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Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

dell’8 settembre 2022 (1)

Causa C-378/21

P GmbH

in presenza di:

Finanzamt Österreich

(domanda di pronuncia pregiudiziale del Bundesfinanzgericht [Tribunale federale delle finanze, Austria])

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto – Errore sul corretto livello dell’aliquota – Rettifica dell’imposta dovuta – Impossibilità di fatto della rettifica di fatture già emesse – Superfluità della rettifica della fattura qualora i destinatari della prestazione non siano soggetti passivi – Esclusione del rischio di perdita di gettito fiscale – Eccezione di arricchimento senza causa»






I.      Introduzione

1.        La normativa in materia di IVA è un settore giuridico insidioso per i soggetti passivi, che in realtà devono riscuotere detta imposta dai loro clienti solo per conto dello Stato. Ad esempio, qualora il soggetto passivo applichi erroneamente un’aliquota troppo bassa, egli dovrà nondimeno versare allo Stato l’importo corretto (più elevato) dell’imposta. Ciò vale anche nel caso in cui non possa successivamente trasferire ai propri clienti l’IVA più elevata per motivi di diritto e/o di fatto.

2.        Nel presente procedimento pregiudiziale, la Corte è chiamata a decidere il caso inverso, nel quale il soggetto passivo abbia erroneamente calcolato un’aliquota troppo elevata per un intero anno, esponendola in fattura e quindi versandola. Si pone la questione se lo Stato possa trattenere l’IVA in eccesso o se debba restituirla al soggetto passivo. In fondo, l’imposta non è sostanzialmente sorta nella misura di quell’importo. D’altra parte, l’indicazione di un’imposta troppo elevata nelle fatture emesse potrebbe indurre i clienti ad effettuare detrazioni eccessive. Ci si chiede dunque se dette fatture debbano essere precedentemente rettificate e se ciò valga anche nel caso in cui i servizi siano stati prestati esclusivamente a consumatori finali non legittimati alla detrazione, che non possono in ogni caso esercitare un diritto a detrazione.

3.        In considerazione del carattere di imposta sul consumo, dovrebbe essere in realtà il cliente a ricevere dal prestatore il rimborso dell’IVA pagata in eccesso. Tuttavia, ove ciò non sia possibile sotto il profilo giuridico (ad esempio, qualora sia stato convenuto un prezzo fisso) oppure dal punto di vista fattuale (ad esempio, perché i clienti non sono nominativamente identificati), si pone la questione volta a stabilire chi possa risultare in definitiva «arricchito» a seguito dell’errore nella determinazione dell’importo corretto dell’imposta: lo Stato oppure il soggetto passivo che ha commesso l’errore.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        Il contesto normativo dell’Unione è costituito dalla direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «direttiva IVA») (2).

5.        L’articolo 73 della direttiva IVA riguarda la base imponibile e recita come segue:

«Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

6.        Il successivo articolo 78 specifica gli elementi che devono essere compresi nella base imponibile o da essa esclusi:

«Nella base imponibile devono essere compresi i seguenti elementi:

a)      le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA; (…)».

7.        Il seguente articolo 193 indica chi è il debitore dell’IVA:

«L’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, eccetto che nei casi in cui l’imposta è dovuta da una persona diversa in virtù degli articoli da 194 a 199 ter e 202».

8.        L’articolo 168, lettera a), della medesima direttiva riguarda la portata del diritto a detrazione e così dispone:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)      l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo; (…)».

9.        L’articolo 203 di detta direttiva prevede l’esposizione in fattura dell’imposta dovuta.

«L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

10.      L’articolo 220, paragrafo 1, della direttiva in discorso dispone l’obbligo di emissione della fattura:

«Ogni soggetto passivo assicura che sia emessa una fattura, da lui stesso, dall’acquirente o dal destinatario o, in suo nome e per suo conto, da un terzo, nei casi seguenti:

1.      per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi che effettua nei confronti di un altro soggetto passivo o di un ente non soggetto passivo; (…)».

B.      Diritto austriaco

11.      L’articolo 11, paragrafo 1, primo comma, del Bundesgesetz über die Besteuerung der Umsätze (Umsatzsteuergesetz 1994) [legge federale relativa all’imposta sulla cifra d’affari del 1994; in prosieguo: l’«UStG»] disciplina l’obbligo di emettere una fattura:

«L’imprenditore, qualora effettui operazioni ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, punto 1, è legittimato ad emettere fatture. Se effettua tali operazioni per l’impresa di un altro soggetto o per una persona giuridica che non sia imprenditore, egli è obbligato ad emettere fatture. Se effettua una prestazione imponibile di contratto d’opera con materia fornita dal prestatore con riguardo a un bene immobile per un non imprenditore, egli è obbligato ad emettere fatture. L’imprenditore deve ottemperare all’obbligo di emettere una fattura entro sei mesi dall’esecuzione dell’operazione».

12.      L’articolo 11, paragrafo 12, dell’UStG riguarda l’imposta dovuta nel caso di esposizione indebita dell’imposta e così recita:

«Se nella fattura per la cessione o l’altra prestazione l’impresa ha indicato separatamente un importo di imposta non dovuto per l’operazione ai sensi della presente legge, essa è tenuta a versare tale importo in base alla fattura, qualora non ne effettui la conseguente rettifica nei confronti del cessionario o del destinatario dell’altra prestazione. In caso di rettifica si applica mutatis mutandis l’articolo 16, paragrafo 1».

13.      L’articolo 239 a del Bundesgesetz über allgemeine Bestimmungen und das Verfahren für die von den Abgabenbehörden des Bundes, der Länder und Gemeinden verwalteten Abgaben [legge federale recante disposizioni generali e la procedura relativa alle imposte gestite dalle amministrazioni finanziarie federali, regionali e comunali] [Bundesabgabenordnung (codice federale delle imposte); in prosieguo: la «BAO»], così dispone:

«Nella misura in cui un prelievo che, in base alla finalità della norma che lo dispone, deve essere sostenuto economicamente da una persona diversa dal suo soggetto passivo, sia stato sostenuto da una persona che non è il soggetto passivo, si devono escludere:

1.       l’accredito nel conto fiscale,

2.       il rimborso, il trasferimento o la conversione di crediti e

3.       l’utilizzo ai fini del rimborso di debiti fiscali,

se ciò comporta un arricchimento senza causa del soggetto tenuto al pagamento del tributo».

III. Fatti e procedimento pregiudiziale

14.      La parte ricorrente dinanzi al giudice del rinvio (in prosieguo: la «P GmbH») è una società a responsabilità limitata di diritto austriaco.

15.      Essa gestisce un parco giochi al coperto. Nel 2019, anno di riferimento, la P GmbH applicava al corrispettivo pagato per i suoi servizi (biglietti d’ingresso nel parco giochi al coperto) l’aliquota ordinaria austriaca del 20%. In realtà, nel suddetto anno di riferimento tali servizi erano però soggetti all’aliquota ridotta del 13% (una delle aliquote ridotte austriache ai sensi dell’articolo 98, paragrafo 1, della direttiva IVA).

16.      Al momento del pagamento del corrispettivo da parte dei clienti, la P GmbH emetteva ricevute del registratore di cassa, le quali costituiscono fatture di modico valore ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 6, dell’UStG del 1994 (fatture semplificate ai sensi dell’articolo 238 in combinato disposto con l’articolo 226 ter della direttiva IVA). Nell’anno di riferimento, il 2019, la P GmbH emetteva un totale di 22 557 fatture. In tale anno, i clienti della P GmbH erano esclusivamente consumatori finali non legittimati alla detrazione.

17.      La P GmbH rettificava la propria dichiarazione IVA per l’anno 2019 affinché le fosse riaccreditata dall’Ufficio delle imposte l’IVA pagata in eccesso.

18.      L’Ufficio delle imposte rifiutava di effettuare una rettifica per due motivi: (1) in base alla contabilità, la P GmbH era tenuta a versare l’IVA più elevata qualora non avesse rettificato le proprie fatture. (2) L’IVA non era dovuta dalla P GmbH, bensì dai suoi clienti. La P GmbH avrebbe quindi ottenuto un arricchimento in caso di rettifica dell’IVA.

19.      Avverso detta decisione la P GmbH presentava un ricorso. Il Bundesfinanzgericht (Tribunale federale delle finanze) competente per l’impugnazione sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

1. Se l’imposta sul valore aggiunto sia dovuta dall’emittente fattura ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA, qualora – come nel caso in esame – non vi possa essere alcun rischio di perdita di gettito fiscale, in quanto i destinatari delle prestazioni di servizi non sono consumatori finali legittimati alla detrazione.

2. In caso di risposta affermativa alla prima questione, con conseguente soggezione dell’emittente fattura all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA:

a)       se la rettifica delle fatture nei confronti dei destinatari delle prestazioni possa essere omessa, qualora, da un lato, sia escluso il rischio di perdita di gettito fiscale e, dall’altro, la rettifica delle fatture risulti di fatto impossibile;

b)       se la rettifica dell’imposta sul valore aggiunto sia preclusa dal fatto che i consumatori finali abbiano sostenuto l’imposta con il pagamento del prezzo e che dunque il soggetto passivo tragga un arricchimento dalla rettifica dell’imposta sul valore aggiunto.

20.      Nel procedimento dinanzi alla Corte, la Repubblica d’Austria e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la Corte ha deciso di non tenere un’udienza di discussione.

IV.    Valutazione giuridica

A.      Sulle questioni pregiudiziali e sullo svolgimento dell’indagine

21.      Con le sue due questioni, il giudice del rinvio chiede l’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva IVA. Quest’ultimo impone un debito d’imposta a chiunque indichi l’IVA in fattura.

22.      Secondo le questioni e i fatti comunicati, nella fattispecie in esame è escluso che i clienti della P GmbH siano legittimati alla detrazione, in quanto si trattava di meri consumatori finali (vale a dire, non erano soggetti passivi). Nel caso di utilizzazione a titolo oneroso di un parco giochi al coperto, è inoltre difficilmente ipotizzabile che un soggetto passivo si sia avvalso del biglietto d’ingresso venduto dalla P GmbH ai fini delle sue operazioni assoggettate a imposta (v. articolo 168 della direttiva IVA).

23.      Tuttavia, nell’anno di riferimento la P GmbH ha emesso 22 557 fatture a 22 557 utenti del parco giochi probabilmente diversi. È possibile che tra loro ci fosse un soggetto passivo che ha utilizzato la fattura – a torto o a ragione – per esercitare il corrispondente diritto a detrazione. Anche se tale ipotesi è esclusa dalle questioni sollevate dal giudice del rinvio, si tratta della fattispecie più rilevante nella pratica.

24.      Per questo motivo, l’articolo 203 della direttiva IVA verrà interpretato anzitutto presumendo che le 22 557 fatture che espongono un’imposta in eccesso non costituiscano un rischio di perdita di gettito fiscale (v., al riguardo, sub B.). In secondo luogo, si partirà dal presupposto che non possa escludersi del tutto un certo rischio di perdita di gettito fiscale (v., al riguardo, sub C.). Si tratterà quindi la questione della rettifica dell’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA, in cui dovrà essere esaminata anche la necessità di rettificare 22 557 fatture (v., al riguardo, sub D.). Infine, si verificherà se l’eccezione di arricchimento senza causa possa essere sollevata nei confronti della P GmbH qualora i clienti abbiano pagato integralmente il prezzo (v., al riguardo, sub E.).

B.      Sull’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA in mancanza di rischio di perdita di gettito fiscale

1.      IVA esposta in maniera errata in una fattura

25.      Secondo l’articolo 203 della direttiva IVA, l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura. Tuttavia, già ai sensi del precedente articolo 193, l’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile. Dato che detto soggetto passivo è obbligato, ai sensi dell’articolo 220, paragrafo 1, punto 1, della direttiva menzionata, a emettere una fattura quantomeno nei confronti di altri soggetti passivi, ciò comporterebbe un secondo debito d’imposta per una medesima operazione. Pertanto, il suddetto articolo 203 deve essere interpretato in modo restrittivo.

26.      In caso contrario, un soggetto passivo che contabilizzi correttamente una prestazione imponibile sarebbe debitore dell’IVA due volte: tanto ai sensi dell’articolo 203, quanto ai sensi dell’articolo 193 della direttiva IVA. Tale effetto non può corrispondere all’intenzione del legislatore. L’articolo 203 può possedere un proprio significato solo nel senso di prevedere un debito d’imposta ulteriore rispetto all’articolo 193. Dato che la ratio dell’articolo 203 consiste nell’eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale (3) (v. più dettagliatamente infra, paragrafi 30 e segg.), esso non può essere applicato al «caso normale» in cui un soggetto passivo emette una fattura corretta. Di conseguenza, l’articolo 203 riguarda «soltanto» l’IVA indebitamente fatturata, ossia l’IVA che non è dovuta per legge pur essendo esposta in fattura.

27.      Nel caso di cui trattasi, nelle fatture figurava un importo d’imposta eccessivo (per effetto dell’applicazione dell’aliquota ordinaria anziché di quella ridotta). La differenza che ne risulta veniva indebitamente esposta in fattura, segnatamente in misura troppo elevata. Detta differenza potrebbe essere dovuta da colui che ha emesso la fattura in forza dell’articolo 203 della direttiva IVA, in presenza delle altre condizioni. L’importo restante è già dovuto ai sensi del precedente articolo 193 e non è oggetto di contestazione.

2.      Sulla nozione di fattura ai sensi dellarticolo 203 della direttiva IVA

28.      A termini della domanda di pronuncia pregiudiziale, le ricevute del registratore di cassa emesse costituiscono cosiddette fatture di modico importo, per le quali, ai sensi dell’articolo 238 in combinato disposto con l’articolo 226 b della direttiva IVA, sono richieste meno indicazioni. Tuttavia, anche su di esse è necessario indicare l’importo dell’IVA da pagare.

29.      Tale fattura è una fattura emessa in conformità al titolo XI, capo 3, sezioni da 3 a 6, che pertanto, ai sensi dell’articolo 178, lettera a), conferisce il diritto a detrazione a norma dell’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA. Diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione, è irrilevante a tal fine stabilire se la P GmbH fosse o meno obbligata a emettere le rispettive fatture nei confronti dei consumatori finali. L’articolo 220, paragrafo 1, punto 1, della medesima direttiva depone per una risposta negativa. L’articolo 203 è collegato solo all’esistenza di una fattura e, in base al suo tenore letterale, si applica anche alle cosiddette fatture di modico valore.

30.      Il fatto che l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA si riferisca all’IVA indicata separatamente in maniera indebita (a un livello troppo elevato) anche nelle fatture di modico valore è in linea con la precedente giurisprudenza della Corte relativa alla finalità del suddetto articolo 203. Detta giurisprudenza afferma che l’articolo di cui trattasi mira a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare da una detrazione ingiustificata da parte del destinatario della fattura sulla base della stessa fattura (4).

31.      Sebbene il diritto a detrazione sia limitato soltanto alle imposte corrispondenti a un’operazione soggetta all’IVA (5), tuttavia, il rischio di perdita di gettito fiscale persiste fintantoché il destinatario di una fattura, la quale espone indebitamente l’IVA, possa utilizzarla al fine dell’esercizio di detto diritto ai sensi dell’articolo 168 della direttiva IVA (6). Non può infatti escludersi che l’amministrazione finanziaria non riesca a stabilire tempestivamente che considerazioni di diritto sostanziale ostano all’esercizio del diritto a detrazione formalmente concesso.

32.      Nel caso di un’indicazione indebita dell’IVA in fattura, l’articolo 203 della direttiva IVA mira quindi a creare una corrispondenza tra la detrazione operata dal destinatario della fattura e l’imposta dovuta da colui che ha emesso detta fattura, analoga a quella che si verificherebbe, di norma, per il prestatore e il destinatario nel caso di una fattura corretta (7). Secondo la formulazione di detto articolo, non è necessario, a tal riguardo, che il destinatario della fattura abbia effettivamente esercitato il diritto a detrazione. È sufficiente che esista il rischio del suo esercizio. Di conseguenza – come giustamente sottolineato anche dall’Austria – in base alla ratio della disposizione sono incluse tutte le fatture che potrebbero indurre il destinatario ad esercitare il diritto a detrazione. Come già esposto supra (paragrafi 28 e segg.), ciò vale anche per le fatture di modico valore.

3.      Sulla necessità dellesistenza di un rischio di perdita di gettito fiscale

33.      Ne consegue che colui che ha emesso la fattura risponde, indipendentemente dalla colpa, del rischio (vale a dire in maniera astratta) che il destinatario della fattura possa effettuare indebitamente una detrazione sulla base di detta fattura (errata). Si tratta di una responsabilità oggettiva astratta di colui che ha emesso la fattura. Detto regime si applica anche nel caso di errore sull’aliquota corretta, nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, nella fattura figuri l’aliquota ordinaria invece di quella ridotta. Il presupposto, tuttavia, è che sussista il rischio di una detrazione indebita (eccessiva), come giustamente sottolineato dalla Commissione.

34.      È quindi dubbio se, nel caso di specie, trovi applicazione l’articolo 203 della direttiva IVA. Ai sensi dell’articolo 168 di detta direttiva, la detrazione è possibile solo per un soggetto passivo (in presenza di ulteriori circostanze). Un consumatore finale non ha di per sé un diritto a detrazione.

35.      Il rischio (astratto) di una detrazione indebita da parte di una persona che non sia soggetto passivo, invece, è prossimo allo zero, tranne che nel caso di un’impresa in fase di costituzione. Tuttavia, in assenza di operazioni imponibili, la detrazione da essa operata è in ogni caso soggetta a uno scrutinio più attento da parte dell’amministrazione finanziaria. Probabilmente anche per tale motivo il giudice del rinvio ritiene che in una situazione analoga a quella di cui trattasi nel caso di specie sia escluso il rischio di perdita di gettito fiscale.

36.      Ove l’articolo 203 della direttiva IVA costituisca una fattispecie di rischio, ma tale rischio sia di per sé escluso perché i destinatari della prestazione e della fattura non sono soggetti passivi bensì consumatori finali, tale disposizione non è applicabile.

4.      Conclusione intermedia

37.      Pertanto, alla prima questione può fornirsi la seguente risposta: ove i destinatari delle prestazioni siano consumatori finali non aventi diritto alla detrazione, colui che ha emesso la fattura non è soggetto all’IVA ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA.

C.      Sull’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA nel caso in cui non possa escludersi il rischio di perdita di gettito fiscale

38.      In particolare, l’Austria contesta i fatti riportati dal giudice del rinvio, secondo cui sarebbe escluso un rischio di perdita di gettito fiscale. Benché appaia plausibile che gli utenti di un parco giochi al coperto siano solo consumatori finali e non soggetti passivi dell’IVA, non può escludersi a priori che tra i 22 557 biglietti d’ingresso (o fatture) possano trovarsi anche uno o più soggetti passivi.

39.      È ipotizzabile, ad esempio, che un padre visiti questo parco giochi al coperto con suo figlio. Ove il padre sia un soggetto passivo (ad esempio, un fotografo lavoratore autonomo), sussiste quantomeno il rischio astratto che detta fattura – a ragione (in caso di vendita delle fotografie ivi scattate) o a torto (in caso di foto private) – figuri nella sua dichiarazione IVA e che possa quindi essere fatta valere una detrazione eccessiva. In tali circostanze, sarebbe applicabile l’articolo 203 della direttiva IVA. In ultima analisi, però, spetta al giudice del rinvio valutare se e in che misura sussista un rischio astratto che si comprometta la corrispondenza tra l’imposta dovuta dal prestatore e la detrazione da parte del destinatario.

40.      Pur non potendosi escludere un certo rischio astratto in singoli casi, ciò non significa che l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA si estenda a tutte le 22 557 fatture. Una siffatta «idea di contaminazione» – dato che non può escludersi che un soggetto passivo abbia ricevuto una corrispondente fattura, tutte le fatture ricadono nel campo di applicazione dell’articolo 203 – è estranea alla normativa in materia di IVA e non viene motivata più dettagliatamente dall’Austria.

41.      L’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA si riferisce alla singola fattura errata. Ove necessario, il numero di «fatture rischiose» in astratto va determinato mediante una stima, in generale sempre possibile nel diritto processuale tributario, e l’imposta dovuta di cui alla suddetta disposizione deve essere limitata a tali fatture. Tale conclusione è altresì conforme al principio di neutralità, secondo il quale il soggetto passivo, in quanto collettore d’imposta per conto dello Stato, deve essere sgravato, in linea di massima, dall’onere dell’IVA (8).

42.      Nella fattispecie in esame, in considerazione della natura del servizio imponibile (biglietto di ingresso in un parco giochi al coperto), che viene fruito da un soggetto passivo tutt’al più in via eccezionale, può ipotizzarsi un rischio potenziale molto basso.

43.      Pertanto, la risposta alla prima questione può essere integrata come segue: qualora tra i destinatari delle fatture figurino anche soggetti passivi, l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA trova invece applicazione. La quota di tali fatture, che configurano un rischio astratto, deve essere determinata, ove necessario, mediante stima.

D.      Errore sul livello dell’aliquota e obbligo di rettifica delle fatture

44.      Nella misura in cui trova applicazione l’articolo 203 della direttiva IVA, si pone la questione della possibilità di rettificare le suddette fatture al fine di ridurre l’imposta dovuta indicata in misura eccessiva (in base alla fattura) al livello dell’imposta sostanzialmente dovuta per legge (in base all’operazione imponibile) ai sensi dell’articolo 193 della medesima direttiva. La questione si porrebbe del pari qualora, contrariamente alla mia proposta, la Corte estendesse l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 anche alle fatture emesse nei confronti di consumatori finali che non siano soggetti passivi.

1.      Giurisprudenza della Corte relativa alla possibilità di rettifica

45.      A tal proposito, la Corte ha già dichiarato che la direttiva IVA non contiene alcuna disposizione relativa alla regolarizzazione, da parte di chi emette la fattura, dell’IVA indebitamente fatturata (9). Fino a quando tale lacuna non sarà colmata dal legislatore dell’Unione, spetterà agli Stati membri il compito di ovviarvi (10). Tuttavia, la Corte ha sviluppato due approcci a detta soluzione, che gli Stati membri devono prendere in considerazione.

46.      Da un lato, per garantire la neutralità dell’IVA, incombe pertanto agli Stati membri contemplare, nel rispettivo ordinamento giuridico interno, la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede (11).

47.      Secondo la Corte, ciò esclude, ad esempio, una normativa nazionale che non contempla la possibilità di una rettifica dell’imposta dovuta quando sia stato avviato un controllo fiscale (12). Lo stesso vale nel caso in cui tale rettifica da parte di chi ha emesso fatture in buona fede viene subordinata alla rettifica delle fatture, che di fatto non è possibile perché i destinatari delle fatture non sono nemmeno identificati nominativamente. Una condizione del genere sarebbe sproporzionata (13).

48.      Dall’altro lato, quando colui che ha emesso la fattura ha tempestivamente eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale, il principio di neutralità dell’IVA impone che l’IVA indebitamente fatturata possa essere rettificata, senza che gli Stati membri possano subordinare siffatta regolarizzazione alla buona fede del soggetto che ha emesso la fattura (14). Inoltre, tale rettifica non può dipendere dal potere discrezionale dell’amministrazione tributaria (15).

a)      Rettifica dellimposta dovuta nel caso di buona fede di colui che emette la fattura

49.      Dalla menzionata giurisprudenza si evince che un soggetto passivo, il quale dimostri la propria buona fede, può rettificare l’IVA indebitamente fatturata (ossia l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA) nonostante il persistente rischio di perdita di gettito fiscale (16).

50.      Tale giurisprudenza (17) tiene conto del fatto che l’imprenditore che esegue la prestazione (il quale peraltro emette o deve emettere in parte la fattura – v. articolo 220 della direttiva IVA) ha l’unica funzione di collettore d’imposta per conto dello Stato (18). Nella sua memoria, la Commissione lo definisce addirittura un «braccio operativo dell’ufficio delle imposte». Laddove egli assolva detta funzione in buona fede, lo Stato che lo ha coinvolto come collettore d’imposta deve rispondere delle conseguenze di eventuali errori.

51.      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non si evince in maniera chiara il motivo per cui la P GmbH abbia utilizzato l’aliquota errata. A tal proposito, spetta al giudice del rinvio verificare se sia possibile ravvisare, nel caso di specie, la buona fede dell’emittente fattura in tal senso. Tuttavia, bisogna prendere in considerazione, a tal riguardo, il fatto che l’individuazione dell’aliquota corretta dipende talvolta da difficili distinguo giuridici e dunque non può essere sempre determinata con certezza. In tali casi, sussiste un elevato rischio di incorrere in un errore di diritto. Quanto più complessa è la direttiva IVA o, rispettivamente, la legge nazionale in materia di IVA, tanto più elevato è il relativo rischio per il contribuente.

52.      Pertanto, se l’aliquota errata è stata applicata solo a causa di un’erronea valutazione giuridica (errore di diritto), ritengo che debba ammettersi che colui che ha emesso la fattura sia in buona fede. Un esempio può essere quello in cui non è chiara l’aliquota applicabile e il soggetto passivo opta per quella che in seguito si rivelerà l’alternativa erronea. La situazione potrebbe essere differente per le situazioni in cui il soggetto passivo non si sia affatto preoccupato dell’aliquota fiscale oppure in cui fosse chiaro quale era l’aliquota applicabile. Un siffatto errore di diritto sarebbe incomprensibile e inspiegabile, per cui non ravviserei in colui cha ha emesso la fattura la buona fede nel senso suesposto. È pertanto decisiva la circostanza che ad un soggetto passivo, in qualità di collettore d’imposta per conto dello Stato, possa essere addebitata o meno l’emissione della fattura errata.

53.      Pertanto, ove il giudice del rinvio accerti che la P GmbH, nell’applicare erroneamente l’aliquota ordinaria, abbia agito in buona fede nel senso suesposto, non sarà rilevante stabilire se il rischio di perdita di gettito fiscale sia stato eliminato. Dato che detto rischio deriva esclusivamente dall’esistenza di fatture non veritiere, la rettifica delle fatture non sarebbe necessaria nemmeno ai fini della rettifica dell’imposta dovuta.

b)      Rettifica dellimposta dovuta indipendentemente dalla buona fede di colui che ha emesso la fattura

54.      La questione della rettifica delle fatture al fine di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale si pone tuttavia laddove il giudice del rinvio giunga alla conclusione che il soggetto passivo non ha agito in buona fede all’atto dell’emissione della fattura. In tal caso, l’imposta dovuta può essere rettificata ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA nel solo caso in cui il rischio suddetto sia stato eliminato in modo tempestivo e completo.

55.      In ogni caso – così proseguiva la Corte – i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto necessario a tal fine. Essi non possono, pertanto, essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA (19). Ciò vale, in particolare, per una fattispecie che pone un rischio astratto (su tale aspetto v. già supra, paragrafi 30 e segg.).

56.      Qualora il rimborso dell’IVA – inteso come riduzione dell’IVA dovuta ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA – divenga impossibile o eccessivamente difficile alla luce delle condizioni alle quali possono essere presentate domande di rimborso delle imposte, i suddetti principi possono imporre che gli Stati membri prevedano gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire al soggetto passivo di recuperare l’imposta indebitamente fatturata (20).

57.      Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, nella fattispecie in esame non sussiste alcun rischio di perdita di gettito fiscale. In tal caso, non è necessaria una rettifica delle fatture.

2.      Sul trattamento dellimpossibilità di fatto di una rettifica

58.      Nella misura in cui nondimeno sussista un certo rischio (v., al riguardo, supra paragrafi 38 e segg.), circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare e, se necessario, determinare mediante una stima, occorrerebbe però una rettifica, in linea di principio, al fine di eliminare il suddetto rischio di perdita di gettito fiscale – derivante dall’esistenza di fatture non veritiere.

59.      Il giudice del rinvio solleva al riguardo la questione se possa essere rispettato tale principio laddove la rettifica delle fatture di cui trattasi sia di fatto impossibile in quanto i rispettivi destinatari non sono identificabili nominativamente. Pretendere qualcosa di impossibile da chi emette la fattura potrebbe essere un requisito sproporzionato. D’altra parte, colui che ha emesso la fattura – come rileva l’Austria – ha determinato con il proprio comportamento il rischio di perdita di gettito fiscale.

60.      A mio avviso, anche in tali casi – esistenza del rischio di perdita di gettito fiscale e impossibilità di fatto di rettificare le fatture indebitamente emesse – la soluzione dipende dalla valutazione dell’errore. Ciò è in linea con la giurisprudenza della Corte, secondo cui va protetto colui che ha emesso la fattura e agisce in buona fede (v. supra, paragrafi 52 e segg.), mentre colui che ha emesso la fattura e non agisce in buona fede è tenuto a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale. Ove ciò sia possibile solo mediante la rettifica della fattura, l’impossibilità di effettuarla resta a carico di colui che ha emesso la fattura.

61.      Dato che il rischio di perdita di gettito fiscale deriva dall’esistenza di fatture errate, è necessario che queste ultime, in linea di principio, vengano rettificate. Ove ciò non si verifichi, l’imposta dovuta non può essere ridotta in conformità all’articolo 203 della direttiva IVA. Diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione, è irrilevante se sussistesse un obbligo di emettere fatture, in quanto si tratta dell’eliminazione di un debito di IVA sorto a seguito di un’indebita fatturazione (v. supra, paragrafi 25 e segg.).

3.      Conclusione intermedia

62.      Il diritto dell’Unione, in particolare i principi di proporzionalità e neutralità dell’IVA, postula la possibilità di una rettifica del debito di IVA, che è configurato come una responsabilità oggettiva per rischio astratto in virtù dell’articolo 203 della direttiva IVA. L’obbligo di consentire una rettifica sussiste indipendentemente dall’eliminazione del rischio di perdita di gettito fiscale che ne deriva, qualora colui che ha emesso la fattura abbia agito in buona fede perché, ad esempio, è semplicemente incorso in un errore di diritto. Ove egli non abbia agito in buona fede, il suddetto rischio deve essere eliminato. A tal fine, la fattura, in linea di principio, deve essere rettificata. Nel caso in cui ciò non sia possibile per colui che ha emesso la fattura, tale impossibilità rientra nella sua sfera di rischio, con la conseguenza che permane l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della medesima direttiva.

E.      Sull’eccezione dell’arricchimento senza causa

63.      Con la seconda questione, sub b), il giudice del rinvio chiede se la rettifica dell’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA sia preclusa dal fatto che i consumatori finali abbiano sostenuto l’eccedenza dell’IVA con il pagamento del prezzo, cosicché, in ultima analisi, si sarebbe arricchito solo il soggetto passivo che ha effettuato la prestazione (nella fattispecie in esame, la P GmbH).

64.      Il diritto dell’Unione non osta a che un regime giuridico nazionale (come, nel caso in esame, l’articolo 239 a della BAO) neghi la restituzione di tasse indebitamente percepite in presenza di condizioni tali da comportare un arricchimento senza causa degli aventi diritto (21). Tuttavia, «il principio del divieto dell’arricchimento senza causa dev’essere attuato nel rispetto di principi come il principio della parità di trattamento» (22).

65.      Come già stabilito dalla Corte, tuttavia, l’arricchimento non esiste per il solo fatto che l’imposta contraria al diritto dell’Unione sia stata traslata sul consumatore finale attraverso il prezzo. Ciò è dovuto al fatto che il soggetto passivo può aver subito un danno economico dalla diminuzione del volume delle vendite anche se l’imposta è stata completamente incorporata nel prezzo (23).

66.      Nel caso in esame, a un’impresa concorrente della P GmbH che avesse praticato lo stesso prezzo sarebbe stata applicata l’IVA solo per 13/113 e non per 20/120 del prezzo. A parità di prezzo, la P GmbH aveva conseguito un margine di profitto inferiore a quello di un concorrente comparabile a causa dell’erronea applicazione dell’aliquota. A parità di margine di profitto, invece, la P GmbH avrebbe dovuto praticare un prezzo più alto in ragione dell’errore in cui era incorsa, il che avrebbe costituito uno svantaggio concorrenziale. Ciò depone contro l’esistenza di un arricchimento senza causa della P GmbH.

67.      Come sottolineato inoltre dalla Corte, affinché abbia successo un’eccezione da parte dello Stato membro basata sull’arricchimento, è necessario che sia stato integralmente neutralizzato l’onere economico che ha gravato il soggetto passivo a causa dell’imposta indebitamente riscossa (24).

68.      Secondo la Corte, l’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa, che il rimborso di un tributo indebitamente riscosso riguardo al diritto comunitario comporterebbe per un soggetto passivo, potranno essere stabilite soltanto al termine di un’analisi che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti (25). In tal caso, l’onere della prova dell’arricchimento senza causa incombe allo Stato membro (26). Non si potrebbe ammettere che, per il caso delle imposte indirette (lo stesso vale, nella fattispecie in esame, per l’IVA prelevata indirettamente), esista una presunzione secondo cui vi è stata traslazione (27).

69.      Spetta al giudice del rinvio compiere un’analisi siffatta (28). Tuttavia, la Corte può fornire indicazioni utili a tal riguardo, che possono essere rilevanti per un esame complessivo di tutte le circostanze.

70.      Da un lato, occorre prendere in considerazione il fatto che in una fattispecie come quella in esame, in cui i consumatori finali quali effettivi contribuenti dell’IVA, non sono noti, l’IVA indebitamente riscossa in eccesso «arricchisce» o lo Stato, o l’imprenditore che effettua la prestazione. Tale è probabilmente il motivo per cui la Commissione ritiene che, in linea di principio, l’amministrazione finanziaria non possa far valere l’arricchimento senza causa della P GmbH. Nel caso di cui trattasi, la legge tributaria austriaca concede allo Stato di esigere unicamente un’imposta ridotta (ossia pari a 13/113 del prezzo) con riguardo alle prestazioni effettuate dalla P GmbH. L’importo in eccesso determina un «arricchimento senza causa» dello Stato ai sensi del diritto sostanziale. Per converso, il debitore d’imposta aveva un diritto fondato sulla normativa civilistica ad ottenere l’intero importo del prezzo negoziato con i consumatori finali.

71.      Dall’altro lato, nel caso delle prestazioni rese ai consumatori finali, è irrilevante, di regola, il modo in cui viene composto il prezzo finale, in quanto detti consumatori non possono esercitare un diritto a detrazione. L’errore sulle rispettive basi di calcolo del prezzo non pregiudica, in linea di principio – diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione – il diritto, fondato sulla normativa civilistica, ad ottenere il pagamento del prezzo concordato con i consumatori finali, qualora e nella misura in cui lo specifico importo dell’IVA non rappresenti un particolare elemento fondamentale del contratto.

72.      Tale conclusione è suffragata dagli articoli 73 e seguenti della direttiva IVA, i quali stabiliscono che la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo da versare al prestatore da parte dell’acquirente. In ciò consiste il prezzo convenuto. Conformemente all’articolo 78, lettera a), di detta direttiva, la stessa IVA non è compresa nella base imponibile. In base all’approccio della direttiva IVA, l’IVA è quindi per legge sempre inclusa, nel suo importo corretto, nel prezzo convenuto. Ciò è stato solo recentemente confermato dalla Corte, anche nel caso di frode all’IVA (29).

73.      Tuttavia, ove – a prescindere dalla corretta esposizione in fattura – l’IVA venga sempre traslata sul consumatore finale nell’importo corretto [articoli 73 e 78, lettera a), della direttiva IVA], non può sostenersi che il consumatore finale abbia pagato un’IVA eccessiva e che la P GmbH si sia pertanto arricchita senza causa, qualora lo Stato rimborsi l’imposta non dovuta per legge. Il consumatore finale ha in effetti già pagato l’importo corretto dell’IVA (v. articoli 73 e 78 della medesima direttiva), solo che l’importo della stessa era stato calcolato ed esposto in fattura in modo errato.

74.      A tal proposito, la Corte ha già affermato che, ai fini della necessaria valutazione globale, può rilevare la questione se i contratti conclusi tra le parti contemplino prezzi fissi per la remunerazione dei servizi effettuati oppure prezzi di base aumentati delle imposte applicabili. Nel primo caso, ossia ove sia stato convenuto un prezzo fisso, potrebbe non sussistere un arricchimento senza giusta causa del prestatore (30). Farei un ulteriore passo avanti ed escluderei la sussistenza di per sé di un arricchimento senza causa del soggetto passivo che effettua la prestazione nel caso di un prezzo fisso convenuto nei confronti di un consumatore finale e della traslazione dell’IVA. Il prestatore ha dovuto accettare un margine di profitto inferiore o una minore competitività rispetto ai suoi concorrenti.

75.      Pertanto, il fatto che i consumatori finali abbiano pagato un prezzo finale calcolato in modo errato (perché conteneva una componente IVA troppo elevata e un margine di profitto troppo basso) non osta alla rettifica dell’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA. Non ne deriva tuttavia un arricchimento senza causa del soggetto passivo qualora sia stato convenuto un cosiddetto importo fisso (prezzo fisso). A un diverso risultato potrebbe giungersi qualora sia stato convenuto un prezzo maggiorato dell’IVA dovuta per legge. Non sembra però sussistere una fattispecie del genere nel caso in esame.

V.      Conclusione

76.      Propongo pertanto alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Bundesfinanzgericht (Tribunale federale delle finanze) come segue:

1.      Ove i destinatari delle prestazioni siano consumatori finali non aventi diritto alla detrazione, colui che ha emesso la fattura non è soggetto all’IVA ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA. Qualora tra i destinatari delle fatture figurino anche soggetti passivi, l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA trova invece applicazione. La quota di tali fatture deve essere determinata, ove necessario, mediante stima.

2.      I principi di proporzionalità e neutralità dell’IVA postulano la possibilità di una rettifica del debito di IVA, che è configurato come una responsabilità oggettiva per rischio astratto in virtù dell’articolo 203 della direttiva IVA. L’obbligo di consentire una rettifica sussiste indipendentemente dall’eliminazione del conseguente rischio di perdita di gettito fiscale, qualora colui che ha emesso la fattura abbia agito in buona fede. Si presume in buona fede il soggetto passivo che sia incorso in un errore di diritto che non gli può essere addebitato. Ove, invece, egli non abbia agito in buona fede nel senso esposto, l’eliminazione del rischio di perdita di gettito fiscale costituisce una condizione obbligatoria. A tal fine, la fattura deve essere rettificata. Nel caso in cui ciò non sia possibile per colui che ha emesso la fattura, tale impossibilità rientra nella sua sfera di rischio. In tale ipotesi, permane l’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA.

3.      Il fatto che i consumatori finali abbiano pagato un prezzo calcolato in modo errato (perché conteneva una componente IVA troppo elevata e quindi un margine di profitto troppo basso) non osta a una rettifica dell’imposta dovuta di cui all’articolo 203 della direttiva IVA. Non ne deriva tuttavia un arricchimento senza causa del soggetto passivo qualora sia stato convenuto un cosiddetto importo fisso (prezzo fisso).


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 (GU 2006, L 347, pag. 1) nella versione vigente nell’anno di riferimento (2019), quindi come da ultimo modificata dalla direttiva 2018/2057 del Consiglio, del 20 dicembre 2018 (GU 2018, L 329, pag. 3).


3      In tal senso, espressamente, inter alia, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punto 27) e dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:374, punto 32).


4      In tal senso, espressamente, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:374, punto 32); dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C-138/12, EU:C:2013:233, punto 24); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C-642/11, EU:C:2013:54, punto 32); del 31 gennaio 2013, LVK (C-643/11, EU:C:2013:55, punti 35 e 36); del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punti 28 e segg.).


5      Sentenza del 13 dicembre 1989, Genius (C-342/87, EU:C:1989:635, punto 13).


6      In tal senso, espressamente, sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punti 28 e segg.), con riferimento alla sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:469, punto 57).


7      V. a tal riguardo anche le mie conclusioni nella causa EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:35, paragrafi 31 e segg.).


8      V. in tal senso sentenze del 13 marzo 2008, Securenta (C-437/06, EU:C:2008:166, punto 25), e del 1° aprile 2004, Bockemühl (C-90/02, EU:C:2004:206, punto 39).


9      In tal senso, espressamente, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punto 30); del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C-35/05, EU:C:2007:167, punto 38) e del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:46, punto 48).


10      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 35); del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C-78/02 a C-80/02, EU:C:2003:604, punto 49); del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:469, punto 49), e del 13 dicembre 1989, Genius (C-342/87, EU:C:1989:635, punto 18).


11      Sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punto 31); del 2 luglio 2020, Terracult (C-835/18, EU:C:2020:520, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C-642/11, EU:C:2013:54, punto 33); del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 36), e del 13 dicembre 1989, Genius (C-342/87, EU:C:1989:635, punto 18).


12      Sentenza del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punto 33).


13      In tal senso con riguardo ad una condizione divenuta impossibile da soddisfare v. sentenza del’11 aprile 2013, Rusedespred (C-138/12, EU:C:2013:233, punto 34).


14      Sentenza del 2 luglio 2020, Terracult (C-835/18, EU:C:2020:520, punto 28); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, LVK (C-643/11, EU:C:2013:55, punto 37); del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 37); del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C-78/02 a C-80/02, EU:C:2003:604, punto 50), e del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:469, punto 58).


15      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 38), e del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:469, punto 68).


16      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 36), e del 13 dicembre 1989, Genius (C-342/87, EU:C:1989:635, punto 18).


17      Il punto di partenza è stato la sentenza del 13 dicembre 1989, Genius (C-342/87, EU:C:1989:635, punto 18). Da allora, il testo è stato ripetuto pedissequamente, senza mai acclarare in realtà per quale motivo e a quali condizioni possa parlarsi di soggetto passivo in buona fede in tale contesto v., e multis, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C-48/20, EU:C:2021:215, punti 31 e segg.), del 2 luglio 2020, Terracult (C-835/18, EU:C:2020:520, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C-712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C-642/11, EU:C:2013:54, punto 33), e del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 36).


18      Sentenze del’11 novembre 2021, ELVOSPOL (C-398/20, EU:C:2021:911, punto 31); del 15 ottobre 2020, E. (IVA – Diminuzione della base imponibile) (C-335/19, EU:C:2020:829, punto 31); dell’8 maggio 2019, A-PACK CZ (C-127/18, EU:C:2019:377, punto 22); del 23 novembre 2017, Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:887, punto 23); del 13 marzo 2008, Securenta (C-437/06, EU:C:2008:166, punto 25), e del 1° aprile 2004, Bockemühl (C-90/02, EU:C:2004:206, punto 39).


19      Sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 39), v., in maniera corrispondente, sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C-454/98, EU:C:2000:469, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).


20      Sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 40), v., in tal senso e corrispondentemente, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C-35/05, EU:C:2007:167, punto 41).


21      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 48); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punto 41); del 21 settembre 2000, Michaïlidis (C-441/98 e C-442/98, EU:C:2000:479, punto 31), e del 24 marzo 1988, Commissione/Italia (104/86, EU:C:1988:171, punto 6).


22      Sentenza del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punto 41).


23      Sentenze del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C-398/09, EU:C:2011:540, punto 21); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punti 42 e 56), e del 14 gennaio 1997, Comateb e a. (da C-192/95 a C-218/95, EU:C:1997:12, punti 29 e segg.).


24      Sentenza del 16 maggio 2013, Alakor Gabonatermelő és Forgalmazó Kft. (C-191/12, EU:C:2013:315, punto 28). Ad esempio, ciò è ipotizzabile nel caso in cui lo Stato membro abbia nel contempo sovvenzionato il prezzo indebitamente troppo elevato. Tuttavia, nel caso in esame non sussiste una fattispecie del genere.


25      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 49); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punto 43), e del 2 ottobre 2003, Weber’s Wine World e a. (C-147/01, EU:C:2003:53, punto 100).


26      In tal senso potrebbero essere intese le affermazioni di cui alla sentenza del 24 marzo 1988, Commissione/Italia (104/86, EU:C:1988:171, punto 11). Nello stesso senso v. sentenza del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C-398/09, EU:C:2011:540, punto 20), che, nel caso di mancato rimborso di imposte non dovute fa riferimento ad una deroga suscettibile di interpretazione restrittiva. V. pure sentenza del 21 settembre 2000, Michaïlidis (C-441/98 e C-442/98, EU:C:2000:479, punto 33).


27      In tal senso, espressamente, sentenza del 14 gennaio 1997, Comateb e a. (da C-192/95 a C-218/95, EU:C:1997:12, punto 25 alla fine).


28      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 50); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C-309/06, EU:C:2008:211, punto 44); del 21 settembre 2000, Michaïlidis (C-441/98 e C-442/98, EU:C:2000:479, punto 32), e del 14 gennaio 1997, Comateb e a. (da C-192/95 a C-218/95, EU:C:1997:12, punti 23 e 25).


29      Sentenza del 1° luglio 2021, Tribunal Económico Administrativo Regional de Galicia (C-521/19, EU:C:2021:527, punto 34). La Corte ha giustamente respinto la pretesa dell’amministrazione finanziaria di aggiungere l’IVA quasi a titolo di sanzione al prezzo convenuto (esente).


30      In senso simile v. già sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C-566/07, EU:C:2009:380, punto 50).