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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

24 febbraio 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Ritenuta alla fonte sugli interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi concesso a una società figlia residente da una società madre non residente – Direttiva 2003/49/CE – Pagamenti di interessi tra società consociate di Stati membri diversi – Articolo 1, paragrafo 1 – Esenzione dalla ritenuta alla fonte – Articolo 4, paragrafo 1, lettera d) – Esclusione di taluni pagamenti – Direttiva 2011/96/UE – Imposta sulle società – Articolo 1, paragrafo 1, lettera b) – Distribuzione di utili da parte di una società figlia residente alla sua società madre non residente – Articolo 5 – Esenzione dalla ritenuta alla fonte – Direttiva 2008/7/CE – Raccolta di capitali – Articolo 3 – Conferimenti di capitale – Articolo 5, paragrafo 1, lettera a) – Non assoggettamento a imposta indiretta – Articoli 63 e 65 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Assoggettamento a imposta dell’importo lordo degli interessi fittizi – Procedura di recupero ai fini della deduzione delle spese connesse alla concessione del prestito e di un eventuale rimborso – Differenza di trattamento – Giustificazione – Ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri – Efficacia della riscossione dell’imposta – Lotta contro l’elusione fiscale»

Nella causa C-257/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria), con decisione del 4 maggio 2020, pervenuta in cancelleria il 9 giugno 2020, nel procedimento

«Viva Telecom Bulgaria» EOOD

contro

Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» – Sofia,

con l’intervento di:

Varhovna administrativna prokuratura na Republika Bulgaria,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan (relatore), presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Quinta Sezione, C. Lycourgos, presidente della Quarta Sezione, I. Jarukaitis e M. Ilešič, giudici,

avvocato generale: A. Rantos

cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 giugno 2021,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la «Viva Telecom Bulgaria» EOOD, rappresentata inizialmente da D. Yordanov, E. Emanuilov e S. Hristozova-Yordanova, e successivamente da Y. Kamburov, E. Emanuilov, V. Rangelov, T. Todorov e D. Dimitrova, advokati;

–        per il Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» – Sofia, da N. Kalistratov e M. Bakalova, in qualità di agenti;

–        per il governo bulgaro, da T. Tsingileva e L. Zaharieva, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da W. Roels e Y. Marinova, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 settembre 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, e dell’articolo 12, lettera b), TUE, dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), degli articoli 49 e 63 TFUE, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49), dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 3, e dell’articolo 5 della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 2011, L 345, pag. 8), come modificata dalla direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015 (GU 2015, L 21, pag. 1) (in prosieguo la «direttiva 2011/96»), dell’articolo 3, lettere da h) a j), dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), dell’articolo 7, paragrafo 1, e dell’articolo 8 della direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (GU 2008, L 46, pag. 11), dell’allegato VI, sezione 6, punto 3, del protocollo relativo alle condizioni e modalità d’ammissione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all’Unione europea (GU 2005, L 157, pag. 29; in prosieguo: il «protocollo di ammissione») e dell’allegato VI, sezione 6, punto 3, dell’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2005, L 157, pag. 203; in prosieguo: l’«atto di adesione»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la «Viva Telecom Bulgaria» EOOD, società con sede a Sofia (Bulgaria), e il Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» – Sofia (direttore della direzione «Contenzioso e gestione in materia tributaria e di sicurezza sociale» di Sofia, Bulgaria) in merito all’assoggettamento a imposta, mediante ritenuta alla fonte, degli interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi concesso alla Viva Telecom Bulgaria dalla sua società madre stabilita in un altro Stato membro.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Adesione della Repubblica di Bulgaria all’Unione europea

3        L’articolo 20 del protocollo d’ammissione e l’articolo 23 dell’atto di adesione, relativi alle misure transitorie, prevedono che le misure elencate nei rispettivi allegati VI di tale protocollo e di tale atto si applichino alla Repubblica di Bulgaria alle condizioni stabilite nei medesimi allegati.

4        I suddetti allegati, intitolati, rispettivamente, «Elenco di cui all’articolo 20 del protocollo: misure transitorie, Bulgaria» ed «Elenco di cui all’articolo 23 dell’atto di adesione: misure transitorie, Bulgaria», fanno riferimento, ai punti 3 delle loro sezioni 6, intitolate «Fiscalità», alla direttiva 2003/49, come modificata dalla direttiva 2004/76/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004 (GU 2004, L 157, pag. 106), precisando, negli stessi termini, quanto segue:

«La Bulgaria è autorizzata a non applicare le disposizioni dell’articolo 1 della [direttiva 2003/49] fino al 31 dicembre 2014. Durante il periodo transitorio, l’aliquota dell’imposta sui pagamenti di interessi o di canoni effettuati nei confronti di una società consociata di un altro Stato membro o di una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro di una società consociata di uno Stato membro non deve superare il 10% fino al 31 dicembre 2010 e il 5% negli anni successivi fino al 31 dicembre 2014».

 Direttiva 2003/49

5        I considerando da 1 a 4 della direttiva 2003/49 sono del seguente tenore:

«(1)      In un mercato unico avente le caratteristiche di un mercato interno le operazioni tra società di Stati membri diversi non dovrebbero essere assoggettate ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello applicabile alle medesime operazioni effettuate tra società dello stesso Stato membro.

(2)      Attualmente tale condizione non è soddisfatta riguardo ai pagamenti di interessi e di canoni. Le legislazioni fiscali nazionali, unitamente, ove esistano, alle convenzioni bilaterali o multilaterali, non possono sempre assicurare l’eliminazione della doppia imposizione e la loro applicazione comporta spesso formalità amministrative onerose e problemi di flussi di liquidità per le imprese interessate.

(3)      È necessario vigilare affinché i pagamenti di interessi e di canoni siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro.

(4)      L’abolizione delle imposte, siano esse riscosse tramite ritenuta alla fonte o previo accertamento, sui pagamenti di interessi e di canoni nello Stato membro da cui essi provengono costituisce la soluzione più idonea per eliminare le formalità e i problemi sopraindicati e per garantire la parità di trattamento fiscale tra operazioni nazionali e operazioni transfrontaliere. È particolarmente necessario abolire tali imposte per quanto riguarda i pagamenti del predetto tipo effettuati tra società consociate di Stati membri diversi nonché tra stabili organizzazioni di tali società».

6        L’articolo 1 della direttiva succitata, intitolato «Ambito d’applicazione e procedura», prevede quanto segue:

«1.      I pagamenti di interessi o di canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su detti pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione[,] situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro.

2.      Un pagamento effettuato da una società di uno Stato membro o da una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro è considerato proveniente da detto Stato membro, in seguito denominato “Stato d’origine”.

(...)

4.      Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona.

(...)».

7        L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizione di interessi e canoni», così recita:

«Ai fini della presente direttiva s’intendono per:

a)      “interessi”: i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o non da ipoteca e recanti o meno una clausola di partecipazione agli utili del debitore e, in particolare, i redditi derivanti da titoli e da obbligazioni di prestiti, compresi i premi collegati a detti titoli; le penali per tardivo pagamento non sono considerate interessi;

(...)».

8        L’articolo 4 della medesima direttiva, intitolato «Esclusione di pagamenti a titolo di interessi o canoni», così dispone:

«1.      Lo Stato d’origine non è tenuto a concedere i benefici della presente direttiva nei casi seguenti:

a)      pagamenti considerati utili distribuiti o capitale rimborsato ai sensi della legislazione dello Stato d’origine;

(...)

d)      pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione.

2.      Qualora, a motivo di particolari rapporti tra il pagatore ed il beneficiario effettivo del pagamento degli interessi o dei canoni, ovvero tra uno di essi ed un terzo, l’importo degli interessi o dei canoni sia superiore all’importo che sarebbe stato convenuto dal pagatore e dal beneficiario effettivo in assenza dei rapporti in questione, le disposizioni della presente direttiva si applicano esclusivamente a quest’ultimo importo, se previsto».

 Direttiva 2008/7

9        Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2008/7, intitolato «Conferimenti di capitale»:

«Ai fini della presente direttiva e fatto salvo l’articolo 4, le operazioni seguenti sono considerate “conferimenti di capitale”:

(...)

h)      l’aumento del patrimonio sociale di una società di capitali mediante prestazioni di servizi effettuate da un socio che non implica[no] un aumento del capitale sociale, ma che trova[no] la contropartita in una modifica dei diritti sociali ovvero che possono aumentare il valore delle quote sociali;

i)      il prestito contratto da una società di capitali, se il creditore ha diritto ad una quota degli utili della società;

j)      il prestito contratto da una società di capitali presso un socio, o un congiunto o un figlio di un socio, nonché quello contratto presso un terzo quando esso è garantito da un socio, a condizione che tali prestiti abbiano la stessa funzione di un aumento del capitale sociale».

10      L’articolo 5 di tale direttiva, intitolato «Operazioni non soggette all’imposta indiretta», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri non assoggettano le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per le operazioni seguenti:

a)      conferimenti di capitale;

b)      prestiti, o prestazioni di servizi, effettuati nel quadro dei conferimenti di capitale;

(...)».

 Direttiva 2011/96

11      I considerando da 3 a 6 della direttiva 2011/96 sono così formulati:

«(3)      La presente direttiva intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre.

(4)      I raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nell’Unione condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così il buon funzionamento del mercato interno. Queste operazioni non dovrebbero essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri. Occorre quindi prevedere per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di permettere alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato interno, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale.

(5)      I raggruppamenti in questione possono risolversi nella creazione di gruppi di società madri e figlie.

(6)      Prima dell’entrata in vigore della direttiva 90/435/CEE [del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati Membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6)], le disposizioni fiscali che disciplinavano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variavano sensibilmente da uno Stato membro all’altro ed erano, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro. La cooperazione tra società di Stati membri diversi veniva perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro. Occorreva eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell’Unione».

12      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2011/96:

«Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

(...)

b)      alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali;

(...)».

13      L’articolo 5 di tale direttiva è del seguente tenore:

«Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

 Diritto bulgaro

14      L’articolo 1, paragrafo 4, dello Zakon za korporativnoto podohodno oblagane (legge relativa all’imposta sui redditi delle persone giuridiche; DV n. 105, del 22 dicembre 2006), in vigore dal 1° gennaio 2007 (in prosieguo: lo «ZKPO»), così dispone:

«La presente legge disciplina le imposte sui redditi che ne costituiscono l’oggetto, percepiti nella Repubblica di Bulgaria da persone giuridiche residenti o non residenti».

15      Ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, dello ZKPO:

«(1)      Gli utili sono assoggettati all’imposta sulle persone giuridiche.

(2)      I redditi delle persone giuridiche residenti o non residenti oggetto della presente legge sono assoggettati a un’imposta prelevata alla fonte».

16      L’articolo 12, paragrafo 5, dello ZKPO così recita:

«Se percepiti da persone giuridiche residenti, imprenditori individuali residenti oppure da persone giuridiche non residenti o da imprenditori individuali non residenti, mediante una stabile organizzazione o uno stabilimento concreto nel paese, o se corrisposti a persone giuridiche non residenti da persone fisiche residenti o da persone fisiche non residenti che dispongono di uno stabilimento concreto nel paese, sono di origine nazionale i seguenti redditi:

1.      gli interessi, ivi compresi gli interessi inclusi nei rimborsi di una locazione finanziaria;

(...)».

17      L’articolo 16 dello ZKPO, intitolato «Elusione fiscale», nella versione in vigore dal 1° gennaio 2010, prevede quanto segue:

«(1)      (…) Se una o più operazioni, incluse quelle tra soggetti non collegati tra loro, sono compiute in condizioni che comportano un’elusione fiscale, la base imponibile deve essere determinata a prescindere da tali operazioni, dalle loro specifiche condizioni o dalla loro forma giuridica; quale base imponibile si considera quella che risulterebbe da una normale operazione di tipo analogo effettuata a prezzi di mercato e intesa allo stesso risultato economico, senza condurre a un’elusione fiscale.

(2)      Si considera altresì elusione fiscale:

(...)      

3.      l’ottenimento o la concessione di crediti a un tasso di interesse che si discosta dal tasso abituale di mercato al momento della realizzazione dell’operazione, compresi i casi di prestiti senza interessi o di altri aiuti finanziari a titolo gratuito limitati nel tempo, nonché la remissione di debiti o il rimborso per proprio conto di crediti non collegati all’attività;

(...)».

18      L’articolo 20 dello ZKPO, intitolato «Aliquota d’imposta», così dispone:

«L’aliquota fiscale per l’imposta sulle persone giuridiche ammonta al 10%».

19      L’articolo 195 dello ZKPO, intitolato «Imposta trattenuta alla fonte di persone non residenti», nella versione in vigore dal 1° gennaio 2015, prevede quanto segue:

«(1)      (...) I redditi delle persone giuridiche non residenti derivanti da fonti nazionali (…) sono assoggettati a una ritenuta alla fonte che estingue definitivamente l’obbligazione tributaria.

(2)      (…) La ritenuta alla fonte di cui al paragrafo 1 è operata dalle persone giuridiche residenti (…) che versano i redditi alle persone giuridiche non residenti (…).

(...)

(6)      (…) Sono esenti dalla ritenuta alla fonte:

(...)

3.      I redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze, alle condizioni previste ai paragrafi da 7 a 12;

(...)

(7)      (…) I redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze sono esenti da ritenuta alla fonte quando sono cumulativamente soddisfatte le seguenti condizioni:

(...)

(11)      (…) I paragrafi 7, 8, 9 e 10 non si applicano:

1.      ai redditi che costituiscono utili distribuiti o capitale rimborsato;

(...)

4.      ai redditi relativi a crediti non recanti disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione;

(...)

7.      ai redditi derivanti da operazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’elusione o l’eliminazione fiscale».

20      L’articolo 199 dello ZKPO, intitolato «Base imponibile dell’imposta trattenuta alla fonte sui redditi delle persone non residenti», al paragrafo 1 così recita:

«La base imponibile per la liquidazione dell’imposta trattenuta alla fonte per i redditi di cui all’articolo 195, paragrafo 1, è l’importo lordo di tali redditi (…)».

21      L’articolo 200 dello ZKPO, intitolato «Aliquota d’imposta», nella versione in vigore dal 1° gennaio 2011, al paragrafo 2 così disponeva:

«(…) L’aliquota d’imposta applicata ai redditi di cui all’articolo 195 ammonta al 10%, salvo i casi previsti dall’articolo 200a».

22      A decorrere dal 1° gennaio 2015, tale disposizione è stata così modificata:

«(…) L’aliquota d’imposta applicata ai redditi di cui all’articolo 195 ammonta al 10%».

23      L’articolo 200a dello ZKPO, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2011, come modificato e integrato a decorrere dal 1° gennaio 2014, fino alla sua abrogazione con effetto dal 1° gennaio 2015, stabiliva quanto segue:

«(1)      (…) L’aliquota d’imposta applicata ai redditi costituiti da pagamenti di interessi, compensi per diritti d’autore e licenze ammonta al 5%, quando sono cumulativamente soddisfatte le seguenti condizioni;

(...)

(5)      I paragrafi da 1 a 4 non si applicano:

(...)

1.      ai redditi che costituiscono utili distribuiti o capitale rimborsato;

(...)

4.      ai redditi relativi a crediti non recanti disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione;

(...)».

24      L’articolo 202a, paragrafi da 1 a 4, dello ZKPO, intitolato «Ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte», nella versione in vigore dal 1° gennaio 2010, così disponeva:

«(1)      (…) Una persona giuridica non residente che sia residente fiscale in uno Stato membro dell’Unione europea o in un altro Stato parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo[, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3)] ha il diritto di optare per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte in relazione ai redditi di cui all’articolo 12, paragrafi 2, 3, 5 e 8. Quando la persona non residente opta per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte, la rideterminazione riguarda tutti i redditi di cui all’articolo 12, paragrafi 2, 3, 5 e 8, che essa ha percepito nel corso dell’esercizio.

(2)      Se la persona non residente opta per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte per quanto riguarda i redditi percepiti, l’imposta ricalcolata equivale all’imposta sulle persone giuridiche che sarebbe stata dovuta su tali redditi se fossero stati percepiti da una persona giuridica residente. Se la persona non residente ha sostenuto spese legate ai redditi, ai sensi della prima frase, soggette a un’imposta sulle spese qualora fossero state sostenute da una persona giuridica residente, l’ammontare dell’imposta ricalcolata è aumentato di tale importo.

(3)      Qualora l’importo della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 195, paragrafo 1, superi l’importo ricalcolato a norma del paragrafo 2, la differenza dev’essere rimborsata fino all’importo della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 195, paragrafo 1, che la persona non residente non può dedurre dall’imposta dovuta nel suo Stato di residenza.

(4)      La dichiarazione fiscale annuale presentata indica se si è optato per il ricalcolo dell’imposta trattenuta alla fonte. Il non residente presenta la propria dichiarazione fiscale annuale alla Teritorialna direktsia na Natsionalna agentsia za prihodite – Sofia [Direzione territoriale dell’Agenzia nazionale delle entrate – Sofia, Bulgaria], entro il 31 dicembre dell’anno successivo all’anno della percezione dei redditi».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

25      Il 22 novembre 2013, la «Viva Telecom Bulgaria» EAD, alla quale è succeduta la «Viva Telecom Bulgaria» EOOD, ha stipulato, in qualità di mutuatario, un accordo di prestito con il suo azionista unico, la InterV Investment Sàrl, società stabilita in Lussemburgo, in forza del quale quest’ultima, in qualità di mutuante, le ha concesso un prestito convertibile senza interessi, con scadenza a 60 anni dalla data di entrata in vigore di tale accordo. Detto accordo prevedeva che l’obbligazione del mutuatario di rimborsare il prestito si sarebbe estinta in qualsiasi momento dopo la data di concessione del finanziamento qualora il mutuatario avesse deciso di effettuare un conferimento in natura al suo capitale corrispondente all’importo del prestito da rimborsare, nel rispetto delle condizioni previste dal medesimo accordo.

26      Con decisione del 16 ottobre 2017, la Teritorialna direktsia na Natsionalnata agentsia za prihodite (Direzione territoriale dell’Agenzia nazionale delle entrate, Bulgaria) (in prosieguo: l’«amministrazione finanziaria») ha proceduto a una rettifica fiscale nei confronti della Viva Telecom Bulgaria, imponendole, in relazione al prestito concessole dalla InterV Investment, il pagamento di una ritenuta alla fonte, in forza dell’articolo 195 dello ZKPO, per il periodo compreso tra il 14 febbraio 2014 e il 31 marzo 2015.

27      Avendo accertato che, alla data della verifica fiscale, il prestito non era stato convertito in capitale e che il mutuatario non aveva né rimborsato tale prestito né pagato interessi, l’amministrazione finanziaria ha ravvisato l’esistenza di un’operazione che integrava un’elusione fiscale, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO. L’amministrazione finanziaria ha fissato nella propria decisione il tasso di interesse di mercato da applicare a tale prestito ai fini del calcolo degli interessi non versati dal mutuatario prima di operare sugli stessi una ritenuta alla fonte del 10%.

28      Il 20 dicembre 2017, il convenuto nel procedimento principale ha respinto il reclamo proposto dalla Viva Telecom Bulgaria avverso tale decisione.

29      Con sentenza del 29 marzo 2019, l’Administrativen sad Sofia (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria), investito da tale società di un ricorso diretto a contestare la legittimità della decisione del 16 ottobre 2017, ha respinto tale ricorso ritenendo che il prestito di cui al procedimento principale costituisse un attivo finanziario di detta società che aveva generato un profitto per via del mancato pagamento di interessi, mentre il mutuante aveva invece subìto una perdita economica per via della mancata riscossione di tali interessi. Secondo tale giudice, l’importo preso in prestito era stato utilizzato per rimborsare taluni obblighi finanziari del mutuatario indicati nell’accordo di prestito e non costituiva quindi un elemento del capitale proprio.

30      La Viva Telecom Bulgaria ha proposto un ricorso per cassazione dinanzi al Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria) diretto all’annullamento della sentenza summenzionata.

31      A sostegno di tale ricorso, tale società sostiene che la ritenuta alla fonte è stata prelevata su redditi da interessi fittizi senza tenere conto dell’esistenza dimostrata di un interesse commerciale ai fini della concessione di un prestito senza interessi. Essa sostiene parimenti che non disponeva di risorse per il pagamento degli interessi relativi al prestito di cui al procedimento principale e che la InterV Investment era l’unico titolare del capitale al momento della conclusione dell’accordo relativo a tale prestito. Essa ritiene altresì che l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO sia contrario alla giurisprudenza della Corte, giacché non consentirebbe alle parti di un prestito senza interessi di dimostrare l’esistenza di valide considerazioni di ordine economico per la concessione del prestito.

32      In subordine, la Viva Telecom Bulgaria sostiene che, poiché la Repubblica di Bulgaria si è avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49, che consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva gli interessi sui prestiti che essi qualificano da un punto di vista fiscale come redditi derivanti da strumenti di fondi propri, è applicabile la direttiva 2011/96, che riguarda questo tipo di redditi. Orbene, in forza dell’articolo 5 di tale direttiva, gli utili distribuiti da una società figlia residente alla sua società madre non residente sarebbero esenti dalla ritenuta alla fonte. Essa sostiene altresì che il prestito di cui al procedimento principale costituisce un conferimento di capitale, ai sensi dell’articolo 3, lettere da h) a j), della direttiva 2008/7, che, conformemente all’articolo 5 di tale direttiva, non dovrebbe essere soggetto ad alcuna imposta indiretta.

33      Il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) chiede, in primo luogo, se l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO sia conforme al principio di proporzionalità, di cui all’articolo 5, paragrafo 4, e all’articolo 12, lettera b), TUE, nonché al diritto a un ricorso effettivo, sancito dall’articolo 47 della Carta. Tale disposizione nazionale prevedrebbe infatti una presunzione assoluta di elusione fiscale in caso di concessione di un prestito senza interessi, tra persone collegate o no, senza che il mutuante o il mutuatario possano confutare tale presunzione. Orbene, nel caso di società collegate, considerazioni economiche relative agli interessi del gruppo interessato potrebbero giustificare la conclusione di un prestito di tal genere.

34      In secondo luogo, il giudice del rinvio si interroga sulla portata delle direttive 2003/49 e 2011/96. Infatti, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49, attuato dalla Repubblica di Bulgaria, prima del 1° gennaio 2015, in sostanza, all’articolo 200a, paragrafo 1, e paragrafo 5, punto 4, dello ZKPO e, dopo tale data, all’articolo 195, paragrafo 6, punto 3, e paragrafo 11, punto 4, dello ZKPO, lo Stato membro d’origine non sarebbe tenuto a concedere i benefici di tale direttiva nei casi di pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione. Pertanto, si porrebbe la questione se simili pagamenti debbano essere considerati come una distribuzione di utili che, in quanto effettuata da parte di una società figlia residente alla sua società madre non residente, dovrebbe, a norma degli articoli 1 e 5 della direttiva 2011/96, essere esentata dalla ritenuta alla fonte.

35      In terzo luogo, tale giudice chiede se la concessione di un prestito senza interessi a una società residente da parte di una società non residente, soggetto all’applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2010, di una ritenuta alla fonte, in forza dell’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, nonché dell’articolo 195 dello ZKPO, debba essere considerata come un conferimento di capitale, ai sensi dell’articolo 3, lettere da h) a j), della direttiva 2008/7, che dovrebbe, di conseguenza, essere soggetto alle disposizioni di tale direttiva, in particolare all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), all’articolo 7, paragrafo 1 e all’articolo 8 della medesima.

36      In quarto e ultimo luogo, il giudice del rinvio si interroga sull’incidenza delle misure transitorie contenute nel protocollo di ammissione e nell’atto di adesione, le cui disposizioni figuranti nei rispettivi allegati VI, sezioni 6, punti 3, prevedono che la Repubblica di Bulgaria era autorizzata a non applicare l’articolo 1 della direttiva 2003/49 fino al 31 dicembre 2014, precisando al contempo che, durante tale periodo transitorio, l’aliquota dell’imposta sui pagamenti di interessi effettuati, in particolare, nei confronti di una società consociata di un altro Stato membro non avrebbe potuto superare il 5% nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2010 e il 31 dicembre 2014. Infatti, l’articolo 200, paragrafo 2, e l’articolo 200a, paragrafo 1, e paragrafo 5, punto 4, dello ZKPO, nella versione in vigore nel 2014, sarebbero contrari a tali disposizioni, in quanto prevedevano una ritenuta alla fonte pari al 10%.

37      Ciò considerato, il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il principio di proporzionalità di cui agli articoli 5, paragrafo 4, e 12, lettera b), [TUE] e il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice ai sensi dell’articolo 47 della [Carta] ostino a una normativa nazionale come quella di cui all’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello [ZKPO].

2)      Se i pagamenti di interessi ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49] costituiscano una distribuzione di utili a cui si applica l’articolo 5 della direttiva [2011/96].

3)      Se a pagamenti relativi a un prestito senza interessi che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49], con scadenza a 60 anni dalla conclusione del contratto, si applichino le disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 1, lettera b), e 3, e all’articolo 5 della direttiva [2011/96].

4)      Se gli articoli 49 e 63, paragrafi 1 e 2, [TFUE], l’articolo 1, paragrafi 1, lettera b), e 3, e l’articolo 5 della direttiva [2011/96] e l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2003/49] ostino a una normativa nazionale come quella di cui agli articoli 195, paragrafo 1, 200, paragrafo 2, (…) e all’articolo 200a, paragrafi 1 e 5, punto 4, dello ZKPO (abrogato), nelle rispettive versioni in vigore dal 1° gennaio 2011 al 1° gennaio 2015, e all’articolo 195, paragrafi 1, 6, punto 3, e 11, punto 4, dello ZKPO, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2015, nonché a una prassi fiscale secondo cui gli interessi non corrisposti su un prestito senza interessi, concesso alla società figlia residente dalla società madre avente sede in un altro Stato membro, con scadenza a 60 anni dal 22 novembre 2013, sono soggetti a ritenuta alla fonte.

5)      Se gli articoli 3, lettere da h) a j), 5, paragrafo 1, lettere a) e b), 7, paragrafo 1, e 8 della direttiva [2008/7] ostino a una normativa nazionale come quella di cui agli articoli 16, paragrafi 1 e 2, punto 3, e 195, paragrafo 1, dello ZKPO, sulla tassazione alla fonte di redditi costituiti da interessi fittizi derivanti da un prestito senza interessi concesso a una società residente da una società di un altro Stato membro che è unico azionista del capitale della società mutuataria.

6)      Se la trasposizione della direttiva [2003/49] negli articoli 200, paragrafo 2, e 200a, paragrafi 1 e 5, punto 4, dello ZKPO, effettuata dal 2011 – prima della scadenza del periodo transitorio previsto nell’allegato VI, sezione “Fiscalità”, punto 3, [dell’atto di adesione] – fissando un’aliquota del 10% in luogo dell’aliquota massima del 5% prevista [nell’atto di adesione] e nel Protocollo [di ammissione], violi i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento».

 Sulle questioni pregiudiziali

38      Con le sei questioni pregiudiziali, che in parte si sovrappongono, il giudice del rinvio si interroga, in sostanza, sull’interpretazione, da un lato, del diritto derivato dell’Unione di cui, rispettivamente, alle direttive 2003/49 (questioni seconda, terza e sesta), 2011/96 (questioni seconda e quarta) e 2008/7 (quinta questione) e, dall’altro, del diritto primario dell’Unione di cui, rispettivamente, agli articoli 49 e 63 TFUE (quarta questione), all’articolo 5, paragrafo 4, e all’articolo 12, lettera b), TUE, e all’articolo 47 della Carta (prima questione).

 Sulla ricevibilità

39      Il convenuto nel procedimento principale ritiene che le questioni pregiudiziali dalla seconda alla quarta siano irricevibili. Tali questioni verterebbero infatti su disposizioni del diritto dell’Unione, ossia l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49 nonché l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 3, e l’articolo 5 della direttiva 2011/96, che non sono prive di chiarezza. Inoltre, tali disposizioni non avrebbero alcun nesso con la qualificazione giuridica operata dall’amministrazione finanziaria nella decisione di cui al procedimento principale. Infatti, tale decisione imporrebbe una ritenuta alla fonte in virtù non già della distribuzione di dividendi o di utili, ai sensi della direttiva 2011/96, bensì dell’esistenza di un’elusione fiscale dovuta alla conclusione di un prestito senza interessi. Inoltre, l’articolo 200a, paragrafo 3, punto 4, dello ZKPO, divenuto, a decorrere dal 1° gennaio 2011, articolo 200a, paragrafo 5, punto 4, dello ZKPO, costituirebbe una trasposizione corretta dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49.

40      Il governo bulgaro ritiene, dal canto suo, che le questioni pregiudiziali seconda e terza siano irricevibili in quanto prive di nesso con le circostanze della controversia principale. La decisione di rinvio non indicherebbe infatti in che modo l’interpretazione delle direttive 2003/49 e 2011/96 sarebbe utile a dirimere tale controversia.

41      Da costante giurisprudenza della Corte risulta che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione o sulla validità di una norma giuridica dell’Unione, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire. Ne consegue che le questioni sollevate dai giudici nazionali godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti che l’interpretazione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure se la Corte non dispone degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere in modo utile a tali questioni (sentenza del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems, C-311/18, EU:C:2020:559, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

42      Nel caso di specie, va sottolineato anzitutto, per quanto riguarda l’affermazione relativa alla chiarezza delle disposizioni delle direttive 2003/49 e 2011/96 oggetto delle questioni pregiudiziali dalla seconda alla quarta, che non è in alcun modo fatto divieto al giudice nazionale di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali la cui risposta, secondo il parere di una delle parti del procedimento principale, non lasci adito a ragionevoli dubbi. Pertanto, anche supponendo che così avvenga, la domanda di pronuncia pregiudiziale contenente simili questioni non diviene per questo irricevibile (sentenza del 14 ottobre 2021, Viesgo Infraestructuras Energéticas, C-683/19, EU:C:2021:847, punto 26 e giurisprudenza citata).

43      Inoltre, occorre constatare che nessun elemento del fascicolo di cui dispone la Corte consente di ritenere che l’interpretazione delle direttive 2003/49 e 2011/96 richiesta non abbia alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della controversia principale o sia di natura ipotetica per via del fatto che la decisione di cui al procedimento principale non avrebbe proceduto all’applicazione delle disposizioni contenute in tali direttive o che il diritto nazionale sarebbe conforme ad esse. Nella domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio ha infatti esposto con tutta la dovuta chiarezza le ragioni per le quali esso ritiene che la risposta alle questioni pregiudiziali dalla seconda alla quarta, vertenti sull’interpretazione di tali disposizioni del diritto dell’Unione, sia necessaria ai fini della soluzione della controversia principale, atteso che la ritenuta alla fonte imposta in tale decisione potrebbe, secondo detto giudice, violare le suddette direttive.

44      Ne consegue che le questioni pregiudiziali dalla seconda alla quarta sono ricevibili.

 Nel merito

45      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, qualsiasi misura nazionale in un settore che sia stato oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione dev’essere valutata alla luce delle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario (sentenza del 6 dicembre 2018, FENS, C-305/17, EU:C:2018:986, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

46      Pertanto, occorre esaminare, dapprima, le questioni poste dal giudice del rinvio nella parte in cui vertono sull’interpretazione delle direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7, e successivamente, in assenza di armonizzazione esaustiva, tali questioni nella parte in cui riguardano, da un lato, gli articoli 49 e 63 TFUE e, dall’altro, l’articolo 5, paragrafo 4, e l’articolo 12, lettera b), TUE nonché l’articolo 47 della Carta.

 Sull’interpretazione delle direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7

47      Con le questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della medesima nonché con i rispettivi allegati VI, sezioni 6, punti 3, del protocollo di ammissione e dell’atto di adesione, l’articolo 5 della direttiva 2011/96 e gli articoli 3 e 5 della direttiva 2008/7 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima.

–       Sulla direttiva 2003/49

48      Come risulta dai suoi considerando da 2 a 4, la direttiva 2003/49 è diretta all’eliminazione della doppia imposizione per quanto riguarda i pagamenti di interessi e di canoni effettuati tra società consociate di Stati membri diversi e a far sì che tali pagamenti siano assoggettati a imposizione una sola volta in un unico Stato membro, fermo restando che l’abolizione delle imposte su detti pagamenti nello Stato membro da cui essi provengono costituisce la soluzione più idonea per garantire la parità di trattamento fiscale tra operazioni nazionali e operazioni transfrontaliere (sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

49      L’ambito d’applicazione della direttiva 2003/49, quale definito all’articolo 1, paragrafo 1, della stessa, ha quindi ad oggetto l’esenzione dei pagamenti di interessi e di canoni provenienti dallo Stato membro d’origine di questi ultimi, a condizione che il loro beneficiario sia una società avente sede in un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro (sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

50      In tale ottica, l’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva prevede, in particolare, che i pagamenti di interessi siano esentati da ogni ritenuta alla fonte nello Stato membro d’origine a condizione che il beneficiario degli interessi sia una società di un altro Stato membro.

51      Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, considerato che l’articolo 2, lettera a), di detta direttiva definisce gli interessi come «i redditi da crediti di qualsiasi natura», soltanto il beneficiario effettivo può percepire interessi che costituiscono i redditi da tali crediti (sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

52      Pertanto, la nozione di «beneficiario effettivo degli interessi», ai sensi della direttiva 2003/49, deve essere interpretata nel senso che essa designa un’entità che benefici effettivamente, sul piano economico, degli interessi che le sono versati e che disponga, dunque, del potere di determinarne liberamente la destinazione (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2019, N Lussemburgo 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, EU:C:2019:134, punti 88, 89 e 122)

53      Tale nozione non deve quindi essere intesa in un’accezione tecnica (sentenza del 26 febbraio 2019, N Lussemburgo 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 92).

54      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle conclusioni, allorché l’amministrazione finanziaria fissa, ai fini del loro assoggettamento a imposta, interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi, il mutuante non percepisce alcun interesse e non può quindi essere considerato un «beneficiario effettivo», ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 51 della presente sentenza.

55      Ne consegue che interessi fittizi fissati dall’amministrazione finanziaria, come quelli di cui al procedimento principale, non possono essere considerati pagamenti di interessi, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2003/49, proprio poiché non ha avuto luogo alcun pagamento.

56      Per la stessa ragione, interessi del genere non possono neppure rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, considerato che tale disposizione riguarda i «pagamenti» relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di 50 anni dalla data di emissione.

57      Pertanto, la direttiva 2003/49 non si applica a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

58      Ciò posto, non è necessario pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni transitorie contenute nei rispettivi allegati VI, sezioni 6, punti 3, del protocollo di ammissione e dell’atto di adesione, relative all’applicazione di tale direttiva in Bulgaria.

–       Sulla direttiva 2011/96

59      Conformemente ai suoi considerando da 3 a 6, la direttiva 2011/96 intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre, al fine di facilitare i raggruppamenti di società a livello dell’Unione [sentenza del 2 aprile 2020, GVC Services (Bulgaria), C-458/18, EU:C:2020:266, punto 31 e giurisprudenza ivi citata].

60      Tale direttiva tende così ad assicurare, sotto il profilo fiscale, la neutralità della distribuzione di utili da parte di una società stabilita in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

61      A tal fine, l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva prevede che essa si applichi alla distribuzione degli utili effettuata, in un rapporto transfrontaliero, da una società figlia alla sua società madre, mentre l’articolo 5 della medesima direttiva prevede la loro esenzione dalla ritenuta alla fonte.

62      A tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che lo Stato membro di residenza di una società può legittimamente trattare gli interessi versati da tale società alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro come distribuzione di utili qualora l’importo di tali interessi ecceda quanto sarebbe pagato in condizioni di piena concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, C-524/04, EU:C:2007:161, punti da 87 a 89).

63      Interessi fittizi fissati dall’amministrazione finanziaria di una società residente in riferimento a un prestito senza interessi concluso tra quest’ultima e la sua società madre non residente non possono invece essere considerati utili distribuiti, dal momento che, in un caso del genere, tra tali società non si verifica alcun versamento effettivo di interessi.

64      La direttiva 2011/96 non si applica quindi a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

–       Sulla direttiva 2008/7

65      Come la Corte ha già più volte rilevato, la direttiva 2008/7 ha armonizzato esaustivamente i casi in cui gli Stati membri possono applicare imposte indirette sulla raccolta di capitali (sentenza del 19 ottobre 2017, Air Berlin, C-573/16, EU:C:2017:772, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

66      Tale armonizzazione mira così a eliminare, quanto più possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza od ostacolare la libera circolazione dei capitali e, quindi, a garantire il buon funzionamento del mercato interno (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2015, Drukarnia Multipress, C-357/13, EU:C:2015:253, punto 31).

67      A tal fine, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva impone agli Stati membri di non assoggettare le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per i conferimenti di capitale.

68      Ai sensi dell’articolo 3, lettera h), della stessa direttiva, la nozione di «conferimento di capitale» comprende l’aumento del patrimonio sociale di una società di capitali mediante prestazioni di servizi effettuate da un socio che non implicano un aumento del capitale sociale, ma che possono aumentare il valore delle quote sociali.

69      A tale riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la concessione di un prestito senza interessi può costituire un conferimento di capitali, ai sensi della disposizione succitata, in quanto un simile prestito consente alla società mutuataria di disporre di capitali senza doverne sostenere l’onere, che il risparmio degli interessi che ne consegue determina un aumento del patrimonio sociale consentendo a detta società di evitare una spesa che avrebbe dovuto sostenere e che, facendole risparmiare tale spesa, il vantaggio di un tale prestito contribuisce al rafforzamento del suo potenziale economico e quindi può aumentare il valore delle quote sociali della società beneficiaria (sentenza del 17 settembre 2002, Norddeutsche Gesellschaft zur Beratung und Durchführung von Entsorgungsaufgaben bei Kernkraftwerken, C-392/00, EU:C:2002:500, paragrafo 18 e giurisprudenza ivi citata).

70      Tuttavia, secondo il titolo stesso della direttiva 2008/7 e il tenore letterale del suo articolo 5, paragrafo 1, lettera a), tale direttiva vieta unicamente agli Stati membri di applicare ai conferimenti di capitale un’«imposta indiretta». In particolare, come la Corte ha già sottolineato, l’armonizzazione prevista da detta direttiva non riguarda le imposte dirette, che, come l’imposta sui redditi delle società, rientrano, di norma, nella competenza degli Stati membri, nel rispetto del diritto dell’Unione (sentenze del 26 settembre 1996, Frederiksen, C-287/94, EU:C:1996:354, punto 21, e del 18 gennaio 2001, P.P. Handelsgesellschaft, C-113/99, EU:C:2001:32, punto 24).

71      Pertanto, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/7 non impone agli Stati membri di esentare i conferimenti di capitale da qualsiasi forma di imposta diretta.

72      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 168 delle conclusioni, la ritenuta alla fonte di cui al procedimento principale deve essere considerata un’imposta diretta.

73      Invero, tale imposta, risultante dall’applicazione della normativa nazionale relativa all’imposta sui redditi delle società, ha come fatto generatore e come base imponibile il reddito che la società madre non residente avrebbe dovuto realizzare in condizioni di mercato. In tal senso, essa è assimilabile a un’imposta diretta sul reddito (v., per analogia, sentenze del 18 gennaio 2001, P.P. Handelsgesellschaft, C-113/99, EU:C:2001:32, punto 26, e del 10 marzo 2005, Optiver e a., C-22/03, EU:C:2005:143, punto 33).

74      Pertanto, la direttiva 2008/7 non si applica a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

–       Risposta alle questioni pregiudiziali relative all’interpretazione delle direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7

75      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere al giudice del rinvio dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della stessa direttiva, l’articolo 5 della direttiva 2011/96 e gli articoli 3 e 5 della direttiva 2008/7 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima.

 Sull’interpretazione degli articoli 49 e 63 TFUE, dell’articolo 5, paragrafo 4, e dell’articolo 12, lettera b), TUE e dell’articolo 47 della Carta

76      Con le questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 63 TFUE, da un lato, l’articolo 5, paragrafo 4, e l’articolo 12, lettera b), TUE e l’articolo 47 della Carta, dall’altro, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima, qualora tale ritenuta alla fonte si applichi all’importo lordo di tali interessi, senza possibilità di deduzione, in tale fase, delle spese connesse a tale prestito, essendo necessaria la presentazione successiva di una domanda in tal senso ai fini del ricalcolo di detta ritenuta e di un eventuale rimborso.

–       Sugli articoli 49 e 63 TFUE

77      Poiché il giudice del rinvio si riferisce sia alla libertà di stabilimento sia alla libera circolazione dei capitali, sancite, rispettivamente, agli articoli 49 e 63 TFUE, occorre, in via preliminare, stabilire quale di queste due libertà possa essere pregiudicata da una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

78      A tale riguardo, da una giurisprudenza ben consolidata della Corte risulta che occorre tener conto dell’oggetto della normativa in questione (sentenza del 10 giugno 2015, X, C-686/13, EU:C:2015:375, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

79      Ricade quindi nella sfera di applicazione dell’articolo 49 TFUE, relativo alla libertà di stabilimento, una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinarne le attività (sentenza del 10 giugno 2015, X, C-686/13, EU:C:2015:375, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

80      Per contro, disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (sentenza del 10 giugno 2015, X, C-686/13, EU:C:2015:375, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

81      Nel caso della normativa nazionale oggetto del procedimento principale, lo stesso giudice del rinvio riferisce, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, che l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO si applica ai prestiti senza interessi concessi sia tra società collegate sia tra società non collegate, e quindi indipendentemente dalla possibilità di cui dispone una società di esercitare una sicura influenza sulle decisioni e sull’attività di un’altra società, il che è altresì corroborato dal tenore letterale del paragrafo 1 di tale articolo, che riguarda espressamente le società non collegate.

82      In un caso del genere, gli elementi di fatto della controversia principale, dai quali risulta che la società mutuante era, all’epoca dei fatti rilevanti, l’azionista unico della società mutuataria, sono irrilevanti al fine di stabilire se la situazione oggetto di tale controversia ricada nella sfera dell’una o dell’altra delle libertà fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2015, X, C-686/13, EU:C:2015:375, punti 22 e 23 e giurisprudenza ivi citata).

83      Di conseguenza, occorre ritenere che, per via del suo stesso oggetto, la normativa nazionale di cui al procedimento principale ricada in misura preponderante nella sfera della libera circolazione dei capitali prevista all’articolo 63 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 158 e giurisprudenza ivi citata).

84      Ciò posto, anche ammesso che tale normativa nazionale abbia effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento, tali effetti sarebbero l’inevitabile conseguenza di un possibile ostacolo alla libera circolazione dei capitali e, quindi, non giustificherebbero un esame autonomo della stessa normativa alla luce dell’articolo 49 TFUE (sentenza del 17 settembre 2009, Glaxo Wellcome, C-182/08, EU:C:2009:559, punto 51).

85      Occorre pertanto verificare se la normativa nazionale di cui trattasi comporti una restrizione alla libera circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 63 TFUE, e, in caso affermativo, se tale restrizione possa essere giustificata alla luce di tale disposizione.

86      In primo luogo, per quanto riguarda l’esistenza di una restrizione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 63, paragrafo 1, TFUE vieta, in quanto restrizioni ai movimenti di capitali, le misure che sono idonee a dissuadere i non residenti dall’effettuare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di questo Stato membro dall’effettuarne in altri Stati (sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale, C-565/18, EU:C:2020:318, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

87      A tale riguardo, anche supponendo che l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, il che rientra nell’interpretazione del diritto nazionale, introduca una presunzione assoluta di elusione fiscale, senza consentire agli interessati, segnatamente nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali che giustificano la conclusione di prestiti senza interessi, è necessario constatare che tale norma si applica allo stesso modo a tutti i prestiti senza interessi, a prescindere dal fatto che essi coinvolgano o no società non residenti. Pertanto, per quanto riguarda tale regola, tale disposizione non comporta alcuna restrizione alla libera circolazione dei capitali rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE.

88      Per contro, la Corte ha già dichiarato che una normativa nazionale in forza della quale una società non residente viene assoggettata a imposta, per effetto di una ritenuta alla fonte operata da una società residente, sugli interessi corrispostile da quest’ultima, restando esclusa la deducibilità fiscale delle spese, quali le spese per interessi, direttamente connesse all’attività di prestito in questione, laddove una simile deducibilità è invece riconosciuta nel caso di corresponsione di interessi da una società residente ad altra società residente, costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali (sentenza del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punto 175 e giurisprudenza ivi citata).

89      Orbene, nel caso di specie, sebbene una stessa aliquota d’imposta del 10% si applichi indipendentemente dal fatto che il prestito senza interessi coinvolga unicamente società residenti o anche società non residenti, le società residenti sono tuttavia soggette all’imposta di cui trattasi, nell’ambito dell’assoggettamento all’imposta sulle società, sull’importo netto dei loro redditi da interessi fittizi, previa deduzione delle eventuali spese direttamente connesse alla concessione di tale prestito, mentre, conformemente all’articolo 195, paragrafi 1 e 2, e all’articolo 199 dello ZKPO, le società non residenti sono soggette a una ritenuta alla fonte sull’importo lordo dei loro redditi da interessi fittizi, senza che sia possibile, in tale fase, dedurre spese del genere.

90      È certamente pacifico che, in forza dell’articolo 202a dello ZKPO, tali società non residenti possono presentare una domanda nel corso dell’anno successivo a quello della riscossione della ritenuta alla fonte affinché tale imposta sia ricalcolata in modo da corrispondere a quella che sarebbe stata dovuta da una società residente. Tale procedura di recupero consentirebbe così loro, da un lato, di dedurre le spese direttamente connesse all’attività di prestito in questione e, dall’altro, di ottenere l’eventuale rimborso dell’eccedenza d’imposta prelevata alla fonte, o anche l’esenzione da tale imposta in caso di perdita.

91      Tuttavia, resta il fatto che, mentre una società residente può dedurre sin da subito le spese direttamente connesse ai suoi redditi da interessi fittizi affinché l’importo dell’imposta prelevata dall’amministrazione finanziaria corrisponda immediatamente all’importo esatto dell’imposta dovuta, una società non residente può chiedere che si tenga conto di tali spese, nell’ambito della suddetta procedura di recupero, solo in una fase successiva, mediante la presentazione di una domanda, dopo aver versato la ritenuta alla fonte calcolata sull’importo lordo dei suoi interessi fittizi.

92      Ne consegue che la regolarizzazione della situazione fiscale di una società non residente avviene necessariamente in ritardo rispetto al momento in cui una società residente deve versare, dopo aver presentato la propria dichiarazione fiscale, l’imposta sull’importo netto dei suoi interessi fittizi.

93      Nel caso di specie è dunque pacifico che, se la società che ha concesso il prestito oggetto del procedimento principale fosse stata una società residente, non le sarebbe stata richiesta, nell’ipotesi in cui la sua situazione finanziaria fosse deficitaria, l’imposta sugli interessi fittizi relativi a tale prestito e, pertanto, essa sarebbe stata sin da subito dispensata dal pagamento di tale imposta senza essere tenuta a chiederne successivamente il ricalcolo.

94      Si deve constatare che una simile differenza di trattamento è tale da procurare un vantaggio alle società residenti, in quanto comporta quantomeno un vantaggio di tesoreria per queste ultime rispetto alle società non residenti (v., per analogia, sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., C-575/17, EU:C:2018:943, punti da 28 a 34).

95      Di conseguenza, una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, che è, in linea di principio, vietata dall’articolo 63 TFUE.

96      Pertanto, occorre verificare, in secondo luogo, se una simile restrizione possa essere considerata come oggettivamente giustificata, alla luce dell’articolo 65, paragrafi 1 e 3, TFUE.

97      Da tali disposizioni risulta che gli Stati membri possono operare, nella loro normativa nazionale, una distinzione tra i contribuenti residenti e i contribuenti non residenti, purché tale distinzione non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali [sentenza del 18 marzo 2021, Autoridade Tributária e Aduaneira (Imposta sulle plusvalenze immobiliari), C-388/19, EU:C:2021:212, punto 34].

98      Occorre dunque distinguere le differenze di trattamento autorizzate ai sensi del paragrafo 1, lettera a), dell’articolo 65 TFUE dalle discriminazioni arbitrarie vietate dal paragrafo 3 dello stesso articolo. A tale riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, affinché una normativa tributaria nazionale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato FUE relative alla libera circolazione dei capitali, occorre che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente comparabili o sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale [v., in tal senso, sentenza del 18 marzo 2021, Autoridade Tributária e Aduaneira (Imposta sulle plusvalenze immobiliari), C-388/19, EU:C:2021:212, punto 35].

99      Per quanto riguarda, anzitutto, la comparabilità delle situazioni di cui al procedimento principale, il convenuto nel procedimento principale, nelle sue osservazioni scritte, e il governo bulgaro, in udienza, hanno sostenuto che la differenza di trattamento è giustificata dal fatto che una società non residente e una società residente si trovano in situazioni oggettivamente diverse in relazione all’imposta sulle società, poiché la prima, a differenza della seconda, non produce un risultato finanziario, contabile e fiscale che ne consenta l’assoggettamento a tale imposta in Bulgaria.

100    A tale riguardo, occorre ricordare che, in materia di imposte dirette, la situazione dei residenti e quella dei non residenti non sono di regola comparabili (sentenza del 14 febbraio 1995, Schumacker, C-279/93, EU:C:1995:31, punto 31).

101    Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, dal momento in cui uno Stato assoggetta, unilateralmente o mediante accordi, all’imposta sui redditi non soltanto contribuenti residenti, ma anche contribuenti non residenti, per i redditi che essi percepiscono da una società residente, la situazione di detti contribuenti non residenti si avvicina a quella dei contribuenti residenti (sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., C-575/17, EU:C:2018:943, punto 47).

102    In particolare, per quanto riguarda la determinazione, ai fini del calcolo dell’imposta sui redditi, delle spese direttamente connesse a un’attività che ha generato redditi imponibili in uno Stato membro, la Corte ha già dichiarato che le società residenti e le società non residenti sono poste in una situazione comparabile (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia, C-641/17, EU:C:2019:960, punto 74 e giurisprudenza ivi citata).

103    Orbene, nel caso di specie, si deve constatare che la Repubblica di Bulgaria ha scelto, con la normativa nazionale di cui al procedimento principale, di esercitare la propria competenza fiscale sui prestiti senza interessi conclusi tra società mutuatarie residenti e società mutuanti non residenti e che, di conseguenza, le società non residenti devono essere considerate, per quanto attiene alle spese direttamente connesse a tali prestiti, in una situazione comparabile a quella delle società residenti.

104    È vero che, nella sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C-282/07, EU:C:2008:762), la Corte ha constatato che, nelle circostanze della causa che ha dato origine a tale sentenza, una differenza di trattamento consistente nell’applicazione di tecniche impositive diverse a seconda del luogo di residenza del contribuente riguardava situazioni che non erano oggettivamente comparabili, sicché tale differenza di trattamento, che per di più non procurava necessariamente un vantaggio ai beneficiari residenti, non costituiva una restrizione, in particolare, alla libera circolazione dei capitali (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center, C-282/07, EU:C:2008:762, punti 41 e da 49 a 51; v. anche, in tal seno, sentenza del 17 settembre 2015, Miljoen e a., C-10/14, C-14/14 e C-17/14, EU:C:2015:608, punto 70).

105    Tuttavia, a differenza della causa che ha dato origine alla sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C-282/07, EU:C:2008:762), nella presente causa, le società residenti che abbiano concesso un prestito senza interessi, come risulta dal punto 94 della presente sentenza, beneficiano, rispetto alle società non residenti che abbiano concesso un tale prestito, di un vantaggio di tesoreria che deriva dal diverso momento in cui la deduzione delle spese direttamente connesse a tale prestito può essere da esse effettuata.

106    Orbene, come risulta dai punti da 91 a 93 della presente sentenza, la portata di tale vantaggio è determinata dalla durata della procedura di recupero istituita dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale al fine di consentire alle società non residenti di chiedere il ricalcolo della ritenuta alla fonte applicata sull’importo lordo degli interessi fittizi relativi al prestito senza interessi affinché tale ritenuta corrisponda all’importo dell’imposta sulle società che sarebbe stato versato da una società residente che avesse concesso un simile prestito.

107    Ciò premesso, non si può ritenere che la differenza di trattamento nell’assoggettamento a imposta degli interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi a seconda che quest’ultimo sia concesso da una società residente o da una società non residente si limiti alle modalità di riscossione dell’imposta (v., per analogia, sentenze del 26 febbraio 2019, N Luxembourg 1 e a., C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16, EU:C:2019:134, punti 164 e 165, e del 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia, C-641/17, EU:C:2019:960, punti da 71 a 73).

108    Pertanto, tale differenza di trattamento riguarda situazioni che sono oggettivamente comparabili.

109    Occorre dunque verificare, poi, se la normativa nazionale di cui al procedimento principale possa essere giustificata dalle ragioni invocate nel caso di specie da taluni interessati.

110    A tale riguardo, il convenuto nel procedimento principale sostiene che, conformemente al principio di territorialità, gli Stati membri sono legittimati ad assoggettare a imposta i redditi generati sul loro territorio al fine di garantire una ripartizione equilibrata della potestà impositiva. In particolare, in assenza di misure di armonizzazione adottate dall’Unione, gli Stati membri rimarrebbero competenti a definire i criteri di ripartizione della loro potestà impositiva. Il governo bulgaro sottolinea, dal canto suo, che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale ha ad oggetto la lotta all’elusione fiscale.

111    Si deve quindi constatare che tale argomentazione mira, in sostanza, a giustificare la normativa nazionale di cui al procedimento principale con la necessità di assicurare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri e di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta al fine di prevenire, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 16 dello ZKPO, l’elusione fiscale.

112    A tale riguardo, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, una misura che restringe la libera circolazione dei capitali può essere ammessa solo a condizione di essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale e di rispettare il principio di proporzionalità, il che esige che essa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo legittimamente perseguito e che non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento [sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), C-235/17, EU:C:2019:432, punto 59 e giurisprudenza ivi citata].

113    Sulla scorta della giurisprudenza della Corte, costituiscono motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare un ostacolo all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE, tra le quali la libera circolazione dei capitali, tanto la necessità di preservare la ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri quanto la lotta all’elusione fiscale (sentenza dell’8 marzo 2017, Euro Park Service, C-14/16, EU:C:2017:177, punto 65). Lo stesso vale per la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale, C-565/18, EU:C:2020:318, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

114    Per quanto riguarda l’idoneità della normativa nazionale di cui al procedimento principale a realizzare tali obiettivi, occorre ricordare che la necessità di assicurare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri può giustificare una differenza di trattamento qualora il regime di cui trattasi sia inteso a prevenire comportamenti tali da violare il diritto di uno Stato membro di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul proprio territorio (sentenza del 31 maggio 2018, Hornbach-Baumarkt, C-382/16, EU:C:2018:366, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

115    A tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che una procedura di ritenuta alla fonte costituisce un mezzo legittimo e adeguato per garantire il trattamento fiscale dei redditi di un contribuente stabilito al di fuori dello Stato d’imposizione (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2018, Sofina e a., C-575/17, EU:C:2018:943, punto 68).

116    Orbene, nel caso di specie, si deve constatare che la normativa nazionale di cui al procedimento principale, ove prevede la ritenuta alla fonte degli interessi fittizi relativi a prestiti senza interessi concessi da società non residenti a società residenti, consente allo Stato membro di residenza di esercitare la propria competenza fiscale in relazione ad attività svolte sul suo territorio, mirando ad impedire che la concessione di simili prestiti abbia il solo scopo di eludere l’imposta normalmente dovuta sui redditi generati da attività realizzate sul territorio nazionale.

117    Una normativa del genere deve, pertanto, essere considerata idonea ad assicurare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri e a garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta al fine di prevenire l’elusione fiscale.

118    Per quanto riguarda la questione se la normativa nazionale di cui al procedimento principale non vada oltre quanto necessario per conseguire tali obiettivi, la Viva Telecom Bulgaria ha sostenuto, in udienza, che la durata della procedura di recupero di cui all’articolo 202a dello ZKPO è eccessiva, considerato che un eventuale rimborso dell’eccedenza di ritenuta alla fonte versata da una società residente sull’importo lordo degli interessi fittizi relativi a un prestito senza interessi concesso da una società non residente può anche avvenire solo dopo tre anni.

119    Tuttavia, fatte salve le verifiche che devono essere effettuate dal giudice del rinvio, dalle spiegazioni fornite dal convenuto nel procedimento principale in tale udienza risulta che un tale rimborso avviene, di norma, entro un termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda e che solo in casi eccezionali la durata della procedura può raggiungere i tre anni. Inoltre, il governo bulgaro ha riferito, in udienza, altra circostanza che spetta a tale giudice verificare, che l’agenzia nazionale delle entrate deve procedere al pagamento di interessi sugli importi dovuti dal trentesimo giorno successivo al deposito della dichiarazione fiscale.

120    Pertanto, fatte salve tali verifiche, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale non sembra, alla luce della durata della procedura di recupero, andare oltre quanto necessario per conseguire gli obiettivi da essa perseguiti.

121    Ciò posto, risulta che tale normativa nazionale può essere giustificata dagli obiettivi consistenti nell’assicurare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri e nel garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta al fine di prevenire l’elusione fiscale.

–       Sull’articolo 5, paragrafo 4, e sull’articolo 12, lettera b), TUE nonché sull’articolo 47 della Carta

122    Come emerge dal punto 33 della presente sentenza, il giudice del rinvio si interroga altresì sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, e dell’articolo 12, lettera b), TUE nonché dell’articolo 47 della Carta, per il motivo che la normativa nazionale di cui al procedimento principale, quale risulta dall’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, prevedrebbe una presunzione assoluta di elusione fiscale in caso di concessione di un prestito senza interessi.

123    A questo proposito, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, la Corte non è competente a rispondere a una questione proposta in via pregiudiziale quando è manifesto che la disposizione del diritto dell’Unione sottoposta all’interpretazione della Corte non può essere applicata (sentenza del 25 luglio 2018, TTL, C-553/16, EU:C:2018:604, punto 31).

124    Orbene, in primo luogo, per quanto riguarda l’articolo 5, paragrafo 4, TUE, la Corte ha già dichiarato che tale disposizione si riferisce all’azione delle istituzioni dell’Unione, atteso che il suo primo comma prevede che, in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati, e il suo secondo comma impone alle istituzioni dell’Unione di conformarsi al medesimo principio di proporzionalità quando agiscano nell’esercizio di una competenza (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, TTL, C-553/16, EU:C:2018:604, punto 33).

125    In secondo luogo, per quanto riguarda l’articolo 12, lettera b), TUE, la Corte ha altresì dichiarato che tale disposizione, in forza della quale i parlamenti nazionali contribuiscono al buon funzionamento dell’Unione vigilando sul rispetto del principio di sussidiarietà, autorizza questi ultimi a vigilare sul rispetto di tale principio quando le istituzioni dell’Unione esercitano una competenza nonché sul buon funzionamento dell’Unione e, pertanto, non riguarda le legislazioni nazionali, ma i progetti di atti legislativi dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, TTL, C-553/16, EU:C:2018:604, punto 34).

126    In terzo luogo, quanto all’articolo 47 della Carta, occorre ricordare che l’ambito di applicazione di questa, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, di tale Carta, ai sensi del quale le disposizioni di quest’ultima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione (sentenza del 14 gennaio 2021, Okrazhna prokuratura – Haskovo e Apelativna prokuratura – Plovdiv, C-393/19, EU:C:2021:8, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

127    L’articolo 51, paragrafo 1, della Carta conferma la costante giurisprudenza della Corte secondo cui i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse (sentenza del 14 gennaio 2021, Okrazhna prokuratura – Haskovo e Apelativna prokuratura – Plovdiv, C-393/19, EU:C:2021:8, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

128    Pertanto, ove una situazione giuridica non rientri nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (sentenza del 14 gennaio 2021, Okrazhna prokuratura – Haskovo e Apelativna prokuratura – Plovdiv, C-393/19, EU:C:2021:8, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

129    Nel caso di specie, la normativa nazionale di cui al procedimento principale non rientra, per le ragioni esposte ai punti da 48 a 75 della presente sentenza, nell’ambito di applicazione delle direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7. Inoltre, l’articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO, nei limiti in cui istituirebbe una presunzione assoluta di elusione fiscale, non rientra, come risulta dal punto 87 della presente sentenza, nell’ambito di applicazione dell’articolo 63 TFUE ed esula, di conseguenza, su tale punto, dall’ambito di applicazione della Carta.

130    Ne consegue che non occorre rispondere al giudice del rinvio nella parte in cui esso si interroga sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, e dell’articolo 12, lettera b), TUE nonché dell’articolo 47 della Carta, poiché è evidente che tali disposizioni non sono applicabili alla situazione contemplata da tale giudice.

–       Risposta alle questioni pregiudiziali relative all’interpretazione del diritto primario

131    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere al giudice del rinvio dichiarando che l’articolo 63 TFUE, letto alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima, qualora tale ritenuta alla fonte si applichi all’importo lordo di tali interessi, senza possibilità di deduzione, in tale fase, delle spese connesse a tale prestito, essendo necessaria la presentazione successiva di una domanda in tal senso ai fini del ricalcolo di detta ritenuta e di un eventuale rimborso, purché, da un lato, la durata della procedura prevista a tal fine da tale normativa non sia eccessiva e, dall’altro, siano dovuti interessi sugli importi rimborsati.

 Sulle spese

132    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della stessa direttiva, l’articolo 5 della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015, e gli articoli 3 e 5 della direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima.

2)      L’articolo 63 TFUE, letto alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede l’assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest’ultima, qualora tale ritenuta alla fonte si applichi all’importo lordo di tali interessi, senza possibilità di deduzione, in tale fase, delle spese connesse a tale prestito, essendo necessaria la presentazione successiva di una domanda in tal senso ai fini del ricalcolo di detta ritenuta e di un eventuale rimborso, purché, da un lato, la durata della procedura prevista a tal fine da tale normativa non sia eccessiva e, dall’altro, siano dovuti interessi sugli importi rimborsati.

Firme


*      Lingua processuale: il bulgaro.