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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PHILIPPE LÉGER


presentate il 2 maggio 2006 1(1)

Causa C-196/04

Cadbury Schweppes plc,

Cadbury Schweppes Overseas Ltd

contro

Commissioners of Inland Revenue

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dagli Special Commissioners (Regno Unito)]

«Libera circolazione delle persone – Libertà di stabilimento – Legge sulle società controllate estere – Attribuzione alla società madre degli utili della controllata stabilita in un altro Stato membro non appena vengono realizzati – Ostacolo – Giustificazione – Lotta all’evasione fiscale»





1.     Il presente procedimento pregiudiziale è inteso a valutare la compatibilità con il diritto comunitario di una legislazione nazionale come quella del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord relativa alle «società controllate estere» (2).

2.     Tale legislazione ha per oggetto la lotta all’evasione fiscale. Essa combatte, infatti, la prassi di società aventi sede nel Regno Unito di trasferire i propri utili imponibili a società loro controllate stabilite in altri Stati dove vige un livello d’imposizione inferiore a quello del Regno Unito.

3.     La detta legislazione è dunque destinata a trovare applicazione allorché gli utili conseguiti dalla SEC di una società residente fiscalmente nel Regno Unito risultano soggetti a un’imposta di gran lunga inferiore a quella applicata in tale Stato membro. Ai suoi sensi, in deroga al regime di diritto comune e sempre che non ricorrano le condizioni di una delle eccezioni ammesse, tali utili sono inclusi nella base imponibile della società madre dal momento in cui vengono realizzati.

4.     Come hanno fatto presente numerosi Stati membri intervenuti nel procedimento, parecchi di loro hanno adottato una legislazione analoga; adozione raccomandata dall’OCSE (Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico) allo scopo, in particolare, di combattere la concorrenza fiscale dannosa (3). Secondo uno studio pubblicato da tale organizzazione nel 1996, le legislazioni sulle SEC in vigore negli Stati che ad essa aderiscono sono, nonostante variazioni di contenuto, accomunate dal prevedere tutte la tassazione in capo agli azionisti residenti della totalità o di parte degli utili conseguiti dalla SEC quando non sono distribuiti (4).

5.     È la prima volta che la Corte è invitata ad esaminare la compatibilità di una legislazione siffatta con il diritto comunitario.

6.     Il diritto derivato non mi pare contenere disposizioni a tal fine rilevanti. Per quanto riguarda la lotta all’evasione fiscale, l’azione svolta in materia a livello comunitario è ancora molto limitata. Visto che la tassazione diretta è sempre di competenza degli Stati membri e che, di conseguenza, i regimi fiscali in seno all’Unione europea sono tra loro differenti, appare logico che le misure destinate a contrastare la frode o l’evasione fiscali siano adottate a loro volta da ciascuno Stato individualmente. Se è vero che, con risoluzione 10 febbraio 1975 (5), ha dichiarato di voler lottare contro l’evasione e la frode fiscali, il Consiglio dell’Unione europea si è limitato, al livello di azioni comunitarie, al miglioramento della cooperazione fra amministrazioni fiscali all’interno della Comunità ai fini di un corretto accertamento delle imposte (6).

7.     Per quanto riguarda, invece, le disposizioni della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati Membri diversi(7), esse non rilevano nella fattispecie, poiché vanno unicamente ad instaurare un regime comune per la tassazione degli utili distribuiti da una società figlia. Non toccano un sistema come quello previsto dalla legislazione del Regno Unito sulle SEC, che attribuisce alla società madre gli utili della controllata estera non appena realizzati.

8.     È perciò con riferimento alle norme del Trattato CE relative alle libertà di circolazione che gli Special Commissioners (Regno Unito) chiedono alla Corte di esaminare la compatibilità della legislazione controversa. Il giudice remittente vuol sapere, infatti, se tale legislazione integri una discriminazione ovvero una restrizione all’esercizio delle libertà di circolazione e, in caso di risposta affermativa, se essa possa essere giustificata dalla lotta all’evasione fiscale.

9.     Prima di passare al detto esame, occorre illustrare il contenuto della legislazione nazionale, nonché i fatti all’origine della controversia.

I –    La normativa nazionale

10.   Ai sensi del diritto tributario del Regno Unito, una società fiscalmente residente in tale Stato membro, vale a dire una società di diritto britannico oppure gestita o controllata da organi centrali presenti sul territorio britannico, è soggetta all’imposta societaria sul suo fatturato mondiale. Essa è, infatti, tassata per gli utili conseguiti al di fuori del Regno Unito per mezzo di uno stabilimento permanente, come una succursale o un’agenzia, ed è altresì tassata per i dividendi distribuitile da una società estera in cui detenga una partecipazione.

11.   Per evitare che questi utili di origine straniera siano oggetto di una doppia imposizione, la legislazione fiscale del Regno Unito riconosce alla società residente un credito a concorrenza dell’imposta assolta all’estero.

12.   Una società madre residente nel Regno Unito non è tassata per gli utili delle controllate dal momento in cui vengono realizzati, né sono tassati gli utili di una controllata stabilita nel Regno Unito allorché distribuiti come dividendi alla società madre residente in tale Stato.

13.   La legislazione del Regno Unito sulle SEC introduce un’eccezione alla regola secondo cui una società madre residente in tale Stato membro non è tassata per gli utili di una controllata estera dal momento in cui sono realizzati.

14.   La detta normativa è contenuta negli artt. 747-756 e negli allegati 24-26 della legge 1988 sull’imposta sul reddito e sulle società (Income and Corporation Taxes Act 1988). Ai suoi sensi, una controllata estera in cui, conformemente alla versione in vigore all’epoca dei fatti, la società madre detiene più del 50%, è come trasparente. Gli utili che essa realizza sono, infatti, attribuiti alla società madre nel Regno Unito ed inclusi nella sua base imponibile, benché questa non li abbia percepiti. Li si tassa riconoscendo un credito d’imposta per l’imposta assolta dalla controllata nello Stato di stabilimento. Se tali utili sono poi versati in forma di dividendi alla società madre, l’imposta pagata da quest’ultima nel Regno Unito a titolo di utili della controllata è assimilata ad un’imposta addizionale pagata dalla controllata allo Stato di stabilimento e genera un credito sull’imposta dovuta a titolo di dividendi.

15.   La legislazione sulle SEC è destinata a trovare applicazione quando la controllata avente sede al di fuori del Regno Unito è soggetta nell’altro Stato ad un «livello inferiore di tassazione». Un «livello inferiore di tassazione» esiste in ogni esercizio contabile in cui l’imposta pagata dalla controllata estera è inferiore ai tre quarti dell’imposta che sarebbe stata pagata nel Regno Unito se gli utili della controllata fossero stati tassati in tale Stato.

16.   La legislazione sulle SEC prevede, tuttavia, una serie di deroghe i cui termini sono cambiati nel tempo. Nella versione in vigore all’epoca dei fatti della causa principale essa non trovava applicazione ove si verificasse una delle seguenti condizioni:

1)      La controllata estera osserva un’«ammissibile politica distributiva». Ciò significa che una determinata percentuale (nel 1996, il 90%) dei suoi utili è distribuita entro 18 mesi ed è tassata presso una società avente sede nel Regno Unito.

2)      La controllata estera è impegnata in «attività esenti». Trattasi di attività illustrate nella legislazione, quali talune attività commerciali svolte da uno stabilimento commerciale.

3)      La controllata estera soddisfa la «condizione della quotazione pubblica» (public quotation condition). Ciò significa che il 35% dei diritti di voto è nelle mani del pubblico, che la controllata è quotata in borsa e che le sue azioni sono trattate presso una Borsa Valori riconosciuta.

4)      Gli utili imponibili della società non superano le 50 000 sterline (GBP).

5)      Lo stabilimento e l’attività della controllata estera soddisfano il «motive test». Tale test consta di due elementi e il contribuente deve dimostrare di conformarsi ad entrambi:

–       Il primo elemento verte sulle operazioni intercorse tra la SEC e la società madre. Se le operazioni che riflettono gli utili della controllata per l’esercizio in questione comportano una riduzione dell’imposta nel Regno Unito (si tratta di una riduzione rispetto a ciò che l’imposta sarebbe stata nel Regno Unito se queste operazioni non fossero state effettuate) e tale riduzione è superiore a un importo minimo, il contribuente deve dimostrare che la riduzione dell’imposta nel Regno Unito non costituiva l’obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali, delle transazioni.

–       Il secondo elemento riguarda l’insediamento della SEC. Il contribuente deve dimostrare che la ragione principale, o una delle ragioni principali, per l’esistenza della controllata non era di ottenere, per l’esercizio in questione, una riduzione dell’imposta nel Regno Unito mediante una distrazione di utili. Nella normativa è stabilito che vi è distrazione degli utili quando è ragionevole supporre che, se non fosse esistita la controllata o altra società collegata non avente sede nel Regno Unito, gli introiti sarebbero stati percepiti da un residente nel Regno Unito e tassati in suo capo.

17.   Il giudice remittente osserva che, se non ricorre alcuna delle quattro condizioni di deroga, il «motive test» consente al fisco di considerare la specifica situazione del contribuente alla luce dello scopo fondamentale della legislazione sulle SEC, ossia la tassazione degli utili accumulati all’estero o distratti dal Regno Unito all’estero.

18.   Precisa, poi, che, a tal fine, il fisco ha pubblicato nel 1996 un elenco di paesi nei quali, salvo determinate condizioni, una controllata potrebbe essere stabilita e considerata conforme ai requisiti per l’esenzione dalla legge sulle SEC.

II – I fatti della causa principale

19.   All’origine del presente procedimento sta una controversia tra le società Cadbury Schweppes plc (8) e Cadbury Schweppes Overseas Ltd (9), da un lato, e i Commissioners of Inland Revenue, dall’altro, in merito alla tassazione di CSO da parte del fisco britannico per gli utili conseguiti da una delle controllate del gruppo Cadbury in Irlanda.

20.   Cadbury è una società con sede nel Regno Unito. Essa è la madre di un gruppo di società costituito da controllate stabilite nel Regno Unito, in altri Stati membri dell’Unione europea e in paesi terzi, a capo delle quali si trova CSO. Il gruppo comprende anche due società controllate indirettamente al 100% da Cadbury, vale a dire Cadbury Schweppes Treasury Services (10) e Cadbury Schweppes Treasury International (11), costituite, in seno al Centro internazionale di servizi finanziari (International Financial Services Centre), a Dublino (Irlanda).

21.   All’epoca dei fatti, queste due società erano soggette ad un’aliquota d’imposta del 10%.

22.   Le attività di CSTS e di CSTI consistono nel raccogliere fondi e nel destinarli alle controllate del gruppo Cadbury.

23.   Secondo il giudice del rinvio, Cadbury ha fondato CSTS, che è andata a sostituirsi ad un’organizzazione precedente che comprendeva una società di Jersey, per tre scopi: in primo luogo, per ovviare a un problema tributario canadese avvertito da residenti canadesi titolari di azioni preferenziali di Cadbury; in secondo luogo, per evitare di dover ottenere l’autorizzazione della Tesoreria del Regno Unito a prestiti per l’estero e, in terzo luogo, per ridurre la trattenuta alla fonte sui dividendi versati nella struttura di gruppo, avvalendosi della direttiva 90/435. Detti tre obiettivi sarebbero stati tutti raggiunti se, precisano gli Special Commissioners, CSTS avesse avuto sede nel Regno Unito.

24.   Il giudice remittente osserva anche che Cadbury ha fondato CSTS e CSTI come controllate indirette, stabilite ai fini fiscali in Irlanda, unicamente perché le loro attività di finanziamento del gruppo potessero beneficiare del regime dell’International Financial Services Centre previsto per le finanziarie di gruppo in Irlanda e non fossero tassate nel Regno Unito.

25.   Tenuto conto dell’aliquota fiscale applicata alle società costituite nel detto Centro, gli utili conseguiti da CSTS e da CSTI risultavano soggetti a un livello inferiore di tassazione nel senso della legge sulle SEC. Il fisco britannico riteneva, inoltre, che, a titolo dell’esercizio contabile 1996, non sussistesse nessuna delle condizioni di esenzione dalla detta legge. Richiedeva, pertanto, a CSO, la prima società avente sede nel Regno Unito nel gruppo considerato, la somma di GBP 8 638 633,54 come imposta societaria sugli utili realizzati da CSTI nell’esercizio terminato il 28 dicembre 1996. L’avviso d’imposta concerneva solo gli utili realizzati da CSTI giacché, per quel periodo, CSTS aveva subito perdite.

26.   Cadbury e CSO hanno impugnato il detto avviso d’imposta dinanzi agli Special Commissioners, il tribunale di ricorso contro le decisioni dell’Amministrazione tributaria. Al loro cospetto esse hanno sostenuto che la legislazione sulle SEC era contraria alla libertà di stabilimento sancita dall’art. 43 CE, alla libera prestazione di servizi di cui all’art. 49 CE e alla libera circolazione dei capitali enunciata all’art. 56 CE.

III – La questione pregiudiziale

27.   Il giudice remittente dichiara di trovarsi nelle seguenti incertezze:

«Se [Cadbury], nello stabilire e finanziare società in un altro Stato membro per il solo motivo che vi è un sistema tributario più favorevole in detto Stato membro (rispetto al sistema tributario del Regno Unito), abbia esercitato libertà fondamentali o abbia abusato di tali libertà.

Qualora tali attività costituiscano un esercizio delle libertà fondamentali, se nelle circostanze di specie è esatto considerare la normativa del Regno Unito sulle [SEC] una possibile restrizione all’esercizio di tali libertà o se debba ritenersi che essa comporti una discriminazione.

Qualora la suddetta normativa debba essere considerata una restrizione, se il fatto che [Cadbury] non paghi più tasse di quelle che CSTS e CSTI avrebbero pagato se fossero state stabilite nel Regno Unito significa che non vi è tale restrizione; e se sia rilevante che

a)      le regole di calcolo del debito fiscale per i redditi di CSTS e di CSTI divergono sotto taluni profili da quelle comunemente applicate alle controllate di [Cadbury] stabilite nel Regno Unito; e

b)      non vi è sgravio fiscale per le perdite di una controllata sugli utili dell’altra o sugli utili di [Cadbury] e delle sue controllate nel Regno Unito (sgravio invece possibile se CSTS e CSTI fossero state stabilite nel Regno Unito anziché in Irlanda).

Ove si ritenga che la suddetta normativa comporti una discriminazione, quale confronto debba essere fatto e se sia possibile un qualsivoglia confronto; in particolare, se il confronto debba essere fatto con l’ipotesi della creazione [da parte di Cadbury] di controllate nel Regno Unito (sempre che gli utili di [Cadbury] non possano comprendere gli utili delle sue controllate nel Regno Unito) o in uno Stato membro che non applica un’aliquota fiscale inferiore.

Qualora sussista una restrizione di stabilimento o una discriminazione, se la normativa possa essere giustificata in quanto strumento per prevenire l’elusione fiscale, dato il suo obiettivo di prevenire la riduzione o la distrazione degli utili soggetti ad imposizione nel Regno Unito; e, in caso di risposta affermativa, se la normativa sia davvero una misura proporzionata al conseguimento di tale legittimo obiettivo, tenuto conto della sua portata e delle deroghe e, in particolare, dell’opportunità che il "motive test" offrirebbe a [Cadbury], se arrivasse a soddisfarne entrambi gli elementi, cosa che però non le riesce, di dimostrare che essa non perseguiva l’obiettivo di eludere le tasse».

28.   È proprio per questi dubbi che gli Special Commissioners hanno deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli artt. 43 CE, 49 CE e 56 CE ostino ad una normativa tributaria nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che, in determinate circostanze, tassa una società residente a titolo degli utili di una controllata avente sede in un altro Stato membro ove è soggetta a un minor livello impositivo».

IV – Analisi

29.   È giurisprudenza costante che, se è vero che la materia delle imposte dirette non rientra, in quanto tale, nella competenza della Comunità, gli Stati membri sono pur sempre tenuti ad esercitare le competenze loro attribuite nel rispetto del diritto comunitario (12). Tale limite all’esercizio da parte degli Stati membri delle competenze conservate si applica anche alle misure di prevenzione della frode e dell’evasione fiscali. Anche se la competenza degli Stati membri ad adottare tali misure è espressamente ricordata tanto dal Trattato (13) quanto dagli atti di diritto derivato (14), le dette misure non devono, tuttavia, infrangere gli accordi presi nell’ambito del detto Trattato e, soprattutto, le libertà di circolazione ivi sancite.

30.   Il giudice remittente vuol sapere, nella fattispecie, se la legislazione del Regno Unito sulle SEC è compatibile con la libertà di stabilimento, la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei capitali.

31.   Sono del parere, come parecchi degli intervenienti, che la compatibilità della legislazione in causa vada esaminata alla luce della libertà di stabilimento.

32.   Risulta in giurisprudenza che, quando i cittadini di uno Stato membro detengono una partecipazione nel capitale di una società con sede in un altro Stato membro che conferisca loro una sicura influenza sulle decisioni della società e consenta loro di indirizzarne le attività, devono trovare applicazione le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e non quelle sulla libera circolazione di capitali (15). L’art. 48 CE, poi, estende i diritti conferiti dall’art. 43 CE alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità.

33.   Da tali elementi può quindi inferirsi che la legislazione del Regno Unito sulle SEC, che definisce le regole applicabili alla tassazione degli utili di una consociata estera il cui rapporto con la società madre residente non si limiti ad una semplice partecipazione, ma consista in un controllo da parte di quest’ultima, non attiene alla libera circolazione dei capitali, bensì alla libertà di stabilimento.

34.   Le ricorrenti sostengono che anche le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi dovrebbero poter trovare applicazione nella fattispecie. Fanno valere che la legislazione controversa complicherebbe l’erogazione di servizi finanziari da parte di CSTS e di CSTI alla loro società madre nel Regno Unito e citano a titolo d’esempio le sentenze Safir (16) ed Eurowings Luftverkehr (17).

35.   Gli argomenti delle ricorrenti non mi convincono. Il presente procedimento verte sulla compatibilità con il diritto comunitario della legislazione di uno Stato membro che prevede l’attribuzione a una società madre residente degli utili di una controllata avente sede in un altro Stato membro qualora tale controllata sia quivi soggetta a un livello di tassazione decisamente inferiore. La natura dell’attività esercitata da CSTS e da CSTI non è presa specificamente in considerazione dalla legge. La situazione è perciò diversa da quella delle controversie definite dalle sentenze Safir e Eurowings Luftverkehr succitate (18).

36.   Vero è che la legislazione controversa, se ha l’effetto di dissuadere una società residente dal costituire una controllata in un altro Stato membro, finisce pure per impedire la fornitura di servizi da parte della controllata fuori da tale Stato. Quest’ultima restrizione appare, però, una conseguenza dell’ostacolo allo stabilimento. Nel caso di specie è proprio la libertà di costituire una controllata nell’altro Stato membro il punto nodale della controversia (19). Non vedo, quindi, l’interesse di invocare anche le norme sulla libera prestazione dei servizi. Comunque sia, non credo che esaminare la normativa in questione alla luce di tale libertà, oltre che della libertà di stabilimento, possa portare ad un risultato differente.

37.   Propongo, pertanto, di limitare l’esame della questione pregiudiziale al problema se gli artt. 43 CE e 48 CE ostino a una normativa fiscale nazionale che preveda l’inclusione nella base imponibile di una società madre residente degli utili realizzati da una SEC stabilita in un altro Stato membro quando tali utili sono soggetti in questo secondo Stato ad un livello di tassazione decisamente inferiore a quello in vigore nello Stato di residenza della società madre.

38.   L’analisi propedeutica alla soluzione di tale questione ci porterà ad esaminare di seguito i tre principali interrogativi cui il giudice remittente dichiara di essersi confrontato: anzitutto, se il fondare una controllata in un altro Stato membro allo scopo di beneficiare di un regime fiscale più favorevole di quello in vigore nello Stato in cui la stessa società madre ha sede costituisca di per sé un abuso della libertà di stabilimento; poi, eventualmente, se la normativa del Regno Unito sulle SEC rappresenti un ostacolo all’esercizio della detta libertà; e, infine, se tale ostacolo trovi una giustificazione.

A –    Quanto all’abuso della libertà di stabilimento

39.   Si tratta, abbiamo detto, per prima cosa, di stabilire se il costituire una controllata in un altro Stato membro allo scopo di beneficiare del suo, più favorevole, regime fiscale costituisca di per sé, da parte della società madre, un abuso della libertà di stabilimento. Il giudice remittente afferma di essersi posto il problema in quanto Cadbury ha costituito CSTS e CSTI come controllate indirette, residenti fiscalmente in Irlanda, soltanto perché i finanziamenti intragruppo potessero beneficiare del regime del Centro internazionale di servizi finanziari.

40.   Non credo che fondare una controllata in un altro Stato membro allo scopo dichiarato di beneficiare del, più favorevole, regime fiscale ivi in vigore integri, da parte della società madre, un abuso della libertà di stabilimento, che la priverebbe per ciò stesso della possibilità di far valere i diritti conferiti dagli artt. 43 CE e 48 CE. La mia analisi si fonda sulla portata di queste disposizioni quale precisata dalla giurisprudenza.

41.   Occorre ricordare, innanzi tutto, che gli artt. 43 CE e 48 CE espressamente conferiscono a una società in possesso dei requisiti enunciati in quest’ultimo articolo il diritto di aprire agenzie, succursali o di creare consociate nel territorio di un altro Stato membro alle condizioni definite dalla legislazione di tale paese nei confronti dei propri cittadini. Questa libertà fondamentale, consacrata dalle dette disposizioni, che sono provviste di effetto diretto dalla fine del periodo transitorio (20), vuole così permettere ad una tale società di creare uno stabilimento secondario in qualunque altro Stato membro. Ogni società costituita in conformità alla legislazione di uno Stato membro può quindi costituire una controllata in un territorio della Comunità a sua scelta.

42.   Secondariamente, appare importante sottolineare, nel contesto della presente controversia, che la nozione di «stabilimento» implica la possibilità, per un cittadino comunitario, di partecipare in maniera stabile e continuativa alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio (21). La libertà di stabilimento mira così a permettere l’esercizio di un’attività economica reale ed effettiva nello Stato ospite (22). Come osservava l’avvocato generale Darmon al paragrafo 3 delle conclusioni per la causa Daily Mail and General Trust (23), «[s]tabilirsi “è integrarsi in un’economia nazionale”». È, dunque, l’esercizio di un’attività economica nello Stato membro d’insediamento la ragion d’essere della libertà di stabilimento.

43.   Infine, risulta dalla giurisprudenza che, se lo scopo perseguito dalla libertà di stabilimento è raggiunto, le ragioni per le quali il cittadino comunitario o la società interessati hanno voluto esercitare tale loro libertà non possono influire sulla tutela ad essi riconosciuta dal Trattato.

44.   Così, nella sentenza Centros (24), si doveva accertare se le autorità danesi potessero rifiutare la registrazione di una succursale di una società a responsabilità limitata regolarmente costituita nel Regno Unito per il fatto che quest’ultima non esercitava alcuna attività in tale Stato, ma cercava, in sostanza, di eludere la normativa danese sulla creazione di una SARL (25).

45.   Si trattava, quindi, di stabilire se lo Stato d’insediamento potesse rifiutare a una società rispondente ai requisiti dell’art. 48 CE la creazione sul proprio territorio di uno stabilimento secondario sulla scorta dei motivi che avevano spinto i soci a decidere di costituire la loro società in uno Stato membro diverso. Altrimenti detto: si trattava di stabilire se le motivazioni dei soci potevano impedire l’esercizio dei diritti attribuiti dall’art. 43 CE anche se tale disposizione era stata invocata conformemente alla propria finalità, quella di permettere a una società costituita nella regolare osservanza della normativa di uno Stato membro di esercitare le proprie attività secondarie in un altro paese della Comunità.

46.   La Corte ha fatto prevalere la finalità del diritto di stabilimento conferito dal Trattato. Nella sentenza Centros essa ha, infatti, indicato che il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all’esercizio, nell’ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato. Il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro il cui diritto societario gli sembri meno stringente e crei succursali in altri Stati membri non può di per sé costituire, a suo giudizio, un abuso del diritto di stabilimento (26).

47.   Questa soluzione, che è stata adottata in seduta plenaria, non è isolata. Essa ha trovato conferma nella sentenza Inspire Art (27), che l’ha estesa alla legislazione neerlandese la quale, in circostanze simili a quelle della causa Centros, non rifiutava la registrazione di una succursale, ma subordinava la creazione di tale stabilimento secondario all’osservanza di talune condizioni di diritto interno per la costituzione di società.

48.   Nella sentenza Inspire Art la Corte ha indicato espressamente che le ragioni per cui si decide di costituire una società in un certo Stato membro sono, ad eccezione dei casi di frode, prive di conseguenze sull’applicazione delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento (28). Essa ha confermato che la circostanza che la società sia stata creata, sul fondamento degli artt. 43 CE e 48 CE, in quel dato Stato membro unicamente per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce un abuso, e ciò neanche quando tale società svolga l’essenziale, se non il complesso, delle sue attività economiche nello Stato dello stabilimento secondario (29).

49.   Se ne può dedurre, quanto al caso di specie, che, ove la controllata eserciti realmente ed effettivamente un’attività nello Stato membro in cui è stata creata, i motivi per cui la società madre ha deciso d’impiantarla su quel territorio non possono influire sui diritti che essa trae dal Trattato (30).

50.   Il diritto per Cadbury di avvalersi della tutela conferita dagli artt. 43 CE e 48 CE dipende, dunque, nella fattispecie, dal fatto che CSTS e CSTI davvero esercitino attività reali ed effettive in Irlanda. Spetta al giudice del rinvio stabilire se sia questo il caso, oggetto di un’accesa disputa tra le ricorrenti e il Regno Unito. Allo stato attuale credo tuttavia di poter affermare che la circostanza che Cadbury abbia deciso di impiantare le proprie controllate in Irlanda solo per vederle assoggettate a un regime fiscale più favorevole, applicabile nel Centro internazionale di servizi finanziari, non integra di per sé un abuso della libertà di stabilimento.

51.   Il livello d’imposizione è un elemento che una società può legittimamente considerare nella scelta dello Stato in cui intende costituire una controllata. Una società può, senza infrangere la portata e lo spirito dell’art. 43 CE, decidere di esercitare le sue attività a titolo secondario in un altro Stato membro per beneficiare in sede di tassazione delle attività quivi imponibili del suo, più favorevole, regime fiscale.

52.   Quest’analisi trova conferma in una giurisprudenza costante secondo la quale uno Stato membro non può impedire ad una società di esercitare il suo diritto di stabilimento in un altro Stato membro adducendo che, altrimenti, subirebbe una riduzione del gettito fiscale corrispondente alle imposte che avrebbe potuto esigere per un’attività futura che la società  avesse invece esercitato nello Stato di origine (31).

53.   È parimenti giurisprudenza consolidata che il semplice fatto che una società residente crei uno stabilimento secondario in un altro Stato membro non è idoneo a fondare una presunzione generale di frode o di evasione fiscali, né a giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (32). Come la Corte ha ripetutamente affermato, lo stabilimento di una società in un altro Stato membro non comporta, di per sé, l’evasione fiscale, dato che la società di cui trattasi è comunque soggetta alla normativa di tale Stato (33).

54.   Infine, dalla giurisprudenza può ugualmente dedursi che a uno Stato membro non è consentito ostacolare l’esercizio delle libertà di circolazione in un altro Stato membro col pretesto del minor livello d’imposizione in quest’ultimo (34).

55.   Tutto ciò considerato, in assenza di armonizzazione comunitaria, è giocoforza constatare che i regimi fiscali dei diversi Stati membri possono così risultare in concorrenza. Una concorrenza che, traducendosi segnatamente in una grande disparità fra gli Stati membri delle aliquote applicate agli utili societari, può avere una notevole incidenza sulla scelta, da parte delle società, del territorio dell’Unione europea dove ubicare le proprie attività (35). Legittimamente rincresce che in tale settore la concorrenza interstatale non conosca limiti. Si tratta, tuttavia, di una questione di natura politica.

56.   Occorre ricordare al riguardo che il Consiglio «Affari economici e finanziari» (Consiglio «Ecofin») ha adottato un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese (36) che riguarda «le misure che hanno o possono avere una sensibile incidenza sull’ubicazione di attività imprenditoriali nel territorio della Comunità» impegnando gli Stati membri a congelarle e smantellarle. Mi pare utile sottolineare in questa sede che il regime fiscale irlandese in vigore per le società stabilite nel Centro internazionale di servizi finanziari è stato citato nel rapporto del gruppo «Codice di condotta», incaricato di valutare le misure nazionali cui il detto codice può essere applicato, come esempio di misura dannosa. Tale regime fiscale ha dovuto, perciò, essere progressivamente smantellato (37).

57.   Questi elementi non possono però influire sulla portata dei diritti conferiti agli operatori economici dagli artt. 43 CE e 48 CE. Come risulta dal suo preambolo, il Codice di condotta costituisce un impegno politico e non pregiudica pertanto i diritti e gli obblighi degli Stati membri, né le rispettive competenze degli Stati membri e della Comunità derivanti dal Trattato. La sua adozione e la menzione del regime fiscale irlandese in causa fra le misure fiscali nazionali dannose per il mercato unico non possono dunque limitare, né a fortiori restringere retroattivamente, il diritto riconosciuto dal Trattato ad ogni società conforme all’art. 48 CE di creare uno stabilimento secondario in qualsivoglia Stato membro, anche in quelli in cui si applica un regime fiscale reputato dannoso per il mercato unico.

58.   La circostanza che tale regime fiscale possa essere altresì qualificato aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune (38) non modifica quest’analisi. Come notava la Commissione nelle osservazioni, il Trattato contiene disposizioni particolari, agli artt. 87 CE e 88 CE, volte ad assicurare la verifica della compatibilità di una tale misura con il mercato comune e ad annullarne gli effetti pregiudizievoli per quest’ultimo. La circostanza che un regime fiscale siffatto non sia conforme alle regole del Trattato non può dunque autorizzare uno Stato membro a prendere misure unilaterali per combatterne gli effetti lesivi delle libertà di circolazione.

59.   Contro quest’analisi si potrebbe ancora obiettare che il problema permane nella sua interezza relativamente alla disparità delle aliquote fiscali fissate dalle norme a carattere generale degli Stati membri. Da un lato, infatti, la valutazione, effettuata dal gruppo «Codice di condotta», delle misure fiscali ritenute dannose e di cui è stata programmata la soppressione si è limitata ai regimi particolari o specifici. Dall’altro, a norma dell’art. 94 CE, un ravvicinamento delle disposizioni legislative nazionali in ordine alle aliquote fiscali applicabili richiede sempre la delibera unanime del Consiglio ma, come hanno osservato alcuni Stati all’udienza, una misura del genere non è stata a tutt’oggi adottata, né pare adottabile in un futuro prossimo.

60.   Gli effetti dannosi di una mancanza assoluta di armonizzazione delle aliquote fiscali sugli utili societari si ascrivono, tuttavia, come dicevo prima, ad una soluzione di tipo politico e non mi pare giustifichino di rimettere in discussione la portata dei diritti conferiti dagli artt. 43 CE e 48 CE quale definita dalla giurisprudenza. Sono perciò dell’avviso di concludere che il fatto per una società con sede fiscale in uno Stato membro di creare una controllata nel Centro internazionale di servizi finanziari allo scopo dichiarato di profittare del più favorevole regime fiscale ivi applicabile non costituisca in sé un abuso della libertà di stabilimento.

61.   Verifichiamo ora se la legislazione del Regno Unito sulle SEC rappresenti un ostacolo alla libertà di stabilimento.

B –    Quanto all’esistenza di un ostacolo alla libertà di stabilimento

62.   Occorre preliminarmente ricordare che l’art. 43 CE non vieta soltanto le restrizioni alla creazione di una controllata in un altro Stato membro poste dallo Stato di stabilimento, ma anche quelle imputabili allo Stato di origine. Così, secondo una giurisprudenza consolidata, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, anche se, alla lettera, intendono specificamente assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato di stabilimento, vietano anche che lo Stato di origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro di uno dei suoi cittadini o di una società costituita in conformità della sua legislazione (39). Questo divieto di ostacoli «all’uscita» vale altresì per le misure fiscali (40).

63.   Dalla giurisprudenza risulta anche che le restrizioni vietate dall’art. 43 CE possono assumere forme diverse. Si può trattare di discriminazioni palesi fondate sulla cittadinanza o, quanto alle società, sulla sede sociale, o anche di «discriminazioni indirette», vale a dire di misure che, senza essere fondate sulla sede sociale, poggiano su condizioni applicabili indistintamente, che tuttavia svantaggiano soprattutto i cittadini degli altri Stati membri, ad esempio sul criterio della residenza fiscale (41). Infine, nella sua giurisprudenza più recente, la Corte non s’interessa se la misura in questione debba essere qualificata discriminazione diretta o indiretta, ma si limita a constatare l’esistenza di una disparità fiscale dannosa per l’operatore economico che abbia esercitato i diritti conferiti dall’art. 43 CE e suscettibile di dissuaderlo dall’avvalersene ancora (42).

64.   L’ultimo elemento che mi pare utile segnalare in questa sede nella giurisprudenza relativa all’esame dei regimi fiscali nazionali rispetto alle libertà di circolazione è dato dalle possibili giustificazioni di una restrizione. In linea di principio le discriminazioni palesi fondate sulla cittadinanza possono essere giustificate solo da uno dei motivi di cui all’art. 46, n. 1, CE, attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza e alla sanità pubblica. Soltanto le misure indistintamente applicabili possono essere giustificate anche da una ragione imperativa d’interesse generale, vale a dire da una ragione non prevista dalla detta disposizione e tuttavia riconosciuta dalla giurisprudenza come strumentale al perseguimento di un interesse legittimo. Ora, nel contesto degli artt. 43 CE e 48 CE, la sede sociale serve a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il collegamento delle società all’ordinamento giuridico di uno Stato membro (43). In materia fiscale, però, la constatazione dell’esistenza di una disparità di trattamento fondata sulla sede sociale delle società non esclude che tale disparità possa essere giustificata da ragioni imperative d’interesse generale (44).

65.   È alla luce delle considerazioni suesposte che verificheremo se la legislazione controversa costituisca un ostacolo alla libertà di stabilimento. Il giudice del rinvio si domanda al riguardo se tale legislazione debba essere analizzata come una restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento o piuttosto come una discriminazione.

66.   Nella prima ipotesi il giudice si domanda se l’eventualità che Cadbury non paghi un’imposta superiore a quella che CSTS e CSTI avrebbero pagato se avessero avuto sede nel Regno Unito, o ancora il fatto che le perdite subite da tali controllate estere non possano costituire oggetto di uno sgravio sugli utili imponibili nel Regno Unito, sgravio che sarebbe stato invece possibile se fossero state stabilite in tale Stato, incidano sull’esistenza di una restrizione.

67.   Nella seconda ipotesi il giudice s’interroga sul confronto da operare per stabilire l’esistenza di una discriminazione. Si domanda, cioè, se la situazione di Cadbury vada comparata a quella di una società residente che abbia creato una controllata nel Regno Unito o invece a quella di una società residente che abbia creato tale stabilimento secondario in un altro Stato membro, in cui l’aliquota fiscale non sia sufficientemente vantaggiosa da far scattare l’applicazione della legge sulle SEC.

68.   Il Regno Unito sostiene che la legislazione controversa non costituisce un ostacolo discriminatorio alla libertà di stabilimento. Fa valere innanzi tutto che la situazione di Cadbury dev’essere comparata unicamente a quella di una società residente la cui controllata abbia sede nel territorio nazionale. Espone, poi, in ciò sostenuto dai governi danese, tedesco, francese, portoghese, finlandese e svedese, che la detta legislazione non sarebbe discriminatoria in quanto l’imposta richiesta a Cadbury non supererebbe quella che ad essa e alle sue controllate sarebbe stata complessivamente applicata se queste ultime fossero state stabilite nel Regno Unito. L’effetto economico sul patrimonio di Cadbury sarebbe pertanto lo stesso in entrambe le ipotesi.

69.   Secondo gli Stati membri summenzionati, la legislazione sulle SEC perseguirebbe, così, un obiettivo di neutralità fiscale, perché farebbe in modo che il carico fiscale complessivamente gravante sull’unità economica costituita da una società madre britannica e dalle sue controllate sia identico, che le controllate abbiano sede nel Regno Unito oppure in altro Stato membro.

70.   Infine, a parere dei governi tedesco e francese, il diverso trattamento previsto dalla legislazione controversa in funzione del luogo d’insediamento delle controllate sarebbe oggettivamente giustificato dalle diverse aliquote alle quali queste ultime sarebbero assoggettate nei rispettivi Stati di stabilimento.

71.   Non condivido quest’analisi per i seguenti motivi.

72.   Come abbiamo visto, la legislazione controversa instaura un regime particolare, che è destinato a trovare applicazione unicamente alle società residenti che hanno costituito una controllata in un altro Stato membro ove è prevista una tassazione degli utili societari ben inferiore a quella in vigore nel Regno Unito. Non si applica, invece, si ricordi, se la controllata è stabilita nel Regno Unito oppure in altro Stato membro che ne tassi gli utili per non meno dei ¾ dell’imposta alla quale essi soggiacerebbero nel Regno Unito.

73.   La legislazione sulle SEC prevede che gli utili della controllata possano essere inclusi nella base imponibile della società madre dal momento in cui sono stati conseguiti.

74.   Essa svantaggia, quindi, la società madre alla quale si applica rispetto, da un lato, a una società residente che ha costituito la sua controllata nel Regno Unito e, dall’altro, a una società residente che ha costituito la sua controllata in un altro Stato membro dal regime fiscale non sufficientemente vantaggioso da farne scattare l’applicazione. Nel primo caso, infatti, la società residente non è mai tassata per gli utili della controllata nazionale. Nel secondo, la società residente non è tassata per gli utili della controllata estera al momento in cui sono realizzati, ma solo quando tali utili le vengono distribuiti in forma di dividendi.

75.   Siamo dunque in presenza di un trattamento fiscale differenziato che svantaggia società che, come Cadbury, hanno costituito una controllata in Irlanda, nel Centro internazionale di servizi finanziari, e ben può dissuadere una società residente dall’esercitare ivi il proprio diritto di stabilimento.

76.   La circostanza che l’imposta richiesta a Cadbury non ecceda l’ammontare complessivo dell’imposta che sarebbe stata sopportata dall’unità economica costituita dalla società madre e dalle controllate se queste ultime avessero avuto sede nel Regno Unito non infirma tale analisi. Essa non toglie, infatti, che ineguale è il trattamento fra le società madri.

77.   Anche a supporre che la legislazione controversa sia fiscalmente neutra rispetto a una situazione meramente interna, resterebbe comunque la disparità di trattamento e il pregiudizio per Cadbury rispetto ad una società residente che avesse costituito una controllata in un altro Stato membro dove la tassazione è meno vantaggiosa di quella in vigore nel Centro internazionale di servizi finanziari.

78.   Contrariamente al Regno Unito, non vedo perché la situazione di Cadbury non debba essere comparata a quella di una società siffatta. Ritengo che la valutazione della compatibilità della legislazione controversa con il diritto comunitario debba permettere l’esame di quest’ultima in tutte le sue implicazioni. Una «discriminazione» consiste, è noto, nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero della stessa norma a situazioni diverse (45). L’unica cosa da accertare per determinare se il trattamento differenziato di due situazioni costituisca una discriminazione è, pertanto, se tali due situazioni siano analoghe. Ebbene, analoghe sono, a mio avviso, la situazione di Cadbury e quella di una società residente che ha costituito una controllata in un altro Stato membro dove la tassazione è meno vantaggiosa di quella in vigore nel Centro internazionale di servizi finanziari giacché, in ambedue le ipotesi, una società residente nel Regno Unito ha costituito una controllata altrove.

79.   Contro questa mia analisi è stato sostenuto che la disparità delle aliquote fiscali sugli utili societari all’interno dell’Unione integra un’oggettiva diversità di situazione che giustificherebbe il trattamento differenziato previsto dalla legislazione controversa.

80.   Se si accogliesse questa tesi si finirebbe con l’ammettere che uno Stato membro sia in diritto, senza infrangere le norme del Trattato, di selezionare tra gli altri Stati membri quello in cui le proprie società nazionali possono costituire controllate beneficiando del relativo regime fiscale. Ora, come hanno sostenuto le ricorrenti e l’Irlanda, tale soluzione sortirebbe chiaramente un risultato contrario alla nozione stessa di «mercato unico».

81.   La fissazione dell’aliquota fiscale sugli utili societari è, come si è detto, competenza esclusiva degli Stati membri e gli artt. 43 CE e 48 CE conferiscono ad ogni società conforme a quest’ultimo articolo il diritto di costituire controllate nel paese dell’Unione che preferiscono. Uno Stato membro non può, perciò, trattare in maniera differenziata le società sue residenti che costituiscono controllate all’estero in funzione dell’aliquota fiscale dello Stato di stabilimento.

82.   Questa soluzione sarebbe altresì contraria alla posizione assunta dalla Corte nelle sentenze Eurowings Luftverkehr e Barbier, dove è stato [rispettivamente] affermato che la tassazione poco elevata alla quale si viene assoggettati in uno Stato membro non può giustificare un trattamento fiscale meno favorevole da parte di un altro Stato membro (46) e che un cittadino comunitario non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato perché approfitta dei vantaggi fiscali legalmente offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede (47).

83.   Il diverso trattamento previsto dalla legislazione del Regno Unito sulle SEC in funzione dell’aliquota fiscale nello Stato membro di stabilimento è sufficiente, secondo me, perché tale regime sia visto come un ostacolo alla libertà di stabilimento e perché la sua compatibilità con le regole del Trattato sia necessariamente sottoposta al controllo della Corte.

84.   Esaminiamo ora se per tale ostacolo sussista una giustificazione.

C –    Quanto alla giustificazione costituita dalla lotta all’evasione fiscale

85.   Come risulta dal fascicolo, la legislazione del Regno Unito sulle SEC è stata adottata per contrastare una specifica forma di evasione fiscale, realizzata distraendo fittiziamente utili conseguiti nel Regno Unito. Il punto è, secondo tale Stato membro, far fronte alle distrazioni di utili realizzate da una società residente che costituisca una controllata in un paese a basso livello impositivo ed effettui operazioni intragruppo allo scopo principale di trasferire tali utili alla controllata. Il giudice remittente chiede se il detto scopo possa giustificare la legislazione nazionale controversa.

86.   La lotta all’evasione fiscale è una delle ragioni imperative di interesse generale che possono giustificare un ostacolo all’esercizio delle libertà di circolazione. La Corte l’ha ripetutamente ammesso accettando di esaminare se la restrizione alla libertà di stabilimento introdotta dalla legislazione nazionale di volta in volta considerata potesse essere sotto quel profilo legittima(48). Ho peraltro già indicato che, nella sentenza ICI, essa ha proceduto ad un tale esame a proposito della legislazione del Regno Unito che applicava il criterio della sede delle controllate per instaurare un trattamento fiscale differenziato delle società di un consorzio stabilite in tale Stato.

87.   La possibilità che una simile giustificazione sia effettivamente accolta è stata, tuttavia, rigidamente circoscritta. È formula ricorrente in giurisprudenza che un ostacolo ad una libertà di circolazione garantita dal Trattato può essere giustificato dalla lotta all’evasione fiscale solo se la legislazione in causa ha l’oggetto specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose intese ad eludere la normativa nazionale (49).

88.   Il ricorso alla detta formula, i cui termini riprendono quelli della nozione di «abuso di diritto» (50), può essere interpretato come volontà di evitare che la lotta all’evasione fiscale serva da pretesto ad un atteggiamento protezionistico. L’applicazione del diritto comunitario può essere rifiutata solamente se la società di cui trattasi se ne serve in maniera abusiva montando un’operazione artificiale per sottrarsi all’imposta.

89.   La Corte ha perciò negato che una misura nazionale restrittiva possa essere giustificata dalla lotta all’evasione fiscale allorché colpisce una situazione definita in termini troppo ampi. A suo giudizio, perché trovi giustificazione, la legislazione nazionale controversa non deve considerare, «in via generale, qualunque situazione in cui le società controllate da un gruppo si trovino in maggioranza stabilite, per qualsiasi motivo, fuori dal Regno Unito» (51), né, «in maniera generale, ogni situazione in cui, per qualsiasi ragione, la cessione sottoprezzo sia effettuata a favore di una società costituita conformemente alla legislazione di un altro Stato membro in cui il cedente detiene una partecipazione o di una società controllata costituita nel Regno di Svezia da tale società» (52).

90.   Essa non deve considerare neppure, «in via generale, qualunque situazione in cui la società capogruppo abbia la sua sede, per qualsiasi motivo, fuori dalla Repubblica federale tedesca» (53), né, «in maniera generale, ogni situazione in cui un contribuente detentore di partecipazioni sostanziali in una società soggetta all’imposta sulle società trasferisca per una qualunque ragione il proprio domicilio fiscale al di fuori della Francia» (54).

91.   Al contrario, i giudici nazionali possono, di volta in volta, tener conto, sulla base di elementi oggettivi, del comportamento abusivo o fraudolento dell’interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto comunitario invocate (55).

92.   Ne consegue che, perché la lotta all’evasione fiscale sia giustificata, la legislazione nazionale non può limitarsi a considerare una situazione definita in termini generali, ma deve permettere al giudice nazionale di rifiutare, all’occorrenza, il beneficio del diritto comunitario a quei contribuenti o a quelle società che abbiano montato un’operazione allo scopo di eludere l’imposta.

93.   Nella sentenza Marks & Spencer, per la prima volta a quanto mi risulta, la Corte ha fatto un’applicazione più ampia della giustificazione data dalla lotta all’evasione fiscale. Ciò è avvenuto in un contesto particolare, a proposito della legislazione del Regno Unito sullo «sgravio di gruppo». Conformemente a tale legislazione, le società di un medesimo gruppo, residenti nel Regno Unito, possono procedere inter se ad una compensazione dei loro profitti e delle loro perdite. Tale possibilità è tuttavia preclusa ad una società madre residente per le perdite subite dalle controllate aventi sede in un altro Stato membro. Il diverso trattamento delle controllate in funzione del proprio luogo di residenza è stato considerato, come prevedibile, un ostacolo alla libertà di stabilimento.

94.   Tre motivi furono invocati per giustificare quella disparità di trattamento. In primo luogo, si sosteneva che i profitti e le perdite dovevano essere trattati simmetricamente nell’ambito dello stesso sistema fiscale, per salvaguardare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra i diversi Stati membri interessati. In secondo luogo, occorreva evitare che le perdite fossero considerate due volte. Il terzo motivo verteva sulla prevenzione del rischio di evasione fiscale.

95.   L’esame che la Corte condusse di quelle giustificazioni apporta elementi che mi paiono rilevanti ai fini della presente controversia. Appare utile ricordarne qui il contenuto.

96.   Quanto al primo elemento di giustificazione, la Corte ha ricordato che, secondo la sua costante giurisprudenza, la riduzione del gettito fiscale non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare un provvedimento che sia, in linea di principio, in contrasto con una libertà fondamentale (56).

97.   Essa ha però aggiunto la precisazione che la tutela della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri potrebbe rendere nondimeno necessaria l’applicazione, alle attività economiche delle società residenti in uno di tali Stati, delle sole norme tributarie nazionali, per quanto riguarda tanto i profitti quanto le perdite. «Concedere», infatti, «alle società la possibilità di optare per la presa in considerazione delle loro perdite nello Stato membro in cui sono registrate o in un altro Stato membro comprometterebbe sensibilmente un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, dato che la base imponibile si troverebbe aumentata per il primo Stato e ridotta nel secondo, considerate le perdite trasferite» (57).

98.   Quanto al rischio del duplice uso delle perdite, la Corte indica che gli Stati membri devono potervisi opporre (58).

99.    Per quanto riguarda, infine, il rischio di evasione fiscale, la Corte ammette che la possibilità di trasferire le perdite di una controllata non residente a una società residente comporta il rischio che all’interno di un gruppo di società vengano organizzati trasferimenti di perdite in direzione delle società stabilite negli Stati membri che applicano le aliquote maggiori ed in cui, di conseguenza, è maggiore il valore fiscale delle perdite. A suo giudizio, un’esclusione dello sgravio di gruppo per le perdite subite da controllate non residenti osta a tali pratiche, che potrebbero essere ispirate dalla constatazione di differenze sensibili tra i tassi di imposizione applicati nei diversi Stati membri (59).

100. Alla luce di questi tre elementi di giustificazione, considerati nel loro insieme, la Corte ha rilevato che la restrizione in esame perseguiva obiettivi legittimi ed era idonea a garantire la loro realizzazione. Dopodiché è passata ad esaminarne la proporzionalità e a determinare le condizioni che potevano giustificarla.

101. Dalla sua argomentazione possiamo dedurre due considerazioni rilevanti per la presente controversia.

102. La prima riguarda il fatto che le libertà di circolazione garantite dal Trattato non mirano a permettere alle società di trasferire le loro perdite o i loro profitti da uno Stato membro all’altro secondo la propria convenienza. Altrimenti detto, la Corte conferma che tali norme non sono destinate a rimettere in discussione la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, né il loro diritto a tassare le attività economiche realizzate sul proprio territorio. Gli Stati membri possono dunque opporsi a trasferimenti finalizzati a beneficiare della disparità di aliquote fiscali applicabili a profitti già conseguiti.

103. La seconda considerazione che può trarsi dalla sentenza Marks & Spencer è che la prima considerazione non deve revocare in dubbio la portata degli artt. 43 CE e 48 CE quale ho descritto nella prima parte della mia analisi. Al punto 44 di quella sentenza la Corte conferma, infatti, la sua costante giurisprudenza secondo cui la riduzione del gettito fiscale non può essere considerata un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. Lo Stato membro in cui è stabilita la società madre non può, allora, opporsi a che essa crei una controllata in un altro Stato membro col pretesto, per esempio, che le attività ivi esercitate da quest’ultima potrebbero essere esercitate anche sul suo stesso territorio e ricondotte al suo esclusivo diritto fiscale.

104. Sapere se, e in quale misura, operazioni tra una SEC e la società madre comportino una diminuzione degli utili imponibili di quest’ultima che costituisca un’evasione fiscale passa per la ricerca di un giusto equilibrio tra tali due principi.

105. Una ricerca, questa, che muove, a mio parere, dal criterio guida per la valutazione dell’esistenza di un comportamento abusivo, che è quello di accertare se le finalità perseguite dalla norma di diritto comunitario invocata siano soddisfatte (60). Si tratta, insomma, di verificare se lo stabilimento della SEC in uno Stato a basso livello impositivo e le transazioni da essa concluse con la società madre con l’effetto di diminuire la tassazione presso quest’ultima nello Stato d’origine costituiscano effettivamente operazioni compatibili con lo scopo della libertà di stabilimento.

106. Abbiamo visto che la nozione di «stabilimento» ai sensi degli artt. 43 CE e segg. del Trattato presuppone l’esercizio effettivo di un’attività economica nello Stato di stabilimento. Ebbene, se la controllata esercita effettivamente una tale attività nel detto Stato e, in quel contesto, fornisce alla società madre prestazioni reali ed effettive, non credo che si possa già parlare di frode o di evasione fiscali, neppure qualora il prezzo delle prestazioni dovesse tradursi in una diminuzione degli utili imponibili della società madre nello Stato d’origine.

107. Riguardo all’obiettivo della libertà di stabilimento, una volta che la controllata realmente eserciti un’attività economica nello Stato di stabilimento, non rileva se i servizi siano forniti a terzi o a società appartenenti al suo stesso gruppo.

108. Peraltro, la fornitura di prestazioni di servizi dalla controllata alla società madre costituisce un’attività economica che si esprime in operazioni tra persone giuridiche distinte. La circostanza che queste due società siano collegate non osta a che il prezzo delle loro operazioni sia fissato alle normali condizioni di concorrenza (61). Il rischio di evasione fiscale relativamente a tali operazioni non è dunque paragonabile a quello che creerebbe il trasferimento delle perdite di controllate estere a una società madre residente, come nella causa Marks & Spencer, ché avverrebbe, infatti, con un semplice gioco di scritturare contabili. Le operazioni tra una SEC e la società madre che hanno l’effetto di ridurre gli utili imponibili di quest’ultima possono perciò essere considerate un’evasione fiscale solo se lo stabilimento della controllata e le operazioni medesime costituiscono, come vuole la giurisprudenza succitata, una montatura per aggirare la legge nazionale.

109. Allo stesso modo, neppure il fatto che una società centralizzi in un altro Stato membro a basso livello impositivo la realizzazione di certe attività utili a tutto il gruppo, e che cerchi così di ridurre il carico fiscale complessivo di quest’ultimo, mi pare sia, in quanto tale, una pratica abusiva. In un’ipotesi del genere, poiché la controllata incaricata di tali prestazioni intragruppo esercita una reale attività economica nello Stato di stabilimento, da cui dipende fiscalmente, la ripartizione territoriale del potere impositivo degli Stati membri non è, a priori, lesa. La perdita di utili imponibili per lo Stato d’origine risulta, infatti, dall’attività economica prestata nello Stato di stabilimento e quivi tassata.

110. Se ne può pertanto dedurre che la valutazione dell’esistenza di una prestazione fittizia, montata per eludere la legge fiscale nazionale nel contesto delle relazioni tra società madre e SEC, passa necessariamente per l’esame, caso per caso, dell’effettività dello stabilimento nello Stato ospite e della sostanza delle attività ivi svolte rispetto alle prestazioni fornite alla società madre, il cui prezzo ha l’effetto di diminuire l’imposta che quest’ultima deve nello Stato d’origine.

111. A tale riguardo il Regno Unito e la Commissione hanno citato tre criteri secondo me pertinenti; sono il livello di presenza fisica della controllata nello Stato di stabilimento, l’effettività dell’attività che questa presta e, infine, il valore economico dell’attività rispetto alla società madre e al gruppo tutto.

112. Il primo criterio guarda all’effettività dello stabilimento della controllata nello Stato ospite. Alla sua stregua si verifica se la controllata dispone dei locali, del personale e delle attrezzature necessari a compiere le prestazioni a favore della società madre tali da diminuire l’imposta nello Stato d’origine. Se non ne dispone, la riconduzione delle prestazioni alla sovranità fiscale del detto Stato risulta con piena evidenza un mero artificio per sfuggire all’imposta.

113. Il secondo criterio riguarda l’effettività delle prestazioni della controllata. Alla sua stregua si verifica la competenza del personale della controllata a rendere le prestazioni, nonché il livello al quale le decisioni di fornirle vengono prese. Così, anche nel caso in cui la controllata si riveli solo un semplice strumento esecutivo, perché le decisioni necessarie a compiere le prestazioni per le quali viene pagata sono prese ad altri livelli, è legittimo considerare la riconduzione di tali prestazioni al regime fiscale dello Stato di stabilimento un mero artificio.

114. Il terzo criterio, relativo al valore aggiunto dall’attività della controllata, è senza dubbio il più delicato da mettere in atto se le prestazioni fornite da quest’ultima corrispondono effettivamente all’esercizio di attività reali nello Stato di stabilimento. Questo criterio mi sembra, tuttavia, pertinente in quanto potrebbe permettere di tener conto della situazione oggettiva in cui le prestazioni fornite dalla controllata mancano di qualunque interesse economico in rapporto all’attività della società madre. In un’ipotesi del genere, mi pare si possa riconoscere una creazione del tutto artificiosa, visto che il prezzo pagato dalla società madre per le prestazioni controverse sembra, in qualche modo, senza contropartita. Il pagamento delle prestazioni potrebbe perciò essere interpretato come un trasferimento puro e semplice di utili dalla società madre alla controllata.

115. Al contrario, con la Commissione e a differenza del Regno Unito, non credo possa costituire un criterio pertinente la motivazione alla creazione della controllata e alla scelta del paese di stabilimento. Altrimenti detto, il puro artifizio non può essere dedotto dall’intenzione dichiarata della società madre di ottenere uno sgravio fiscale nel paese d’origine.

116. Come si è visto, i motivi soggettivi per i quali un operatore economico ha esercitato i diritti di circolazione conferitigli dal Trattato non possono rimettere in discussione la tutela che trae dagli stessi ove la loro finalità sia raggiunta. Quando ciò accade, il fatto che una società madre abbia deciso di dislocare taluni servizi necessari all’esercizio delle sue attività in uno Stato a basso livello impositivo allo scopo di ridurre il proprio carico fiscale non vale a caratterizzare un’evasione fiscale.

117. L’esistenza di un mero artificio destinato ad eludere la legge fiscale nazionale può essere perciò ricavata solo da elementi oggettivi.

118. Ad identica conclusione si perviene facendo riferimento ancora una volta alla giurisprudenza della Corte sulla nozione di «abuso di diritto». Secondo tale giurisprudenza, la constatazione che si tratta di una pratica abusiva richiede un insieme di circostanze oggettive (62). Come la Corte ha recentemente affermato nella sentenza Halifax e a., per parlare di pratica abusiva deve risultare, da «un insieme di elementi oggettivi», che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalla legislazione che lo prevede (63).

119. Le autorità nazionali competenti, cui incombe tale constatazione, non sono quindi invitate a ricercare quale fosse l’intenzione soggettiva delle parti – la prova sarebbe, del resto, molto difficile da fornire e causerebbe probabilmente incertezza giuridica. Devono basarsi su elementi come una collusione tra l’esportatore e l’importatore (64) o il carattere puramente fittizio delle operazioni di cui trattasi o ancora i nessi giuridici, economici e/o personali tra gli operatori coinvolti nel piano di riduzione del carico fiscale (65).

120. Se trasponiamo quest’analisi nella controversia in esame, ritroviamo i criteri oggettivi proposti dal Regno Unito e dalla Commissione. Siamo, infatti, di fronte ad una situazione in cui una società residente ha costituito una controllata in uno Stato membro con tassazione più vantaggiosa di quella dello Stato d’origine e ha concluso con tale società operazioni che hanno comportato una diminuzione del suo obbligo fiscale in tale ultimo Stato.

121. In una fattispecie come questa, la prova che lo stabilimento della controllata e le operazioni controverse non potessero avere altro scopo che l’ottenimento di una riduzione d’imposta contrario alla finalità della libertà di stabilimento passa senz’altro, come ho già indicato supra, per un esame dell’effettività dell’insediamento della controllata nello Stato ospite e della sostanza delle dette operazioni, senza necessità di considerare i motivi o le intenzioni soggettive dei soci.

122. È alla luce di queste considerazioni che passiamo ora a verificare se la legislazione del Regno Unito sulle SEC sia idonea a contrastare l’evasione fiscale e non ecceda quanto necessario allo scopo (66).

123. La legislazione controversa ha lo scopo, come ho già rilevato, di contrastare le distrazioni di utili realizzate da una società fiscalmente residente nel Regno Unito che costituisca una controllata in un paese a basso livello impositivo ed effettui operazioni intragruppo principalmente allo scopo di trasferire tali utili alla controllata.

124. La procedura contestata consiste, dunque, per una società madre, nel ridurre i propri utili imponibili mediante il pagamento di prestazioni alla propria controllata, forte del fatto che agli utili di quest’ultima si applicherà nello Stato di stabilimento un’aliquota di molto inferiore a quella vigente nello Stato d’origine.

125. Comprendendo gli utili realizzati dalla SEC nella base imponibile della società madre, la legislazione in causa annulla senza alcun dubbio gli effetti di una simile pratica. Essa è perciò ben idonea a garantire il conseguimento dello scopo per il quale è stata adottata.

126. Resta da verificare se essa non ecceda quanto necessario per farlo.

127. La legislazione del Regno Unito sulle SEC, come abbiamo visto, è destinata a trovare applicazione allorché la consociata di una società residente, di cui quest’ultima detiene il controllo, è stabilita in uno Stato in cui i suoi utili sono soggetti ad un’imposta inferiore ai ¾ di quella che sarebbe stata loro applicata se la tassazione fosse avvenuta nel Regno Unito.

128. Tale legislazione prevede comunque cinque eccezioni di applicazione. Eccezioni che, ricordiamo, ricorrono se la controllata distribuisce una quota significativa di utili alla società madre, se esercita attività come, in particolare, quelle commerciali, se soddisfa la «public quotation condition» o, ancora, se il suo utile imponibile non eccede un dato importo. Se nessuna di queste prime quattro condizioni è adempiuta, la legge sulle SEC non verrà applicata solo se la società residente soddisfa il «motive test ».

129. Il «motive test» comprende due condizioni cumulative vertenti, la prima, sulle operazioni intercorse tra la SEC e la società madre e, la seconda, sullo stabilimento della controllata.

130. In primo luogo, se le operazioni che riflettono gli utili della controllata per l’esercizio in causa producono una diminuzione dell’imposta che si sarebbe applicata nel Regno Unito in loro assenza e questa diminuzione supera un certo importo, il contribuente deve dimostrare che diminuire l’imposta nel Regno Unito non era l’obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali, delle operazioni.

131. In secondo luogo, il contribuente deve dimostrare che la ragione principale o una delle ragioni principali dell’esistenza della controllata non era, per l’esercizio considerato, l’ottenimento di una diminuzione dell’imposta nel Regno Unito tramite distrazione di utili in tale Stato membro.

132. Esiste altresì un elenco di paesi nei quali, a date condizioni, l’applicazione della legislazione sulle SEC è esclusa.

133. Si ricordi anche, infine, che la legislazione del Regno Unito sulle SEC prevede un sistema d’imputazione dell’imposta assolta dalla controllata nello Stato di stabilimento per evitare che gli utili, essendo attribuiti alla società madre, siano tassati due volte.

134. L’Irlanda sostiene che l’obiettivo perseguito dalla detta legislazione potrebbe essere raggiunto con misure meno restrittive, come uno scambio di informazioni in conformità della direttiva 77/799. Un tale scambio potrebbe aver luogo anche nel contesto della Convenzione del 2 giugno 1976 tra Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ed Irlanda volta ad evitare la doppia imposizione e a prevenire l’evasione dell’imposta sui redditi e sui capital gains. Infine, l’applicazione della legislazione controversa imporrebbe un onere notevole e sproporzionato alle società madri residenti nel Regno Unito di controllate irlandesi.

135. Non sono davvero convinto della valutazione svolta dall’Irlanda. È vero che gli scambi di informazioni ai sensi della direttiva 77/799 sono destinati a permettere una lotta all’evasione fiscale e che tale direttiva è stata spesso indicata dalla Corte come idonea ad offrire agli Stati membri adeguate possibilità di sormontare le difficoltà amministrative legate alla conoscenza della situazione dei contribuenti non residenti (67). È altresì vero che la legislazione del Regno Unito sulle SEC instaura una presunzione. Per esempio, quando nessuna delle prime quattro condizioni prima menzionate trova applicazione e le operazioni intercorse tra la controllata e la società madre comportano una diminuzione, superiore a un certo minimo, dell’imposta che quest’ultima avrebbe dovuto pagare senza di esse, spetta al contribuente dimostrare l’assenza di evasione fiscale.

136. Tenuto conto, tuttavia, della situazione particolare figurata dalla legislazione controversa, non sono convinto che gli scambi di informazioni nell’ambito della direttiva 77/799 abbiano la stessa efficacia della suddetta legislazione. Allo stesso modo, non condivido l’analisi secondo cui tale legislazione, data la presunzione che instaura, onererebbe oltre misura le società cui si applica.

137. Da un lato, infatti, la legislazione del Regno Unito sulle SEC, con tutte le sue condizioni di applicazione e di esenzione, viene applicata solo a condizioni ben precise, che corrispondono alla fattispecie in cui è maggiormente probabile il rischio di evasione fiscale.

138. Come la Commissione ha esposto all’udienza, è molto più facile costituire una SEC fittizia quando essa è ritenuta fornire servizi che quando deve assicurare un’attività di produzione di un bene di consumo. Infatti, quando consistono, come nella fattispecie, nel raccogliere fondi e fornirli alle società del gruppo mondiale Cadbury, i servizi possono essere assicurati, grazie ai moderni mezzi di comunicazione, in nome della SEC, da personale e con strumenti informatici che non si trovano fisicamente e materialmente in Irlanda. Nell’ambito di tali servizi, la società costituita formalmente a Dublino può non avere lì alcuna consistenza materiale ed essere unicamente ciò che si suol chiamare una «cassetta postale».

139. Montature siffatte sono, peraltro, probabilmente ancor più da temere allorché la SEC è costituita in uno Stato ad assai debole livello impositivo. La constatazione, infine, che le operazioni intercorse tra quest’ultima e la società madre comportano una diminuzione dell’imposta superiore all’importo minimo previsto nel Regno Unito, nonché la mancata distribuzione di dividendi imponibili nello Stato d’origine costituiscono elementi oggettivi che possono corroborare l’ipotesi di un’evasione fiscale.

140. In un caso del genere, tenuto conto della facilità con cui tali servizi possono essere dislocati, non mi sembra eccessivo che uno Stato membro instauri una presunzione d’evasione fiscale anziché rimettersi ad una comunicazione di informazioni a posteriori.

141. Dall’altro lato, l’esistenza di una legislazione di questo tipo presenta l’interesse di contribuire alla certezza del diritto degli operatori economici. Essa permette loro di sapere in anticipo se, in un caso del genere, sia presunta un’evasione fiscale. Gli operatori sono perciò avvertiti che devono poter dimostrare l’effettività dello stabilimento della loro controllata nello Stato ospite e delle operazioni con questa intercorse.

142. Non credo, pertanto, che preparare le pezze giustificative sia eccessivamente oneroso. È lecito supporre che esse possano dover essere prodotte anche in sede di controllo fiscale «ordinario», espletato sul fondamento del sistema nazionale di diritto comune per la lotta all’evasione fiscale (68). La legislazione di cui trattasi, in quanto stabilisce in anticipo in quale ipotesi vadano fornite tali giustificazioni, mi sembra anzi favorire gli operatori economici.

143. Importante è, invece, che la presunzione di legge in questione possa essere effettivamente ribaltata. Come a giusto titolo hanno osservato parecchi Stati membri e la Commissione, la circostanza che nessuna delle prime quattro eccezioni trovi applicazione e che le operazioni intercorse tra la controllata e la società madre abbiano comportato una diminuzione significativa dell’imposta dovuta nel Regno Unito non basta a dimostrare l’esistenza di una costruzione di puro artificio.

144. Non è escluso che i servizi oggetto delle operazioni controverse corrispondano ad attività realmente espletate dalla controllata nello Stato di stabilimento. Allo stesso modo, una controllata può avere motivi legittimi di non procedere ad una distribuzione di utili per un importo equivalente a quello previsto dalla legislazione in causa. È dunque importante che la presunzione che la legge sulle SEC istituisce possa essere ribaltata e che, per questo, la legge stessa si applichi solamente alle costruzioni di puro artificio finalizzate ad aggirare il diritto nazionale.

145. Conformemente alla giurisprudenza, la prova deve poter essere fornita dal contribuente secondo le regole di prova del diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario (69).

146. Sarà il «mobile test» a permettere alle amministrazioni nazionali, nel sistema della legislazione controversa, di tener conto della situazione particolare dei singoli contribuenti.

147. La Commissione, in ciò sostenuta dai governi belga e cipriota, afferma che il detto test non è pienamente soddisfacente perché, da un lato, nulla prova che il fisco britannico effettui una qualche analisi delle reali attività della controllata e, dall’altro, esso avrebbe l’effetto di comprendere nell’applicazione della legge sulle SEC le società che hanno inteso beneficiare della minore aliquota in vigore nello Stato di stabilimento. La Commissione ricorda che una tale scelta non è una costruzione di puro artificio.

148. Se l’interpretazione del «mobile test» offerta dalla Commissione si rivelasse fondata, sarei anch’io dell’avviso che la legislazione britannica sulle SEC ecceda quanto necessario a combattere l’evasione fiscale. Come abbiamo visto, la circostanza che una società abbia deciso di accentrare la realizzazione di servizi in uno Stato membro a tassazione più vantaggiosa allo scopo di ridurre il proprio carico fiscale non dimostra che c’è stata una montatura.

149. In ogni caso, visto come il giudice remittente ha descritto il contesto normativo, non è sicuro che il mobile test debba essere interpretato in tal modo. Non abbiamo certezza che il suo primo elemento, relativo alle prestazioni che comportano una diminuzione significativa dell’imposta nel Regno Unito, permetta o meno al contribuente un esonero dimostrando la sostanza di tali prestazioni. Parimenti, non è chiaro se il secondo elemento si riferisca ai motivi soggettivi dei soci o se sia soddisfatto ove il contribuente provi l’effettività dello stabilimento della controllata nello Stato ospite.

150. Ritengo, a questo punto, che sia il giudice remittente, cui spetta verificare la compatibilità della propria legge sulle SEC con il diritto comunitario, a dover accertare se il «mobile test» possa costituire oggetto di un’interpretazione che permetta di limitare l’applicazione della detta legge a costruzioni del tutto fittizie destinate ad aggirare il diritto fiscale nazionale.

151. Tutto ciò considerato, sono del parere di risolvere la questione pregiudiziale nel senso che gli artt. 43 CE e 48 CE non ostano a una normativa fiscale nazionale che prevede l’inclusione nella base imponibile di una società madre residente degli utili realizzati da una SEC stabilita in altro Stato membro quando tali utili sono soggetti in questo secondo Stato ad un livello impositivo di gran lunga inferiore a quello dello Stato di residenza della società madre, se la detta normativa si applica unicamente alle costruzioni del tutto fittizie destinate ad aggirare la legge nazionale. Una legislazione siffatta deve dunque permettere al contribuente di essere esonerato ove dimostri che la società da lui controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e che le operazioni che hanno portato ad una diminuzione dell’imposta della società madre corrispondono a prestazioni effettivamente realizzate in tale Stato e non senza rilevanza economica per l’attività di quest’ultima.

V –    Conclusione

152. Tutto ciò considerato, propongo di risolvere nei termini seguenti la questione sottoposta dagli Special Commissioners:

«Gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa fiscale nazionale che prevede l’inclusione nella base imponibile di una società madre residente degli utili realizzati da una SEC stabilita in altro Stato membro quando tali utili sono soggetti in questo secondo Stato ad un livello impositivo di gran lunga inferiore a quello dello Stato di residenza della società madre, se la detta normativa si applica unicamente alle costruzioni del tutto fittizie destinate ad aggirare la legge nazionale. Una legislazione siffatta deve dunque permettere al contribuente di essere esonerato ove dimostri che la società da lui controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e che le operazioni che hanno portato ad una diminuzione dell’imposta della società madre corrispondono a prestazioni effettivamente realizzate in tale Stato e non senza rilevanza economica per l’attività di quest’ultima».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – In prosieguo: le «SEC».


3 – Harmful Tax Competition – An Emerging Global Issue, OCSE, Parigi, 1998, pag. 44.


4 – Controlled Foreign Company Legislation, OCSE, Parigi, 1996, pag. 19.


5 – Risoluzione relativa alle misure che la Comunità dovrà adottare per combattere la frode e l'evasione fiscale sul piano internazionale (GU C 35, pag. 1).


6 – Cooperazione, questa, instaurata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati Membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15).


7 – GU L 225, pag. 6


8 – In prosieguo: «Cadbury».


9 – In prosieguo: «CSO».


10 – In prosieguo: «CSTS».


11 – In prosieguo: «CSTI».


12 – Sentenze 4 ottobre 1991, causa C-246/89, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-4585, punto 12), e 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata).


13 – L’art. 58, n. 1, lett. b), CE dispone che l’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali, non lede il diritto degli Stati membri di adottare tutte le misure necessarie a contrastare le infrazioni alle proprie leggi e regolamenti, specialmente in materia fiscale.


14 – L'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati Membri diversi (GU L 225, pag. 1), dispone che uno Stato membro può rifiutare di applicare in tutto o in parte le disposizioni della stessa qualora risulti che l'operazione di cui trattasi ha come obiettivo la frode o l'evasione fiscali. Vedasi anche l'art. 1, n. 2, della direttiva 90/435, ai cui termini la detta direttiva non pregiudica l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi, nonché l'art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU L 157, pag. 49), secondo il quale gli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l'evasione fiscali, o gli abusi, possono revocare i benefici della direttiva o rifiutarne l'applicazione.


15 – Sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).


16 – Sentenza 28 aprile 1998, causa C-118/96 (Racc. pag. I-1897).


17 – Sentenza 26 ottobre 1999, causa C-294/97 (Racc. pag. I-7447).


18 – Nella sentenza Safir si trattava di un regime fiscale diverso per le assicurazioni sulla vita di capitalizzazione secondo che fossero concluse presso compagnie stabilite o meno nello Stato membro. Nella sentenza Eurowings Luftverkehr, invece, la normativa nazionale controversa riservava un'agevolazione fiscale, consistente nell'esenzione dall'obbligo di reintegrare nella base imponibile i canoni di locazione di certi beni, alle imprese che prendevano in affitto quei beni da locatori stabiliti nel territorio nazionale.


19 – V., in tal senso, sentenza 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega (Racc. pag. I-9609, punto 26).


20 – Sentenze 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners (Racc. pag. 631, punto 25), e 5 novembre 2002, causa C-208/00, Überseering (Racc. pag. I-9919, punto 60).


21 – V., in tal senso, sentenze Reyners, cit., punto 21, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 25).


22 – Sentenze 25 luglio 1991, causa C-221/89, Factortame e a. (Racc. pag. I-3905, punto 20), e Commissione/Regno Unito, cit., punto 21.


23 – Sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87 (Racc. pag. 5483).


24 – Sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97 (Racc. pag. I-1459).


25 – La normativa danese richiedeva per la costituzione di una SARL la liberazione di un capitale minimo di DKR 200 000, mentre la legislazione del Regno Unito non subordinava tale costituzione ad alcun obbligo di liberazione di un capitale sociale minimo.


26 – Sentenza Centros, cit., punto 27.


27 – Sentenza 30 settembre 2003, causa C-167/01 (Racc. pag. I-10155).


28 – Sentenza Inspire Art, cit., punto 95.


29 – Ibidem, punto 96.


30 – Quando, invece, gli obiettivi della libertà di stabilimento non sono raggiunti, la società non può invocare le disposizioni dell'art. 43 CE. V. sentenza Daily Mail and General Trust, cit., dove la società Daily Mail, costituita conformemente alla normativa del Regno Unito, voleva trasferire all'estero sede direttiva ed amministrazione centrale conservando personalità giuridica e qualità di società di diritto britannico, come permette la normativa di tale Stato. Essa contestava, tuttavia, di dover sottostare alla condizione quivi prevista di ottenere un'autorizzazione del Tesoro. La Daily Mail voleva, infatti, trasferire la sua sede di direzione nei Paesi Bassi per poter vendere, dopo aver stabilito la propria residenza fiscale in tale Stato, una quota importante dei titoli che costituivano il suo attivo non permanente e riscattare, grazie al ricavato di tale vendita, parte delle proprie azioni senza dover pagare le imposte cui dette operazioni sarebbero [state] soggette in forza della legislazione fiscale britannica. La Corte ha dichiarato che, nella fattispecie, il diritto comunitario non ostava a una legislazione siffatta, poiché esso non conferisce alle società il diritto di trasferire la sede della direzione e l'amministrazione centrale in altro Stato membro conservando la qualità di società dello Stato secondo la cui legislazione erano state costituite.


31 – V., in particolare, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695, punto 28); De Lasteyrie du Saillant, cit., punto 60, e 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 44).


32 – V., in tal senso, sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-7587, punto 45). V. anche sentenza X e Y, cit., punto 62.


33 – Sentenze ICI, cit., punto 26; 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. (Racc. pag. I-1727, punto 57), e 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst (Racc. pag. I-11779, punto 37).


34 – Sentenza Eurowings Luftverkehr, cit., punto 44. V. anche, in tal senso, sentenze 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt (Racc. pag. I-6817, punto 52), e 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier (Racc. pag. I-15013, punto 71).


35 – Si v., a tale riguardo, i lavori della Commissione delle Comunità europee sulla tassazione delle imprese in seno all'Unione, in particolare la sua comunicazione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale europeo - Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali [COM (2001) 582 def.], e il documento di lavoro dei suoi servizi sulla fiscalità delle imprese nel mercato interno [SEC (2001) 1681 def.].


36 – Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio del 1° dicembre 1997 su un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese (GU 1998, C 2, pag. 2).


37 – Rapporto disponibile sul sito Internet:


http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressdata/fr/misc/04901.f9.html.


38 – Dal rapporto del gruppo «Codice di condotta» risulta che la Commissione aveva autorizzato nel 1987 la creazione del Centro internazionale di servizi finanziari di Dublino, che era pervenuta alla conclusione che le aliquote fiscali preferenziali instaurate in tale Centro costituissero aiuti al funzionamento contrari al Trattato e che aveva, infine, convenuto con le autorità irlandesi la soppressione progressiva di tale regime.


39 – Citate sentenze Daily Mail and General Trust, punto 16, e Marks & Spencer, punto 31.


40 – Il divieto di ostacoli all'uscita in forma di misure fiscali ha ricevuto la sua prima applicazione nella sentenza ICI, cit., nei confronti della legislazione del Regno Unito che riservava il beneficio di uno sgravio fiscale alle società residenti che controllavano unicamente o principalmente società stabilite nel territorio nazionale. Esso è stato illustrato più volte in prosieguo di tempo [v., in particolare, sentenze 18 novembre 1999, causa C-200/98, X e Y (Racc. pag. I-8261), nonché De Lasteyrie du Saillant, cit., e, per un'applicazione recente, sentenza 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding (non ancora pubblicata nella Raccolta)].


41 – Sentenza 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank (Racc. pag. I-4017, punti 14 e 15).


42 – V., in particolare, sentenze 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID (Racc. pag. I-11619, punti 22 e 23); 21 novembre 2002, X e Y, cit., punti 36-39; Lankhorst-Hohorst, cit., punti 27-32; 18 settembre 2003, causa C-168/01, Bosal (Racc. pag. I-9409, punto 27), nonché le citate sentenze Marks & Spencer, punti 32-34, e Keller Holding, punti 31-35.


43 – Sentenza ICI, cit., punto 20 e la giurisprudenza citata.


44 – V., in particolare, le citate sentenze ICI, a proposito della legislazione del Regno Unito che riservava la concessione di uno sgravio fiscale alle sole società facenti parte di un consorzio residenti in tale Stato e controllanti unicamente o principalmente società stabilite nel territorio nazionale (punti 23 e 24), e Lankhorst-Hohorst, a proposito del regime tedesco di tassazione degli interessi versati dalle controllate alla società madre che prevedeva un trattamento differenziato in funzione della sede di quest'ultima, se stabilita nel territorio nazionale oppure no.


45 – Sentenza 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland (Racc. pag. I-2651, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).


46 – Sentenza Eurowings Luftverkehr, cit., punto 44.


47 – Sentenza Barbier, cit., punto 71.


48 – Citate sentenze ICI, punto 26; 21 novembre 2002, X e Y, punti 60 e 61; Lankhorst-Hohorst, punto 37, e De Lasteyrie du Saillant, punto 50.


49 – Ibidem.


50 – V., in particolare, sentenza 14 dicembre 2000, causa C-110/99, Emsland-Stärke (Racc. pag. I-11569, punto 56).


51 – Sentenza ICI, cit., punto 26.


52 – Sentenza 21 novembre 2002, X e Y, cit., punto 61.


53 – Sentenza Lankhorst-Hohorst, cit., punto 37.


54 – Sentenza De Lasteyrie du Saillant, cit., punto 50.


55 – Citate sentenze Centros, punto 25, e 21 novembre 2002, X e Y, punto 42.


56 – Sentenza Marks & Spencer, cit., punto 44.


57 – Ibidem, punti 45 e 46.


58 – Ibidem, punti 47 e 48.


59 – Ibidem, punti 49 e 50.


60 – Sentenze 2 maggio 1996, causa C-206/94, Paletta (Racc. pag. I-2357, punto 25); 23 marzo 2000, causa C-373/97, Diamantis (Racc. pag. I-1705, punto 34), e Emsland-Stärke, cit., punto 52.


61 – Questo tipo di operazioni intragruppo ha portato l'OCSE ad elaborare principi in materia di prezzo del trasferimento alla cui stregua le amministrazioni nazionali calcoleranno i prezzi delle operazioni in modo che l'imposta dovuta in ciascun paese sia stabilita correttamente e non ci siano doppie imposizioni [si v., in particolare, lo studio dell’OCSE sulla concorrenza fiscale dannosa – Note d’applicazione consolidate – Indicazioni per l'applicazione del rapporto 1998 ai regimi fiscali preferenziali (pag. 30 e segg.), disponibile sul sito Internet: http://www.oecd.org/dataoecd/60/31/30901141.pdf].


62 – V. sentenza Emsland-Stärke, cit., punti 52 e 53 e l’analisi dei criteri ivi enunciati svolta dall'avvocato generale Poiares Maduro nelle conclusioni per la causa Halifax e a. (sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, non ancora pubblicata nella Raccolta).


63 – Sentenza Halifax e a., cit., punti 74 e 75.


64 – Sentenza Emsland-Stärke, cit., punto 53. Emsland-Stärke aveva esportato in un paese terzo merci che erano state reintrodotte nella Comunità praticamente subito dopo, pagando sì i dazi all'importazione ma per un importo inferiore alle restituzioni all'importazione ricevute. Il punto era stabilire se, in quel caso, l'esportatore avesse diritto a quelle restituzioni.


65 – Sentenza Halifax e a., cit., punto 81. Si trattava, in quel procedimento, di pratiche di soggetti passivi che effettuavano operazioni esenti e che non potevano, perciò, punto dedurre l'imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta in occasione di lavori edili o potevano farlo solo in parte. Le pratiche consistevano nel trasferire la locazione dell'immobile costruito ad un'entità controllata la quale aveva il diritto di optare per la tassazione di tale locazione e di dedurre, così, tutta l'IVA assolta a monte sulle spese edili.


66 – Sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer (Racc. pag. I-2471, punto 26 e la giurisprudenza citata), nonché sentenze 21 novembre 2002, X e Y, cit., punto 49, e De Lasteyrie du Saillant, cit., punto 49.


67 – V., in particolare, sentenze 14 febbraio 1995, Schumacker, causa C-279/93 (Racc. pag. I-225, punto 45), e 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard Racc. pag. I-7641, punto 26). V., per un esempio più recente, sentenza 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia (Racc. pag. I-2229, punto 31).


68 – Il giudice remittente non ha fornito elementi al riguardo. Possiamo tuttavia supporre che alla creazione di una SEC fittizia per sottrarsi all'imposta nazionale sia applicabile il principio sviluppato dalla House of Lords nella causa W. T. Ramsay Ltd/Inland Revenue Commissioners [1982] A.C. 300, secondo il quale, nel caso in cui un'operazione fiscale consista in una serie di operazioni fittizie a null'altro finalizzate che a una diminuzione delle imposte, la cosa da fare è tassare l’operazione nel suo insieme (Simon's Direct Tax Service, Butterworths, Londra, 2005, vol. 7, paragrafi I2.203-I2.211).


69 – V., in tal senso, sentenza Emsland-Stärke, cit., punti 52-54 e la giurisprudenza ivi citata.