» potesse generare ostacoli all’interno del mercato unico, in quanto le differenze di retribuzione costituiscono un legittimo elemento di vantaggio competitivo per i prestatori di servizi. Essi asserivano inoltre che i lavoratori distaccati dovevano continuare a essere soggetti alla normativa vigente nello Stato membro di invio ai fini della sicurezza sociale e che non avrebbero dovuto essere rivisti i collegamenti tra il distacco dei lavoratori e il coordinamento della sicurezza sociale.

47.      Entro il termine stabilito dall’articolo 6 del protocollo n. 2, quattordici parlamenti nazionali avevano inviato alla Commissione pareri motivati, nei quali affermavano che la proposta dell’8 marzo 2016 non era conforme al principio di sussidiarietà. Essi hanno quindi dato il via alla procedura prevista dall’articolo 7, paragrafo 2, del protocollo n. 2 del Trattato, sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

48.      La base giuridica della proposta della Commissione erano le norme relative al mercato interno, in particolare gli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE. A seguito di un’analisi del suo contenuto, la Commissione concludeva che la revisione della direttiva 96/71 rispettasse il principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5, paragrafo 3, del TUE e che non era necessario ritirarla o modificarla (40).

49.      Al termine di complessi negoziati in seno al Consiglio e al Parlamento europeo (41), la revisione della direttiva 96/71 è stata approvata il 28 giugno 2018, con l’adozione della direttiva 2018/957, il cui articolo 3 prevede un termine di recepimento entro il 30 luglio 2020 e la cui applicazione ai servizi di trasporto su strada dipende dall’adozione di un atto normativo specifico.

50.      La direttiva 2018/957 è stata adottata con il voto contrario della Polonia e dell’Ungheria e con l’astensione di Croazia, Lituania, Lettonia e Regno Unito.

51.      Va rilevato, per concludere, che la modifica della direttiva 96/71, mediante l’adozione della direttiva 2018/957, è stata accompagnata da una proposta di riforma del regolamento (CE) n. 883/2004 (42) e dall’istituzione dell’Autorità europea del lavoro (43), il cui obiettivo è quello di assistere gli Stati membri e la Commissione nell’effettiva applicazione ed esecuzione del diritto dell’Unione in materia di mobilità dei lavoratori (compresa la direttiva 96/71) e nel coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale all’interno dell’Unione.

IV.    Primo motivo: errore nella scelta della base giuridica della direttiva 2018/957

A.      Argomenti

52.      Secondo il governo ungherese, gli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE, che prevedono il ravvicinamento delle legislazioni in materia di libera prestazione di servizi, non sono la base giuridica adeguata per la direttiva 2018/957. Tenuto conto della sua finalità e del suo contenuto, questa direttiva è rivolta esclusivamente, o a titolo principale, alla protezione dei lavoratori, ragion per cui il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto adottarla sulla base dell’articolo 153 TFUE o, quanto meno, fondandosi in primo luogo su quest’ultima base giuridica in materia di politica sociale.

53.      Ad avviso di detto governo, la direttiva 2018/957 non elimina le restrizioni alla libera prestazione di servizi, bensì crea ostacoli alle imprese che forniscono servizi transnazionali con distacco della manodopera, perché attua misure di protezione dei lavoratori distaccati. Il suo scopo principale è la parità di trattamento dei lavoratori, in particolare l’estensione della parità di retribuzione (parità di salario a parità di mansione nello stesso luogo di lavoro).

54.      Quando i lavoratori vengono distaccati nel quadro di una prestazione transnazionale di servizi per un periodo superiore a 12 mesi (o in via eccezionale a 18 mesi), la direttiva impone che siano loro applicate le stesse condizioni di lavoro e di occupazione applicate ai lavoratori del paese ospitante. Per periodi inferiori, a parere del governo ungherese la direttiva rafforzerebbe la serie fondamentale delle norme obbligatorie che assicurano a questi lavoratori una protezione minima durante il loro distacco nello Stato ospitante.

55.      Il governo ungherese considera che la direttiva 2018/957 non dovrebbe fondarsi sulla stessa base giuridica della direttiva 96/71: il contenuto di quella del 2018 si limita alla protezione dei lavoratori distaccati, senza contenere disposizioni miranti alla liberalizzazione della prestazione di servizi.

56.      Il governo ungherese invoca altresì la giurisprudenza sul primato della base giuridica più specifica. All’epoca dell’adozione della direttiva 96/71, si fece ricorso alla base generale relativa al ravvicinamento delle legislazioni in materia di libera prestazione di servizi, perché non ve ne era un’altra più specifica. Al momento dell’adozione della direttiva 2018/957 già esisteva questa base più specifica (l’articolo 153 TFUE) alla quale il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto fare ricorso.

57.      La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti sostengono che la base giuridica della direttiva 2018/957 (articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE) sia quella corretta.

B.      Valutazione

58.      La giurisprudenza della Corte sulla scelta della base giuridica è stata riassunta nella sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (44) nei termini che di seguito riproduco.

‐      «[L]a scelta della base giuridica di un atto dell’Unione deve fondarsi su elementi oggettivi che possano essere oggetto di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano lo scopo e il contenuto di tale atto. Se l’esame dell’atto di cui trattasi dimostra che esso persegue un duplice scopo o che possiede una doppia componente e se uno di questi scopi o di queste componenti è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altro è solo accessorio, l’atto deve basarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dallo scopo o dalla componente principale o preponderante» (45).

‐      «Inoltre, (...) può essere preso in considerazione, per determinare la base giuridica appropriata, il contesto giuridico nel quale si inserisce una nuova normativa, segnatamente per il fatto che siffatto contesto può fornire chiarimenti quanto allo scopo di detta normativa» (46).

‐      «[C]on riferimento a una normativa che modifica una normativa esistente, è importante, ai fini dell’individuazione della sua base giuridica, tener conto anche della normativa esistente che essa modifica e, in particolare, del suo obiettivo e del suo contenuto» (47).

‐      È inoltre giurisprudenza costante che, una volta adottata una norma di armonizzazione, «il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze o evoluzione delle conoscenze, in considerazione del compito affidatogli di vigilare alla protezione degli interessi generali riconosciuti dal Trattato» (48).

59.      Procederò quindi, in conformità con questa giurisprudenza, a verificare se la modifica della direttiva 96/71 rientri nel margine di discrezionalità delle istituzioni dell’Unione, essendo necessario a tal fine: i) individuare l’obiettivo principale della direttiva 2018/957; ii) esaminare il suo contenuto (49); e iii) analizzare il contesto nel quale è stata adottata.

1.      Obiettivo della direttiva 2018/957

60.      Per individuare l’obiettivo principale di questa direttiva è indispensabile tenere presenti la sua motivazione e le disposizioni che contiene, nel loro insieme (50).

61.      I considerando della direttiva 2018/957 mettono in evidenza che essa tende a raggiungere un equilibrio, non sempre facile, tra due interessi non necessariamente coincidenti (51):

‐      da un lato, la garanzia, per le imprese degli Stati membri, di poter effettuare prestazioni transnazionali di servizi (52) mobilitando, senza restrizioni ingiustificate, lavoratori dal proprio Stato di stabilimento, affinché possano far valere il proprio vantaggio competitivo, qualora dispongano di un costo del lavoro più basso;

‐      dall’altro, la tutela dei diritti dei lavoratori distaccati (53), la cui condizione lavorativa nello Stato di destinazione deve essere simile a quella dei lavoratori di detto Stato.

62.      Nella motivazione della direttiva 2018/957 sono costanti i riferimenti a tale equilibrio (tra gli interessi delle imprese prestatrici di servizi e la protezione sociale dei lavoratori distaccati) (54). Il suo considerando 10, ad esempio, dopo aver dichiarato che «è necessario garantire una maggiore protezione dei lavoratori per salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa, sia a breve che a lungo termine, in particolare evitando l’abuso dei diritti garantiti dai trattati», aggiunge, a mo’ di contrappeso, che «le norme che garantiscono tale protezione dei lavoratori non possono pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi».

63.      Un equilibrio appropriato tra tali due interessi deve assicurare, inoltre, una concorrenza leale fra le imprese che distaccano lavoratori e le imprese stabilite nello Stato di destinazione.

64.      È vero che buona parte dei considerando della direttiva 2018/957 riguarda in particolare la protezione dei lavoratori distaccati. Tale ripetizione si spiega perché, nel 2018, si è voluto modificare la direttiva 96/71 proprio per modificare l’equilibrio stabilito in quest’ultima e offrire una maggiore tutela ai lavoratori distaccati. Il legislatore dell’Unione ha ritenuto indispensabile questa modifica a fronte dell’evoluzione dei mercati del lavoro dell’Unione dopo i successivi allargamenti e in conseguenza della crisi economica del 2008.

2.      Contenuto della direttiva 2018/957

65.      Il contenuto di tale direttiva è in linea con gli obiettivi enunciati dai suoi considerando. La nuova versione dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 96/71 pone maggiore enfasi sulla tutela dei diritti dei lavoratori distaccati, mentre la precedente la poneva sulle imprese utilizzatrici.

66.      I cambiamenti che la direttiva 2018/957 introduce nella direttiva 96/71 vanno, ripeto, nel senso di migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati, per avvicinarle a quelle dei lavoratori dello Stato di accoglienza. Infatti:

–      il periodo massimo di distacco è fissato in un anno (o in via eccezionale in 18 mesi). Superato questo periodo, il distaccato si trasforma in lavoratore di lunga durata (55), al quale si applicano, in linea di principio, le stesse condizioni di lavoro dei lavoratori dello Stato ospitante;

–      per quanto riguarda i lavoratori distaccati per un periodo inferiore a un anno (o eccezionalmente 18 mesi), sono state aumentate le materie alle quali si estende l’obbligo di parità di trattamento con i cittadini (56). In particolare, l’espressione «tariffe minime salariali» è sostituita con «la retribuzione»;

–      sono state migliorate le condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati da imprese che effettuano la fornitura di lavoratori o da imprese di lavoro temporaneo. Adesso gli Stati membri devono garantire (prima era facoltativo) che tali enti garantiscano loro le condizioni di lavoro che si applicano, a norma dell’articolo 5 della direttiva 2008/104/CE (57), ai lavoratori assunti tramite agenzia interinale forniti da tali agenzie stabilite nello Stato membro ospitante.

67.      Oltre a queste modifiche, la direttiva 2018/957 contiene altri cambiamenti relativi al monitoraggio, al controllo e all’esecuzione dell’applicazione della direttiva 96/71, indotti dall’adozione della direttiva 2014/67.

68.      Considerato nel complesso, il contenuto della direttiva 2018/957 tende dunque ad aumentare la protezione dei diritti dei lavoratori distaccati, ma sempre nel contesto di una prestazione transnazionale di servizi effettuata da un’impresa.

3.      Contesto in cui è stata adottata la direttiva 2018/957

69.      Come ho già illustrato, la direttiva 96/71 ha avuto una gestazione complessa. Con essa si è cercato di promuovere e facilitare la prestazione transfrontaliera di servizi, proteggere i lavoratori distaccati e garantire una concorrenza leale tra le imprese dello Stato di origine e quelle degli Stati membri di destinazione.

70.      Lo status quo che si era raggiunto nel 1996 fu alterato dagli allargamenti dell’Unione del 2004 e del 2007, nei termini sopra descritti (58). I distacchi transnazionali di lavoratori aumentarono a causa di tale circostanza, alla quale si unì la crisi economica del 2008.

71.      In tale scenario, e spinte anche dalla mancanza di chiarezza di alcuni dei suoi concetti, le istituzioni politiche dell’Unione credettero indispensabile riformare la direttiva 96/71, cosa che è avvenuta in due fasi: a) la direttiva 2014/67, che, senza modificare la direttiva 96/71, ha stabilito meccanismi per migliorarne l’applicazione, a fronte del verificarsi di numerosi casi di frode nei distacchi transnazionali di lavoratori; e b) l’adozione della direttiva 2018/957, che introduce i cambiamenti sopra descritti.

72.      Le già menzionate difficoltà incontrate dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel portare avanti tale riforma hanno messo in evidenza un serio contrasto di interessi tra gli Stati di origine delle imprese e gli Stati ospitanti. Il presente ricorso di annullamento e quello promosso dalla Polonia (causa C-626/18) contro la direttiva 2018/957 evidenziano l’intensità delle divergenze tra gli Stati membri.

4.      Il mio parere sulla base giuridica

73.      Una volta analizzati la finalità, il contenuto e il contesto della direttiva 2018/957, occorre chiarire se la base giuridica utilizzata per adottarla (articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE) sia corretta, come sostengono il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione e i governi tedesco, francese e dei Paesi Bassi, o se, al contrario, tale direttiva avrebbe dovuto essere adottata sulla base giuridica costituita dall’articolo 153 TFUE, come sostiene l’Ungheria.

74.      Concordo con l’Ungheria sulla tesi che gli obiettivi e il contenuto della direttiva 2018/957 sono orientati per la maggior parte alla tutela dei diritti dei lavoratori distaccati. Questa circostanza, tuttavia, non consente di concludere che le sue radici debbano essere ricercate, inevitabilmente, nell’articolo 153 TFUE.

75.      Ricorderò, anzitutto, che la direttiva 2018/957 realizza una modifica, importante ma limitata, della direttiva 96/71. Secondo la giurisprudenza della Corte, un atto che modifica un altro atto precedente, di solito ne avrà la stessa base giuridica (59), il che mi sembra logico. Ne consegue che gli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE possano essere la base giuridica adeguata per la direttiva 2018/957, come lo furono all’epoca per la direttiva 96/71, modificata dalla prima.

76.      La direttiva 2018/957 adegua la soluzione legislativa data dalla direttiva 96/71 al fenomeno del (crescente) distacco transnazionale di lavoratori, allo scopo di agevolare la libera prestazione di servizi da parte delle imprese che ricorrono a tale modalità di mobilitazione del fattore lavoro.

77.      Tale adeguamento, ripeto, è stato reso necessario dall’evoluzione dei mercati del lavoro dell’Unione e si è orientato verso una maggiore protezione delle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati. È possibile che, in alcuni casi, ciò comporti una corrispondente diminuzione della competitività delle imprese per quanto riguarda la fornitura di servizi in altri Stati membri impiegando questa modalità, ma tale è l’opzione (legittima) scelta dal legislatore europeo.

78.      Come ho anticipato in sede di analisi della giurisprudenza della Corte in questa materia, quando promulga una norma di armonizzazione, il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze o evoluzione delle conoscenze, in considerazione del compito affidatogli di vigilare alla protezione degli interessi generali riconosciuti dal Trattato (60).

79.      Questo è proprio ciò che si è verificato con l’approvazione della direttiva 2018/957. Il legislatore dell’Unione ha introdotto modifiche nella direttiva 96/17 al fine di adeguare l’equilibrio di interessi in essa riflesso alla nuova situazione generata dal movimento transnazionale di lavoratori. Gli interessi in gioco rimangono gli stessi, ma l’accento e il punto di equilibrio tra di essi si è spostato verso una maggiore protezione dei diritti di tipo lavoristico di questi lavoratori. Tale riequilibrio non giustifica la modificazione della base giuridica rispetto alla direttiva 96/71.

80.      L’Ungheria cita la giurisprudenza della Corte sulla scelta della base giuridica più specifica, qualora concorrano più fondamenti giuridici al fine dell’adozione di un atto normativo dell’Unione (61). A suo avviso, l’articolo 153 TFUE presenta una maggiore specificità rispetto agli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE al fine dell’adozione della direttiva 2018/957, perché è orientata alla protezione dei diritti dei lavoratori e non all’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi.

81.      Non condivido tale argomentazione. L’articolo 153 TFUE, paragrafo 2, contiene due basi giuridiche diverse:

–      alla lettera a) prevede l’adozione di misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri in materia sociale, escludendo qualsiasi genere di armonizzazione;

–      alla lettera b) prevede la possibilità di adottare, in alcune materie sociali, «prescrizioni minime applicabili progressivamente», tenendo conto delle condizioni esistenti in ciascuno Stato membro.

82.      Nessuna di queste due basi giuridiche è adeguata come fondamento della direttiva 2018/957. Per quanto riguarda i lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi, ciò che occorre chiarire, e lo fa quella direttiva, è la legislazione del lavoro che sarà loro applicabile durante il distacco nello Stato ospitante. A tal fine, la cooperazione tra gli Stati membri prevista all’articolo 153 TFUE, paragrafo 2, lettera a), è insufficiente, tanto più considerando che gli interessi degli Stati membri ospitanti e di destinazione possono non coincidere, come mette in rilievo la presente controversia.

83.      Nemmeno precisare quale legislazione disciplinerà le relazioni industriali (in alcuni loro aspetti) durante il distacco presso lo Stato ospitante richiede l’elaborazione delle norme europee di armonizzazione minima cui fa riferimento l’articolo 153 TFUE, paragrafo 2, lettera b). Poiché non è possibile un’armonizzazione completa di tutte le condizioni di lavoro nell’Unione, continueranno ad esistere differenze tra la normativa lavoristica dello Stato d’origine e quella dello Stato ospitante.

84.      A partire da questa premessa, la direttiva 2018/957 si limita a dichiarare quali norme dello Stato ospitante si applicano al lavoratore distaccato nel periodo durante il quale la sua impresa fornisce la prestazione transnazionale di servizi. Così intesa, assomiglia a una norma di conflitto, in base alla quale si individua la legislazione applicabile, per agevolare la libera prestazione di servizi e, allo stesso tempo, mantenere un’adeguata protezione sociale dei lavoratori distaccati. Le basi giuridiche dell’articolo 153 TFUE, paragrafo 2, non prevedono né sono pensate per fattispecie di questo tipo.

85.      Di conseguenza, l’articolo 153 TFUE non è una base giuridica più specifica rispetto agli articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE, per quanto qui interessa. Questi due ultimi articoli hanno costituito la base giuridica per l’adozione della direttiva 96/71 e devono svolgere la stessa funzione per la sua modifica, cosa di cui si fa carico la direttiva 2018/957. Nei limiti in cui questa si traduce in un riallineamento dell’equilibrio di interessi al quale era giunto nel 1996 il legislatore dell’Unione, il suo fondamento giuridico è lo stesso della direttiva 96/71, seppur soppesando i cambiamenti verificatisi da allora nei movimenti transnazionali di lavoratori.

V.      Secondo motivo: violazione dell’articolo 153 TFUE, paragrafo 5

A.      Argomenti

86.      Il governo ungherese sostiene che la direttiva 2018/957 è contraria all’articolo 153 TFUE, paragrafo 5, in quanto questo esclude la competenza legislativa dell’Unione in materia di retribuzione nel campo delle relazioni industriali.

87.      A suo avviso, il legislatore dell’Unione, stabilendo che la retribuzione dei lavoratori deve adeguarsi alla normativa in vigore nello Stato membro ospitante, ha promulgato una direttiva che riguarda essenzialmente la retribuzione del rapporto di lavoro. Avrebbe optato per scegliere come basi giuridiche quelle indicate nella direttiva 2018/957 perché si sarebbe reso conto che, in mancanza di competenza dell’Unione, questa era l’unica possibilità per regolamentare le retribuzioni nel rapporto di lavoro, che sono uno degli elementi essenziali di tale direttiva. Agendo in tal modo avrebbe commesso, secondo il governo ungherese, uno sviamento di potere.

88.      La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questo secondo motivo sia infondato.

B.      Valutazione

89.      Il mio avviso sul primo motivo di contestazione renderebbe inutile pronunciarmi sul secondo. Lo affronterò pertanto solo ad adiuvandum.

90.      Secondo la Corte, poiché l’articolo 153 TFUE, paragrafo 5 (articolo 137 CE, paragrafo 5), introduce una deroga alle norme di cui ai paragrafi da 1 a 4 dello stesso articolo, essa deve formare oggetto di interpretazione restrittiva, in modo da non incidere indebitamente sulla portata dei suddetti paragrafi da 1 a 4, né rimettere in causa gli obiettivi perseguiti dall’articolo 151 TFUE.

91.      La ragion d’essere dell’eccezione relativa alle «retribuzioni» (nozione utilizzata dall’articolo 153 TFUE, paragrafo 5) consiste nel fatto che la determinazione dei salari appartiene all’autonomia contrattuale delle parti sociali a livello nazionale e rientra nella competenza degli Stati membri in materia. Allo stato attuale del diritto dell’Unione, le retribuzioni sono state escluse dall’armonizzazione (in base agli articoli 151 TFUE e seguenti, relativi alla politica sociale dell’Unione) (62).

92.      Tale eccezione riguarda misure che comporterebbero una diretta ingerenza del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni del rapporto di lavoro. Così accadrebbe se si pretendesse di uniformare, in tutto o in parte, gli elementi costitutivi dei salari o del loro livello negli Stati membri.

93.      L’eccezione non può essere estesa, tuttavia, a ogni questione avente un nesso qualsiasi con le retribuzioni. Tale interpretazione priverebbe di senso altri settori contemplati dall’articolo 153 TFUE, paragrafo 1 (63).

94.      La direttiva 2018/957 si limita a coordinare l’applicazione e a identificare quale normativa lavoristica (quella dello Stato ospitante o quella dello Stato di origine) si applica ai lavoratori distaccati. In nessun caso fissa gli importi dei salari da pagare, il che, ripeto, è competenza dello Stato ospitante e dello Stato di origine, ciascuno nel suo territorio.

95.      L’eccezione di cui all’articolo 153 TFUE, paragrafo 5, non è opponibile né può impedire l’adozione della direttiva su cui qui si dibatte. Ciò è confermato dal considerando 17 della direttiva 2018/957 (64), che sancisce la competenza esclusiva degli Stati membri per quanto riguarda le retribuzioni nei rapporti di lavoro.

96.      Nello stesso senso, il nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 prevede espressamente che «(…) il concetto di retribuzione è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato (…)».

97.      La direttiva 2018/957 apporta una sfumatura alla precedente formulazione della direttiva 96/71, che parlava di «tariffe minime salariali», dotandola di maggiore precisione. Ebbene, la Corte aveva già dichiarato che l’articolo 3, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 96/71:

«‐      (…) fa espresso rinvio, per determinare le tariffe minime salariali di cui al primo comma dello stesso paragrafo 1, ai fini della medesima direttiva, alla legislazione o alla prassi nazionale dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato.

‐      Alla luce di ciò, si deve constatare che di per sé la direttiva 96/71 non fornisce alcun elemento per definire in modo sostanziale il salario minimo. La definizione di quali siano i suoi elementi costitutivi, per l’applicazione di tale direttiva, rientra pertanto nell’ambito del diritto dello Stato membro interessato, fermo restando solo che tale definizione, come risulta dalla legislazione o dai pertinenti contratti collettivi nazionali o dall’interpretazione che ne danno i giudici nazionali, non può avere l’effetto di ostacolare la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri» (65).

98.      Queste affermazioni possono essere trasposte alla riforma della direttiva 96/71. Può essere respinta, di conseguenza, la tesi che la direttiva 2018/957 armonizzi, dal punto di vista sostanziale, le retribuzioni dei lavoratori distaccati, ragion per cui non viola l’articolo 153 TFUE, paragrafo 5.

99.      Il governo ungherese ritiene che il legislatore dell’Unione abbia commesso uno sviamento di potere nella scelta delle basi giuridiche della direttiva 2018/957, opinione che non condivido, per quanto esposto. Per il resto, non allega tale circostanza quale motivo specifico di invalidità, quando sostiene che il legislatore dell’Unione avrebbe violato l’articolo 153 TFUE, paragrafo 5, senza determinare se il suo comportamento avrebbe pregiudicato la procedura legislativa speciale di cui all’articolo 153 TFUE, paragrafo 2, terzo comma (66).

100. Il secondo motivo di annullamento deve pertanto essere respinto.

VI.    Terzo motivo: violazione dell’articolo 56 TFUE

101. Secondo il governo ungherese, la direttiva 2018/957 è contraria all’articolo 56 TFUE, che sancisce la libera prestazione di servizi. A suo avviso, gli obblighi e le restrizioni che impone alle imprese stabilite in uno Stato membro quando distaccano lavoratori in un altro Stato membro, nell’ambito di una prestazione di servizi, sono discriminatorie, superflue e sproporzionate rispetto all’obiettivo che intendono raggiungere. Inoltre, le disposizioni in materia di trasporti violano l’articolo 58 TFUE, paragrafo 1.

102. Le critiche del governo ungherese si concentrano su tre elementi della direttiva 2018/957, vale a dire:

‐      l’articolo 1, punto 2, lettera a), che sostituisce la nozione di «tariffe minime salariali» con quella di «retribuzione» all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71;

‐      l’articolo 1, punto 2, lettera b), che aggiunge il paragrafo 1 bis all’articolo 3 della direttiva 96/71, prevedendo l’applicazione quasi completa delle condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato ospitante al lavoratore distaccato da oltre 12 mesi, e

‐      l’articolo 3, paragrafo 3, che si riferisce al settore del trasporto su strada.

103. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questo terzo motivo sia infondato.

A.      Considerazione preliminare: articolo 56 TFUE e direttive di armonizzazione sui lavoratori distaccati

104. Prima di addentrarmi nell’analisi di questo motivo, farò una considerazione preliminare sull’applicazione dell’articolo 56 TFUE alla direttiva 2018/957.

105. Come rileva il Parlamento europeo, l’applicazione dell’articolo 56 TFUE a una norma di armonizzazione dell’Unione avviene in modo diverso rispetto a quando viene utilizzata per controllare le misure nazionali restrittive di quella libertà fondamentale.

106. È vero che il divieto di restrizioni alla libera prestazione di servizi si applica non solo alle misure nazionali, ma anche a quelle che promanano delle istituzioni dell’Unione (67). Orbene, non si può dimenticare che il legislatore dell’Unione approva le norme di armonizzazione proprio per facilitare la libertà di prestazione di servizi, assicurando al contempo la protezione di interessi sociali fondamentali sui quali la stessa può incidere (68).

107. La giurisprudenza della Corte sulle norme nazionali comportanti restrizioni dei movimenti di lavoratori distaccati nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi non può senz’altro essere trasposta alle norme dell’Unione la cui finalità è quella di armonizzare tale fenomeno, quale la direttiva 2018/957.

108. Come ho già spiegato, con la direttiva 96/71 il legislatore dell’Unione ha coniugato, in termini che non sono contestati, tre obiettivi difficili da conciliare: promuovere e facilitare la prestazione transfrontaliera di servizi, proteggere i lavoratori distaccati e garantire una concorrenza leale tra i concorrenti stranieri e locali. Per adeguarla ai cambiamenti verificatisi, il legislatore dell’Unione ha dovuto ricalibrare tale equilibrio con la direttiva 2018/957, che pone l’accento su uno di quegli obiettivi (migliorare la protezione dei diritti dei lavoratori distaccati).

109. Il controllo che la Corte può svolgere sulla validità di una direttiva di armonizzazione, nel contesto di un ricorso di annullamento, comporta la valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, ma non autorizza a sostituire le opzioni politiche sottostanti nel loro contenuto. In quanto principio generale del diritto dell’Unione, quello di proporzionalità «esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli» (69).

110. Ricorderò che, per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sull’osservanza di tali condizioni, la Corte ha stabilito i seguenti criteri:

‐      «(…) ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e in cui è chiamato ad effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi. Non si tratta, quindi, di stabilire se una misura emanata in un settore siffatto fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inidoneità della misura rispetto all’obiettivo che le istituzioni competenti intendono perseguire può inficiare la legittimità della misura medesima» (70);

‐      «(…) l’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, che implica un limitato sindacato giurisdizionale sul suo esercizio, non riguarda esclusivamente la natura e la portata delle disposizioni da adottare, ma anche, in una certa misura, l’accertamento dei dati di base» (71);

‐      «il legislatore dell’Unione è tenuto a fondare la sua scelta su criteri obiettivi e ad esaminare se gli scopi perseguiti dal provvedimento considerato siano idonei a giustificare conseguenze economiche negative, anche considerevoli, per taluni operatori» (72);

‐      «[p]eraltro, anche un controllo giurisdizionale di portata limitata richiede che le istituzioni dell’Unione, da cui promana l’atto di cui trattasi, siano in grado di dimostrare dinanzi alla Corte che l’atto è stato adottato attraverso un esercizio effettivo del loro potere discrezionale, che presuppone che siano presi in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che tale atto è inteso a disciplinare. Ne consegue che dette istituzioni devono, per lo meno, poter produrre ed esporre in modo chiaro e inequivocabile i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale» (73).

111. Il legislatore dell’Unione disponeva, alla luce di questi criteri, di un ampio potere discrezionale in una materia così complessa come la regolamentazione dei distacchi transnazionali di lavoratori. Ciò che deve chiarirsi è se ha fatto un uso manifestamente inadeguato di tale potere quando ha modificato l’equilibrio di interessi al quale era giunto nella direttiva 96/71, introducendo i cambiamenti che presuppone la direttiva 2018/957.

B.      Prima parte del terzo motivo: protezione sufficiente dei lavoratori distaccati ad opera delle norme dello Stato di origine dell’impresa fornitrice del servizio

1.      Argomenti

112. Secondo il governo ungherese, la direttiva 2018/957 viola l’articolo 56 TFUE poiché, prevedendo l’applicazione delle condizioni di lavoro dello Stato ospitante ai lavoratori distaccati, non considera l’impiego del principio del mutuo riconoscimento. A suo avviso, la protezione dei diritti di questi lavoratori è sufficientemente garantita dalla legislazione dello Stato di origine. Assoggettarli alla legislazione dello Stato ospitante contrasta con il principio del riconoscimento reciproco e produce un ostacolo alla libera prestazione di servizi (74). Anche la direttiva 2006/123/CE (75) imporrebbe l’obbligo di riconoscere le condizioni di lavoro stabilite da un altro Stato membro in conformità con il diritto dell’Unione.

113. In particolare, per il governo ungherese la parità di retribuzione tra i lavoratori distaccati e i lavoratori locali dello Stato ospitante, così come la quasi totale equiparazione a questi ultimi dei lavoratori distaccati di lunga durata, mettono in dubbio la capacità del salario minimo dello Stato ospitante di garantire un’adeguata sussistenza dei lavoratori distaccati e limitano il vantaggio comparativo di taluni «nuovi Stati membri» che hanno un costo del lavoro inferiore. Inoltre, la Commissione non avrebbe fornito, nella sua valutazione d’impatto, dati che giustifichino la necessità dei cambiamenti introdotti dalla direttiva 2018/957.

114. Infine, il governo ungherese mette in evidenza la disparità tra l’applicazione delle norme sul lavoro dello Stato ospitante, imposta dalla direttiva 2018/957, e il regime di previdenza sociale applicabile ai lavoratori distaccati, disciplinato dal regolamento (CE) n. 883/2004 (76). Quest’ultimo prescrive l’assoggettamento e l’applicazione delle norme di sicurezza sociale dello Stato di origine al lavoratore distaccato, perché sono le più idonee a garantire la protezione dei suoi diritti.

115. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questa parte del terzo motivo sia infondata.

2.      Valutazione

116. Sono numerose le ragioni che, a mio avviso, si oppongono alle argomentazioni del governo ungherese.

117. In primo luogo, la direttiva 2006/123 non può essere invocata al fine di applicare ai lavoratori distaccati le norme dello Stato di origine. Questa direttiva non riguarda la legislazione del lavoro (77) né la legislazione nazionale in materia di sicurezza sociale degli Stati membri (78). Inoltre, il suo articolo 3, paragrafo 1, lettera a), sancisce che la direttiva 96/71 prevale sulla direttiva 2006/123 in caso di conflitto relativo ad «aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche» (79).

118. In secondo luogo, la giurisprudenza iniziale della Corte sulla compatibilità con l’articolo 56 TFUE delle misure nazionali che limitano il distacco dei lavoratori prendeva in considerazione le condizioni di protezione di questi lavoratori nello Stato di origine della loro impresa (80). Questo stesso orientamento è stato mantenuto nella giurisprudenza successiva alla direttiva 96/71, in materia di restrizioni che non rientravano nel suo campo di applicazione (81). Orbene, la Corte non tiene conto delle norme dello Stato di origine quando si tratta di applicare l’articolo 3 della direttiva 96/71 alle condizioni di lavoro dei lavoratori, dato che ciò finirebbe per privare questa norma di effetto utile (82).

119. In terzo luogo, la valutazione d’impatto elaborata dalla Commissione (83) conteneva dati ed elementi sufficienti a sostenere la proposta normativa che ha portato all’adozione della direttiva 2018/957. È vero che, come la Commissione stessa ammette, i dati sui movimenti transnazionali di lavoratori non erano del tutto precisi, in quanto provenivano dalle informazioni fornite dagli organismi nazionali della previdenza sociale sulla base del rilascio dei modelli A1. Anche le differenze retributive tra alcuni paesi e altri sono state valutate dalla Commissione con dati approssimativi.

120. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte riconosce al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale nell’accertamento dei dati di base necessari per adottare un atto normativo. Il sindacato giurisdizionale su questa valutazione deve essere limitato (84). Ebbene, il documento d’impatto della Commissione forniva dati sufficienti per giustificare l’approvazione della direttiva 2018/957. Durante il procedimento legislativo tali dati non sono stati contestati e sono serviti da supporto alla Commissione per esaminare varie alternative e scegliere, fondatamente, quella che avrebbe comportato un rafforzamento della protezione dei lavoratori.

121. In quarto luogo, non ritengo appropriato trasporre il regime di sicurezza sociale dei lavoratori distaccati (regolamento n. 883/2004) alle loro condizioni di lavoro.

122. La logica delle regole dell’Unione sul coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale è concepita, come sostiene il Consiglio, per una relazione tra la persona titolare di diritti e di obblighi e lo Stato assistenziale. Per questo l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 impone come principio guida l’assoggettamento delle persone alla legislazione di un singolo Stato membro, che sarà normalmente quello dell’effettivo luogo di lavoro, conformemente al principio lex loci laboris.

123. Detto principio generale presenta, tuttavia, talune eccezioni. Tra esse va evidenziato il mantenimento del collegamento esclusivo del lavoratore con il regime di sicurezza sociale dello Stato d’origine (quello cioè in cui l’impresa datrice di lavoro opera normalmente) quando detto lavoratore viene distaccato dall’impresa in un altro Stato membro per un periodo di durata limitata, fino ad un massimo di 24 mesi, a condizione che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 12 del regolamento n. 883/2004 (85).

124. Tale eccezione non può essere estesa alle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati, perché si tratta di rapporti giuridici tra una parte debole (il lavoratore) e un’altra con maggiore forza (l’impresa datrice di lavoro). Per tutelare meglio la prima è necessario combinare l’applicazione di norme sul lavoro dello Stato di origine con altre dello Stato ospitante.

125. La direttiva 96/71 è conforme a tale idea, perché garantisce ai lavoratori distaccati l’applicazione del nucleo centrale delle condizioni di lavoro dello Stato ospitante (ampliato con la direttiva 2018/957) e consente allo stesso tempo che altri elementi del rapporto di lavoro continuino ad essere disciplinati dalla legge del suo Stato di origine. Rispetta, quanto a ciò, il regolamento Roma I (86), al quale accennerò in seguito.

126. In conclusione, la soluzione del regolamento n. 883/2004 con riguardo alla sicurezza sociale dei lavoratori distaccati (assoggettamento alle norme dello Stato di origine) non è trasferibile alle loro condizioni di lavoro, alle quali deve applicarsi parzialmente la legislazione dello Stato ospitante, insieme con quella del loro Stato di origine (87).

127. Infine, non spetta alla Corte sostituire la valutazione del legislatore dell’Unione con la propria. Il suo compito esclusivo, come ho già ricordato, è quello di verificare se il legislatore dell’Unione abbia manifestamente oltrepassato l’ampio potere discrezionale di cui dispone in merito alle considerazioni e alle complesse valutazioni che doveva effettuare.

128. Nel caso di specie non ritengo che il legislatore dell’Unione abbia optato per misure viziate da «manifesta inidoneità» rispetto all’obiettivo perseguito (88). Nella stessa misura, non ha oltrepassato l’ampio potere discrezionale di cui godeva nel modificare il precedente regime, in una materia così complessa come il distacco transnazionale dei lavoratori.

C.      Seconda parte del terzo motivo: violazione del principio di non discriminazione

1.      Argomenti

129. Secondo il governo ungherese, la direttiva 2018/957 viola il principio di non discriminazione, che vieta di applicare norme diverse a situazioni analoghe ovvero le stesse norme a situazioni diverse (89).

130. In primo luogo, la sostituzione dell’obbligo di pagare ai lavoratori distaccati il salario minimo, al fine di garantire loro la stessa retribuzione dei lavoratori locali, provoca una discriminazione a danno delle imprese prestatrici di servizi che distaccano i propri lavoratori, rispetto alle imprese locali. La discriminazione consiste nel fatto che le imprese dello Stato ospitante sono tenute a pagare ai propri dipendenti solo le tariffe minime salariali stabilite dal diritto nazionale, mentre le imprese di altri Stati membri che distaccano lavoratori devono versare loro una retribuzione che sarà stabilita dalle prassi nazionali e che, a giudizio del governo ungherese, sarà necessariamente più elevata rispetto alla tariffa minima salariale.

131. In secondo luogo, il governo ungherese sostiene che l’applicazione delle stesse norme ai lavoratori distaccati di lunga durata e ai lavoratori locali, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71, è incompatibile con il principio di non discriminazione, perché le due categorie non si trovano in situazioni analoghe.

132. Violerebbe allo stesso modo il principio di non discriminazione l’obbligo delle imprese che distaccano lavoratori di pagare loro le spese di viaggio, vitto e alloggio (nuovo articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71).

133. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questa parte del terzo motivo sia infondata.

2.      Valutazione

134. La direttiva 96/71, come modificata dalla direttiva 2018/957, non considera identiche, in blocco, le situazioni dei lavoratori distaccati e quelle dei lavoratori locali dello Stato ospitante.

135. Per questo motivo l’articolo 3, paragrafo 1, elenca tassativamente le materie in relazione alle quali ai lavoratori distaccati si applica la legislazione dello Stato ospitante, al fine di garantire la parità di trattamento con i lavoratori locali (90). Nelle restanti materie, non impone la parità di trattamento tra gli uni e gli altri.

136. La sostituzione del termine «tariffe minime salariali» con «retribuzione», cui farò riferimento in seguito, non genera la discriminazione addotta dall’Ungheria, in danno delle imprese che distaccano lavoratori.

137. Infatti, secondo il nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, «il concetto di retribuzione è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori (91) da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8».

138. Pertanto, le imprese che distaccano lavoratori devono pagare loro soltanto una retribuzione che comprenderà il salario minimo più qualsiasi altro elemento obbligatorio nello Stato ospitante. Gli elementi della retribuzione così definiti sono applicabili anche ai lavoratori locali, data la loro obbligatorietà a norma del diritto interno dello Stato ospitante, e devono essere pagati dalle imprese con sede in quest’ultimo Stato, senza che vi sia alcuna differenza di trattamento. Naturalmente la direttiva 2018/957 non precisa quali elementi della retribuzione siano obbligatori, questione che viene risolta dal diritto dello Stato ospitante.

139. La direttiva 2018/957 ha scartato, come risulta dalla valutazione d’impatto della Commissione, l’imposizione dell’equiparazione totale tra la retribuzione dei lavoratori distaccati e quella dei locali (92).

140. Per quanto riguarda l’asserita discriminazione che sarebbe causata dall’applicare le stesse norme ai lavoratori distaccati di lunga durata e ai lavoratori locali, mi limiterò a sottolineare che l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 non prevede lo stesso trattamento per i due i tipi di lavoratori. Questa disposizione avvicina il regime dei lavoratori distaccati di lunga durata a quello dei lavoratori locali, ma non li equipara, proprio perché la loro situazione è diversa.

141. Non rilevo una discriminazione nemmeno nell’obbligo a carico delle imprese che distaccano lavoratori di pagare loro le spese di viaggio, vitto e alloggio. Si tratta di spese sostenute a causa del distacco stesso, che il datore di lavoro deve versare al lavoratore in conformità della normativa o delle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro, che sarà quello del paese di origine. Il corrispondente precetto della direttiva indica il diritto nazionale a norma del quale devono essere pagate le spese generate dal distacco, restando liberi gli Stati membri di regolarle nel proprio diritto nazionale (93). Non vedo quale tipo di discriminazione possa generare questa regola.

D.      Terza parte del terzo motivo: violazione del principio di proporzionalità

1.      Argomenti

142. Per il governo ungherese, la direttiva 2018/957 rende difficile e ostacola la prestazione transnazionale di servizi con distacco di manodopera nel mercato interno, in quanto si limita ad aumentare la protezione dei lavoratori distaccati. Non è idonea, quindi, a raggiungere gli obiettivi che ha di mira e viola il principio di proporzionalità.

143. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questa parte del terzo motivo sia infondata.

2.      Valutazione

144. Il principio di proporzionalità richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli (94).

145. Le istituzioni dell’Unione, quando sono obbligate a procedere a scelte di carattere tecnico e a effettuare previsioni e valutazioni complesse, dispongono di un ampio potere discrezionale. La Corte si limita a verificare se il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto questo ampio potere discrezionale, optando per misure manifestamente inadeguate o sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito (95).

146. Concordo con il Consiglio e il Parlamento sul fatto che il legislatore dell’Unione abbia rispettato i requisiti del principio di proporzionalità nell’adozione della direttiva 2018/957.

147. Esaminerò le argomentazioni del governo dell’Ungheria relative al carattere sproporzionato delle disposizioni sui lavoratori distaccati di lunga durata nella quarta parte di questo terzo motivo, per evitare ripetizioni.

148. Per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori distaccati, la sostituzione operata dalla direttiva 2018/957 della nozione di «tariffe minime salariali» con quella di «retribuzione» era motivata, nella valutazione di impatto pubblicata dalla Commissione, dalle difficoltà causate dall’impiego della prima di queste nozioni in sede di applicazione della direttiva 96/71.

149. Per porre rimedio a questa situazione, la Commissione ha esaminato le possibili soluzioni e le loro conseguenze economiche. Ha scelto quella ritenuta più adeguata, vale a dire compiere una riforma limitata della direttiva 96/71, concretizzatasi nell’adozione della direttiva 2018/957, scartando la possibilità di pubblicare una comunicazione interpretativa o quella di non modificare la direttiva 96/71 (96).

150. A mio giudizio, questa soluzione non è contraria al principio di proporzionalità e non introduce una restrizione incompatibile con l’articolo 56 TFUE. Sono vari gli argomenti a sostegno di ciò.

151. In primo luogo, il termine «tariffe minime salariali» aveva sollevato difficoltà pratiche (97), come dimostra la giurisprudenza della Corte e, in particolare, la sentenza Sähköalojen ammattiliitto (98). Questa ha ammesso un’interpretazione più estesa che comprende:

‐      la possibilità del calcolo del salario minimo orario o a cottimo, basato sull’inquadramento dei lavoratori in gruppi retributivi, come previsto dai pertinenti contratti collettivi dello Stato membro ospitante, purché tale calcolo e tale inquadramento siano eseguiti sulla base di norme vincolanti e trasparenti, accertamento questo che spetta al giudice nazionale;

‐      un’indennità giornaliera a condizioni identiche a quelle cui è subordinata l’inclusione di tale indennità nel salario versato ai lavoratori locali in occasione di un loro distacco all’interno dello Stato membro ospitante;

‐      un’indennità per il tragitto giornaliero, versata ai lavoratori a condizione che la durata del tragitto quotidiano di andata e ritorno ecceda un’ora;

‐      la gratifica per ferie che deve essere accordata al lavoratore per la durata minima delle ferie annuali retribuite.

152. Il legislatore dell’Unione ha tenuto conto di tali difficoltà interpretative, nonché dell’interpretazione estensiva raccomandata dalla Corte, nell’adottare la direttiva 2018/957 e nell’inserire la nozione di retribuzione di cui ai paragrafi 1 e 7 dell’articolo 3 della direttiva 91/76.

153. Questo cambiamento rende possibile, inoltre, limitare la prassi delle imprese che, nel distaccare i propri lavoratori, potevano tendere a pagare loro il salario minimo a prescindere dalla loro categoria, mansioni, qualifiche professionali e anzianità, generando una differenza di retribuzione rispetto ai lavoratori locali in una situazione analoga (99).

154. All’udienza, la Commissione ha ribadito quanto già risultava nella sua valutazione d’impatto: che l’identificazione delle «tariffe minime salariali» della direttiva 96/71 con il salario minimo legalmente fissato dalla legislazione nazionale dello Stato ospitante aveva generato, nella pratica, un divario salariale tra i lavoratori locali e quelli distaccati, in particolare in settori come quello dell’edilizia.

155. In secondo luogo, stabilire gli importi delle tariffe minime salariali in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 96/71 spetta alla legislazione o alle prassi nazionali dello Stato membro ospitante (100). Anche le modalità di calcolo di tali tariffe e i criteri ad esso applicati sono di competenza di tale Stato membro (101). Le legislazioni o le prassi nazionali per il calcolo del salario minimo sono molto eterogenee (e non sempre trasparenti) negli Stati membri dell’Unione, il che rende difficile il distacco dei lavoratori in condizioni di lavoro eque e comparabili a quelle dei lavoratori locali (102).

156. Nella sua valutazione di impatto, la Commissione ha argomentato che la nozione di retribuzione permetteva di correggere questi squilibri e migliorare la protezione dei lavoratori distaccati, creando condizioni di concorrenza più eque tra le imprese locali e quelle che distaccano lavoratori per fornire servizi, segnatamente in quei settori ad alta intensità di manodopera (103).

157. Da quanto precede si può dedurre che il legislatore dell’Unione si è attenuto scrupolosamente ai requisiti del principio di proporzionalità, e non ha manifestamente oltrepassato il suo ampio potere discrezionale in una materia tecnica e complessa come questa, quando ha optato per una misura (l’introduzione del concetto di retribuzione) adatta a realizzare gli obiettivi perseguiti. Tale misura agevola, di per sé, la migliore protezione dei lavoratori distaccati e la garanzia di condizioni di concorrenza eque tra le imprese locali e quelle che distaccano i propri lavoratori.

E.      Quarta parte del terzo motivo: violazione della libera prestazione di servizi causata dal regime dei lavoratori distaccati di lunga durata

1.      Argomenti

158. Il governo ungherese sostiene che lo specifico regime per i lavoratori distaccati di lunga durata (il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71) sia incompatibile con l’articolo 56 TFUE.

159. Questo regime limiterebbe l’attività delle imprese che distaccano lavoratori nell’ambito di prestazioni transnazionali di servizi in maniera sproporzionata e ingiustificata, in quanto modifica la legge applicabile al lavoratore distaccato di lunga durata e applica a quest’ultimo tutte le condizioni di lavoro dello Stato membro ospitante. In questo modo, si diluiscono anche i confini tra la libera prestazione di servizi e la libera circolazione dei lavoratori.

160. Secondo le istituzioni dell’Unione e i governi degli Stati membri intervenuti, il nuovo regime per i lavoratori distaccati di lunga durata è giustificato, rispetta il principio di proporzionalità e non è contrario all’articolo 56 TFUE.

2.      Valutazione

161. La nuova categoria dei lavoratori distaccati di lunga durata si distingue da quella dei lavoratori distaccati «ordinari». Il criterio distintivo è la durata effettiva del distacco: se questa supera i 12 mesi (eccezionalmente 18), trasforma il lavoratore distaccato ordinario in lavoratore distaccato di lunga durata.

162. Trascorso tale termine, il lavoratore distaccato (ora, di lunga durata) usufruisce di un regime giuridico diverso: oltre alle condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1 dell’articolo 3, si applicano quelle dello Stato membro in cui viene eseguito il lavoro.

163. Come si evince dal suo considerando 9 (104), la direttiva 2018/957 non comporta tuttavia un’assimilazione totale fra i lavoratori distaccati di lunga durata e i lavoratori locali (nazionali o di altri Stati membri che hanno esercitato la propria libertà di circolazione).

164. I lavoratori distaccati di lunga durata continuano a mantenere una situazione giuridica ancorata alla libera prestazione di servizi, come indicato nel considerando 10 della direttiva 2018/957 (105).

165. In contrasto con la tesi sostenuta dal governo ungherese, il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 2018/957 non parifica pienamente i lavoratori distaccati di lunga durata ai lavoratori locali, dato che:

‐      ai sensi di tale norma, «[i]l primo comma del presente paragrafo non si applica alle materie seguenti: a) procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza; b) regimi pensionistici integrativi di categoria»;

–      ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, ai lavoratori distaccati di lunga durata si applicano «tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro» «indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro». Ciò comporta che, per questa categoria di lavoratori distaccati, non si modifica, come rileva il Parlamento europeo nelle sue osservazioni, il diritto internazionale privato sottostante al loro rapporto giuridico (106);

‐      l’equiparazione dei lavoratori distaccati di lunga durata con quelli locali avviene riguardo a «tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro». Devono intendersi come tali «le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori», che sono quelle disciplinate dalla direttiva 96/71, a norma del suo nuovo articolo 1, paragrafo 1. Sono quindi mantenute le differenze in materie come la previdenza sociale e la fiscalità.

166. A mio avviso, la regolamentazione di questa nuova categoria di lavoratori distaccati di lunga durata è giustificata e comporta restrizioni proporzionate alla libera prestazione di servizi e compatibili con l’articolo 56 TFUE.

167. La fissazione di un termine di 12 mesi (eccezionalmente 18 mesi) rimuove l’incertezza esistente nella versione iniziale della direttiva 96/71, il cui articolo 2, paragrafo 1, considerava lavoratore distaccato colui che eseguiva il suo lavoro in un paese diverso dal suo Stato di origine «per un periodo limitato». La nuova regola dissipa, ripeto, questa incertezza, chiarendo che si considera lavoratore distaccato di lunga durata colui per il quale il distacco prosegue oltre 12 (o 18) mesi.

168. Inoltre, lo status di lavoratore distaccato di lunga durata mi sembra ragionevole, poiché si adatta alla situazione dei lavoratori che risiederanno nello Stato ospitante per un lungo periodo di tempo, con la conseguenza che la loro partecipazione al mercato del lavoro di tale Stato sarà maggiore. È logico (e proporzionato) che, in questa situazione, tali lavoratori siano soggetti a un maggior numero di norme del lavoro dello Stato di destinazione, mantenendo allo stesso tempo il loro legame con lo Stato di origine dell’impresa per la quale lavorano.

169. Questa modifica è accompagnata nel nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, terzo comma, dalla seguente precisazione: «Se un’impresa di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata del distacco ai fini del presente paragrafo corrisponde alla durata complessiva dei periodi di distacco dei singoli lavoratori distaccati interessati». Fermo restando che, nella pratica, questa disposizione potrebbe generare qualche difficoltà, la ritengo appropriata, in generale, per evitare l’elusione e l’abuso della direttiva, mediante la sostituzione nello stesso luogo di lavoro di alcuni lavoratori distaccati con altri.

F.      Quinta parte del terzo motivo: violazione dell’articolo 58 TFUE, paragrafo 1

1.      Argomenti

170. Il governo ungherese sostiene che il nuovo articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957, viola l’articolo 58 TFUE, paragrafo 1, nei limiti in cui estende al settore del trasporto l’applicazione delle norme di detta direttiva sul distacco dei lavoratori.

171. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che tale parte del terzo motivo sia inefficace o infondata.

2.      Valutazione

172. La libera circolazione dei servizi nel settore dei trasporti è disciplinata non dall’articolo 56 TFUE, che si occupa in generale della libera prestazione di servizi, bensì dalla specifica disposizione dell’articolo 58 TFUE, paragrafo 1. Esso recita che «la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti» (107), vale a dire gli articoli da 90 TFUE a 100 TFUE.

173. Sebbene la sua base giuridica siano esclusivamente le norme sulla libera prestazione di servizi (articoli 53 TFUE, paragrafo 1, e 62 TFUE) e non quelle sulla politica comune dei trasporti (articolo 91 TFUE), si può sostenere che la direttiva 96/71 si applica ai servizi di trasporto (108).

174. La direttiva 96/71 esclude dal suo campo di applicazione le «imprese della marina mercantile con riguardo al personale navigante» (109), dal che si può desumere che secondo la volontà del legislatore la medesima si applica agli altri servizi del settore dei trasporti. Ciò sarebbe confermato dall’accenno nella direttiva 2014/67 ai «lavoratori mobili del settore dei trasporti» (110) e dalle indicazioni sull’applicazione della direttiva 96/71 al trasporto di cabotaggio in altri atti normativi dell’Unione (111).

175. A norma dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957, la medesima si estenderà «al settore del trasporto su strada a decorrere dalla data di applicazione di un atto legislativo che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e stabilisce norme specifiche in relazione alla direttiva 96/71/CE e alla direttiva 2014/67/UE per il distacco dei conducenti nel settore dei trasporti su strada».

176. Quindi, così come conferma il considerando 15 (112) della direttiva 2018/957, le modifiche che quest’ultima apporta alla direttiva 96/71 si applicheranno al settore del trasporto su strada solo in futuro, e non incondizionatamente, ma al momento dell’adozione di un atto legislativo che modifichi la direttiva 2006/22 e che contenga norme specifiche rispetto alle direttive 96/71 e 2014/67.

177. Se è così, il nuovo articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957 non contiene, in realtà, alcuna regolamentazione sostanziale sui distacchi di lavoratori nel settore del trasporto, né modifica in alcun modo il regime di applicazione della direttiva 96/71 a questo settore (113).

178. Sarà il nuovo atto legislativo, che è già stato proposto dalla Commissione (114), a contenere tali norme. Nulla impedisce che anche tale atto abbia come base giuridica l’articolo 91 TFUE.

179. In sintesi, non rilevo alcuna violazione dell’articolo 58 TFUE, paragrafo 1, ad opera dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957.

180. Sulla base di quanto sopra esposto, propongo il rigetto integrale del terzo motivo di annullamento.

VII. Quarto motivo: violazione dell’articolo 56 TFUE a causa dell’esclusione dal campo di applicazione della direttiva 96/71 delle azioni collettive dei lavoratori

A.      Argomenti

181. Secondo il governo ungherese, l’articolo 1, paragrafo 1 bis, introdotto dalla direttiva 2018/957 nella direttiva 96/71, viola l’articolo 56 TFUE perché esclude dal suo campo di applicazione l’esercizio del diritto di sciopero e di altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali degli Stati membri, così come quello relativo all’esercizio del diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi, o intraprendere azioni collettive.

182. Questa esclusione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza Laval un Partneri e consentirebbe l’esercizio del diritto di sciopero e della contrattazione collettiva in conformità con i diritti nazionali e al di fuori dei requisiti del diritto dell’Unione. In tale misura, faciliterebbe la restrizione della libera prestazione di servizi da parte di imprese di altri Stati mediante il distacco di lavoratori.

183. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che tale quarto motivo sia infondato.

B.      Valutazione

184. Il nuovo articolo 1, paragrafo 1 bis, chiarisce l’ambito di applicazione della direttiva 96/71. Sebbene, in generale, tale direttiva stabilisca «disposizioni obbligatorie riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori» distaccati, il paragrafo 1 bis esclude dal suo ambito, tra l’altro, «il diritto o la libertà di sciopero o il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. Essa non pregiudica neppure il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi, o di intraprendere azioni collettive in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali».

185. La direttiva 2018/957 non introduce alcuna novità nella direttiva 96/71 con riguardo alle azioni collettive. Nel considerando 22 si afferma espressamente che tale direttiva «lascia impregiudicato il diritto vigente degli Stati membri in materia di azioni collettive per la difesa degli interessi di categoria».

186. La lettura di questo precetto operata dal governo ungherese parte, a mio avviso, da un errore di interpretazione. La non applicabilità della direttiva 96/71 ai diritti di azione collettiva dei lavoratori non significa che il loro esercizio non sia soggetto alle restanti norme nazionali e del diritto dell’Unione. Il citato articolo 1, paragrafo 1 bis, inizia osservando che «[l]a presente direttiva non pregiudica in alcun modo l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e a livello di Unione, compresi (…)».

187. Di conseguenza, questo precetto non osta a che, nei casi di distacco di lavoratori, si applichi l’articolo 28 della Carta o la precedente giurisprudenza della Corte sull’esercizio dei diritti collettivi dei lavoratori e il loro effetto sulla libera prestazione di servizi.

188. Non ritengo pertanto che il nuovo articolo 1, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 restringa la libera prestazione di servizi e propongo il rigetto di questo motivo di annullamento.

VIII. Quinto motivo: violazione del principio di certezza del diritto come conseguenza dell’incompatibilità della direttiva 2018/957 con il regolamento n. 593/2008 (Roma I)

A.      Argomenti

189. Il quinto motivo contiene, in realtà, due parti distinte e non troppo connesse tra loro.

–      Da un lato, il governo ungherese sostiene che la direttiva 2018/957 è contraria al regolamento n. 593/2008, nonché ai principi di certezza del diritto e chiarezza normativa, in quanto modifica l’applicazione di tale regolamento senza alterare il suo testo, il che genera una notevole incertezza giuridica per quanto riguarda la sua corretta applicazione.

–      Dall’altro lato, sostiene che la mancanza di precisione del concetto di «retribuzione» genera incertezza, violandosi in tal modo i principi di chiarezza normativa e, conseguentemente, di certezza del diritto.

190. La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo e i governi degli Stati membri intervenuti ritengono che questo quinto motivo sia infondato.

B.      Valutazione della prima parte del quinto motivo: rapporto tra la direttiva 2018/957 e il regolamento n. 593/2008 (Roma I)

191. L’articolo 8 del regolamento Roma I, paragrafo 1, fissa la norma di conflitto applicabile in generale ai contratti individuali di lavoro, che è la legge scelta dalle parti (con le condizioni che lo stesso indica). Nei limiti in cui tale scelta non sia stata effettuata, «il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo» (paragrafo 2).

192. L’articolo 23 del regolamento Roma I prevede un’eccezione all’applicabilità delle proprie norme in materia di conflitto di leggi: permette che, se le disposizioni del diritto dell’Unione stabiliscono norme sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali relative a settori specifici, tali norme godono di priorità (115).

193. Pertanto, le norme generali del regolamento Roma I sulla scelta della legge cedono in favore delle norme speciali contenute, a questo proposito, in disposizioni specifiche del diritto dell’Unione (116).

194. Contrariamente a quanto sostiene il governo ungherese, ritengo che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 (per i lavoratori distaccati ordinari) e il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis (per i lavoratori distaccati di lunga durata), costituiscano norme speciali in materia di conflitto di leggi (117), la cui attuazione deve essere integrata con quelle del regolamento Roma I (118).

195. Questi due precetti della direttiva 96/71, accanto alla legge che risulta applicabile in base alle ordinarie norme di conflitto, impongono l’applicazione delle seguenti disposizioni dell’ordinamento dello Stato ospitante:

–      nei confronti dei lavoratori distaccati ordinari, quelle relative alle condizioni (di lavoro e alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori) figuranti nell’elenco tassativo di cui all’articolo 3, paragrafo 1;

–      per quanto riguarda i lavoratori distaccati di lunga durata, oltre alle condizioni di cui sopra, si applicano il resto delle condizioni dello Stato ospitante, nei termini esposti sopra (articolo 3, paragrafo 1 bis).

196. Come afferma il Consiglio nelle sue osservazioni, il processo di elaborazione del regolamento Roma I dimostra che nel suo articolo 23 rientra l’eccezione prevista nella direttiva 96/71, perché la proposta della Commissione conteneva un allegato di norme speciali che si trovavano in altre disposizioni del diritto dell’Unione, fra le quali figuravano quelle della direttiva 96/71 (119).

197. Il considerando 11 della direttiva 96/71 avvalora tale affermazione, laddove dichiara che la Convenzione (sostituita dal regolamento Roma I) «non pregiudica l’applicazione delle disposizioni che, in materie particolari, regolano i conflitti di leggi nel campo delle obbligazioni contrattuali e che sono contenute in atti emanati o da emanare dalle istituzioni delle Comunità europee o nelle legislazioni nazionali armonizzate in esecuzione di tali atti».

198. Lo stesso si può dedurre dal considerando 40 del regolamento Roma I, in base al quale «(…) Tuttavia, il presente regolamento non dovrebbe escludere la possibilità di inserire regole di conflitto di leggi riguardanti le obbligazioni contrattuali nelle disposizioni dell’ordinamento comunitario relative a materie particolari».

199. Il principio di certezza del diritto non esige, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, che la modifica della direttiva 96/71, operata dalla direttiva 2018/957, sia accompagnata da una modifica del regolamento Roma I.

200. L’articolo 23 di detto regolamento consente la coesistenza delle norme speciali della direttiva 96/71 insieme con quelle generali dell’articolo 8 del regolamento stesso, per quanto riguarda i contratti dei lavoratori distaccati. Sussiste la sufficiente chiarezza, prevedibilità e precisione nel rapporto fra i due tipi di norme e, pertanto, il rispetto del principio di certezza del diritto (120).

201. Tale affermazione non è contraddetta, come afferma l’Ungheria, dalla considerazione che il nuovo articolo 3, paragrafo 1 bis, terzo comma, della direttiva 96/71 preveda una norma antifrode per i casi di distacco per sostituzione, cui ho accennato in precedenza (121). In questo caso, il contratto di ogni lavoratore che partecipa alla sostituzione può essere soggetto alla legislazione di un paese diverso e questo precetto aggiunge soltanto una condizione per evitare le frodi nei confronti del rapporto tra la direttiva 96/71 e il regolamento Roma I.

C.      Valutazione della seconda parte del quinto motivo: indeterminatezza del concetto di «retribuzione» introdotto dalla direttiva 2018/957

202. Secondo il governo ungherese, l’indeterminatezza e l’oscurità del nuovo concetto di «retribuzione», in sostituzione del precedente di «tariffe minime salariali», è incompatibile con la chiarezza normativa imposta dal principio di certezza del diritto.

203. Questa parte del quinto motivo di nullità si sovrappone al secondo motivo, di cui ho già proposto il rigetto.

204. È in un certo senso paradossale che il governo dell’Ungheria non opponga questa stessa contestazione (incertezza del diritto) alla precedente nozione della direttiva 96/71 (122), la cui interpretazione aveva generato alcune difficoltà, e lo faccia, invece, nei confronti di una norma che cerca di superare tali difficoltà interpretative.

205. È ugualmente paradossale che si accusi un testo di diritto derivato di mettere a rischio la certezza del diritto, quando la nozione contro cui si rivolge la censura figura tale e quale all’articolo 153 TFUE, paragrafo 5.

206. La nozione di retribuzione del nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 è vincolata a quanto determinato dalla legislazione o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio è distaccato il lavoratore. Per quanto riguarda il suo contenuto, essa conterrà tutti gli elementi costitutivi dichiarati obbligatori in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali o dei contratti collettivi o degli arbitrati che, in detto Stato membro, siano stati dichiarati di applicazione generale o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8.

207. Il considerando 17 della direttiva 2018/957 ricorda che stabilire le norme sulla retribuzione rientra nella sfera di competenza esclusiva degli Stati membri. Spetta inoltre a loro, o alle parti sociali, stabilire i salari. Lo conferma l’articolo 153 TFUE, paragrafo 5, escludendo le retribuzioni dalla funzione di armonizzazione delle istituzioni dell’Unione in materia di politica sociale.

208. Pertanto, le divergenze tra le norme applicabili alle retribuzioni del lavoro dei lavoratori distaccati sono inevitabili fino a che l’Unione disponga di una funzione di armonizzazione su di esse. Lo stesso valeva, come ho già esposto, per il concetto di «tariffe minime salariali» utilizzato nella versione originaria della direttiva 96/71, che ha richiesto chiarimenti da parte della Corte.

209. Vero è che il termine «retribuzioni» richiede, come la maggior parte di quelli utilizzati in questa materia, un’operazione interpretativa che ne definisca i contorni. Ma tale caratteristica, comune a molte altre nozioni simili, non basta per sostenere, come afferma il governo dell’Ungheria, che il concetto introdotto dalla direttiva 2018/957 sia indeterminato al punto da violare il principio di certezza del diritto.

210. Ricordo, inoltre, che, per mitigare i problemi che potrebbero riscontrare i lavoratori distaccati e le loro imprese, il nuovo articolo 3, paragrafo 1, quarto e quinto comma, della direttiva 96/71 impone agli Stati membri un obbligo di trasparenza, a norma del quale essi devono fornire in un sito web le informazioni pertinenti, accurate ed aggiornate su, tra l’altro, «gli elementi costitutivi della retribuzione di cui al terzo comma del presente paragrafo e tutte le condizioni di lavoro e di occupazione a norma del paragrafo 1 bis del presente articolo».

IX.    Conclusione

211. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di:

1)      respingere integralmente il ricorso promosso dall’Ungheria;

2)      condannare l’Ungheria a sostenere le proprie spese, nonché quelle del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea;

3)      condannare la Commissione europea e i governi francese, tedesco e dei Paesi Bassi alle proprie spese.


1      Lingua originale: lo spagnolo.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018 recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 2018, L 173, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva 2018/957»).


3      Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 96/71»).


4      A norma dell’articolo 2 della direttiva 96/71, «per lavoratore distaccato si intende un lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente».


      Secondo la giurisprudenza della Corte, «sussiste un distacco di lavoratori per effetto della loro messa a disposizione, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, qualora ricorrano tre condizioni. In primo luogo, la messa a disposizione di mano d’opera è una prestazione di servizi fornita dietro corrispettivo per la quale il lavoratore distaccato rimane alle dipendenze dell’impresa prestatrice, senza che venga concluso alcun contratto di lavoro con l’impresa utilizzatrice. In secondo luogo, tale messa a disposizione è caratterizzata dal fatto che il trasferimento del lavoratore nello Stato membro ospitante costituisce l’oggetto stesso della prestazione di servizi effettuata dall’impresa prestatrice. In terzo luogo, nell’ambito di tale messa a disposizione, il lavoratore svolge i propri compiti sotto il controllo e la direzione dell’impresa utilizzatrice» (sentenze del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a., C-18/17, EU:C:2018:904, punto 27; e del 18 giugno 2015, Martin Meat, C-586/13, EU:C:2015:405, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


5      Secondo le ultime statistiche disponibili, nel 2017 si sono verificati 2,8 milioni di distacchi transnazionali di lavoratori, con una durata media inferiore a 4 mesi per distacco, il che, nel complesso, rappresenta solo lo 0,2% del totale dell’occupazione nell’Unione. V. De Wispelaere, F. e Pacolet, J., Posting of workers Report on A1 Portable Documents issued in 2017, HIVA-KU Leuven, ottobre 2018, pag. 9, https://www.etk.fi/wp-content/uploads/Komissio-tilastoraportti-Posting-of-workers-2017.pdf. Le statistiche rivelano, tuttavia, che tra il 2010 e 2017 il numero di lavoratori distaccati è aumentato dell’83%. La distribuzione di questi lavoratori per settori economici è la seguente: edilizia (46,5%), altri servizi (26,7%), industria (25,9%) e agricoltura (0,9%).


6      La tendenza generale è che gli Stati con un costo del lavoro inferiore esportano lavoratori distaccati, mentre gli Stati con migliori condizioni di lavoro li ricevono. V. i dati di Bradley, H., Tugran, T., Markowska, A. e Fries-Tersch, E., 2018 Annual Report on intra-EU Labor Mobility, 2019, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/2c170ce2-4c55-11e9-a8ed-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF. Da tale relazione si evince che gli Stati esportatori sono la Polonia, l’Ungheria o la Lituania e quelli riceventi la Germania, la Francia o i Paesi Bassi.


7      V., ad esempio, sentenze del 17 dicembre 1981, Webb (279/80, EU:C:1981:314); del 3 febbraio 1982, Seco e Desquenne & Giral (62/81 e 63/81, EU:C:1982:34; in prosieguo: la «sentenza Seco e Desquenne & Giral»), e del 27 marzo 1990, Rush Portuguesa (C-113/89, EU:C:1990:142).


8      Sentenze del 28 marzo 1996, Guiot (C-272/94, EU:C:1996:147; in prosieguo: la «sentenza Guiot»), punto 10; del 23 novembre 1999, Arblade e a. (C-369/96 e C-376/96, EU:C:1999:575; in prosieguo: la «sentenza Arblade e a.»), punto 33, e del 15 marzo 2001, Mazzoleni e ISA (C-165/98, EU:C:2001:162; in prosieguo: la «sentenza Mazzoleni e ISA»), punto 22. Di recente, v. sentenze del 12 settembre 2019, Maksimovic e a. (C-64/18, C-140/18, C-146/18 e C-148/18, EU:C:2019:723; in prosieguo: la «sentenza Maksimovic e a.»), punti 30 e 31; e del 13 novembre 2018, Čepelnik (C-33/17, EU:C:2018:896; in prosieguo: la «sentenza Čepelnik»), punti 37 e 38.


9      Sentenza Seco e Desquenne & Giral.


10      Sentenza Guiot.


11      Sentenza Arblade e a., punti 58 e 59; e Maksimovic e a., punto 31.


12      Sentenze Arblade e a., punti 34 e 35; del 24 gennaio 2002, Portugaia Construções (C-164/99, EU:C:2002:40; in prosieguo: la «sentenza Portugaia Construções»), punto 19, e del 21 settembre 2006, Commissione/Austria (C-168/04, EU:C:2006:595), punto 37.


13      Sentenza Arblade e a., punto 80. V., ad esempio, le sentenze Mazzoleni e ISA, punto 27; del 25 ottobre 2001, Finalarte e a. (C-49/98, C-50/98, C-52/98 a C-54/98 e C-68/98 a C-71/98, EU:C:2001:564), punto 33; Portugaia Construções, punto 20; e del 12 ottobre 2004, Wolff & Müller (C-60/03, EU:C:2004:610; in prosieguo: la «sentenza Wolff & Muller»), punto 35.


14      V. sentenza Seco e Desquenne & Giral, punto 10.


15      V. sentenze Guiot, punto 15; e Arblade e a., punto 51.


16      Sentenza, Wolff & Müller, punti 35, 36 e 41.


17      Punto 14.


18      Sentenza del 3 dicembre 2014, De Clercq e a. (C-315/13, EU:C:2014:2408; in prosieguo: la «sentenza De Clercq e a.»), punto 66 e la giurisprudenza ivi citata.


19      Sentenze Maksimovic e a., punto 26; e De Clercq e a., punto 47.


20      Punto 50.


21      Punto 50.


22      Sentenza del 14 novembre 2018, Danieli & C. Officine Meccaniche e a. (C-18/17, EU:C:2018:904), punto 44 e giurisprudenza ivi citata.


23      Sentenza del 21 ottobre 2004, Commissione/Lussemburgo (C-445/03, EU:C:2004:655), punto 24.


24      Questo è il caso più frequente: un’impresa stabilita in uno Stato membro distacca, per proprio conto e sotto la propria direzione, nel territorio di un altro Stato membro, ai fini di una prestazione di servizi transnazionale, i propri lavoratori. Si stipula un contratto tra l’impresa di provenienza e il destinatario della prestazione di servizi che opera in un altro Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa medesima. V. sentenze del 3 aprile 2008, Rüffert (C-346/06, EU:C:2008:189; in prosieguo: la «sentenza Rüffert»), punto 19; e del 19 dicembre 2019, Dobersberger (C-16/18, EU:C:2019:1110; in prosieguo: la «sentenza Dobersberger»), punto 29.


25      Considerando 13. Il corsivo è mio.


26      Sentenze del 12 febbraio 2015, Sähköalojen ammattiliitto (C-396/13, EU:C:2015:86; in prosieguo: la sentenza «Sähköalojen ammattiliitto»), punto 28; e dell’8 dicembre 2007, Laval un Partneri (C-341/05, EU:C:2007:809; in prosieguo: la «sentenza Laval un Partneri»), punti 74 e 76.


27      Rinvio, a tal proposito, a Eckhard Voss, Michele Faioli, Jean-Philippe Lhernould, Feliciano Iudicone, Fondazione Giacomo, Posting of Workers Directive – current situation and challenges, European Parliament, 2016, http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/579001/IPOL_STU(2016)579001_EN.pdf; e Fotonopoulou Basurko,O., «Reflexiones en torno a la noción de habitualidad vs. temporalidad en las normas de derecho internacional privado del trabajo europeas» [Riflessioni sulla nozione di abitualità in opposizione a temporaneità nelle norme del diritto internazionale privato del lavoro europee], in Fotonopoulou Basurko, O., (coord.), El desplazamiento de trabajadores en el marco de la Unión europea: presente y futuro [Il distacco dei lavoratori nel quadro dell’Unione europea: presente e futuro], Atelier, Barcellona, 2018, pagg. da 258 a 262.


28      Sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania (C-341/02, EU:C:2005:220), punti da 25 a 43; del 7 novembre 2013, Isbir (C-522/12, EU:C:2013:711; in prosieguo: la «sentenza Isbir»), punti da 39 a 45; e Sähköalojen ammattiliitto, punti da 38 a 70.


29      Sentenza Laval un Partneri, in particolare punti 80 e 81.


30      Ibidem, punto 111.


31      Sentenza dell’11 dicembre 2007 (C-438/05, EU:C:2007:772).


32      Sentenze del 19 giugno 2008 (C-319/06, EU:C:2008:350).


33      La sentenza del 17 novembre 2015, RegioPost (C-115/14, EU:C:2015:760), punto 66, ha portato con sé un certo cambiamento di orientamento, in quanto ha ritenuto che «l’articolo 26 della direttiva 2004/18, in combinato disposto con la direttiva 96/71, consente allo Stato membro ospitante di prevedere, nell’ambito dell’aggiudicazione di un appalto pubblico, una norma vincolante ai fini della protezione minima di cui all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), di tale direttiva, come quella controversa nel procedimento principale, che impone il rispetto da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri di una tariffa minima salariale a vantaggio dei loro lavoratori distaccati nel territorio dello Stato membro ospitante per l’esecuzione di tale appalto pubblico. Una norma siffatta rientra infatti nel livello di protezione che deve essere garantito a tali lavoratori».


34      Kilpatrick, C., «Laval’s regulatory conundrum: collective standard-setting and the Court’s new approach to posted workers», European Law Review, n.º 6, 2009, pag. 848; Rocca, M., Posting of Workers and Collective Labour Law: There and Back again. Between Internal Markets and Fundamental Rights, Intersentia, Amberes, 2015, pagg. da 181 a 204.


35      V. l’analisi di Van Nuffel, P. e Afanasjeva, S., «The Posting Workers Directive revised: enhancing the protection of workers in the cross-border provision of services», European Papers, 2018, n.  3, pagg. da 1411 a 1413.


36      Perdisini, M. e Pallini, M., Exploring the fraudulent contracting of work in the European Union, 2016, Eurofound, pagg. da 9 a 18.


37      La direttiva 2014/67 ha affrontato i problemi derivanti dalle cosiddette «società di facciata» e ha rafforzato il potere degli Stati membri di controllare le condizioni di lavoro e garantire l’attuazione delle norme applicabili. Essa elenca, tra gli altri, i criteri per verificare l’esistenza di un vincolo reale tra il datore di lavoro e lo Stato membro di stabilimento, applicabili anche per determinare se una persona risponda alla definizione di lavoratore distaccato.


38      V. Marchal Escalona, N., «El desplazamiento de trabajadores en el marco de una prestación transnacional de servicios: hacia un marco normativo europeo más seguro, justo y especializado» [Il distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi: verso un quadro normativo europeo più sicuro, giusto e specializzato], Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2019, n. 1, pagg. da 91 a 95.


39      COM(2016) 128 final, del 18 marzo 2016, proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 96/71.


40      COM(2016) 505 final, del 20 luglio 2016, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e ai parlamenti nazionali sulla proposta di direttiva recante modifica della direttiva relativa al distacco dei lavoratori, per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, a norma del protocollo n. 2.


41      V. l’analisi di Van Nuffel, P. e Afanasjeva, S., «The Posting Workers Directive revised: enhancing the protection of workers in the cross-border provision of services», European Papers, 2018, n. 3, pagg. da 1414 a 1416.


42      COM(2016) 815 final, del 13 dicembre 2016, proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il regolamento (CE) n. 987/2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004.


43      Regolamento (UE) 2019/1149 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che istituisce l’Autorità europea del lavoro, che modifica i regolamenti (CE) n. 883/2004, (UE) n. 492/2011, e (UE) 2016/589 e che abroga la decisione (UE) 2016/344(GU 2019, L 186, pag. 21).


44      Sentenza del 3 dicembre 2019 (C-482/17, EU:C:2019:1035; in prosieguo: la «sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio»).


45      Ibidem, punto 31.


46      Ibidem, punto 32.


47      Ibidem, punto 42.


48      Ibidem, punto 38.


49      Sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C-5/16, EU:C:2018:483), punto 49.


50      Sentenza del 27 gennaio 2000, DIR International Film e a./Commissione (C-164/98 P, EU:C:2000:48), punto 26.


51      Così, il considerando 1: «(...) garantire la parità di condizioni per le imprese e il rispetto dei diritti dei lavoratori». A tale dualità allude anche il considerando 4: la direttiva 2018/957 vuole riesaminare se la direttiva 96/71 «consegua ancora il giusto equilibrio tra la necessità di promuovere la libera prestazione dei servizi e garantire parità di condizioni, da un lato, e quella di tutelare i diritti dei lavoratori distaccati, dall’altro».


52      Nel considerando 2 si legge: «la libera prestazione dei servizi include il diritto delle imprese di prestare servizi nel territorio di un altro Stato membro e di distaccare temporaneamente i propri lavoratori nel territorio di tale Stato membro a tale scopo».


53      Il considerando 3 riafferma l’obiettivo della giustizia e della protezione sociali, che mira a proteggere i lavoratori distaccati. Anche i considerando da 5 a 9 insistono sulla tutela dei lavoratori distaccati.


54      Lo ribadisce il considerando 24: «La presente direttiva stabilisce un quadro equilibrato per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi e la tutela dei lavoratori distaccati, non discriminatorio, trasparente e proporzionato, nel rispetto della diversità delle relazioni industriali nazionali. La presente direttiva non osta all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione più favorevoli per i lavoratori distaccati».


55      Denominazione utilizzata da Marchal Escalona, N., «El desplazamiento de trabajadores en el marco de una prestación transnacional de servicios: hacia un marco normativo europeo más seguro, justo y especializado» [Il distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi: verso un quadro normativo europeo più sicuro, giusto e specializzato], Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2019, n. 1, pagg. da 96 a 98.


56      Sono ricomprese, nella sua lettera h), le «condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro»; e, nella sua lettera i), le «indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali».


57      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale (GU 2008, L 327, pag. 9).


58      Paragrafi da 41 a 44 delle presenti conclusioni.


59      Sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, punto 42.


60      Ibidem, punti 38 e 39.


61      Sentenza del 12 febbraio 2015, Parlamento/Consiglio (C-48/14, EU:C:2015:91), punto 36 e giurisprudenza ivi citata.


62      Sentenze del 15 aprile 2008, Impact (C-268/06, EU:C:2008:223), punti 123 e 124; e del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso (C-307/05, EU:C:2007:509), punti 39 e 40.


63      Sentenze del 19 giugno 2014, Specht e a. (da C-501/12 a C-506/12, C-540/12 e C-541/12, EU:C:2014:2005), punto 33; del 15 aprile 2008, Impact (C-268/06, EU:C:2008:223), punto 125; e del 13 settembre 2007, del Cerro Alonso (C-307/05, EU:C:2007:509), punto 41.


64      «Rientra nella sfera di competenza degli Stati membri stabilire norme sulla retribuzione in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. La determinazione dei salari è una questione di competenza esclusiva degli Stati membri e delle parti sociali. È opportuno prestare particolare attenzione a non pregiudicare i sistemi nazionali di determinazione dei salari o la libertà delle parti interessate».


65      Sentenza Isbir, punti 36 e 37.


66      Un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta essere stato adottato esclusivamente, o quanto meno in maniera determinante, per fini diversi da quelli per i quali il potere di cui trattasi è stato conferito o allo scopo di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato FUE per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenze del 5 maggio 2015, Spagna/Parlamento e Consiglio, C-146/13, EU:C:2015:298, punto 56; e del 16 aprile 2013, Spagna e Italia/Consiglio, C-274/11 e C-295/11, EU:C:2013:240, punto 33).


67      Sentenze del 2 settembre 2015, Groupe Steria (C-386/14, EU:C:2015:524), punto 39; del 26 ottobre 2010, Schmelz (C-97/09, EU:C:2010:632), punto 50; e del 18 settembre 2003, Bosal (C-168/01, EU:C:2003:479), punti 25 e 26. V., per analogia, per quanto riguarda la libera circolazione delle merci, sentenze del 25 giugno 1997, Kieffer e Thill (C-114/96, EU:C:1997:316), punto 27; e del 12 luglio 2012, Association Kokopelli (C-59/11, EU:C:2012:447), punto 80.


68      Sentenza del 13 maggio 1997, Germania/Parlamento e Consiglio (C-233/94, EU:C:1997:231), punto 17: «(...) gli Stati membri possono, ricorrendo determinate circostanze, adottare o mantenere in vigore misure che ostacolano la libera circolazione. Sono in particolare ostacoli di questo tipo che l’art[icolo] 57, [paragrafo] 2, del Trattato consente alla Comunità di eliminare mediante il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accesso alle attività autonome e all’esercizio delle medesime. Trattandosi di misure di coordinamento, la Comunità tiene conto dell’interesse generale perseguito dai diversi Stati membri e dispone un livello di protezione di questo interesse che risulti accettabile nella Comunità».


69      Sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, punto 76.


70      Ibidem, punto 77 e giurisprudenza ivi citata.


71      Ibidem, punto 78 e giurisprudenza ivi citata.


72      Ibidem, punto 79 e giurisprudenza ivi citata. In virtù dell’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, inserito come allegato al TUE e al TFUE, i progetti di atti legislativi terranno debitamente conto della necessità che gli oneri che ricadono sugli operatori economici siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire.


73      Ibidem, punto 81 e giurisprudenza citata.


74      La sentenza del 9 agosto 1994, Vander Elst (C-43/93, EU:C:1994:310), punto 16, dichiara che «(…) la libera prestazione di servizi, in quanto principio fondamentale sancito dal Trattato, può essere limitata solo da norme giustificate dall’interesse generale e valevoli per tutte le persone e le imprese che esercitino un’attività nel territorio dello Stato destinatario, qualora tale interesse non sia tutelato dalle norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito (…)».


75      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36).


76      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), modificato dal regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 (GU 2009, L 284, pag. 1) e dal regolamento (UE) n. 465/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012 (GU 2012, L 149, pag. 4).


77      Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 6, si intende per legislazione del lavoro «le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto nazionale che rispetta il diritto [dell’Unione]».


78      Sentenza Čepelnik, punti da 29 a 36.


79      Il considerando 86 della direttiva 2006/123 conferma, inoltre, che questa regola generale di armonizzazione in materia di commercializzazione di servizi nel mercato interno non si estende alle condizioni di lavoro e di occupazione che, in virtù della direttiva 96/71, si applicano ai lavoratori distaccati per prestare un servizio nel territorio di un altro Stato membro.


80      Sentenza Arblade e a., punto 34.


81      Sentenze De Clercq e a. punti da 45 a 47, e del 7 ottobre 2010, Santos Palhota e a. (C-515/08, EU:C:2010:589), punti da 25 a 27 e 45.


82      Sentenza Laval un Partneri, punto 80.


83      SWD(2016) 52 final, 8.3.2016, Commission Staff Working Document. Impact Assessment accompanying the document Proposal for a Directive of the European Parliament and the Council amending Directive 96/71/EC concerning the posting of workers in the framework of the provision of services.


84      Sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, punto 77.


85      L’eccezione si ispira al desiderio di promuovere, per quanto possibile, la libera prestazione di servizi e di evitare inutili e costose complicazioni amministrative e di altro genere che non risponderebbero all’interesse né dei lavoratori, né delle imprese, né delle amministrazioni della sicurezza sociale.


86      Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU 2008, L 177, pag. 6).


87      L’unica eccezione a questa regola è contenuta all’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71, che prevede che l’applicazione della normativa sul lavoro dello Stato ospitante non impedisce l’applicazione di condizioni di occupazione più favorevoli per i lavoratori. Ciò significa che il lavoratore distaccato può restare soggetto alla legislazione del lavoro e alle condizioni di lavoro del paese di origine, quando queste sono più favorevoli rispetto a quelle dello Stato ospitante. In tali circostanze, lo Stato ospitante deve riconoscere la validità dell’applicazione della legislazione dello Stato di origine e non imporre vincoli supplementari al distacco dei lavoratori finalizzato all’esecuzione di prestazioni transnazionali di servizi.


88      Sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, punto 77.


89      Sentenze del 22 marzo 2007, Talotta (C-383/05, EU:C:2007:181), punto 18, e Laval un Partneri, punto 115.


90      Si tratta di un nucleo di norme imperative di protezione minima applicabili in materie nelle quali lo Stato ospitante può esigere il rispetto del proprio diritto interno (sentenze Laval un Partneri, punto 59; e del 19 giugno 2008, Commissione/Lussemburgo, C-319/06, EU:C:2008:350, punto 26).


91      Il corsivo è mio.


92      Paragrafo 4.5.2 del documento SWD(2016) 52 final dell’8 marzo 2016.


93      V. considerando 19 della direttiva 2018/957.


94      Sentenze dell’8 giugno 2010, Vodafone e a. (C-58/08, EU:C:2010:321), punto 51; del 12 luglio 2012, Association Kokopelli (C-59/11, EU:C:2012:447), punto 38; e del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (C-62/14, EU:C:2015:400), punto 67.


95      Sentenze Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, punto 78; e dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C-343/09, EU:C:2010:419), punto 46.


96      Documento SWD(2016) 52 final dell’8 marzo 2016, pagg. 23 e segg.


97      Il governo francese ha insistito in udienza su queste difficoltà pratiche, segnalando che in Francia si distingueva tra il salario minimo (SMIC) e le «tariffe minime salariali» della direttiva 96/71. Queste ultime includono, oltre al salario minimo, premi per lavoro notturno o per lavori pericolosi, che devono essere pagati anche ai lavoratori distaccati.


98      Punti da 38 a 70.


99      Documento SWD(2016) 52 final dell’8 marzo 2016, pagg. 10 e 11.


100      «La definizione di quali siano gli elementi costitutivi della nozione di salario minimo, per l’applicazione di tale direttiva, rientra nell’ambito del diritto dello Stato membro in cui avviene il distacco, fermo restando che tale definizione, come risulta dalla legislazione o dai pertinenti contratti collettivi nazionali o dall’interpretazione che ne danno i giudici nazionali, non può avere l’effetto di ostacolare la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri». Sentenze Sähköalojen ammattiliitto, punto 34, e Isbir, punto 37.


101      Sentenza Sähköalojen ammattiliitto, punto 39.


102      V. Fondazione Giacomo Brodolini (FGB), Study on wage setting systems and minimum rates of pay applicable to posted workers in accordance with Directive 97/71/EC in a selected number of Member States and sectors, Final report, November 2015; Schiek, Oliver, Forde, Alberti, EU Social and Labour Rights and EU Internal Market Law, Study for the EMPL Committee, European Parliament, September 2015 (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2015/563457/IPOL_STU%282015%29563457_EN.pdf);


103      Documento SWD(2016) 52 final, dell’8 marzo 2016, pagg. da 11 a 14.


104      «Il distacco è di natura temporanea. I lavoratori distaccati generalmente rientrano nello Stato membro a partire dal quale sono stati distaccati dopo aver effettuato il lavoro per il quale sono stati distaccati. Tuttavia, in considerazione della lunga durata di determinati distacchi, e riconoscendo il nesso fra il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante e i lavoratori distaccati per tali periodi di lunga durata, qualora il distacco duri per periodi superiori a 12 mesi, gli Stati membri ospitanti dovrebbero assicurare che le imprese che distaccano lavoratori nel loro territorio garantiscano agli stessi una serie aggiuntiva di condizioni di lavoro e di occupazione applicabili in via obbligatoria ai lavoratori nello Stato membro in cui il lavoro è svolto. Tale periodo dovrebbe essere prorogato qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata».


105      «È necessario garantire una maggiore protezione dei lavoratori per salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa, sia a breve che a lungo termine, in particolare evitando l’abuso dei diritti garantiti dai trattati. Tuttavia, le norme che garantiscono tale protezione dei lavoratori non possono pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi anche nei casi in cui un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi. Qualsiasi disposizione applicabile a lavoratori distaccati nel contesto di un distacco superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi deve pertanto essere compatibile con tale libertà. In conformità della giurisprudenza consolidata, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi sono ammissibili solo se sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale e se sono proporzionate e necessarie».


106      La Commissione ha caldeggiato la modifica del regime giuridico del contratto individuale di lavoro nel caso di lavoratori distaccati di lunga durata, raccomandando che si applicasse loro il diritto del lavoro del paese ospitante. V. articolo 2 bis della proposta della Commissione COM(2016) 128 e valutazione d’impatto SWD(2016) 52 final, pag. 25.


107      Sentenze Dobersberger, punto 24, e del 22 dicembre 2010, Yellow Cab Verkehrsbetrieb (C-338/09, EU:C:2010:814), punto 29.


108      Conclusioni dell’avvocato generale Szpunar, del 29 luglio 2019, nella causa Dobersberger (C-16/18, EU:C:2019: 638), paragrafo 36.


109      V. articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 96/71.


110      V. articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2014/67. La dichiarazione comune allegata al verbale della sessione del Consiglio «Lavoro e affari sociali» del 24 settembre 1996 (documento 10048/96 add. 1, del 20 settembre 1996, allegato C.1) indica che sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva 96/71 i lavoratori mobili del trasporto ferroviario, terrestre, aereo o fluviale solo in caso di mancanza di prestazione transnazionale del servizio con distacco del lavoratore.


111      Considerando 11 del regolamento (CE) n. 1072/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada (GU 2009, L 300, pag. 72), e considerando 17 del regolamento (CE) n. 1073/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 (GU 2009, L 300, pag. 88).


112      «A causa dell’elevato grado di mobilità che caratterizza il lavoro nel settore del trasporto internazionale su strada, l’attuazione della presente direttiva in tale settore solleva particolari problematiche e difficoltà di natura giuridica, che saranno affrontate, nel quadro del pacchetto sulla mobilità, mediante norme specifiche per il trasporto su strada anche rafforzando la lotta contro frodi e abusi».


113      L’applicazione della direttiva 96/71 ai lavoratori distaccati nel settore del trasporto su strada è oggetto di analisi nella causa C-815/18, Federatie Nederlandse Vakbeweging, pendente dinanzi alla Grande Sezione.


114      COM(2017) 278 final, del 31 maggio 2017, Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/22 per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e fissa norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE e la direttiva 2014/67/UE sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada.


115      A norma dell’articolo 23 del regolamento Roma I, «(…) il presente regolamento non pregiudica l’applicazione delle disposizioni dell’ordinamento comunitario che, con riferimento a settori specifici, disciplinino i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali».


116      V. l’analisi di Van Hoek, A., «Re-embedding the transnational employment relationship: a tale about the limitations of (EU) law?», Common Market Law Review, 2018, n. 3, pagg. da 455 a 460.


117      V. conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Sähköalojen ammattiliitto (C-396/13, EU:C:2014:2236), paragrafi da 47 a 53.


118      In realtà, la direttiva 96/71 non comporta la disapplicazione del regolamento Roma I, ma impone di coordinare i due testi. A norma dell’articolo 3, paragrafo 1 e paragrafo 1 bis, «gli Stati membri provvedono affinché, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro (...)» si applichino una serie di condizioni di lavoro del paese ospitante. Ciò comporta che la legge applicabile al contratto di lavoro si determina ai sensi dell’articolo 8 del Roma I, ma che le sue conseguenze sono limitate in quanto l’articolo 3, paragrafo 1 e paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 impone che al contratto di lavoro si applichino, in ogni caso, talune condizioni di lavoro disciplinate dalle norme dello Stato ospitante.


119      V. documento COM(2005) 650 final, del 15 dicembre 2005, pag. 24.


120      Secondo una giurisprudenza costante, il principio della certezza del diritto esige che le norme di diritto siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, affinché gli interessati possano orientarsi nelle situazioni e nei rapporti giuridici rientranti nell’ordinamento dell’Unione (sentenza del 5 maggio 2015, Spagna/Consiglio, C-147/13, EU:C:2015:299, punto 79).


121      «Se un’impresa (...) sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata del distacco ai fini del presente paragrafo corrisponde alla durata complessiva dei periodi di distacco dei singoli lavoratori distaccati interessati».


122      Così ha dichiarato in udienza.