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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate l’11 febbraio 2010 1(1)

Causa C-492/08

Commissione europea

contro

Repubblica francese

«Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto – Aliquota ridotta dell’IVA – Categorie di servizi di cui all’allegato III, punto 15, che possono beneficiare di un’aliquota ridotta – Prestazioni rese da avvocati e da professionisti assimilati per le quali essi ricevono un indennizzo dallo Stato francese nell’ambito del gratuito patrocinio»





I –    Introduzione

1.        Ai sensi dell’art. 279 del codice generale delle imposte, a partire dal 1° aprile 1991 la Repubblica francese applica un’aliquota ridotta dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») del 5,5% per le prestazioni rese dagli avvocati, dagli avvocati presso il Conseil d’État (Francia) e presso la Cour de cassation (Francia) e dai procuratori legali (in prosieguo: gli «avvocati»), per le quali questi ultimi ricevono un indennizzo totale o parziale dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio.

2.        Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee ha chiesto alla Corte di dichiarare che, applicando siffatta aliquota ridotta, la Repubblica francese non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 96 e 98, n. 2, della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

3.        Nel suo controricorso, la Repubblica francese ha sostenuto che le prestazioni rese dagli avvocati nell’ambito del gratuito patrocinio rientrano nel quadro della «prestazione di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale» di cui all’allegato III, punto 15, della direttiva IVA, così che dette prestazioni possono beneficiare di un’aliquota ridotta dell’IVA.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea (2)

4.        La direttiva IVA ha attuato, ai fini di razionalità e chiarezza, la riforma delle disposizioni della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 145, pag. 1, in prosieguo: la «sesta direttiva»), in quanto quest’ultima era stata più volte emendata in maniera sostanziale.

5.        Le disposizioni della direttiva IVA, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2007, hanno abrogato e sostituito quelle della sesta direttiva con effetto da tale data. La continuità tra i due testi normativi emerge con chiarezza dall’art. 411, n. 2, della direttiva IVA, segnatamente ove essa rinvia a una tavola di concordanza contenuta nell’allegato XII.

6.        Gli artt. 96 e seguenti della direttiva IVA corrispondono in sostanza all’art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva.

7.        L’art. 96 della direttiva IVA prevede quanto segue:

«Gli Stati membri applicano un’aliquota IVA normale fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi».

8.        L’art. 97, n. 1, della direttiva IVA prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2006 e fino al 31 dicembre 2010, l’aliquota normale non può essere inferiore al 15%.

9.        In forza di quanto disposto dall’art. 98 della direttiva IVA:

«1. Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.

2. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III.

(...)».

10.      L’allegato III della direttiva IVA, intitolato «Elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte di cui all’articolo 98», menziona, al punto 15, «cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni non siano esenti in virtù degli articoli 132, 135 e 136» (3).

B –    Diritto nazionale

11.      L’art. 279 del codice generale delle imposte, come risulta dall’art. 32 IV della legge finanziaria per il 1991 (legge 29 dicembre 1990, n. 90-1168), con effetto a partire dal 1° aprile 1991 dispone quanto segue (4):

«L’imposta sul valore aggiunto viene riscossa all’aliquota ridotta del 5,50% per quanto riguarda: (...)

f. le prestazioni per le quali gli avvocati, gli avvocati presso il Conseil d’État e presso la Cour de cassation e i procuratori legali ricevono un indennizzo totale o parziale dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio; (…)» (5).

III – Fase precontenziosa

12.      Ritenendo che l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA alle prestazioni rese dagli avvocati, dagli avvocati presso il Conseil d’État e presso la Cour de cassation e dai procuratori legali nell’ambito del gratuito patrocinio, conformemente all’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte, debba essere considerata incompatibile con le disposizioni dell’art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva, in combinato disposto con quelle dell’allegato H di quest’ultima, la Commissione decideva di avviare la procedura prevista dall’art. 226 CE e, con comunicazione 10 aprile 2006, inviava una lettera di diffida alla Repubblica francese.

13.      Non convinta dagli argomenti esposti dalle autorità francesi nella risposta del 12 giugno 2006, la Commissione, con lettera 15 dicembre 2006, inviava loro un parere motivato invitandole ad adottare le misure necessarie per adeguarsi a tale parere entro il termine di due mesi dal ricevimento del medesimo.

14.      Con lettera 13 febbraio 2007, la Repubblica francese sosteneva l’infondatezza della censura formulata. Accertato che lo Stato membro non aveva posto rimedio alla violazione contestata, la Commissione proponeva il presente ricorso per inadempimento fondato sugli artt. 96 e 98, n. 2, della direttiva IVA, che hanno sostituito l’art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva a decorrere dal 1° gennaio 2007.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

15.      Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee ha chiesto alla Corte di dichiarare che, applicando l’aliquota IVA ridotta alle prestazioni rese dagli avvocati per le quali questi ultimi ricevono un indennizzo totale o parziale dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio, la Repubblica francese non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 96 e 98, n. 2, della direttiva IVA. L’istituzione fa valere che i suddetti prestatori di servizi non possono essere considerati alla stregua degli «organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale» ai sensi della direttiva anzidetta. La Commissione chiede altresì di condannare la Repubblica francese alle spese.

16.      Lo Stato membro convenuto chiede il rigetto del ricorso a motivo di una diversa interpretazione delle disposizioni interessate, nonché la condanna della Commissione alle spese.

V –    Analisi dell’inadempimento

17.      Ritengo necessario rammentare subito il carattere di diritto fondamentale che il gratuito patrocinio possiede, nonché il regime a cui essa appartiene in Francia. Affronterò in seguito gli aspetti economici della causa e, quindi, i metodi d’interpretazione pertinenti nel caso di specie prima di analizzare le disposizioni controverse. Tuttavia, occorre innanzi tutto fare una precisazione riguardo all’applicazione ratione temporis di queste disposizioni.

A –    Le disposizioni applicabili ratione temporis

18.      A titolo di premessa, come osservato dalla Commissione, senza che tale presa di posizione abbia suscitato alcuna opposizione da parte della Repubblica francese, occorre precisare che vanno applicate le disposizioni della direttiva IVA e non quelle della sesta direttiva, in quanto il termine imposto alle autorità francesi per uniformarsi al parere motivato scadeva in una data posteriore a quella dell’abrogazione della sesta direttiva, intervenuta il 1° gennaio 2007.

B –    Il gratuito patrocinio, elemento del diritto fondamentale di accesso alla giustizia

19.      Il diritto di accedere in maniera effettiva a un tribunale, in particolare grazie alla soppressione di un eventuale ostacolo finanziario a tale accesso, è stato riconosciuto quale diritto fondamentale sia dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo (6) (in prosieguo: la «CEDU»), sia dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (7). La possibilità di essere assistiti gratuitamente da un avvocato nominato d’ufficio è espressamente garantita da tali disposizioni solo a favore di un imputato, vale a dire nell’ambito di un procedimento penale.

20.      Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha esteso siffatta prerogativa ai procedimenti civili (8). In una sentenza pronunciata il 9 ottobre 1979 (9), essa ha precisato che l’art. 6, n. 1, della CEDU obbliga gli Stati contraenti ad adottare le misure necessarie per fornire un’assistenza giudiziaria gratuita solo se questa si rivela indispensabile per garantire l’accesso effettivo alla giustizia, perché la legge impone la rappresentanza tramite un avvocato o per la complessità della procedura o della causa (10). La Corte ha interpretato quest’articolo come fondamento del principio secondo cui il gratuito patrocinio è uno strumento utile, ma non sistematicamente necessario, per rendere effettivo il diritto di accesso alla giustizia e per fare in modo che vi sia un processo equo ai sensi di tale norma. Tale diritto non è dunque assoluto. È obbligatorio concedere il gratuito patrocinio solo se l’assenza di tale beneficio renderebbe inefficace la garanzia di un ricorso effettivo al giudice.

21.      Mi sembra che il gratuito patrocinio sia sempre più considerato come un elemento sociale necessario per garantire l’efficacia del diritto fondamentale dell’accesso alla giustizia e, dunque, l’accesso al diritto in maniera generale.

22.      Tale processo di evoluzione emerge in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (11), il cui art. 47, rubricato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», prevede e inquadra il diritto al gratuito patrocinio e ciò dinanzi a qualsiasi giurisdizione. Ai sensi dell’ultimo comma di questo articolo, «[a] coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia». È evidente che questa disposizione è stata formulata in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

23.      Analogamente, la direttiva del Consiglio 27 gennaio 2003, 2002/08/CE, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie (12), si riferisce espressamente alla CEDU e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

24.      È, dunque, giocoforza osservare, in via preliminare, che l’obiettivo di favorire, sotto un profilo generale, l’accesso alla giustizia e al diritto alle persone che non dispongono di sufficienti risorse economiche è conforme ai valori fondamentali del sistema della tutela giudiziaria prevalenti in seno all’Unione.

C –    Il regime del gratuito patrocinio in Francia

25.      Dalla legge 10 luglio 1991, n. 91-647, sul gratuito patrocinio (13) emerge che le persone fisiche o giuridiche che non dispongono di risorse sufficienti (14) per far valere i propri diritti dinanzi al giudice possono fruire di assistenza.

26.      Il beneficiario del gratuito patrocinio è esonerato, completamente o parzialmente, dal versamento dell’anticipo o del deposito e dal pagamento di tutte le spese derivanti dal procedimento per cui è stato concesso il suddetto beneficio.

27.      Quando il gratuito patrocinio è totale, lo Stato si fa carico di tutte le spese sostenute per il singolo soggetto (onorari degli avvocati e dei notai, emolumenti degli ufficiali giudiziari, spese per perizie, ecc. (15)). L’importo dell’onorario degli avvocati, che è forfettario, è stabilito secondo una tabella fondata su un coefficiente di base che comprende un numero di unità di valore (16) definito per ogni tipologia di procedimento giurisdizionale (17).

28.      Quando il gratuito patrocinio è parziale, lo Stato sostiene solo una parte dell’onorario degli ausiliari di giustizia. La quota a carico dello Stato viene fissata secondo una percentuale del gratuito patrocinio totale, che è inversamente proporzionale alle risorse economiche del beneficiario di tale assistenza (18). L’avvocato ha dunque diritto a un’integrazione del suo onorario, che sarà più o meno considerevole. L’importo dell’onorario supplementare viene concordato tra l’avvocato e il suo cliente in maniera libera, ma tenendo conto dei criteri definiti dalla legge, tra cui, in particolare, alcune considerazioni di ordine finanziario (19). Tale accordo dev’essere concluso prima di ogni intervento, in una convenzione scritta che, a pena di nullità, dev’essere sottoposta alla verifica del presidente dell’ordine degli avvocati.

29.      In Francia, al contrario di quanto accade altrove, come in Finlandia (20) e in alcuni Länder tedeschi, non esistono uffici pubblici preposti al gratuito patrocinio che forniscono servizi accessori rispetto a quelli prestati dagli avvocati.

D –    Gli aspetti economici della controversia

30.      L’IVA è un’imposta generale di consumo che riguarda tutti i beni e i servizi di cui si è fruito o che sono stati utilizzati negli Stati membri dell’Unione. Per quanto riguarda i servizi forniti dagli avvocati è il cliente che, quale consumatore finale, utilizza il servizio ed è dunque quest’ultimo, secondo la logica sottesa all’IVA, il soggetto gravato da tale imposta. Nell’ambito del gratuito patrocinio, l’anzidetto onere economico è completamente o parzialmente a carico dallo Stato.

31.      Nell’ipotesi del gratuito patrocinio totale, l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA non produce conseguenze percettibili agli occhi del beneficiario, il quale, poiché fruisce della presa in carico totale delle proprie spese legali, non percepisce in alcun modo la concessione fatta a detrimento delle finanze generali dello Stato, ossia la riduzione dell’aliquota dell’IVA (21). Desidero osservare che, in effetti, nel caso di specie, l’applicazione di un’aliquota ridotta limita la quantità delle risorse finanziarie destinate direttamente al finanziamento del gratuito patrocinio ma, al contempo, lo Stato versa meno imposte per sé stesso.

32.      Al contrario, il beneficiario di un gratuito patrocinio parziale è tenuto a versare al proprio avvocato un’integrazione di onorario concordata. Con l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA, il beneficiario può senza dubbio fruire di un sostegno fiscale che va a completare il sostegno diretto che egli riceve sotto forma di gratuito patrocinio. Tuttavia, ritengo doveroso sottolineare che siffatto risultato positivo per il singolo viene raggiunto solo se l’integrazione di onorario (al netto dell’IVA) è fissata con riferimento alla fascia di livello di onorario minimo accettabile per l’avvocato. Per contro, se l’onorario (IVA compresa) è fissato nella fascia di livello massimo accettabile per il cliente, il vantaggio fiscale è a favore dell’avvocato. Tra questi due estremi, il margine esistente tra l’aliquota ridotta e quella normale viene suddiviso tra le parti. È evidente che una riduzione dell’aliquota dell’IVA non è necessariamente a vantaggio del consumatore finale (22).

33.      Uno studio di diritto comparato mostra che la Repubblica francese non è l’unico Stato membro dell’Unione che ha deciso di applicare un regime specifico ai servizi forniti dagli avvocati nell’ambito del gratuito patrocinio. Infatti, da un documento elaborato dalla Commissione (23) emerge che i suddetti servizi godono di un’aliquota dell’IVA ridotta non solo in Francia, ma anche in Portogallo. Il documento precisa che in quest’ultimo Stato membro le «prestazioni a carico dello Stato nell’ambito del gratuito patrocinio o [della] nomina di un avvocato d’ufficio; [le] prestazioni relative al diritto delle persone e della famiglia; [le] prestazioni relative al diritto del lavoro» godono di un’aliquota ridotta dell’IVA pari al 5%, invece che il 5,5% in Francia, mentre le altre prestazioni degli avvocati sono soggette, in Portogallo, all’aliquota IVA del 20% contro il 19,6% della Francia.

34.      A questo punto, si pone con particolare intensità la questione se l’applicazione dell’aliquota normale dell’IVA avrebbe quale conseguenza quella di limitare l’accesso alla giustizia, come sostenuto dalla Repubblica francese.

35.      La Commissione non condivide tale punto di vista in quanto essa indica, nel proprio ricorso, che – come ho già avuto modo di osservare – quando lo Stato si fa interamente carico degli onorari fatturati al singolo, quest’ultimo non è interessato dall’applicazione dell’aliquota normale dell’IVA. L’incidenza negativa sussiste unicamente nel caso di gratuito patrocinio parziale. Inoltre, l’applicazione dell’aliquota normale alle prestazioni effettuate dagli avvocati e dai procuratori legali nell’ambito del gratuito patrocinio consentirebbe alla Repubblica francese di reperire ulteriori risorse che potrebbero, in particolare, essere dedicate all’incremento dei crediti disponibili per la concessione di tale assistenza. Il governo francese potrebbe quindi accollarsi la totalità degli importi, comprensivi di IVA, fatturati dagli avvocati e dai procuratori legali ai soggetti che beneficiano dell’assistenza. È dunque il grado di assistenza concesso ai beneficiari che determina l’accessibilità dei servizi resi dai professionisti anzidetti e non l’aliquota dell’IVA applicata.

36.      In altri termini, la Commissione sostiene che l’applicazione dell’aliquota normale dell’IVA non incide sulla situazione economica dei beneficiari quando il gratuito patrocinio è interamente coperto dal contributo dello Stato e che le autorità francesi potrebbero modificare la normativa applicabile in caso di gratuito patrocinio parziale se desiderano fornire un sostegno economico ai singoli interessati. Ritengo che sia fondata l’analisi delle conseguenze economiche inerenti alle disposizioni dell’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte in tal modo condotta dalla Commissione.

37.      Peraltro, la neutralità fiscale e l’assenza di distorsioni di concorrenza generate dalla disposizione normativa e invocate dalla Repubblica francese non rivestono un’importanza decisiva poiché riguardano l’interpretazione dei termini usati nell’allegato III, punto 15, della direttiva IVA. A tal riguardo, desidero osservare che nell’ambito della struttura della direttiva IVA e nella giurisprudenza della Corte (24) la tesi secondo cui un’operazione è neutra sul piano fiscale sembra essere un fattore utilizzato per limitare il campo d’applicazione delle eccezioni alla regola di un’imposizione ad aliquota normale (tra cui deroghe ed esenzioni) piuttosto che un criterio impiegato per giustificare un’estensione della loro portata. Può altresì accadere che il principio di neutralità fiscale, inerente al sistema comune dell’IVA, sostenga un’interpretazione meno restrittiva delle nozioni in parola (25). Nel caso di specie, tuttavia, siffatta osservazione mi sembra fondamentale in quanto lo scopo perseguito sia dagli artt. 96 e 98, n. 2, della direttiva IVA, sia dall’allegato III della medesima, non è evitare distorsioni di concorrenza, bensì favorire un’armonizzazione progressiva delle legislazioni degli Stati membri, allineando le aliquote IVA applicate e limitando le operazioni che possono essere oggetto di aliquote ridotte.

E –    Osservazioni generali sull’interpretazione dell’allegato III, punto 15, della direttiva IVA

1.      Sulla trasposizione della giurisprudenza relativa alle esenzioni dall’IVA

38.      A quanto mi consta, non esistono precedenti giurisprudenziali specifici in materia. Invero, pare che la Corte non sia ancora stata chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione delle nozioni di cui all’allegato III, punto 15, della direttiva IVA, né su quelle equivalenti inizialmente contenute nella quattordicesima categoria dell’allegato H della sesta direttiva.

39.      Tuttavia, la Repubblica francese ritiene che si debba trasporre l’interpretazione che la Corte ha fornito riguardo all’espressione identica di «organismo riconosciuto come avente carattere sociale» contenuta nell’art. 13, sezione A, n. 1, lett. g), della sesta direttiva, ora art. 132, n. 1, lett. g), della direttiva IVA. A sostegno di tale posizione, essa rileva che l’art. 98 della direttiva IVA rinvia all’art. 132 e ne deduce che occorre considerare un concetto uniforme dei termini impiegati in materia di aliquote ridotte dell’IVA e di esenzioni dalla medesima imposta.

40.      Effettivamente, ritengo che i principi interpretativi elaborati nell’ambito della giurisprudenza in materia di esenzioni dall’IVA possano essere pertinenti ed essere altresì utilmente trasposti ai fini dell’interpretazione dell’allegato III relativo alle aliquote ridotte dell’IVA (26). Sono dell’avviso che, per coerenza, si debbano utilizzare gli stessi criteri per nozioni identiche e ciò tanto più nel caso in esame, in cui l’aliquota in questione è così bassa (5,5%) rispetto a quella normale (19,6%) e in cui gli effetti di tale riduzione dell’IVA sono prossimi a quelli dell’esenzione.

2.      Sui metodi di interpretazione pertinenti

41.      La giurisprudenza della Corte indica chiaramente che l’interpretazione delle disposizioni relative alle esenzioni dall’IVA dev’essere effettuata alla luce e nel rispetto degli obiettivi perseguiti dalle disposizioni medesime (27). È stato dunque posto l’accento sul fatto che il fine di un’esenzione a favore di taluni servizi considerati di interesse generale è di alleggerire l’onere fiscale gravante sui consumatori finali (28).

42.      Il medesimo approccio teleologico dev’essere adottato per quanto riguarda le disposizioni relative alle aliquote ridotte dell’IVA. Dall’elenco dei beni e dei servizi idonei a beneficiare dell’aliquota ridotta indicata nell’allegato H della sesta direttiva e in seguito ripresa dall’allegato III della direttiva IVA emerge che il legislatore sembra aver voluto consentire agli Stati membri l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA a talune categorie di attività che perseguono scopi sociali o di pubblico interesse (29).

43.      Tuttavia, l’allegato III della direttiva IVA, analogamente al precedente allegato H della sesta direttiva, non si basa su un approccio sin dall’inizio logico. Le diverse categorie elencate in tale disposizione normativa non formano un insieme strutturato (30). Esse rappresentano l’evidente risultato della nuova adozione di una serie di aliquote ridotte già esistenti presso gli Stati membri. Il combinato disposto, privo di sistematicità, non ha realmente senso e non consente un’interpretazione contestuale. Conseguentemente, sono poche le risposte costruttive ricavabili dall’analisi dei lavori preparatori (31).

3.      Sull’interpretazione più o meno ampia delle nozioni in questione

44.      La Commissione ritiene che i concetti contenuti di cui all’allegato III, punto 15, della direttiva IVA richiedano un’interpretazione «rigorosa» se non addirittura «restrittiva», posto che si tratta di deroghe al principio secondo cui è applicabile l’aliquota normale dell’IVA. A tal riguardo, essa si fonda sulla sentenza della Corte pronunciata nella causa C-83/99, che riguarda l’aliquota dell’IVA ridotta autorizzata dall’allegato H, quinta categoria, della sesta direttiva (32).

45.      Il campo di applicazione di una norma che crea una deroga a un principio generale, nel caso di specie quello di imposizione, dev’essere senza dubbio concepito in maniera rigorosa (33). Tuttavia, ciò non richiede il rispetto di un approccio restrittivo. Pertanto, sulle esenzioni consentite per talune attività d’interesse generale, la Corte ha affermato che la nozione di «organismi riconosciuti come aventi carattere sociale (…) non richiede un’interpretazione particolarmente restrittiva» (34).

46.      Invero, l’interpretazione della direttiva IVA non dev’essere così restrittiva da escludere soluzioni adottate da taluni Stati membri per organizzare un’attività rientrante in un regime speciale espressamente previsto da tale disposizione normativa. Occorre guardare alle differenze esistenti tra le prassi nazionali in materia di prestazioni di servizi a carattere sociale e astenersi dall’impedire la realizzazione dell’effetto utile delle deroghe in questione. Ritengo che questo fosse il principio adottato dalla Corte nella sentenza Kingscrest (35). Siffatta osservazione è altresì ricavabile dalla sentenza Horizon College (36) e da due sentenze recenti (37).

47.      L’elenco dei beni e dei servizi che possono beneficiare di un’aliquota ridotta, indicato nell’allegato III della direttiva IVA, è stato deliberatamente concepito in maniera limitativa e non a fini meramente illustrativi. Tale censimento è in linea di principio esaustivo ai sensi dell’art. 98. Tuttavia, benché l’elenco sia anche limitativo in materia di esenzione dall’IVA, ciò non ha impedito alla Corte di considerare una qualificazione non limitativa in questo ambito.

48.      A mio avviso, l’interpretazione della direttiva IVA deve fondarsi essenzialmente sugli obiettivi fiscali ed economici del regime generale di tale imposta sui consumi, la quale, inoltre, appartiene alla base delle risorse tipiche dell’Unione. Partendo da questo punto di vista, è possibile affermare che la portata delle pratiche economiche che beneficiano di una deroga non può essere ampliata da un’interpretazione liberale.

4.      Sull’interpretazione che si può ricavare dai termini impiegati

a)      Sulle disparità esistenti tra le versioni linguistiche

49.      Da un confronto tra le diverse versioni linguistiche della direttiva IVA emerge che i termini impiegati nell’allegato III, punto 15, non corrispondono esattamente alle nozioni contenute nella versione francese.

50.      Si può osservare che il concetto di «organismo» che figura nella versione francese non ha un’esatta corrispondenza in tutte le altre versioni. La diversità dei termini usati per la nozione di organismo e i relativi effetti quanto alle difficoltà d’interpretazione sono stati più volte sottolineati (38). Ritengo che siffatto termine non dovrebbe porre alcun particolare problema nel caso di specie giacché, come spiegherò in seguito, è assodato che in materia di IVA anche una persona fisica che agisce in proprio può essere considerata come un organismo. Questa interpretazione può essere applicata anche agli avvocati.

51.      Ritengo che le difficoltà riguardino piuttosto l’interpretazione del «carattere sociale». Invero, su questa prima parte delle condizioni stabilite dal punto 15 dell’allegato III possono essere sollevate le seguenti osservazioni riguardo alle diverse versioni linguistiche di tale disposizione normativa:

–        nella versione tedesca, il termine «gemeinnützige» richiama l’idea del «bene comune»,

–        nella versione danese, la parola «velgørende» corrisponde esattamente al vocabolo inglese «charitable» tenuto conto del fatto che quest’ultimo è stato sostituito dal concetto di «wellbeing» nell’attuale versione in lingua inglese in quanto il termine «charitable» utilizzato nella versione inglese dell’allegato H della sesta direttiva è stato ritenuto troppo restrittivo nella causa Kingscrest (39).

52.      Quanto alla seconda serie di condizioni poste dal punto 15 dell’allegato III, è possibile osservare che la versione francese indica un atto individuale («œuvre»), che le versioni inglese, danese, italiana, finlandese e svedese si riferiscono piuttosto a un’attività in senso generale, mentre le versioni tedesca e polacca rinviano a un settore o a un campo, termini ancora più neutri.

53.      Dalle suddette diversità tra versioni linguistiche emerge un’ambiguità estrinseca che rafforza quella intrinseca dei termini impiegati nella versione francese dell’allegato III, punto 15, della direttiva IVA (40).

54.      Orbene, è pacifico che per garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in caso di disparità tra le versioni linguistiche di un medesimo atto ognuna di esse non possa essere considerata isolatamente né prevalente sulle altre, ma ciascuna debba essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui essa fa parte (41).

55.      Inoltre, l’armonizzazione considerata in primo luogo dalla direttiva IVA comporta necessariamente che situazioni di fatto identiche costituiscano l’oggetto di una qualificazione identica e siano assoggettate a un unico regime. È evidente che le condizioni imposte da tale disposizione normativa per beneficiare di un’aliquota ridotta dell’IVA costituiscano nozioni autonome (42) e debbano pertanto ottenere una definizione in linea con il diritto dell’Unione e non essere valutate sotto il profilo della loro potenziale qualificazione nel diritto interno.

b)      Sull’«accezione abituale dei termini»

56.      Secondo la Commissione, le disposizioni dell’art. 98, n. 2, e dell’allegato III della direttiva IVA devono essere interpretate conformemente all’accezione abituale dei termini in questione.

57.      Tale posizione è effettivamente avvalorata dalla giurisprudenza della Corte vertente su altre possibilità di aliquote ridotte dell’IVA, vale a dire quelle autorizzate dall’allegato H, quinta e ottava categoria, della sesta direttiva (43).

58.      Sarebbe dunque concepibile interrogarsi sulla questione se gli avvocati possano essere qualificati come uno degli organismi di cui all’allegato III, punto 15, quando prestano i loro servizi ai beneficiari del gratuito patrocinio stante l’accezione abituale dei termini impiegati nella direttiva IVA.

59.      Tuttavia, ritengo sia poco utile approfondire tale analisi, tenuto conto delle diversità che sussistono tra le varie versioni linguistiche. Le eventuali sfumature riscontrabili nella terminologia francese non equivarrebbero necessariamente agli altri concetti contenuti nelle altre lingue ufficiali.

60.      L’insegnamento principale che deve trarsi da questa giurisprudenza è che in caso di dubbio tra due interpretazioni dei termini impiegati nell’allegato III, punto 15, è opportuno non considerare il concetto più ampio della loro accezione e optare per il significato più vicino all’abituale accezione di tali termini.

F –    La portata delle disposizioni dell’allegato III, punto 15, della direttiva IVA

1.      Sul carattere cumulativo dei criteri fissati dalla disposizione normativa

61.      L’allegato III, punto 15, della direttiva IVA prevede due condizioni perché una prestazione di servizi o una cessione di beni possano beneficiare in quanto tali di un’aliquota ridotta dell’IVA: da un lato, i prestatori interessati devono possedere una determinata caratteristica, ossia devono essere «organismi riconosciuti dagli Stati membri come aventi carattere sociale», e, dall’altro, i servizi prestati devono essere di un determinato tipo, ossia «attività di assistenza e di sicurezza sociale» (44).

62.      Le due parti del procedimento sembrano condividere il punto di vista secondo cui i suddetti requisiti di applicazione sono cumulativi. Per contro, esse adottano una concezione diversa in merito alla portata dei termini considerati per enunciarli.

63.      La Commissione ritiene, da un lato, che gli avvocati che operano nell’ambito del gratuito patrocinio non possano essere considerati come organismi ai sensi di tale disposizione e, dall’altro, che le loro prestazioni in tale contesto non possano essere assimilate ad attività di assistenza e di sicurezza sociale.

64.      Per contro, la Repubblica francese sostiene che l’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte è compatibile con gli artt. 96 e 98 della direttiva IVA in quanto le prestazioni per cui gli avvocati ricevono un indennizzo totale o parziale dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio soddisfano le due condizioni imposte dall’allegato III, punto 15, della detta direttiva.

65.      Per poter prendere posizione su tale argomento, ritengo più fruttuoso invertire l’ordine di analisi delle due questioni poste dalla disposizione normativa.

2.      Sul criterio delle «attività di assistenza e di sicurezza sociale»

a)      Argomenti delle parti

66.      La Commissione ritiene che gli avvocati che operano nell’ambito del gratuito patrocinio non siano impegnati nelle attività considerate dalla disposizione controversa. Essa afferma che i servizi prestati costituiscono assistenza giuridica e sono dunque identici a quelli offerti ai clienti che non beneficiano dell’aiuto finanziario dello Stato. Essa contesta il motivo dedotto dalla Repubblica francese secondo cui l’avvocato che assiste un soggetto che beneficia del gratuito patrocinio passa da un incarico di assistenza e di difesa a un incarico di assistenza sociale, sottolineando che le aspettative dell’interessato risiedono nella tutela giuridica e non nel sostegno sociale. Essa continua poi affermando che il fatto che l’onorario versato all’avvocato nell’ambito del gratuito patrocinio venga solitamente considerato insufficiente non modifica la natura delle prestazioni fornite dall’avvocato, posto che egli deve sopportare tutti i disavanzi della professione. La Commissione sottolinea inoltre che gli avvocati sono soggetti a diversi vincoli di carattere deontologico, anche esterni all’ambito del gratuito patrocinio. Infine, l’istituzione ritiene che l’IVA, in quanto imposta generale sui consumi, non consente l’applicazione di aliquote d’imposta diverse in base al reddito di ogni destinatario di beni o di servizi.

67.      La Repubblica francese sostiene che attività il cui contenuto e la cui natura sono identici dovrebbero essere o meno considerate alla stregua di attività di assistenza sociale a seconda delle risorse economiche dei soggetti che ne beneficiano. A tal fine essa fornisce la seguente esemplificazione: la preparazione di pasti può costituire un’attività di assistenza sociale quando è svolta a vantaggio di soggetti indigenti, mentre la medesima attività non lo è più se è svolta per destinatari non indigenti. Analogamente a quanto vale per il settore della ristorazione, sarebbe opportuno distinguere tra l’attività dell’avvocato che assiste un soggetto che beneficia del gratuito patrocinio e la funzione tradizionale dell’avvocato che esercita la professione a vantaggio di un soggetto solvibile. Essa ammette che i servizi resi in entrambi i casi sono identici sostenendo, però, che la finalità sociale e il basso reddito del beneficiario concorrono a conferire alle prestazioni di gratuito patrocinio dell’avvocato la natura di attività di assistenza sociale.

68.      La Repubblica francese propone, in particolare, un insieme di quattro indici per determinare se un organismo sia impegnato in attività di assistenza e di sicurezza sociale, ossia: 1) il perseguimento di un obiettivo sociale a beneficio di soggetti svantaggiati, 2) la realizzazione di una misura di solidarietà nazionale con una modalità di finanziamento redistributivo, 3) il carattere non lucrativo delle prestazioni fornite e 4) le limitazioni straordinarie a cui è soggetto il prestatore. Essa ritiene che il gratuito patrocinio fornito dagli avvocati soddisfi tutte le suddette condizioni e precisa che, contrariamente all’interpretazione fornita della Commissione, essa non sostiene che uno di tali indici, considerato singolarmente, basterebbe a dimostrare che gli avvocati svolgono un’attività di assistenza sociale.

b)      L’analisi

69.      Il termine «sociale» rimane una nozione vaga, che comporta almeno due dimensioni di categoria pertinenti per il presente procedimento. Uno di tali aspetti riguarda la sfera delle interazioni, delle relazioni e delle istituzioni umane fondate sulla vulnerabilità dell’individuo e sulla sua necessità del sostegno e della protezione che le varie comunità sociali possono offrire contro i rischi inerenti alla vita. Siffatta nozione del sociale si riflette nelle istituzioni normalmente intese come costituenti le istanze tipiche del fenomeno sociale, quali il sostegno economico dei soggetti svantaggiati, la tutela dell’infanzia e dei giovani, le prestazioni sanitarie che soddisfano le necessità specifiche di persone malate, portatrici di handicap o che soffrono di dipendenza di sostanze psicotrope. L’altro aspetto del «sociale» riguarda la solidarietà o l’altruismo collettivo, che è necessario perché i bisogni di tutti possano essere equamente soddisfatti.

70.      Anche la giurisprudenza della Corte in materia di IVA dimostra che tale duplice aspetto o dimensione del sociale è caratterizzato da un’interazione complessa. Per esempio, la Corte ha ammesso che lo scopo di lucro non impediva a un organismo di diritto privato che forniva servizi in qualità di istituto per l’infanzia e la gioventù di poter essere considerato come avente un carattere sociale, giacché il particolare ambito della causa consentiva tale soluzione (45). Inoltre, nella sentenza Kügler (46) la Corte ha osservato che «le prestazioni di cure generiche e di economia domestica fornite da un servizio di somministrazione di cure in loco a persone fisicamente o economicamente non autosufficienti (…) sono, in linea di principio, connesse alle provvidenze sociali».

71.      Nel caso di specie ritengo che la missione di soccorso assunta dall’avvocato nell’ambito del gratuito patrocinio non sostituisca il consueto incarico di difesa e consulenza ma, anzi, lo completi. Il suo contributo al servizio di gratuito patrocinio attribuisce, per così dire, un connotato sociale alla funzione tradizionale dell’avvocato.

72.      Non ritengo che il criterio della natura della prestazione, che è sicuramente identico nell’ambito del gratuito patrocinio e in quello delle normali attività degli avvocati e che risulta principalmente invocato dalla Commissione, sia di per sé sufficiente per attribuire il carattere sociale a un’attività ovvero per negarle tale qualifica. A mio avviso, la citata osservazione della Corte nella sentenza Kügler (47) è a tal fine illuminante.

73.      Non ritengo sia fondato il rischio, sostenuto dalla Commissione, di applicare un’aliquota ridotta a tutte le prestazioni che forniscono un sostegno a favore degli indigenti. Tale rischio sussisterebbe se l’unico criterio osservato fosse quello dei destinatari della prestazione, ma la Repubblica francese propone una ponderazione con l’ausilio di altri criteri, ossia i quattro indici da essa illustrati.

74.      Per quanto riguarda l’onorario insufficiente degli avvocati, invocato dalla Repubblica francese, desidero tuttavia osservare che la retribuzione di un avvocato dipende dalle aspettative del singolo professionista riguardo al livello di retribuzione che egli ritiene accettabile. Orbene, pare che in Francia esista un gruppo di avvocati che ritiene soddisfacenti gli introiti forniti dal gratuito patrocinio, giacché sembra che gli incarichi di questo tipo si concentrino in tale gruppo (48).

75.      Sono del parere che il fattore determinante sia proprio il contesto in cui vengono fornite le prestazioni di un avvocato. In diversi Stati membri si contano svariati esempi del fatto che i servizi giuridici, tra cui le funzioni di consulenza e di rappresentanza in giudizio, possono essere forniti in condizioni tali da poter loro attribuire una connotazione sociale. Ciò si verifica nei casi di assistenza fornita dagli uffici pubblici di gratuito patrocinio, da diverse organizzazioni della società civile e anche da avvocati che prestano gratuitamente la propria attività agli indigenti, alle vittime di reati o ai richiedenti asilo.

76.      Per quanto riguarda la disposizione di legge francese in parola, essa si giustifica normalmente sul piano nazionale per il carattere sociale relativo alla situazione dei beneficiari del gratuito patrocinio (49).

77.      Ritengo che il gratuito patrocinio possa essere inteso, effettivamente e senza troppe difficoltà, come un’«attività di assistenza sociale» poiché, essendo basato sulla solidarietà sociale, esso può essere qualificato come misura di politica sociale (50).

78.      Per contro, sussistono dubbi reali in merito alla prima parte delle condizioni poste dall’allegato III, punto 15, della direttiva IVA.

 3. Sul criterio degli «organismi riconosciuti dagli Stati membri come aventi carattere sociale»

a)      Argomenti delle parti

79.      La Commissione sostiene che i prestatori devono possedere una certa qualità, vale a dire un attributo stabile e costante che li caratterizza. Essa afferma che la direttiva IVA richiederebbe un certo livello di continuità del rapporto tra lo Stato membro e il soggetto passivo le cui prestazioni beneficiano di un’aliquota ridotta. La Commissione asserisce che, in Francia, l’applicazione dell’aliquota ridotta a determinate prestazioni degli avvocati non è connessa alla continuità qualitativa del prestatore bensì unicamente al fatto che le suddette prestazioni siano rese, in maniera occasionale, nell’ambito del gratuito patrocinio. La Commissione ritiene, altresì, che sarebbe rischioso adottare l’interpretazione suggerita dalla Repubblica francese poiché ciò si tradurrebbe nell’applicazione della deroga prevista al punto 15 a qualunque soggetto passivo, all’unica condizione che le prestazioni in questione siano remunerate completamente o parzialmente dallo Stato e non solo ai prestatori muniti di uno statuto privilegiato conferito loro dallo Stato, stante il loro carattere sociale.

80.      Le autorità francesi confutano ogni singolo punto della tesi della Commissione. Riguardo alla stabilità del legame tra lo Stato e gli avvocati, la Repubblica francese sostiene che, quand’anche fosse un criterio pertinente, essa sarebbe garantita dal fatto che le prestazioni in causa costituiscono l’oggetto dell’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte. La Francia continua affermando che, se è vero che non tutti gli avvocati assumono necessariamente regolari incarichi di gratuito patrocinio, ciascuno di essi può, in qualsiasi momento, essere nominato da un presidente di sezione o dal presidente dell’ordine degli avvocati ed essere tenuto a svolgere tale incarico.

81.      Inoltre, essa rammenta che in mancanza di definizione contenuta nella sesta direttiva, la Corte ha deciso che, in linea di principio, spetta al diritto nazionale di ogni Stato membro stabilire le norme secondo cui può essere riconosciuto il carattere sociale, fermo restando che la giurisprudenza ha fornito alle autorità nazionali le seguenti indicazioni per determinare gli organismi aventi un carattere sociale (51): 1) l’esistenza di disposizioni legislative specifiche, 2) il carattere d’interesse generale dell’attività svolta dal soggetto passivo, 3) il fatto che altri contribuenti che offrono i medesimi servizi beneficino di un simile riconoscimento (52) e 4) la circostanza che i costi delle prestazioni in esame siano eventualmente presi a carico in gran parte da enti previdenziali. Secondo la Repubblica francese, le disposizioni di cui all’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte soddisfano tutti i suddetti criteri.

b)      L’analisi

82.      La Corte si è già pronunciata sull’interpretazione della nozione di «organismo riconosciuto dallo Stato membro interessato come avente carattere sociale» con riferimento alle disposizioni dell’art. 13, parte A, n. 1, lett. g), della sesta direttiva, che prevedono «esenzioni a favore di determinate attività d’interesse generale» che corrispondono a quelle elencate nell’art. 132, n. 1, lett. g), della direttiva IVA. Orbene, occorre adottare una concezione uniforme delle nozioni di «organismi» e di «carattere sociale» che sono presenti in varie parti della direttiva IVA e dei relativi allegati (53) e non attribuire loro un significato a geometria variabile.

83.      Le sentenze pronunciate in materia di esenzione dall’IVA indicano che la nozione di «organismo riconosciuto come avente un carattere sociale» è sufficientemente ampia per includere enti privati che perseguono scopi di lucro e anche una sola persona fisica che agisce in un contesto economico, in considerazione, segnatamente, dell’obiettivo perseguito di ridurre il costo di determinate prestazioni di servizi d’interesse generale in ambito sociale e di rendere, dunque, queste ultime più accessibili alle persone che possono beneficiarne (54).

84.      Siffatto approccio estensivo adottato dalla Corte in materia di esenzioni dall’IVA vale a maggior ragione per le riduzioni di aliquote dell’IVA. Esso consente di includere gli avvocati nella categoria degli organismi rientranti nel campo di applicazione dell’allegato III, punto 15, della direttiva IVA. Il termine «organismo» suggerisce l’esistenza di un ente individualizzato che compie una determinata funzione (55). Tuttavia, è pacifico che tale nozione autonoma del diritto dell’Unione possa rinviare a uno o più persone fisiche che gestiscono un’impresa e non solo a persone giuridiche. Nella fattispecie, i soggetti passivi dell’IVA sono gli avvocati, operanti nell’ambito del gratuito patrocinio, considerata individualmente. Poco importa, dunque, l’organizzazione, il foro o il Consiglio dell’ordine in cui tali avvocati si inseriscono e, in particolare, è indifferente il fatto che le relative modalità di nomina e di retribuzione per l’incarico loro affidato siano centralizzate.

85.      Dalle osservazioni che precedono si evince che gli avvocati che esercitano la professione nell’ambito del gratuito patrocinio rientrano senza dubbio nella nozione di «organismo». Del resto, la controversia non verteva principalmente su questo punto giacché, a tal riguardo, le parti hanno entrambe richiamato la giurisprudenza estensiva della Corte. La Commissione lo ammette, osservando che ciò che è in discussione è solo il «carattere sociale» dell’organismo che fornisce la prestazione.

86.      Le parti si scontrano duramente su quest’ultimo criterio. Invero, la direttiva IVA, come già la sesta direttiva, non precisa le condizioni e le modalità del riconoscimento del «carattere sociale» degli organismi di cui al punto 15 dell’allegato III. Occorre osservare che, nella versione francese, siffatta espressione dell’allegato III della direttiva IVA riprende esattamente la disposizione equivalente della sesta direttiva. Per contro, nella versione inglese, la formulazione è stata modificata rispetto alla precedente disposizione, come ho già avuto modo di osservare (56). 

87.      Il requisito di permanenza, formulato dalla Commissione, non risulta espressamente dal testo della direttiva IVA, né – mi pare – dalla giurisprudenza della Corte. Mi chiedo, tuttavia, se occorra ammettere l’esistenza implicita di un requisito di permanenza.

88.      Sono dell’avviso che una certa stabilità nelle attività sociali, quando non si tratti di una perpetuazione, sia necessaria. La continuità è tuttavia relativa nel senso che il criterio temporale non è di per sé sufficiente. Ritengo che l’attività preponderante, se non addirittura quasi esclusiva, del prestatore di servizi debba rivestire un carattere sociale. Un semplice risvolto sociale non è sufficiente. L’interpretazione «funzionale» sostenuta dalla Repubblica francese non è conforme né al testo della direttiva IVA, né ai suoi obiettivi. Siffatto approccio conduce alla strana situazione secondo cui un organismo può avere un duplice aspetto, nel senso che potrebbe essere considerato come avente un carattere sociale quando effettua prestazioni di natura sociale ma essere sprovvisto di tale carattere negli altri casi. Una simile interpretazione pare condurre a una fusione delle due condizioni nel caso in cui le attività di natura sociale siano l’unico indizio di tale carattere sociale. Se così fosse, sarebbe stato sufficiente che l’allegato III della direttiva IVA avesse previsto la possibilità di un’aliquota ridotta in caso di prestatori che esercitano un’attività di ordine sociale.

89.      Ma non è questa la posizione del legislatore. La presenza di un duplice aspetto non può essere presa in considerazione in quanto la direttiva IVA non lo consente, contrariamente alla possibilità di variazione riguardante gli organismi pubblici, che vi risulta espressamente prevista. Ciò che ritengo sia determinante è il settore in cui viene prestata l’attività e non lo scopo dell’organismo. Occorre basarsi sugli operatori e su ciò che essi fanno, invece che sugli obiettivi che essi perseguono.

90.      Dalla giurisprudenza della Corte emerge che le autorità nazionali dispongono di un potere discrezionale per riconoscere a un ente lo status di organismo avente un carattere sociale ma che tale potere dev’essere esercitato conformemente al diritto dell’Unione (57). Tuttavia, alla luce di tale giurisprudenza, è evidente che il processo secondo cui è possibile attuare il riconoscimento del carattere sociale non fa parte di un approccio puramente nazionale. Spetta senza dubbio alle autorità degli Stati membri attribuire tale qualità ma sotto il controllo dei giudici nazionali, che devono a loro volta agire secondo i requisiti del diritto dell’Unione e tener conto di criteri non limitativi fissati dalla giurisprudenza della Corte (58).

91.      Riguardo alle attività svolte da un avvocato nell’ambito del gratuito patrocinio di cui al codice generale delle imposte francese, ritengo che non si possa parlare di «carattere sociale» dell’organismo interessato perché, a mio parere, tale nozione rinvia a un soggetto che deve avere una certa continuità e preponderanza, stante la natura dell’attività svolta da quest’ultimo. Al fine di preservare l’effetto utile della direttiva IVA e di mantenere il carattere limitativo dell’allegato III, occorre adottare un’interpretazione delle disposizioni del punto 15 secondo cui non solo l’attività ma anche l’organismo in questione devono rivestire un carattere sociale sufficientemente marcato, se non addirittura dominante. Orbene, quest’ultimo criterio, inteso secondo la normale accezione dei termini, non è soddisfatto dagli avvocati, posto che – a mio parere – occorre considerare tutte le attività di un organismo per stabilire se esso risponde ai requisiti previsti dalla disposizione in parola (59). In mancanza di un duplice «carattere sociale» dimostrato, le prestazioni di servizi in parola non soddisfano tutte le condizioni per l’applicazione di un’aliquota ridotta dell’IVA poste dalla direttiva.

92.      Conseguentemente, ritengo che il ricorso per inadempimento sia fondato in quanto le prestazioni rese dagli avvocati e dai soggetti ad essi assimilati, previste all’art. 279, lett. f), del codice generale delle imposte non rientrano nella categoria di cui al punto 15 di questo allegato, unica disposizione eccepita a propria difesa dalla Repubblica francese, ossia «cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale» e che esse non possono pertanto beneficiare di un’aliquota ridotta dell’IVA (60).

VI – Spese

93.      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

94.      Poiché la Commissione ha chiesto la condanna alle spese della Repubblica francese, quest’ultima dovrà esservi condannata qualora venga accolto il ricorso per inadempimento, come propongo qui di seguito.

VII – Conclusione

95.      Alla luce delle osservazioni che precedono, suggerisco alla Corte di pronunciarsi nei seguenti termini:

«1)      La Repubblica francese, applicando un’aliquota ridotta d’imposta sul valore aggiunto alle prestazioni rese dagli avvocati, dagli avvocati presso il Conseil d’État e presso la Cour de Cassation e dai procuratori legali, per le quali questi ultimi ricevono un indennizzo totale o parziale dallo Stato nell’ambito del gratuito patrocinio, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 96 e 98, n. 2, della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.

2)      La Repubblica francese è condannata alle spese».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Poiché il parere motivato che la Commissione ha inviato alla Repubblica francese è datato 15 dicembre 2006, verrà fatto riferimento alle disposizioni del Trattato CE secondo la numerazione applicabile prima dell’entrata in vigore del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.


3 – L’allegato H della sesta direttiva, introdotto dalla direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/77/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica la direttiva 77/388/CEE (ravvicinamento delle aliquote IVA) (GU L 316, pag. 1), conteneva altresì l’«elenco delle forniture di beni e delle prestazioni di servizi suscettibili di essere soggette ad aliquote ridotte dell’IVA» e menzionava, alla quattordicesima categoria: la «Fornitura di beni e prestazioni di servizi da parte di enti che sono riconosciuti come enti di carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali prestazioni e servizi non siano esonerati ai sensi dell’articolo 13».


4 – Tale disposizione, che non era applicabile prima dell’entrata in vigore della sesta direttiva, non rientra dunque nelle disposizioni transitorie previste da quest’ultima e, in particolare, nelle disposizioni di cui all’art. 28, n. 2, di detta direttiva, alle quali la Commissione fa riferimento nel suo ricorso.


5 –      L’art. 279 del codice generale delle imposte è stato modificato da ultimo dall’art. 22 della legge 22 luglio 2009, n. 2009-888, senza che tale modifica abbia prodotto effetti sulle disposizioni di cui alla lett. f).


6 – Art. 6, n. 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 novembre 1950.


7 – Art. 14, n. 3, lett. d), in fine, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966.


8 – Nella sentenza 21 febbraio 1975, Golder (serie A, n. 18, § 35 e segg.), la suddetta Corte ha infatti dichiarato che: «l’art. 6, n. 1 (art. 6-1) [della CEDU] garantisce a ciascuno il diritto che un tribunale giudichi la controversia relativa ai propri diritti e ai propri obblighi di natura civile. Esso consacra in tale maniera il “diritto a un tribunale”, il cui diritto d’accesso, vale a dire il diritto di adire un tribunale civile, ne costituisce solo un aspetto».


9 – Sentenza Airey/Irlanda (serie A, n. 32, § 26).


10 – In quest’ultima ipotesi la Corte ha messo in luce che l’assenza del beneficio del gratuito patrocinio avrebbe potuto privare singoli individui dalla facoltà di difendere la loro causa in maniera effettiva dinanzi a un tribunale e comportare una disparità delle armi che è inaccettabile se raffrontata alla nozione di processo equo. V., in particolare, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 15 febbraio 2005, Steel e Morris (Raccolta delle sentenze e delle decisioni 2005-II, § 72).


11 – La Carta, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1), è stata modificata e munita di valore giuridico vincolante in occasione dell’adozione del trattato di Lisbona (GU 2007, C 303, pag. 1).


12 – GU L 26, pag. 41.


13 – L’art. 1 di tale legge precisa, da un lato, che essa mira a garantire l’accesso alla giustizia e al diritto e, dall’altro, che il patrocinio gratuito comprende l’assistenza legale, l’assistenza per l’accesso al diritto, nonché l’assistenza per l’intervento dell’avvocato durante la custodia cautelare e in materia di mediazione penale e della composizione penale.


14 – Talune categorie di persone, di cui agli artt. 4, 6, 9-1 e 9-2 della legge, non sono soggette al requisito delle condizioni economiche. Ciò vale, in particolare, per i minori e per le vittime dei reati più gravi.


15 – Occorre osservare che, contrariamente agli avvocati e ai professionisti ad essi assimilati, le prestazioni delle altre categorie di ausiliari di giustizia non beneficano di un’aliquota ridotta dell’IVA in applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 279 del codice generale delle imposte.


16 – V. l’art. 27, secondo comma e segg., della legge 10 luglio 1991 e gli artt. 90 e segg. del decreto 19 dicembre 1991, n. 91-1266, recante applicazione della suddetta legge. Il contributo dello Stato francese all’onorario degli avvocati che prestano i loro servizi al beneficiario del gratuito patrocinio totale è determinato dal prodotto dell’importo dell’unità di valore (UV) previsto dalla legge finanziaria e dai coefficienti moltiplicatori stabiliti con decreto.


17 – Sono comprese le giurisdizioni amministrative, civili, penali o sociali, di primo e di secondo grado, nonché il Conseil d’État e la Cour de cassation.


18 – Le aliquote variano tra l’85%, il 70%, il 55%, il 40%, il 25% e il 15%.


19 – L’art. 35, secondo comma, della legge 10 luglio 1991 prevede che le parti fissano «tenendo conto della complessità della causa, delle valutazioni e delle spese che la natura della causa impone, l’importo e le modalità di pagamento di tale integrazione di onorario secondo le condizioni compatibili con le risorse economiche e il patrimonio del beneficiario». Il quarto comma aggiunge che: «Qualora l’ordine in cui è iscritto l’avvocato stabilisca un metodo di valutazione degli onorari che tenga conto dei suddetti criteri, l’importo dell’integrazione è calcolato sulla base di siffatto metodo di valutazione».


20 – V. sentenza 29 ottobre 2009, causa C-246/08, Commissione/Finlandia (Racc. pag. I-10605, punti 5 e segg.) e le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer (paragrafi 8 e segg. e paragrafo 28) in questa causa, che verteva sulla nozione di attività economica ai sensi della sesta direttiva.


21 – Posto che l’IVA è indolore e invisibile per il beneficiario del gratuito patrocinio totale, si tratta di un sostegno fiscale poco chiaro, come ha osservato il sig. Roland du Luart in una relazione presentata al Senato francese in data 9 ottobre 2007 (Relazione informativa del Senato n. 3 della sessione ordinaria 2007-2008, disponibile sul sito Internet del Senato, pag. 82).


22 – Terra, B., e Kajus, J., A Guide to the European Directives, Introduction to European VAT, IBFD, Amsterdam/Hombæk, 2009, volume 1, pag. 298.


23 – V. il documento intitolato «Taux de TVA appliqués dans les États membres de la Communauté européenne, Situation au 1er juillet 2009», taxud.d.1(2009)307669 – FR (Aliquote IVA applicate negli Stati membri della Comunità europea, situazione al 1° luglio 2009), disponibile sul sito Internet della Commissione, in particolare pagg. 19 e segg.) A titolo informativo, la Commissione indica che, poiché è stato «redatto sulla base di informazioni comunicate dagli Stati membri, ma alcune informazioni non sono ancora state verificate da alcuni tra questi, il presente documento informativo non può far sorgere la responsabilità della Commissione, né esso può equivalere all’approvazione delle legislazioni degli Stati membri».


24 – Rosas, A., «Value Added Tax and Distortion of Competition», in EU Competition Law in Context: Essays in Honour of Virpi Tiili, sotto la direzione di Kanninen, H., Korjus, N., e Rosas, A., Hart, Oxford & Portland, Oregon, 2009, n. 275 e segg., in particolare n. 277-282 e 289.


25 – Sentenza 7 settembre 1999, causa C-216/97, Gregg (Racc. pag. I-4947, punto 19), riguardante l’interpretazione della sesta direttiva.


26 – Desidero tuttavia osservare che le esenzioni rivestono un carattere di obbligatorietà per gli Stati membri, mentre le aliquote ridotte sono facoltative.


27 – V., in particolare, sentenze 6 novembre 2003, causa C-45/01, Dornier (Racc. pag. I-12911, punto 42); 26 maggio 2005, causa C-498/03, Kingscrest Associates e Montecello (Racc. pag. I-4427, punto 29), e 3 aprile 2008, causa C-442/05, Zweckverband zur Trinkwasserversorgung und Abwasserbeseitigung Torgau-Westelbien (Racc. pag. I-1817, punto 30).


28 – V. paragrafi 23, 30 e seguenti delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa C-434/05 riguardante la sesta direttiva (sentenza 14 giugno 2007, Horizon College, Racc. pag. I-4793).


29 – Cfr. paragrafo 47 delle conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa C-442/05, cit., sulle disposizioni dell’allegato H della sesta direttiva.


30 – Nelle citate conclusioni nella causa C-434/05, l’avvocato generale Sharpston osserva che gli elenchi stabiliti negli allegati della sesta direttiva non hanno natura sistematica e che ciò porta a formulare conclusioni relative all’intenzione del legislatore comunitario.


31 – V. sentenza 8 giugno 2000, causa C-375/08, Epson Europe (Racc. pag. I-4243, punto 19 in fine).


32 – Sentenza 18 gennaio 2001, causa C-83/99, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-445, punti 19 e 20), in cui la Corte ha affermato che la disposizione concernente il «trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito» non si applica al pedaggio di infrastrutture stradali.


33 – In particolare, sentenza 15 giugno 1989, causa 348/87, Stichting Uitvoering Financiële Acties (Racc. pag. 1737, punto 13).


34 – Sentenza Kingscrest Associates e Montecello, cit. (punti 29-32), sull’interpretazione dell’art. 13, parte A, n. 1, lett. g), della sesta direttiva. Cfr. anche sentenza Gregg, cit. (punto 17); 3 aprile 2003, causa C-144/00, Hoffmann (Racc. pag. I-2921, punti 24 e segg.), e sentenza Dornier, cit. (punto 48).


35 – Ibidem.


36 – Sentenza Horizon College, cit. (punto 16): «questa regola d’interpretazione restrittiva non significa che i termini utilizzati per specificare le esenzioni di cui al detto art. 13 debbano essere interpretati in un modo che priverebbe tali esenzioni dei loro effetti».


37– Sentenze 19 novembre 2009, causa C-461/08, Don Bosco Onroerend Goed (Racc. pag. I-11079, punto 25), e 28 gennaio 2010, causa C-473/08, Eulitz (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 27).


38 – V., in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa C-505/07 (sentenza 1° ottobre 2009, Compañía Española de Comercialización de Aceite, Racc. pag. I-8963, paragrafo 45).


39 – Sentenza Kingscrest Associates e Montecello, cit. (punti 21 e segg.), e conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer (paragrafi 23 e segg.).


40 – Cfr. l’ambiguità osservata dall’avvocato generale Mazák nelle sue conclusioni nella causa C-442/05 (cit., paragrafo 38) per quanto riguarda gli allegati D e H della sesta direttiva.


41 – V., in particolare, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa C-505/07, cit., e la giurisprudenza citata alla nota 29, nonché, più di recente, la sentenza 22 ottobre 2009, cause riunite C-261/08 e C-348/08, Zurita García e Choque Cabrera (Racc. pag. I-10143, punti 54 e segg., e le sentenze citate), e la sentenza Eulitz, cit., punto 22.


42 – Cfr. la giurisprudenza in materia di esenzioni dall’IVA, in particolare la citata sentenza Kingscrest Associates e Montecello, e le sentenze citate al punto 25 della sentenza Eulitz, cit.


43 – V. sentenza Commissione/Spagna, cit. (punti 18 e segg.), e 23 ottobre 2003, causa C-109/02, Commissione/Germania (Racc. pag. I-12691, punto 23). Nella prima causa l’avvocato generale Alber propone di adottare un’interpretazione restrittiva e di riferisi a «ciò che domina» nella nozione interessata, nella fattispecie quella di trasporto.


44 – Per quanto riguarda le differenze esistenti tra le diverse versioni linguistiche, con particolare riferimento a tale secondo criterio, v. i paragrafi 49 e segg., supra.


45 – Sentenza Kingscrest Associates e Montecello, cit. (punti 29-32).


46 – Sentenza 10 settembre 2002, causa C-141/00, Kügler (Racc. pag. I-6833, punto 44).


47 – Ibidem.


48 – V. la relazione informativa del Senato del sig. Roland du Luart del 9 ottobre 2007, cit., pagg. 64-65: «è tutt’ora presente una concentrazione probabilmente eccessiva, poiché il 9,4% degli avvocati (ossia 4 492 professionisti) assicurano il 64% degli incarichi di AL (…) [Sotto] il profilo dei poteri pubblici potrebbe inoltre sorgere il dubbio in merito alla natura del contributo dell’AL alla redditività di alcuni studi. Infatti, si sente spesso dire che taluni studi legali “vivono solo di AL”».


49 – In una relazione al Senato francese del 30 giugno 1999, il sig. Denis Badré indica che un’aliquota ridotta dell’IVA viene applicata alle prestazioni di avvocati rese nell’ambito del gratuito patrocinio, considerata la loro natura di «prestazioni che rivestono uno spiccato carattere sociale», secondo il testo di una risposta ufficiale fornita dall’Assemblea Nazionale, tenendo conto del fatto che la concessione del gratuito patrocinio è soggetta a condizioni che riguardano, principalmente, la situazione economica del beneficiario (relazione informativa n. 74 della sessione ordinaria 1998/1999, disponibile sul sito Internet del Senato).


50 – In tal senso, il sig. Roland du Luart, membro del Senato francese, rammenta che il gratuito patrocinio è «l’erede di una prassi che si colloca, al contempo, nella carità e nel dovere di solidarietà verso i bisognosi» (relazione cit., pag. 64). A titolo di raffronto, l’autorità svedese preposta al gratuito patrocinio (Rättshjälpsmyndigheten) definisce quest’ultima come un diritto di protezione sociale per assistere coloro che non possono ricevere un’assistenza giuridica in altra maniera (http://www.rattshjalp.se/templates/DV_infoPage___3526.aspx).


51 – V., in particolare, citate sentenze Kügler (punti 54 e segg.) e Kingscrest Associates e Montecello (punti 53 e segg.).


52 – La necessità di rispettare il principio di neutralità fiscale è stata rammentata dalla Corte in più occasioni, in particolare nella sentenza Zweckverband zur Trinkwasserversorgung und Abwasserbeseitigung Torgau Westelbien, cit. (punto 42), riguardante le aliquote ridotte dell’IVA.


53 – V. conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa C-442/05, cit., paragrafo 40.


54 – Sentenza Gregg, cit. (punti 17 e 18); Kingcrest Associates e Montecello, cit. (punti 30, 35 e 43), e 9 febbraio 2006, causa C-415/04, Stichting Kinderopvang Enschede (Racc. pag. I-1385, punto 23).


55 – V. sentenza Gregg, ibidem, e le conclusioni dell’avvocato generale Cosmas in tale causa (paragrafo 27), che menziona un «operatore autonomo», distinto dalle persone che lo hanno creato.


56 – Il termine «charitable» è divenuto «as being devoted to social wellbeing», il che pare essere più conforme alla posizione adottata dalla Corte nella citata sentenza Kingscrest Associates e Montecello.


57 – V., in particolare, citate sentenze Kügler (punti 54-56); Stichting Kinderopvang Enschede (punto 23), e Kingcrest Associates e Montecello (punti 52 e 53).


58 – Oltre alle tre sentenze sopra citate, v. sentenza 11 ottobre 2001, causa C-267/99, Adam (Racc. pag. I-7467, punti 35 e segg.), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate il 10 settembre 2009 nella causa C-262/08, CopyGene ancora pendente (paragrafi 73 e segg.).


59 – Cfr. la sentenza 21 marzo 2002, causa C-174/00, Kennemer Golf (Racc. pag. I-3293, punti 21 e segg.), che afferma che per «la qualificazione di ente “senza scopo di lucro” occorre prendere in considerazione il complesso delle sue attività».


60 – Del resto, come ha rilevato la Commissione, il sig. Roland du Luart, membro del Senato francese, sin dal 2007 aveva già chiaramente osservato quanto segue riguardo alle disposizioni della sesta direttiva: «gli Stati membri della Comunità europea possono scegliere di applicare una o due aliquote ridotte, superiori o pari al 5%, a un elenco ristretto di beni e di servizi. Orbene, i servizi degli avvocati non figurano in detto elenco. (…) La riforma ormai necessaria e urgente del sistema dell’AL deve altresì costituire l’opportunità, per la Repubblica francese, di uniformarsi alle norme imposte a tutti gli Stati membri della Comunità europea» (Relazione informativa presentata al Senato il 9 ottobre 2007, cit., pag. 83).