Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

References to this case

Share

Highlight in text

Go

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. POIARES MADURO

presentate il 31 maggio 2006 1(1)

Causa C-347/04

Rewe Zentralfinanz eG, successore universale della ITS Reisen GmbH

contro

Finanzamt Köln-Mitte

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Finanzgericht Köln (Germania)]

«Normativa fiscale – Imposte sulle società – Compensazione delle perdite da parte delle società controllanti – Perdite dovute al deprezzamento del valore delle quote detenute in società controllate stabilite in altri Stati membri»





1.        Le cause relative ai sistemi nazionali di trattamento fiscale delle perdite e dei costi delle società appartenenti a un gruppo transnazionale sollevano, nell’ambito comunitario, problemi nuovi e delicati (2). Questi problemi ruotano attorno alla questione della compatibilità di tali sistemi con i principi del Trattato CE volti a garantire l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno. Ognuna di queste cause pone problemi specifici e deve costituire quindi oggetto di un esame separato. Allo stesso tempo, è opportuno che su questo punto venga fissata una giurisprudenza chiara e consolidata.

2.        Di recente, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi, nella sentenza Marks & Spencer (3), sulla compatibilità con il diritto comunitario del sistema britannico cosiddetto di «sgravio di gruppo» che consente, a certe condizioni, ad una società madre di detrarre dal proprio profitto imponibile le perdite subite dalle sue controllate. Si tratta ora di pronunciarsi, alla luce delle libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, su una disposizione della normativa tedesca relativa all’imposta sul reddito che limita le possibilità di una società madre stabilita in Germania di dedurre fiscalmente le perdite derivanti dall’ammortamento sul valore delle partecipazioni nelle società da essa controllate stabilite in altri Stati membri.

I –    Contesto di diritto e di fatto

3.        I fatti all’origine della causa sono i seguenti. Con un contratto stipulato il 6 marzo 1995 il gruppo Kaufhof cedeva la ITS Reisen GmbH (in proisieguo: la «ITS»), una società del gruppo operante nel settore del turismo, alla società Rewe Zentralfinanz eG (in prosieguo: la «Rewe»). Per effetto di un contratto di fusione, la Rewe acquisiva il patrimonio della ITS, diventandone il successore universale.

4.        Nel 1989 la ITS aveva creato nei Paesi Bassi una società figlia, la Kaufhof-Tourism Holdings BV (in prosieguo: la «KTH»), della quale deteneva la totalità delle quote sociali. Nello stesso Stato membro, essa ha fondato una società di partecipazioni, la International Tourism Investment Holding BV (in prosieguo: la «ITIH»), da essa controllata al 100%. La ITIH ha inoltre acquistato partecipazioni in due società in Belgio, in una società nel Regno Unito e in una società in Spagna.

5.        La materia dell’imposizione fiscale sulle società è regolata in Germania dalla legge relativa all’imposta sulle persone giuridiche (Körperschaftsteuergesetz, in prosieguo: il «KStG»), che fa rinvio alle disposizioni rilevanti della legge in materia di imposta sul reddito (Einkommensteuergesetz; in prosieguo: l’«EStG»). Ai sensi dell’art. 1 del KStG, le società stabilite in Germania vengono tassate sull’insieme degli utili realizzati a livello mondiale. L’utile imponibile risulta, in linea di principio, dalla differenza tra il capitale di esercizio della società alla fine dell’anno considerato e il capitale di esercizio alla fine dell’anno precedente. Le eventuali perdite superiori possono costituire oggetto di anticipazione o di riporto su altri esercizi fiscali, ai sensi dell’art. 10 quinquies EStG. Inoltre, l’art. 6 EStG permette di tener conto, fra l’altro, a titolo delle spese di esercizio deducibili dall’utile imponibile, degli ammortamenti sul valore parziale più basso delle partecipazioni. Queste spese corrispondono, di fatto, ad una valutazione della diminuzione del prezzo d’acquisto della partecipazione in una società a causa delle perdite persistenti da essa subite.

6.        Nel corso degli esercizi fiscali 1993 e 1994, la ITS ha effettuato degli ammortamenti parziali sul valore contabile della sua partecipazione nella KTH nonché delle rettifiche di valore su crediti relativi alle filiali britannica e spagnola della ITIH. Per l’anno 1993, queste operazioni rappresentano oneri pari a DEM 14 342 499 e, per l’anno 1994, oneri pari a DEM 32 332 144, ossia un totale di oltre DEM 46 milioni.

7.        Il Finanzamt Köln-Mitte (Ufficio dei contributi di Colonia-Centro) si è rifiutato di prendere in considerazione questi oneri a titolo di redditi negativi per stabilire l’utile imponibile della Rewe nel corso dei due anni controversi, sostenendo che ciò fosse contrario all’art. 2 bis, commi 1 e 2, dell’EStG.

8.        Tale disposizione, intitolata «Redditi negativi di provenienza estera», stabilisce infatti quanto segue:

«1) Redditi negativi

(…)

2. provenienti da uno stabilimento industriale o commerciale situato in un paese straniero,

3a) provenienti dal calcolo del valore parziale più basso di una partecipazione, facente parte del patrimonio aziendale, in una persona giuridica che non ha né la direzione aziendale né la sede nel territorio nazionale (persona giuridica straniera), (…)

(…)

possono essere compensati solo mediante redditi positivi dello stesso tipo provenienti dallo stesso paese […]; non possono neppure essere detratti ai sensi dell’art. 10 quinquies. Le riduzioni di utili sono equiparate ai redditi. Qualora i redditi negativi non siano compensabili ai sensi della prima frase, essi riducono i redditi positivi dello stesso tipo che il contribuente percepirà nel corso degli esercizi successivi nello stesso paese (…).

(2) L’art. 1, primo periodo, n. 2, non si applica se il contribuente dimostra che i redditi negativi provengono da uno stabilimento industriale o commerciale all’estero, che si dedica esclusivamente o quasi esclusivamente alla produzione o alla fornitura di merci, eccetto le armi, all’estrazione di risorse del sottosuolo e all’esecuzione di prestazioni commerciali purché esse non consistano nella costruzione o gestione di stabilimenti per il turismo, o nella locazione di beni economici incluso il trasferimento di diritti, progetti, modelli, procedure, e know-how; il diretto possesso di una partecipazione di almeno un quarto del capitale nominale di una società di capitali, che si occupa esclusivamente o quasi esclusivamente delle suddette attività nonché il finanziamento connesso al possesso di una partecipazione del genere è considerato esecuzione di prestazioni commerciali se la società di capitali non ha né la direzione né la sede all’interno del paese (…)».

9.        È assodato che nel corso dei due anni controversi la ITS non possedeva redditi negativi provenienti dalla sua controllata olandese KTH. Peraltro, non sussistevano le condizioni per la deroga di cui all’art. 2 bis, n. 2, dell’EStG: la KTH non svolge nessuna delle attività privilegiate, qualificate come «operazioni attive», menzionate nell’art. 2 bis, comma 2, prima frase, dell’EStG; inoltre, essa non possiede partecipazioni dirette in una società di capitali che svolga una delle suddette attività privilegiate.

10.      Alla luce di tali constatazioni, il Finanzamt Köln-Mitte ha emanato dei pareri modificativi riguardo all’imposta sulle persone giuridiche dovuta dalla Rewe. Quest’ultima ha sporto reclamo presso l’amministrazione fiscale. Vedendosi respinto tale reclamo, essa ha proposto un ricorso dinanzi al Finanzgericht Köln per ottenere che venissero prese in considerazione le spese di esercizio complessive legate alle sue partecipazioni nelle società con sede nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e in Spagna. A sostegno del suo ricorso, la Rewe dichiara che l’applicazione dell’art. 2 bis dell’EStG costituisce una discriminazione contraria al diritto comunitario.

11.      Il giudice del rinvio è dello stesso avviso. Egli sostiene che dal diritto applicabile emerge che degli ammortamenti sul valore delle partecipazioni in una società tedesca potrebbero, in line a di principio, essere tenuti in conto a fini fiscali senza limitazioni per determinare l’utile imponibile della società che possiede tali partecipazioni. Al contrario, gli ammortamenti sul valore delle partecipazioni in una società stabilita in un altro Stato membro possono essere tenuti in considerazione solo in casi limitati, sia che tali oneri vengano compensati da redditi positivi provenienti da quest’altro Stato membro, sia che le condizioni per il regime derogatorio di cui all’art. 2 bis, comma 2, dell’EStG siano soddisfatte. Sembra pertanto chiaro al giudice del rinvio che una simile restrizione sulla deducibilità delle perdite legate ad investimenti esteri costituisce un ostacolo alla libertà di stabilimento in un altro Stato membro nonché alla libera circolazione dei capitali tutelate dal diritto comunitario.

12.      Forte di tale convinzione, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 52 (…) del Trattato, in combinato disposto con l’art. 58 (…), e gli artt. 67-73, nonché 73B e seguenti del Trattato debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa che – come quella controversa nella causa principale contenuta all’art. 2bis, commi primo, n. 3, lett. a), e secondo, dell’EStG (…) – limiti l’immediata deducibilità fiscale delle perdite derivanti dall’ammortamento sul valore di partecipazioni in società controllate stabilite in altri paesi della Comunità, quando queste ultime effettuino operazioni passive ai sensi della normativa nazionale e/o quando effettuino operazioni attive ai sensi della normativa nazionale solo tramite proprie sub-controllate, mentre sono consentiti senza limitazioni gli ammortamenti sul valore di partecipazioni in società controllate stabilite nel territorio nazionale».

II – Analisi

A –    La restrizione alla libertà di stabilimento

13.      La libertà di stabilimento, sancita dall’art. 43 CE, riconosce ai cittadini comunitari l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato membro di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Ai sensi dell’art. 48 CE, essa comporta, per le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una succursale o un’agenzia (4).

14.      Dalla sentenza Baars deriva che si avvale del suo diritto di stabilimento il cittadino di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività (5). Questo avviene senza dubbio quando, come nel caso di specie, una società come la Rewe possiede una partecipazione del 100% nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, che a sua volta possiede il 100% delle quote di una società che detiene partecipazioni nel capitale di diverse società stabilite in altri Stati membri. Di conseguenza, la situazione contemplata dal giudice del rinvio, che riguarda le perdite subite dalla Rewe a causa della sua partecipazione nella sua controllata KTH, stabilita nei Paesi Bassi, e delle partecipazioni che quest’ultima detiene in una «società-nipote» straniera, rientra nelle norme del Trattato relative alla libertà di stabilimento.

15.      Voglio ricordare che, sebbene, così come formulate, le norme relative alla libertà di stabilimento mirino in special modo ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione (6). È evidente che il Trattato osta ad ogni «restrizione all’uscita», consistente in un trattamento svantaggioso applicato dalla legislazione di uno Stato membro alle società in esso stabilite che intendano costituire delle filiali in altri Stati membri.

16.      Fra i trattamenti sfavorevoli vietati dal Trattato vi sono le restrizioni di natura fiscale. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (7).

17.      In base alla normativa oggetto della causa principale, le perdite legate all’ammortamento sul valore delle partecipazioni in una società controllata stabilita in Germania entrano senza limitazioni nella determinazione dell’utile imponibile delle società soggette ad imposta. Invece, le perdite della stessa natura dovute a partecipazioni in una controllata stabilita in un altro Stato membro sono deducibili, da parte della società soggetta ad imposta in Germania, solo in presenza di taluni requisiti riguardanti i redditi o le attività.

18.      Pertanto, la situazione fiscale di una società che, come la Rewe, possiede una controllata nei Paesi Bassi, è meno favorevole di quel che sarebbe se la società controllata fosse stabilita in Germania. Vero è che le perdite derivanti dalla partecipazione in una controllata all’estero potrebbero essere imputate nel caso in cui quest’ultima producesse ulteriori redditi positivi. Nondimeno, anche in tal caso la società-madre viene privata della possibilità di un’imputazione immediata delle sue perdite. Questa possibilità riconosciuta alle società che posseggono controllate nazionali costituisce, per esse, un vantaggio di cassa (8). Privare le società che posseggono controllate all’estero di tale vantaggio può disincentivare la costituzione di società controllate in altri Stati membri.

19.      Data questa disparità di trattamento, una società madre potrebbe essere dissuasa dall’esercitare le proprie attività con l’intermediazione di una società controllata o di una società controllata dalla controllata stabilita in altri Stati membri (9).

20.      Il governo tedesco tuttavia sostiene che questa disparità di trattamento non costituisce una discriminazione vietata dal Trattato, in quanto la situazione di una società controllata stabilita in Germania non si può paragonare a quella di una società controllata stabilita in un altro Stato membro. Esso precisa che la Corte ha riconosciuto che le società controllate sono persone giuridiche autonome, soggette a imposizioni fiscali distinte sul territorio nel quale sono stabilite. Pertanto, le perdite corrispondenti ad ammortamenti e a crediti possono essere prese in considerazione nell’ambito della dichiarazione dei redditi di tali società controllate nello Stato membro in cui sono stabilite.

21.      Questo argomento non può essere accolto. La differenza di trattamento fiscale di cui si discute nella causa principale riguarda non la situazione delle società controllate, ma quella delle società madri stabilite in Germania, a seconda del fatto che queste dispongano o meno di società figlie stabilite in altri Stati membri. Al riguardo basta ricordare, da un lato, che le perdite di cui si discute sono quelle delle società madri e, dall’altro lato, che gli utili delle società controllate non sono imponibili in capo alle società madri, sia che provengano da società controllate assoggettate ad imposta in Germania, sia che provengano da controllate in altri Stati membri (10). La disparità di trattamento che riguarda le società madri non dipende quindi dal fatto che le loro controllate siano o meno oggetto di imposizione fiscale distinta.

22.      Dall’analisi che precede deriva che una limitazione della deducibilità degli oneri derivanti dall’ammortamento sul valore delle partecipazioni nel capitale di società controllate stabilite in altri Stati membri, come previsto dall’art. 2 bis, comma 1, punto 3, lett. a), e comma 2, dell’EStG, costituisce, come evidenziato dal giudice del rinvio, una restrizione alla libertà di stabilimento.

23.      Tale restrizione può essere consentita solo se persegue uno scopo legittimo compatibile con il Trattato ed è giustificata da ragioni imperative di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo (11).

B –    La giustificazione della normativa in esame

24.      A sostegno della misura contestata, il governo tedesco propone numerosi argomenti di diritto, espressione di timori di ordine al contempo politico (la preoccupazione di una ripartizione equilibrata del potere impositivo), etico (il rischio di un doppio uso fraudolento delle perdite e quello dell’evasione fiscale), amministrativo (la garanzia dell’efficacia dei controlli), sistematico (la necessità di salvaguardare l’uniformità del regime fiscale) ed economico (il rischio di perdite di bilancio). A suo parere, i suoi argomenti trovano conferma nella citata sentenza Marks & Spencer. È pertanto opportuno procedere all’analisi degli elementi di giustificazione ricordando tale giurisprudenza.

1.      La ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri

25.      Nella sentenza Marks & Spencer, la Corte ha ammesso per la prima volta che, al fine di valutare la compatibilità di una legislazione fiscale con le libertà fondamentali, era necessario prendere in considerazione il principio dell’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (12). Essa ha peraltro proceduto ugualmente a precisare e a delimitare le condizioni di applicazione di tale principio.

26.      Da un lato, tale esigenza rileva unicamente in sede di giustificazione del provvedimento restrittivo si cui si discute e non può essere invocata, come il governo tedesco fa nella causa in oggetto, nel quadro dell’analisi di una restrizione alla libertà di stabilimento. Dall’altro lato, tale giustificazione assume, nell’ambito comunitario, un significato che merita di essere circoscritto con attenzione.

27.      A questo proposito, il governo tedesco sembra riconoscere che tale esigenza potrebbe consentire l’esclusione di alcune forme di discriminazione dalla sfera di applicazione delle libertà di circolazione. Esso difatti basa il suo argomento su una regola di simmetria tra il diritto di tassare gli utili di una società e il dovere di prendere in considerazione le perdite della stessa. Poiché in materia fiscale utili e perdite costituiscono le due facce della stessa medaglia, le autorità fiscali tedesche non dovrebbero essere costrette a prendere in considerazione le perdite legate all’attività svolta da una controllata stabilita in un altro Stato membro nell’ambito del trattamento fiscale della società madre stabilita sul territorio tedesco, perché non hanno diritto di tassare gli utili di tale controllata. Solo una regola di ripartizione di questo tipo permetterebbe di rispettare la sovranità fiscale degli Stati membri e le norme del diritto tributario internazionale.

28.      Questo modo di definire l’esigenza di ripartizione equilibrata del potere impositivo non si può accettare. Considerata in questo modo, infatti, essa non si differenzia sostanzialmente da una giustificazione di tipo puramente economico. Tale interpretazione permetterebbe ad uno Stato membro di negare sistematicamente la concessione di vantaggi fiscali ad un’impresa sostenendo che essa ha svolto un’attività economica transnazionale che non può generare redditi fiscali in capo a tale Stato. In questa forma, del resto, tale giustificazione è stata espressamente respinta dalla Corte nella citata sentenza Marks & Spencer. La Corte ha dichiarato che, proprio riguardo a questo elemento di giustificazione, si deve ricordare che la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento che sia, in linea di principio, in contrasto con una libertà fondamentale (13).

29.      Certo, occorre tener conto del principio secondo il quale gli Stati membri restano liberi di definire l’organizzazione del loro sistema fiscale e di ripartire tra di loro il potere impositivo (14). Tuttavia, non si può negare che le libertà fondamentali impongono alcuni limiti agli Stati membri nell’esercizio delle loro competenze in materia. Tali limiti consistono, essenzialmente, nel rispettare l’obbligo di non sfavorire i soggetti passivi che svolgono un’attività transnazionale rispetto ai soggetti passivi nazionali, anche se ne risulti una diminuzione degli introiti fiscali dello Stato interessato.

30.      Tale punto di vista è stato sancito dalla Corte in particolare nella sentenza Bosal, citata in precedenza. In tale causa, la Corte ha dichiarato che il Trattato osta a una disposizione nazionale che subordini la deducibilità delle spese legate alla partecipazione di una società madre olandese nel capitale di una società figlia con sede in un altro Stato membro alla condizione che tali costi servano indirettamente alla realizzazione di utili imponibili nei Paesi Bassi. Tale soluzione è stata contestata sostenendo che contrastava con il principio della giusta ripartizione del potere impositivo degli Stati membri. Poiché le spese sostenute dalla società madre olandese erano economicamente legate agli utili realizzati dalla sua controllata con sede in un altro Stato membro, sarebbe stato giuridicamente più corretto analizzarle come spese estere che possono essere prese in considerazione unicamente nello Stato all’origine dei suddetti utili (15). Tuttavia, questa analisi non tiene sufficientemente conto della situazione del cittadino comunitario che opera nell’ambito ampliato del mercato interno e che non può costituire oggetto di un esame distinto a seconda del territorio di imposizione di cui si tratta, ma dev’essere valutato globalmente. Sotto questo profilo, è evidente che una disparità di trattamento fiscale tra società madri a seconda che posseggano o meno società controllate all’estero non può essere giustificata sostenendo che esse hanno proceduto ad un trasferimento di risorse economiche su una parte del territorio dell’Unione europea su cui lo Stato interessato non può esercitare il proprio potere fiscale. Dichiarare l’opposto, in assenza di regole comuni in materia, equivarrebbe a rendere praticamente inefficaci le libertà fondamentali sancite dal Trattato.

31.      Inoltre, se il ragionamento per simmetria difeso dal governo tedesco dovesse essere ammesso nell’ambito fiscale, non si capisce perché non dovrebbe estendersi agli altri settori interessati dalle libertà di circolazione. Così come si potrebbe invocare il principio di ripartizione del potere impositivo, dovrebbe essere allora possibile far valere, in generale, un principio di ripartizione del potere di legiferazione. Secondo tale principio, uno Stato membro avrebbe il diritto di rifiutarsi di prendere in considerazione le situazioni economiche transnazionali che possano mettere in discussione la sua libertà di legiferare. Per esempio, un bene legalmente prodotto conformemente a requisiti imposti da un altro Stato membro potrebbe vedersi negare l’ingresso su un mercato nazionale perché non rispetta i requisiti di legge applicabili in detto mercato. La libertà di circolazione delle merci si ridurrebbe allora ad una regola di non discriminazione puramente formale, consistente nell’applicazione del medesimo trattamento ai soli prodotti soggetti all’autorità della legge dello Stato interessato. Un simile risultato sarebbe del tutto contrario alla giurisprudenza costante della Corte in materia (16).

32.      Di conseguenza, non può essere questa la portata che va riconosciuta, nell’ambito comunitario, all’esigenza legittima della ripartizione equilibrata del potere impositivo. Se la Corte ha ammesso, nella sentenza Marks & Spencer, un elemento di giustificazione basato su tale esigenza, è soltanto in relazione ai rischi di abuso o di frode che possono derivare, in alcuni casi, da un cattivo coordinamento delle competenze fiscali degli Stati membri. In assenza di armonizzazione in materia fiscale, vi è motivo di temere che l’esercizio delle libertà di circolazione dia luogo allo sviluppo di un vero e proprio «traffico delle perdite» su scala comunitaria. Infatti, come ricordato dalla Corte in tale sentenza, «concedere alle società la possibilità di optare per la presa in considerazione delle loro perdite nello Stato membro in cui sono registrate o in un altro Stato membro comprometterebbe sensibilmente un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, dato che la base imponibile si troverebbe aumentata per il primo Stato e ridotta nel secondo, considerate le perdite trasferite» (17). Sarebbe pertanto possibile agli operatori economici organizzare il trasferimento delle loro perdite verso società stabilite negli Stati membri in cui si applicano i tassi impositivi più elevati e nei quali, di conseguenza, il valore fiscale delle perdite è maggiore. Tale situazione potrebbe rimettere in discussione la neutralità alla quale è tenuto il diritto comunitario nei confronti dei regimi fiscali nazionali (18).

33.      In base a questo principio di neutralità, il diritto di stabilimento non può essere utilizzato dagli operatori economici per trarne vantaggi che non siano legati all’esercizio delle libertà di circolazione. Orbene, ciò avverrebbe nel caso in cui un trasferimento di attività nella Comunità fosse determinato unicamente da ragioni fiscali, indipendentemente da ogni volontà di stabilimento e di integrazione nell’economia della società di accoglienza, con l’unico scopo di sottrarsi abusivamente alle normative nazionali o di sfruttare artificialmente le differenze che esistono tra di esse (19). Qualora si corresse tale rischio, come dichiarato dalla Corte nella sentenza Marks & Spencer, potrebbe rendersi necessario applicare, alle attività economiche delle società residenti in uno di tali Stati, le sole norme tributarie di quest’ultimo, per quanto riguarda tanto i profitti quanto le perdite (20). Ecco qual è, a mio avviso, il vero significato dell’esigenza di ripartizione del potere impositivo nell’ambito comunitario.

34.      È necessario ancora dimostrare che tale rischio sussiste. Ecco perché la Corte, nella stessa sentenza, ritiene che l’elemento di giustificazione basato sulla salvaguardia della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri non possa essere dissociato dagli altri due elementi relativi, l’uno, al rischio di un duplice uso delle perdite e, l’altro, al rischio di evasione fiscale. Soltanto alla luce di questi tre elementi di giustificazione, «considerati nel loro insieme» (21), la Corte ha ammesso che la normativa restrittiva contestata poteva essere giustificata.

35.      Occorre ora verificare se, come sostenuto dal governo tedesco, nel caso di specie sussistano i rischi di duplice uso delle perdite e di evasione fiscale.

2.      Il rischio di duplice uso delle perdite

36.      Il governo tedesco sostiene che, come per la normativa discussa nella sentenza Mark & Spencer, la normativa fiscale controversa è resa necessaria per consentire di evitare che una società possa beneficiare di vantaggi fiscali multipli sotto forma della duplice imputazione delle perdite subite all’estero.

37.      Questo argomento non è rilevante nell’ambito della causa in oggetto. In effetti, le perdite di cui si discute nella presente causa non sono, come per la sentenza Marks & Spencer, perdite subite all’estero da parte di società controllate indipendenti e successivamente trasferite sugli utili della società madre. Si tratta di perdite in cui è incorsa la società madre a causa del deprezzamento del valore delle sue partecipazioni nelle controllate straniere, e non si possono confondere con le perdite subite da queste ultime. Le due tipologie di perdite sono oggetto di un trattamento distinto sul piano fiscale. Di conseguenza, non si può ritenere che vi sia stato il rischio di un duplice uso delle stesse perdite a causa del fatto che una società madre è autorizzata ad effettuare tale deduzione.

38.      Anche ammesso che si riconosca l’esistenza di un nesso economico tra questi due tipi di perdite, come sostenuto dal governo tedesco, in modo che l’imputazione distinta delle perdite delle società figlie e di quelle della società madre venga qualificata come «duplice uso delle perdite», non risulta, nel caso di specie, che questo duplice uso sia specificamente connesso ad un trasferimento di attività in un altro Stato membro. Infatti, il presunto «duplice vantaggio» non è riservato alle società che posseggono un’attività transnazionale. Una società madre che dispone di controllate in Germania potrebbe dedurre dal proprio utile imponibile l’ammortamento sul valore parziale delle sue partecipazioni in tali controllate senza che a queste ultime venga impedito di utilizzare le proprie perdite nel quadro della loro imposizione fiscale in questo stesso Stato. Di conseguenza, questo duplice uso delle perdite non è affatto connesso alla ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri e non può giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento.

3.      Il rischio di evasione fiscale

39.      Su questo punto il governo tedesco propone in sostanza due argomenti. In primo luogo, esso sostiene che le società tedesche tendono a trasferire alcuni tipi di attività economiche al di fuori del territorio tedesco e del controllo delle autorità fiscali nazionali. In secondo luogo, esso ricorda che tale normativa è stata ispirata dal comportamento di alcune società, in particolare nel settore del turismo, le quali trasferivano attività tipicamente generatrici di perdite in altri Stati membri, al solo scopo di ridurre i propri utili imponibili. Tale normativa dovrebbe essere dichiarata necessaria per prevenire la possibilità di creare costruzioni artificiose.

40.      Quanto al primo argomento, basta ricordare che qualunque trasferimento di attività al di fuori del territorio di uno Stato membro non costituisce di per sé evasione fiscale. Non vi è dubbio sul fatto che il trasferimento di un’attività economica fuori del territorio di uno Stato membro possa comportare una perdita di introiti fiscali per tale Stato. Tuttavia, non si può ritenere che tale perdita sia conseguente ad un’evasione fiscale. In questo caso, si tratta semplicemente della conseguenza dell’esercizio dei diritti conferiti dalle libertà fondamentali garantite dal Trattato. Il fatto che una società detenga delle partecipazioni in società figlie stabilite in altri Stati membri non può fondare una presunzione generale di evasione o di frode fiscale, né giustificare una misura fiscale restrittiva (22).

41.      Quanto al secondo argomento, il semplice fatto che, in un determinato settore economico come il turismo, l’amministrazione fiscale tedesca abbia rilevato dei casi di perdite consistenti e persistenti subite da società straniere controllate da società stabilite in Germania non è sufficiente per dimostrare l’esistenza di costruzioni artificiose. Occorre ricordare che, anche ammesso che il rischio di evasione fiscale sia riconosciuto, è sempre necessario verificare se la misura di cui trattasi non ecceda quanto necessario per il conseguimento degli scopi perseguiti (23). Ora, una normativa, come quella in esame, che regola, in via generale, qualunque situazione in cui le società controllate di un gruppo risultano stabilite, per un qualunque motivo, in altri Stati membri, non si può considerare come giustificata dal rischio di evasione fiscale, senza eccedere quanto necessario per conseguire lo scopo che essa dichiara di perseguire. Questo emerge con molta chiarezza da una giurisprudenza costante (24).

42.      Allo stato dei fatti, il governo tedesco non ha dimostrato alla Corte perché detto rischio riguardava in particolare la costituzione di società figlie all’estero, piuttosto che quella di società figlie nazionali. È probabile che, con tale argomento, il governo tedesco volesse anche sottolineare i limiti dei propri poteri di controllo su operazioni transfrontaliere.

4.      L’efficacia dei controlli fiscali

43.      Secondo il governo tedesco, in effetti, le autorità fiscali nazionali hanno solo possibilità assai limitate di controllare le operazioni effettuate all’estero. Applicare un principio di territorialità, escludendo i redditi negativi stranieri dall’utile imponibile delle società residenti, permetterebbe di facilitare i controlli svolti dalle autorità fiscali.

44.      Questo argomento non può essere accolto. È vero che la Corte ha più volte dichiarato che l’efficacia dei controlli fiscali può giustificare una normativa tale da limitare le libertà fondamentali (25). Di conseguenza, uno Stato membro è autorizzato ad applicare misure che consentano di verificare, in maniera chiara e precisa, l’importo degli oneri deducibili in tale Stato a titolo delle partecipazioni nel capitale delle società figlie straniere. Tuttavia, tale timore non può giustificare che lo stesso Stato abbia modo di subordinare questa deduzione a condizioni differenti a seconda che le partecipazioni riguardino società figlie stabilire sul suo territorio o su quello di altri Stati membri.

45.      A questo proposito, occorre ricordare che gli Stati membri dispongono di strumenti di cooperazione rafforzata in forza della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati Membri nel settore delle imposte dirette (26). In attuazione di tali disposizioni, le autorità competenti di uno Stato membro possono chiedere alle competenti autorità di un altro Stato membro tutte le informazioni che possano loro consentire di procedere correttamente al calcolo dell’imposta sulle persone giuridiche.

46.      Il governo tedesco sostiene che, anche in caso di fruttuosa collaborazione con le autorità di un altro Stato membro, il controllo di operazioni estere resta spesso assai difficoltoso e la possibilità di scoprire dichiarazioni inesatte si rivela assai meno agevole. Va tuttavia sottolineato che la direttiva 77/799 permette di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari sul piano interno (27). Aggiungo, da un lato, che nell’ambito dello stabilimento del mercato interno, le relazioni tra amministrazioni fiscali degli Stati membri debbono basarsi su un principio di fiducia reciproca (28). A questo riguardo, non vi è ragione di ritenere che le amministrazioni fiscali nazionali abbiano interesse a lasciar sussistere sul loro territorio situazioni fiscali contrastanti con il diritto dello Stato al quale sono soggette. Dall’altro lato, nulla impedisce alle autorità fiscali interessate di esigere dallo stesso contribuente le prove che esse ritengano necessarie per valutare se occorra o no concedere la deduzione richiesta (29).

47.      In ogni caso, può apparire sorprendente basarsi, a questo riguardo, su un principio di territorialità dell’imposta mentre per regola generale, secondo la normativa tedesca, i redditi delle società sono assoggettati ad imposta sull’insieme dei loro utili a livello mondiale.

5.      La salvaguardia dell’uniformità del regime fiscale

48.      Il governo tedesco sostiene, in sostanza, che la normativa controversa si inscrive logicamente nell’ambito della sua politica fiscale. Astenersi dal prendere in considerazione i redditi negativi stranieri in casi come quello in esame permetterebbe di mantenere il più uniforme possibile il trattamento fiscale. Due argomenti proposti da tale governo possono essere collegati a tale giustificazione, uno attinente al rispetto del principio di territorialità, l’altro attinente alla salvaguardia del «sistema fiscale».

49.      Il principio fiscale di territorialità è stato riconosciuto dalla Corte nella sentenza Futura Participations e Singer, citata in precedenza. È conforme a detto principio che lo Stato interessato possa tassare le società madri residenti sul suo territorio sull’insieme dei loro redditi mondiali e le società figlie non residenti esclusivamente sui redditi derivanti dalla loro attività nel detto Stato (30). Tuttavia, tale principio non giustifica il fatto che un vantaggio venga negato ad una società madre residente perché gli utili delle società non residenti da essa controllate non possono essere tassati (31). La funzione di questo principio è quella di introdurre, nell’applicazione del diritto comunitario, la necessità di tener conto dei limiti delle competenze fiscali degli Stati membri. Nella causa Futura Participations e Singer lo Stato membro interessato non poteva essere obbligato a prendere in considerazione le perdite straniere, perché queste erano legate ai redditi di origine straniera di contribuenti non residenti. Diverso è il caso di specie, perché la concessione del vantaggio non chiama in causa l’esercizio di una competenza fiscale concorrente. Esso riguarda le società madri residenti in Germania che sono soggette, a tale titolo, ad un obbligo fiscale illimitato in tale paese. Nulla giustifica, di conseguenza, il rifiuto del detto vantaggio.

50.      La «sistematica fiscale» evoca il concetto meglio conosciuto nella giurisprudenza della Corte di «coerenza fiscale» (32). Il governo tedesco sostiene, a questo riguardo, che in forza delle convenzioni sulla doppia imposizione stipulate con numerosi Stati membri, i dividendi versati dalle società figlie stabilite in questi Stati sono esenti da imposta in Germania. Pertanto, il governo tedesco ritiene che sarebbe logico e coerente non accordare alcun vantaggio alla società madre residente a causa delle perdite legate alle sue società figlie. Tale vantaggio dovrebbe essere concesso solo nel caso in cui, in mancanza di convenzione bilaterale che prevede un’esenzione, l’utile delle controllate sia imponibile in Germania.

51.      Non sono di questo parere. Le convenzioni fiscali volte a prevenire la doppia imposizione non sono idonee ad eliminare il trattamento svantaggioso osservato. Infatti, secondo la normativa tedesca, le perdite come quelle di cui si discute nella causa in oggetto sono sempre prese in considerazione quando la società controllata effettua un’«operazione attiva» ai sensi dell’art. 2 bis, comma 2, dell’EStG. Ora, in questo caso i dividendi eventualmente versati da tale società controllata non sono meno idonei ad essere esentati in attuazione di tali convenzioni. Non esiste quindi alcun legame diretto tra la concessione del vantaggio controverso alla società madre e l’esonerazione dei dividendi versati dalla società controllata. Pertanto, la coerenza garantita sulla base di una convenzione sulla doppia imposizione non può essere presa in considerazione nel valutare la compatibilità della disposizione controversa con il diritto comunitario (33).

6.      Le conseguenze economiche

52.      Stando al governo tedesco, la messa in discussione del sistema controverso rischierebbe di provocare perdite di redditi sostanziali per il bilancio nazionale. Tale governo riconosce che secondo una giurisprudenza costante la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento che sia, in linea di principio, in contrasto con una libertà fondamentale (34). Esso suggerisce tuttavia alla Corte di riconsiderare la propria giurisprudenza, tenuto conto del fatto che gli introiti fiscali costituiscono la fonte essenziale del reddito degli Stati membri e della Comunità.

53.      Un timore di questo tipo può essere considerato legittimo. È vero che l’applicazione delle norme comunitarie ad alcuni regimi fiscali nazionali può avere a volte un impatto finanziario notevole. In alcuni casi, tale impatto può perfino essere dannoso per l’equilibrio delle finanze dello Stato.

54.      Tuttavia, spetta allo Stato membro interessato provare l’esistenza di detto impatto in ciascun caso e, se lo si può dimostrare, occorre tenerne conto a livello non della giustificazione del provvedimento restrittivo, bensì degli effetti della decisione pronunciata dalla Corte. Occorre ancora ricordare che una limitazione nel tempo degli effetti di una pronuncia della Corte può essere decisa solo in circostanze eccezionali, nel caso in cui lo Stato interessato possa dimostrare che sussiste un rischio di gravi ripercussioni economiche e che esso aveva motivi legittimi di ritenere che il suo comportamento fosse compatibile con il diritto comunitario (35).

55.      A mio avviso, non sarebbe prudente che la Corte ricomprendesse questi timori nel novero degli elementi di giustificazione che consentono di derogare alle norme fondamentali del Trattato. Se gli Stati membri ritengono che considerazioni di ordine economico debbano poter giustificare misure fiscali di ostacolo alle libertà di circolazione, mi sembra che rientri nella loro esclusiva competenza di iscriverle nel Trattato. Non spetta alla Corte prendere l’iniziativa, tenuto conto dei tre motivi che vado ad illustrare.

56.      Il primo motivo è di ordine pratico. Se si ammettesse una simile giustificazione economica, si dovrebbe innanzi tutto stabilire in quali settori dev’essere ammessa. Bisognerebbe limitarla al settore fiscale o estenderla ad altri ambiti economici e sociali? Inoltre, si dovrebbero fissare i parametri e le variabili che consentono di valutare l’impatto finanziario dell’applicazione delle norme comunitarie. Ora, è evidente che la Corte non è affatto attrezzata per effettuare una simile valutazione, tenuto conto, in particolare, dell’eterogeneità economica e fiscale degli Stati membri nell’Unione. Ecco il motivo per cui mi sembra che ammettere tale giustificazione, in assenza di regole chiare fissate dal Trattato, darebbe luogo a difficoltà tali da compromettere la legittimità della Corte.

57.      Il secondo motivo attiene all’effetto prodotto da tale giustificazione. Infatti, se le perdite di bilancio di un certo livello dovessero essere prese in considerazione nella giustificazione di una restrizione alle libertà fondamentali, ne deriverebbe il rischio di favorire le violazioni costose e massicce del diritto comunitario. Maggiore è la persistenza della violazione, maggiori sarebbero i costi per ristabilire la legalità comunitaria, e tanto più facile sarebbe la possibilità di far ammettere una giustificazione di questo tipo.

58.      Infine, se è dimostrato, sin dalla costituzione della Comunità, che l’attuazione di un mercato interno, che implica la soppressione degli ostacoli agli scambi di qualsiasi natura, può avere come conseguenza la soppressione di alcune risorse per gli Stati membri, è altrettanto vero che questi ultimi beneficiano dello sviluppo delle attività economiche nell’ambito di un mercato interno allargato.

59.      Il governo tedesco aggiunge una giustificazione di circostanza. A suo parere, la presa in considerazione delle conseguenze economiche è tanto più legittima oggi che gli Stati membri sono tenuti, in forza del Patto di stabilità e di crescita (36), ad una severa disciplina di bilancio. Tale argomento, però, è contrastante sia con la lettera del Trattato, sia con lo spirito con cui è stato concepito il Patto. Ricordo innanzi tutto che, ai sensi dell’art. 4 CE, lo stretto coordinamento delle politiche economiche dev’essere condotto conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Inoltre, un’interpretazione secondo cui l’applicazione del Patto porterebbe ad elevare barriere contro l’instaurazione di un mercato interno è contraria allo spirito stesso del Patto, che mira espressamente a favorire un corretto funzionamento dell’Unione economica e monetaria, e, attraverso di esso, il completamento del mercato interno.

60.      Da questa analisi emerge che i motivi dedotti dal governo tedesco per giustificare il provvedimento restrittivo controverso vanno respinti nel loro complesso. È giocoforza rilevare che, adottando la normativa controversa, il legislatore tedesco mirava essenzialmente a promuovere l’economia del paese, scoraggiando gli investimenti in società aventi sede negli altri Stati membri. Come riferito nell’ordinanza di rinvio, una deroga al divieto di deducibilità per questo tipo di investimenti doveva esistere unicamente nel caso di attività aventi interesse per l’economia nazionale. Dalla genesi di tale disposizione deriva pertanto che il legislatore tedesco ha scelto, deliberatamente, di sfavorire le situazioni transnazionali a vantaggio di un obiettivo di natura puramente economica e a svantaggio delle esigenze fondamentali del mercato interno (37).

C –    L’interpretazione delle disposizioni relative alla libera circolazione dei capitali

61.      Poiché le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento ostano all’applicazione della normativa in questione in condizioni come quelle del caso di specie, non risulta necessario, ai fini della risoluzione della controversia nella causa principale, esaminare se le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali vi ostino ugualmente.

62.      Tuttavia, risulta che alcune situazioni, contemplate dalla disposizione controversa di tale normativa, potrebbero essere sottratte all’applicazione delle norme sulla libertà di stabilimento. Ciò vale, in particolare, per la situazione di una società che possiede partecipazioni nella società di un altro Stato membro senza esercitare un controllo o un’influenza su di essa (38). In tal caso, può essere utile esaminare, in via subordinata, se l’art. 56, n. 1, CE, che vieta qualunque restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri, trovi applicazione.

63.      Il Trattato non definisce la nozione di «movimenti di capitali». Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, in quanto l’art. 56 CE riporta in sostanza il contenuto dell’art. 1 della direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato (39), la nomenclatura dei movimenti di capitali che è ad essa allegata conserva, per definire la nozione, il valore indicativo che le era proprio prima della sua entrata in vigore (40).

64.      Orbene, la partecipazione ad imprese nuove o già esistenti per creare o mantenere vincoli economici duraturi è citata al titolo I, punto 2, della suddetta nomenclatura. Di conseguenza, l’acquisizione di partecipazioni all’origine degli ammortamenti di cui alla normativa in esame nella fattispecie costituisce un movimento di capitali soggetto alle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione.

65.      Occorre quindi esaminare se una normativa come quella di cui si discute nella causa principale costituisce una restrizione ai movimenti di capitali.

66.      A questo riguardo, dalla giurisprudenza non risulta che detta normativa debba essere giudicata secondo criteri diversi da quelli applicabili in materia di libertà di stabilimento. La normativa fiscale tedesca ha chiaramente l’effetto di dissuadere le società tedesche dall’investire i propri capitali in alcune società aventi sede in un altro Stato membro (41). Tale normativa esplica un effetto restrittivo anche nei confronti delle società stabilite in altri Stati membri, in quanto rappresenta nei loro confronti un ostacolo alla raccolta di capitali in Germania, poiché le perdite che esse possono generare a carico di investitori tedeschi non danno diritto agli stessi vantaggi prodotti dagli investimenti effettuati in Germania.

67.      Da quanto precede risulta che tale normativa costituisce, in via di principio, una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Le giustificazioni che lo Stato membro interessato potrebbe far valere a sostegno della propria normativa sono sostanzialmente le stesse invocate a proposito dell’interpretazione delle norme relative alla libertà di stabilimento e, pertanto, non possono essere accolte.

III – Conclusione

68.      Di conseguenza, suggerisco che la Corte voglia dichiarare che gli artt. 43 CE, 48 CE e 56 CE vanno interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro che esclude in alcuni casi la deducibilità fiscale delle perdite esposte da una società madre a titolo di ammortamenti realizzati sul valore delle partecipazioni in società figlie stabilite in altri Stati membri, mentre la deducibilità di tali perdite è ammessa senza limitazioni quando corrispondono ad ammortamenti realizzati sul valore di partecipazioni in società figlie stabilite nello stesso Stato membro in cui ha sede la società madre.


1 – Lingua originale: il portoghese.


2 – V., in tal senso, sentenze 18 settembre 2003, causa C-168/01, Bosal (Racc. pag. I-9409), e 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding (Racc. pag. I-0000), nonché, per quel che riguarda le perdite di redditi di persone fisiche, sentenza 21 febbraio 2006, causa C-152/03, Ritter-Coulais (Racc. pag. I-0000).


3 – Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, (Racc. Pag. I-0000).


4 – V., in particolare, sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN (Racc. pag. I-6161, punto 35).


5 – Sentenza 13 aprile 2000, causa C-251/98, Racc. pag. I-2787, punto 22). V. inoltre sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829, punto 37).


6 – Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695, punto 21).


7 – V. sentenza Marks & Spencer, già citata, punto 29, che riprende i termini della sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e.a. (Racc. pag. I-1727, punto 37).


8 – V., nel medesimo senso, sentenza Marks & Spencer, già citata, punto 32.


9 – V., in questo senso, sentenza Bosal, già citata, punto 27.


10 – Ibidem, punto 39.


11 – V., in tal senso, sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409, punto 49).


12 – Punto 46.


13 – Sentenza Marks & Spencer, punto 44, conformemente ad una giurisprudenza consolidata citata, tra l’altro, nella sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I-7477, punto 49).


14 – V., tra l’altro, sentenza 21 marzo 2002, causa C-451/99, Cura Anlagen (Racc. pag. I-3193, punto 40).


15 – V., in questo senso, le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed, pronunciate il 23 febbraio 2006 nella causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (attualmente pendente dinanzi alla Corte, paragrafi 62 e 63). V. inoltre D. Weber, «The Bosal Holding Case: Analysis and Critique», EC Tax Review, 2003-4, pag. 220; P.J Wattel, «Red Herrings in Direct Tax Cases before the ECJ», Legal Issues of Economic Integration, 2004, n. 2, pagg. 81-95, in particolare pagg. 89 e 90.


16 – V., a questo proposito, sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon» (Racc. pag. 649).


17 – Punto 46.


18 – Su questo punto, v. le mie conclusioni relative alla sentenza Marks & Spencer, paragrafo 67.


19 – Nel medesimo senso, v. le conclusioni dell’avvocato generale Léger pronunciate il 2 maggio 2006, relativamente alla causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (tutt’ora pendente dinanzi alla Corte).


20 – Punto 45.


21 – Punto 51.


22 – Nello stesso senso, v. sentenza X e Y, già citata, punto 62.


23 – Sentenza Marks & Spencer, punto 53.


24 – V. sentenza ICI, già citata, punto 26.


25 – Sentenze 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer (Racc. pag. I-2471) e 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard (Racc. pag. I-7641, punto 23).


26 – GU L 336, pag. 15, come modificata dalla direttiva del Consiglio 24 aprile 2004, 2004/56/CE (GU L 127, pag. 70).


27 – Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225, punto 45).


28 – V., per analogia, sulla fiducia reciproca di cui debbono dar prova gli Stati membri per quel che riguarda i controlli sui loro rispettivi territori, sentenza 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553, punto 19). V. anche, nell’ambito dei sistemi di giustizia penale degli Stati membri, sentenza 11 febbraio 2003, cause riunite C-187/01 e C-385/01, Gözütok e Brügge (Racc. pag. I-1345, punto 33).


29 – Sentenza Vestergaard, già citata, punto 26 e giurisprudenza ivi menzionata.


30 – Sentenza Marks & Spencer, punto 39.


31 – Idem, punto 40.


32 – V., in particolare, sentenza Manninen, già citata, punti 42 e 43.


33 – V., in particolare, sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx (Racc. pag. I-2493, punti 24 e 25).


34 – V., in generale, sentenza 7 febbraio 1984, causa 238/82, Duphar e a. (Racc. pag. 523, punto 23), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Mancini relative a tale causa ; più in particolare, in materia fiscale sentenze 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071, punto 48) e Manninen, già citata, punto 49. Accade comunque che gli aspetti economici di una normativa vengano presi in considerazione allorché sono indissolubilmente legati ad altri timori ritenuti legittimi. Lo testimonia, tra le altre, la sentenza 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil e a. (Racc. pag. 2727), in cui la Corte ha riconosciuto che una normativa nazionale che faccia obbligo a tutti gli importatori di rifornirsi di prodotti petroliferi, per una determinata percentuale del loro fabbisogno, presso una raffineria impiantata nel territorio nazionale poteva essere giustificata nel caso in cui persegua uno scopo essenziale di garanzia dei rifornimenti di energia che trascende considerazioni di carattere puramente economico (punti 34 e 35). La Corte sostiene, parimenti, che il Trattato consente agli Stati membri di limitare la libera prestazione dei servizi medico-ospedalieri qualora la conservazione di un sistema sanitario o di una competenza medica nel territorio nazionale sia essenziale per la sanità pubblica, o addirittura per la sopravvivenza, della loro popolazione (sentenza 28 aprile 1998, causa C-158/96, Kohll, Racc. pag. I-1931, punto 51). Tale orientamento viene seguito anche in tema di cittadinanza europea. A questo proposito, la Corte riconosce che l'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione può essere subordinato ai «legittimi interessi» degli Stati membri, relativi alla salvaguardia dei propri sistemi previdenziali (v. sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I-7091, punti 87 e 90). Tuttavia, nel caso in cui emerga che il provvedimento restrittivo mira soprattutto al pareggio di bilancio, cioè intende ridurre le spese di esercizio di un sistema previdenziale contro le malattie, senza sollevare il problema del rischio per l’equilibrio finanziario del sistema stesso, la Corte non esita a condannarla (v. sentenza Duphar e a., già citata, punti 16 e 23). Da tale giurisprudenza deriva che, se delle considerazioni di ordine economico o finanziario possono essere invocate legittimamente da uno Stato membro quando vi sia un rischio di pregiudizio grave per la tutela di un servizio fondamentale per la propria organizzazione sociale, per contro un obiettivo di natura puramente economica non può costituire un obiettivo legittimo idoneo a giustificare una restrizione ad una libertà fondametale garantita dal Trattato.


35 – Sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 53).


36 – Il Patto di stabilità e di crescita è costituito dalla risoluzione del Consiglio europeo 17 giugno 1997 (GU C 236, pag. 1), dal regolamento (CE) del Consiglio 7 luglio 1997, n. 1466, per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (GU L 209, pag. 1), e dal regolamento (CE) del Consiglio 7 luglio 1997, n. 1467, per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (GU L 209, pag. 6). Tali regolamenti sono stati recentemente modificati, rispettivamente dai regolamenti (CE) del Consiglio 27 giugno 2005, n. 1055 e 1056 (GU L 174, pagg. 1 e 5).


37 – V., nel medesimo senso, sentenze Verkooijen, già citata, punti 47 e 48, nonché 5 giugno 1997, causa C-98/95, SETTG (Racc. pag. I-3091, punti 22 e 23).


38 – V. paragrafo 14 delle presenti conclusioni.


39 – GU L 178, pag. 5. L’art. 67 del Trattato è stato abrogato dal Trattato di Amsterdam.


40 – V., in particolare, sentenza 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I-1661, punto 21).


41 – V., per analogia, sentenze già citate Verkooijen, punto 34, e Manninen, punto 22.