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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE GEELHOED

presentate il 23 febbraio 2006 1(1)

Causa C-374/04

Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (Pirelli, Essilor e Sony)

Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (BMW)

contro

Commissioners of Inland Revenue

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito)]

(Interpretazione degli artt. 43 CE e 45 CE – Normativa nazionale relativa all’imposta sulle società – Ritenuta alla fonte («advance corporation tax») sugli utili corrisposti da una società figlia alla società madre – Credito d’imposta che tiene conto della ritenuta alla fonte)





I –    Introduzione

1.     La questione principale su cui verte la presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of England and Wales (Chancery division), riguarda la compatibilità con gli artt. 43 CE e/o 56 CE di una normativa del Regno Unito che nega la concessione di crediti d’imposta alle società non residenti che percepiscano dividendi da società controllate residenti nel Regno Unito, mentre tale credito è accordato alle società residenti ed a società stabilite in determinati Stati membri in forza di convenzioni sulla doppia imposizione (in prosieguo: le «CDI»). In altri termini, si chiede se ed in quali circostanze gli artt. 43 CE e 56 CE obblighino gli Stati membri ad accordare crediti d’imposta a percettori di dividendi che risiedano all’estero (2).

2.     Il contesto normativo della causa in esame è lo stesso che ha fatto da sfondo alla precedente causa nota come Metallgesellschaft; si tratta del regime del Regno Unito riguardante il versamento anticipato dell’imposta sulle società (in prosieguo: l’«ACT») in vigore tra il 1973 ed il 1999. Sebbene la questione principale che è oggetto del presente procedimento fosse stata posta anche nell’ambito della suddetta causa, la Corte ha ritenuto superfluo trattarla in quella sede, alla luce delle soluzioni già date alle altre questioni sollevate dal giudice nazionale (3).

3.     La questione se il Trattato richieda agli Stati membri che presentano una situazione analoga a quella del Regno Unito di accordare crediti d’imposta sui dividendi distribuiti a società aventi sede all’estero è nuova. Si tratta dell’ultimo di una serie di casi – il più recente dei quali è costituito dall’importante sentenza Marks & Spencer (4) – che hanno obbligato la Corte ad esaminare i limiti dell’applicazione delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione di capitali in materia di imposte dirette sulle società, un settore che rimane prevalentemente assoggettato alla competenza degli Stati membri. Si tratta di un’area in cui la Corte, confrontata con contesti normativi e di fatto sempre più complessi, e con argomenti miranti ad accertare i limiti di applicazione del Trattato, ha elaborato una cospicua ed articolata giurisprudenza. Si tratta altresì di un’area in cui i principi di prevedibilità e di certezza assumono fondamentale importanza affinché gli Stati membri possano pianificare il bilancio e disegnare il proprio regime di imposta sulle società basandosi su previsioni sul gettito d’imposta relativamente affidabili. Di conseguenza, la ricerca di una soluzione valida e soddisfacente della questione descritta in precedenza implica l’esame del contesto giuridico ed economico per l’analisi relativa all’applicazione delle regole di libera circolazione nella sfera della tassazione diretta.

II – Contesto giuridico ed economico della controversia

A –    Sintesi del contesto relativo alla tassazione dei dividendi

4.     Prima di illustrare le pertinenti disposizioni del regime fiscale del Regno Unito rilevante nella specie, occorre descrivere il più ampio contesto della tassazione degli utili distribuiti dalle società (dividendi) all’interno dell’UE, che costituisce lo sfondo giuridico ed economico della controversia. In linea di principio, si possono presentare due livelli di tassazione con riguardo alla distribuzione degli utili societari. Il primo si colloca sul piano della società, con l’assoggettamento degli utili all’imposta sulle società. L’applicazione dell’imposta sulle società a livello di quest’ultima è comune a tutti gli Stati membri. Il secondo livello è quello dell’azionista, e può assumere la forma dell’imposta sul reddito che colpisce la riscossione dei dividendi da parte dell’azionista (metodo usato nella maggior parte degli Stati membri), e/o dell’imposta trattenuta alla fonte dalla società stessa sulle somme distribuite (5).

5.     L’esistenza dei due potenziali livelli di tassazione sopra descritti può condurre, da un lato, alla doppia imposizione economica (duplice tassazione del medesimo reddito, presso contribuenti diversi) e, dall’altro, alla doppia imposizione giuridica (duplice tassazione del medesimo reddito presso uno stesso contribuente). La doppia imposizione economica si verifica quando, ad esempio, gli stessi utili vengono tassati inizialmente presso la società per effetto dell’imposta sulle società, e, successivamente, presso l’azionista, per effetto dell’imposta sui redditi. La doppia tassazione giuridica si verifica quando, ad esempio, l’azionista è assoggettato inizialmente ad una ritenuta alla fonte e poi ad un’imposta sui redditi, percepita da Stati diversi sui medesimi utili.

6.     La fattispecie in esame riguarda la legittimità, ai sensi del diritto comunitario, del sistema istituito dal Regno Unito, avente quale obiettivo e principale effetto quello di attenuare la doppia imposizione economica degli azionisti.

7.     Nel decidere se perseguire tale obiettivo e con quali modalità, gli Stati membri dispongono, essenzialmente, di quattro sistemi, che possono essere classificati come sistema «classico», «cedolare», di «esenzione» e di «imputazione». Gli Stati con un sistema classico di tassazione dei dividendi hanno scelto di non attenuare la doppia imposizione economica. Gli utili delle società sono assoggettati all’imposta sulle società e gli utili distribuiti sono nuovamente tassati a livello dell’azionista per effetto dell’imposta sui redditi. Per contro, i sistemi cedolare, di esenzione e di imputazione sono volti ad impedire, del tutto o in parte, la doppia imposizione economica (6). Gli Stati con un sistema cedolare (di cui esistono svariate forme) scelgono di assoggettare gli utili all’imposta sulle società e di tassare invece i dividendi come categoria separata di redditi. Gli Stati che adottano un sistema di esenzione scelgono di esentare gli utili dei dividendi dall’imposta sui redditi. Infine, nell’ambito dei regimi di imputazione, l’imposta sulle società riscossa a livello delle società è del tutto o in parte imputata all’imposta sui redditi dovuta sui dividendi a livello degli azionisti, cosicché l’imposta sulle società funge da acconto sul versamento di (parte dell)’imposta sui redditi. Pertanto, gli azionisti beneficiano di un credito di imposta per la totalità ovvero per una parte dell’imposta sulle società imputabile agli utili dai quali sono derivati i dividendi, credito che può essere dedotto dall’imposta sui redditi dovuta sui detti dividendi.

8.     All’epoca dei fatti di cui alla presente causa, il Regno Unito applicava un sistema di imputazione della tassazione dei dividendi.

B –    La normativa pertinente del Regno Unito

9.     Dal 1965 (anno in cui è stata introdotta nel Regno Unito l’imposta sulle società) fino al 1973, il Regno Unito ha mantenuto in vigore un sistema classico di imposta sui dividendi che, pertanto, come ho precedentemente illustrato, non ha evitato la doppia imposizione economica. Nel 1973 tale paese è passato al sistema dell’imputazione parziale dell’imposta sui dividendi, al fine di rimuovere la discriminazione che colpiva gli utili distribuiti (7). Come ha descritto la Corte nella sentenza Metallgesellschaft, tale sistema funzionava, essenzialmente, secondo il seguente schema.

1.      ACT: assoggettamento e deducibilità

10.   Le società del Regno Unito che avevano compiuto determinate distribuzioni previste dalla legge, quali il versamento di dividendi ai loro rispettivi azionisti, erano tenute a versare l’ACT, calcolata su un importo pari all’importo o al valore della distribuzione compiuta (8). La somma dell’importo distribuito e dell’ACT veniva definita «versamento di dividendi con imposta assolta» (9).

11.   L’ACT versata poteva essere dedotta, entro un determinato massimale, dall’importo dovuto a titolo di imposta ordinaria o «di base» sulle società sui proventi per il periodo impositivo in esame. L’ACT non imputata, cosiddetta «eccedentaria» poteva essere riportata all’esercizio precedente o successivo per essere dedotta dall’imposta di base sulle società per altri periodi d’imposta (10). Altrimenti, la società poteva trasferire («surrender») la detta ACT alle proprie filiali nel Regno Unito, che, loro volta, potevano dedurla dall’imposta sulle società da esse dovuta. Il versamento dell’ACT faceva sorgere, in talune circostanze, un credito d’imposta a favore delle società e degli azionisti persone fisiche beneficiari dei dividendi distribuiti.

2.      Credito d’imposta: società azioniste

12.   Nel caso di una società azionista con sede nel Regno Unito che ricevesse dividendi da una propria controllata, ancorché questa fosse soggetta, in linea di principio all’imposta sulle società, tale imposta non era applicabile sui dividendi distribuiti da un’altra societá con sede nel regno Unito (11). Inoltre, la società medesima poteva beneficiare di un credito d’imposta in misura pari all’ACT versata dalla controllata (12). I dividendi e i crediti d’imposta costituivano, complessivamente, ciò che veniva definito come «redditi da capitale con imposta assolta (13)». Una società con sede nel Regno Unito era soggetta al versamento dell’ACT solamente per la parte dei dividendi con imposta già assolta eccedente i propri redditi da capitale con imposta assolta. Ciò significava che l’ACT veniva versata una sola volta sui dividendi corrisposti attraverso società con sede nel Regno Unito appartenenti a gruppi di imprese. Tali gruppi potevano inoltre avvalersi di speciali accordi in base ai quali determinate distribuzioni di dividendi tra i membri del gruppo potevano essere esentate dal versamento obbligatorio dell’ACT, qualora le due società avessero optato congiuntamente per tale regime (14). Tali accordi hanno formato oggetto della sentenza della Corte nella causa Metallgesellschaft (15).

13.   Una società azionista non stabilita nel Regno Unito non era tenuta al pagamento dell’imposta britannica sulle società ma, in linea di principio, era assoggettabile all’imposta locale sui redditi con riferimento ai profitti di origine britannica (16). Tuttavia, una società non residente che avesse percepito un dividendo da una società stabilita nel Regno Unito per il quale non avesse diritto a un credito d’imposta, non era in effetti soggetta all’imposta sui redditi con riguardo alla distribuzione dei dividendi (17). Poiché in base alla disciplina nazionale del Regno Unito, una società non residente non aveva diritto al credito d’imposta (18) (in mancanza di una CDI che disponesse altrimenti), ne deriva che tale società non era assoggettata all’imposta sui redditi.

3.      Credito d’imposta: azionisti persone fisiche

14.   Per quanto attiene agli azionisti persone fisiche, quelli residenti nel Regno Unito insieme a taluni enti, quali i fondi pensionistici, avevano il diritto, qualora avessero ricevuto dividendi da una società con sede nel Regno Unito, di far valere un credito d’imposta in misura pari alla proporzione dell’importo o valore dei dividendi distribuiti rispetto all’aliquota dell’ACT (19). Il credito d’imposta poteva essere compensato con l’imposta sui redditi dovuta sui dividendi o ovvero poteva essere versato in contanti qualora fosse superiore all’imposta applicabile (20). Gli azionisti persone non residenti nel Regno Unito, di fatto, non erano soggetti all’imposta britannica sui redditi(21).

4.      La situazione ai sensi delle convenzioni sulla doppia imposizione

15.   Talune CDI stipulate dal Regno Unito con altri paesi conferivano, all’epoca dei fatti, il diritto ad un credito d’imposta alle persone fisiche e ad alle società non residenti nel Regno Unito, le cui condizioni differivano da convenzione a convenzione.

16.   Un esempio è dato dalla convenzione tra Regno Unito e Paesi Bassi che conferiva ad una società azionista avente sede in questo paese il diritto ad un credito d’imposta parziale sui dividendi percepiti da una controllata con sede nel Regno Unito, qualora tale azionista, da sola o insieme ad una o più società consociate, controllasse direttamente o indirettamente almeno il 10% del potere di voto in seno alla filiale britannica (22). In tale caso, i dividendi erano soggetti all’imposta britannica sui redditi ad un’aliquota limitata. Un «investitore di portafoglio», persona fisica o società, stabilito nei Paesi Bassi, che, ai sensi della pertinente CDI detenesse direttamente o indirettamente una partecipazione inferiore al 10%, aveva diritto ad un intero credito d’imposta sui dividendi originati nel Regno Unito (23). Tali investitori erano altresì assoggettati all’imposta britannica sui redditi, ma ad un’aliquota limitata, come previsto dalla convenzione.

17.   Per contro, volendo fornire un altro esempio, la CDI conclusa dal Regno Unito con la Francia accordava un credito d’imposta solo qualora il percettore dei dividendi detenesse una quota inferiore al 10% del potere di voto all’interno della filiale interessata. Altre CDI, come quella tra Regno Unito e Germania, non concedevano alcun credito d’imposta.

18.   Inoltre, talune CDI, come quella stipulata tra Regno Unito e Paesi Bassi (24), contenevano una clausola cosiddetta dei «limiti al beneficio del credito d’imposta», che faceva venir meno il diritto al credito d’imposta (altrimenti riconosciuto), qualora la società azionista non stabilita nel Regno Unito fosse stata a sua volta controllata da una società con sede in un paese, parte di una CDI con il Regno Unito che non concedeva crediti d’imposta alle società beneficiarie di dividendi originati nel Regno Unito. Così, ad esempio, l’art. 10(3)(d)(i) della CDI tra Regno Unito e Paesi Bassi, nella versione che interessa la fattispecie, disponeva quanto segue:

«(...) non verrà corrisposto alcun credito d’imposta qualora il beneficiario effettivo dei dividendi sia una società diversa da quella le cui azioni sono ufficialmente quotate alla borsa valori olandese (...) salvo che la società dimostri di non essere controllata da una, due o più persone associate o collegate tra loro, una o alcune delle quali non avrebbero avuto diritto ad un credito d’imposta se fosse o fossero state beneficiarie effettive dei dividendi». 

5.      Modifiche introdotte nel 1999

19.   Per i dividendi distribuiti in data 6 aprile 1999 o a decorrere da tale data, il regime dell’ACT veniva abolito nel senso che le società non erano più tenute a versare o a contabilizzare l’ACT sui dividendi distribuiti  secondo la legge (25).

C –    Pertinenti disposizioni di diritto comunitario derivato

20.   Il principale testo legislativo di diritto comunitario derivato rilevante nella specie è costituito dalla direttiva «Società madri e figlie», che ha istituito un complesso di norme tributarie a disciplina dei rapporti tra le società madri e le loro controllate nei vari Stati membri, allo scopo di facilitare il raggruppamento delle società (26). L’art. 5 della suddetta direttiva prevede che, quando la società madre detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, gli utili corrisposti da quest’ultima alla società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte. Tuttavia, l’art. 7 precisa che

«L'espressione “ritenuta alla fonte” utilizzata nella presente direttiva non comprende il pagamento anticipato o preliminare (ritenuta) dell'imposta sulle società allo Stato membro in cui ha sede la società figlia, effettuato in concomitanza con la distribuzione degli utili alla società madre.

La presente direttiva lascia impregiudicata l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi».

III – Il contesto di fatto e le questioni pregiudiziali

21.   La categoria delle controversie relative all’ACT riguarda le domande di restituzione e/o di risarcimento del danno presentate da varie società dinanzi alla High Court of Justice of England and Wales sulla base della sentenza Metallgesellschaft. In tale sentenza la Corte di giustizia ha dichiarato che l’art. 43 CE ostava alla normativa fiscale di uno Stato membro (nella fattispecie, il Regno Unito) che accordava alle società controllate stabilite nel Regno Unito la possibilità di effettuare distribuzioni dei dividendi alle loro capogruppo senza dover pagare l’ACT quando anche la capogruppo fosse stabilita in questo Stato membro («opzione per la tassazione degli utili a livello di gruppo»), mentre negava loro tale possibilità quando la detta capogruppo aveva sede in un altro Stato membro.

22.   La categoria delle controversie relative all’ACT include quattro classi distinte di domande ed è definita dal Group Litigation Order (provvedimento sulla classificazione delle controversie), che enuncia i vari elementi comuni alle domande che devono essere determinati. Il caso di cui trattasi rientra nella Classe IV all’interno della suddetta categoria, di cui, nel momento cui si riferisce l’ordinanza di rinvio, facevano parte società ricorrenti appartenenti a 28 gruppi societari. Sotto la supervisione della High Court of Justice, le parti hanno selezionato cinque «cause pilota» per tale classe all’interno della categoria di controversie relative all’ACT, delle quali quattro rilevano ai fini del presente procedimento pregiudiziale. Tali cause pilota riguardano: (1) i dividendi distribuiti tra il mese di gennaio 1974 ed il maggio 1989 dalla Pirelli UK PLC, società stabilita nel Regno Unito, alla Pirelli SpA, con sede in Italia. Durante il periodo di riferimento la Pirelli SpA deteneva almeno il 10% delle azioni ordinarie emesse dalla Pirelli UK plc; (2) i dividendi distribuiti nel periodo compreso tra il settembre 1979 ed il dicembre 1998 dalla società Essilor Limited stabilita nel regno Unito alla Essilor International SA, con sede in Francia. All’epoca dei fatti la Essilor Limited era una società interamente controllata dalla Essilor International; (3) dividendi distribuiti tra il 1993 ed il 1994 dalla BMW (GB) Limited, stabilita nel Regno Unito, alla BMW Holding BV, nei Paesi Bassi. Nel periodo rilevante la BMW (GB) Limited era interamente controllata dalla BMW Holding BV, che, a sua volta, era interamente e direttamente controllata dalla BMW AG, una società tedesca. Nel periodo di riferimento la BMW Holding BV non deteneva azioni quotate nella borsa valori olandese; e infine (4) i dividendi distribuiti tra il 1995 ed il 1998 dalla società Sony United Kingdom Limited, stabilita nel Regno Unito, alla Sony Europe Holdings BV, con sede nei Paesi Bassi, dalla quale la prima veniva interamente controllata. Infine, la Sony Europe Holdings BV era una controllata di una società avente sede in Giappone.

23.   In seguito ad un’udienza tenutasi il 9 giugno 2004, e con il consenso delle ricorrenti e dell’Inland revenue [convenuto], la High Court of Justice of England and Wales (Chancery Division) ha deciso di sospendere il procedimento ed ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali a norma dell’art. 234 CE:

«1. Se sia in contrasto con gli artt. 43 CE o 56 CE (alla luce degli artt. 57 CE e 58 CE) (o delle disposizioni cui questi ultimi sono subentrati) il fatto che:

(a) lo Stato membro A (ad esempio il Regno Unito):

(i) adotti e mantenga in vigore una normativa volta a conferire il diritto a un credito d’imposta pieno per dividendi versati da società residenti nello Stato membro A (i «dividendi in oggetto») a singoli azionisti residenti in quest’ultimo Stato;

(ii) dia attuazione a una disposizione contenuta in convenzioni sulla doppia imposizione stipulate con determinati altri Stati membri e Stati terzi che attribuisce il diritto a un credito d’imposta pieno (detratta l’imposta prevista in tali convenzioni) per i dividendi in oggetto a singoli azionisti residenti in tali altri Stati membri e Stati terzi,

ma che non attribuisca il diritto a un qualsivoglia credito d’imposta (sia esso parziale o pieno) per i dividendi in oggetto versati da una società controllata avente sede nello Stato membro A (ad esempio il Regno Unito) a una capogruppo residente nello Stato membro B (ad esempio la Germania) ai sensi di disposizioni nazionali o di convenzioni sulla doppia imposizione vigenti tra tali Stati;

(b) lo Stato membro A (ad esempio il Regno Unito) recepisca una disposizione di cui all’applicabile convenzione sulla doppia imposizione che conferisce il diritto a un credito d’imposta parziale per i dividendi in oggetto a una capogruppo avente sede nello Stato membro C (ad esempio i Paesi Bassi), ma non a una capogruppo stabilita nello Stato membro B (ad esempio la Germania), se la convenzione sulla doppia imposizione tra lo Stato membro A e lo Stato membro B non prevede assolutamente un credito d’imposta parziale;

(c) lo Stato membro A (ad esempio il Regno Unito) non conferisca il diritto a un credito d’imposta parziale per i dividendi in oggetto a una società avente sede nello Stato membro C (ad esempio i Paesi Bassi) controllata da una società residente nello Stato membro B (ad esempio la Germania) quando lo Stato membro A dia attuazione a disposizioni contenute nelle convenzioni sulla doppia imposizione che conferiscono un tale diritto a:

(1)      società aventi sede nello Stato membro C controllate da residenti dello Stato membro C;

(2)      società residenti nello Stato membro C controllate da residenti dello Stato membro D (ad esempio l’Italia) se la convenzione sulla doppia imposizione tra lo Stato membro A e lo Stato membro D contiene una disposizione che attribuisca il diritto a un credito d’imposta parziale per i dividendi in oggetto;

(3)      società residenti nello Stato membro D, indipendentemente da chi esercita il controllo su tali società.

(d) Se per la soluzione della prima questione, lett. c), rilevi il fatto che la società residente nello Stato membro C sia controllata non da una società avente sede nello Stato membro B, ma da una società avente sede in uno Stato terzo.

2.      In caso di soluzione affermativa della prima questione, lett. a)-c), o di parte della stessa, quali principi sancisca il diritto comunitario in relazione ai diritti e ai mezzi di ricorso previsti da tale normativa disponibili nelle circostanze descritte nella menzionata questione. In particolare:

(a)      se lo Stato membro A sia tenuto a pagare:

i)      l’intero credito d’imposta o un importo ad esso equivalente, o

ii)      il credito d’imposta parziale o un importo ad esso equivalente, o

iii)      il credito d’imposta pieno o parziale o un importo ad esso equivalente:

1. al netto di qualsivoglia imposta sui redditi da versare, o che avrebbe dovuto versare, se il dividendo pagato alla società interessata originasse o avesse originato un credito d’imposta,

2. al netto di tale imposta calcolata su altre basi;

(b) se tale pagamento debba essere effettuato a favore:

i. della capogruppo di cui al caso di specie avente sede nello Stato membro B o nello Stato membro C, o

ii. della società controllata di cui al caso di specie stabilita nello Stato membro A;

(c) se il diritto a tale pagamento costituisca:

i.      un diritto al rimborso di somme indebitamente corrisposte, di modo che la suddetta restituzione rappresenta una conseguenza, e un complemento, del diritto attribuito dagli artt. 43 CE e/o 56 CE, e/o

ii.      un diritto alla restituzione o al risarcimento di modo che devono essere soddisfatte le condizioni per il rimborso stabilite nella sentenza [della Corte di giustizia 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du Pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029], e/o

iii.      un diritto a ottenere un beneficio indebitamente negato e, in tal caso:

1. se tale diritto sia una conseguenza, e un complemento, del diritto attribuito dagli artt. 43 CE e/o 56 CE, o

2. se debbano essere soddisfatte le condizioni per il rimborso sancite nella sentenza [cit. Brasserie du Pêcheur e Factortame], o

3. se debbano ricorrere altre condizioni.

(d) Se per la soluzione della seconda questione, lett. c), rilevi il fatto che, ai sensi della normativa nazionale dello Stato A, le pretese siano azionate come richieste di rimborso o lo siano, o debbano esserlo, come domande di risarcimento dei danni.

(e) Se, per ottenere il rimborso, sia necessario che la società istante provi in modo indiscusso che la stessa (o la sua capogruppo) avrebbe azionato un credito d’imposta (pieno o parziale a seconda del caso) se avesse appreso che, ai sensi del diritto comunitario, sussisteva una legittimazione in tal senso.

(f) Se per la soluzione della seconda questione, lett. a), rilevi il fatto che in conformità alla pronuncia della sentenza [Metallgesellschaft Ltd e a., citata], la società controllata avente sede nello Stato membro A possa essere stata rimborsata o possa aver diritto, in linea di principio, al rimborso del pagamento anticipato dell’imposta sulle società, o ad un rimborso con riferimento a questa imposta, per il dividendo versato alla capogruppo stabilita nello Stato membro B o nello Stato membro C.

(g) Quali precisazioni, se del caso, la Corte di giustizia ritenga adeguato fornire, nella fattispecie, in merito alle circostanze che il giudice nazionale dovrebbe prendere in considerazione al momento di valutare se sussista una violazione sufficientemente grave ai sensi della sentenza [Brasserie du Pêcheur e Factortame, citata], e, in particolare, sulla questione se, tenendo conto dello stato della giurisprudenza sull’interpretazione delle disposizioni comunitarie pertinenti, la violazione fosse giustificabile».

24.   In conformità all’art. 103, n. 4, del regolamento di procedura, hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento le ricorrenti pilota, il governo del Regno Unito e l’Inland Revenue, l'Irlanda e la Commissione, nonché i governi di Finlandia, Germania, Paesi Bassi e Italia. All’udienza, tenutasi il 22 novembre 2005, hanno svolto osservazioni orali le ricorrenti pilota, il governo del Regno Unito e l’Inland Revenue, la Commissione, l’Irlanda, nonché i governi tedesco, francese e olandese.

IV – Analisi

A –    Questione n. 1, sub a)

25.   Con la questione n. 1, sub a), il giudice nazionale chiede sostanzialmente se, nel caso in cui un paese come il Regno Unito accordi un diritto ad un credito d’imposta pieno sui dividendi versati da società residenti ad azionisti persone fisiche anch’esse residenti e, qualora tale diritto sia previsto da una CDI (dividendi assoggettati all’imposta prevista da questa CDI), alle persone fisiche residenti in taluni paesi terzi o in altri Stati membri, gli artt. 43 CE o 56 CE obblighino il Regno Unito ad estendere il diritto ad un credito d’imposta pieno o parziale per i dividendi versati da una società controllata stabilita nel Regno Unito alla capogruppo che ha sede al di fuori di questo paese.

1.      Applicabilità degli artt.  43 CE e/o 56 CE

26.   Considerato che nella prima questione il giudice nazionale ha richiamato tanto l’art. 43 CE quanto l’art. 56 CE, occorre determinare, in limine, quale di queste disposizioni trovi applicazione nella specie. In via di principio, tale precisazione è importante per un duplice motivo. Anzitutto, mentre l’art. 43 CE si applica solo al caso delle restrizioni all’esercizio della libertà di stabilimento tra Stati membri, l’art. 56 CE vieta anche le restrizioni ai movimenti di capitale tra Stati membri e paesi terzi. In secondo luogo, le suddette disposizioni hanno un diverso ambito di applicazione ratione temporis: in particolare, l’art. 56 CE è entrato in vigore il 1° gennaio 1994 con efficacia diretta, ed è sottoposto ad una clausola di «standstill» (contenta nell’art. 57 CE) per quanto riguarda gli Stati terzi (sebbene il principio della libera circolazione dei capitali fosse stato già stabilito dal Consiglio) (27).

27.   A mio parere, la normativa britannica controversa può ricadere in via di principio nella sfera tanto dell’art. 43 CE quanto dell’art. 56 CE, a seconda del tipo di partecipazione detenuta da un dato ricorrente nella società avente sede nel Regno Unito di cui trattasi. La Corte di giustizia ha ripetutamente affermato che una società stabilita in uno Stato membro che detenga una partecipazione nel capitale di una società stabilita in un altro stato membro tale da «conferir[le] una sicura influenza sulle decisioni della società» e da «consentir[le] di indirizzarne l’attività», si avvale del proprio diritto di stabilimento (28). Pertanto, nel caso di società non stabilite nel Regno Unito che detengano partecipazioni che soddisfano i criteri suindicati, sarà dunque rispetto all’art. 43 CE che dovrà essere verificata la compatibilità della normativa britannica con il Trattato.

28.   Sebbene sia compito del giudice nazionale applicare tale criterio dopo aver analizzato la situazione della società ricorrente, risulta evidente dall’ordinanza di rinvio che taluni casi pilota rientrano in tale categoria (29). Vorrei sottolineare che, sebbene l’esercizio di tale libertà da parte delle società interessate implichi inevitabilmente anche un movimento di capitali nel Regno Unito, quale condizione necessaria per stabilire una sede secondaria in questo paese, ritengo nondimeno che tale aspetto costituisca solo una conseguenza indiretta dell’esercizio della libertà di stabilimento. Richiamo in proposito le considerazioni dell’avvocato generale Alber nella citata causa Baars, nel punto in cui osserva che «[n]el caso in cui sussista una diretta lesione della libertà di stabilimento, la quale comporti indirettamente una riduzione dei flussi di capitali tra gli Stati membri, sono applicabili unicamente le norme in materia di libertà di stabilimento (30)». Ne discende che per quanto riguarda tali società l’art. 43 CE ha applicazione prioritaria.

29.   Con riguardo alle società non residenti nel Regno Unito, le quali detengano partecipazioni nel capitale di una società stabilita in questo paese che non sono tali da conferire alle prime «un’influenza decisiva» sulle decisioni della seconda, o da consentire loro di indirizzarne l’attività, la regolamentazione del Regno Unito dovrebbe essere esaminata alla luce della compatibilità con l’art. 56 CE. Faccio osservare in proposito che la normativa controversa del Regno Unito riguarda chiaramente ciò che si può definire come «movimento di capitali». Sebbene il Trattato non contenga una definizione di tale concetto, la Corte ha affermato che, se è vero che la percezione di dividendi può di per sé non costituire un movimento di capitali, essa tuttavia presuppone la partecipazione nel capitale di imprese nuove o già operanti, il che costituisce movimento di capitali (31).

30.   Pertanto, in via di principio, a causa della natura della presente causa quale azione collettiva, in cui la Corte non è stata messa a conoscenza della situazione specifica e del tipo di partecipazione proprie di ciascuna ricorrente, sarebbe opportuno esaminare la compatibilità della regolamentazione britannica controversa alla luce di ambedue gli artt.  43 CE e 56 CE. Ciononostante, nella fattispecie, l’applicazione dell’una o dell’altra diposizione conduce ad un medesimo risultato, sollevando questioni analoghe. Di conseguenza, sebbene nei paragrafi successivi io consideri espressamente la sola applicazione dell’art. 43 CE, lo stesso ragionamento vale in caso di applicazione dell’art. 56 CE.

2.      Compatibilità con l’art. 43 CE 

31.   Come ho osservato in precedenza, il caso in esame pone per la prima volta la questione se, sulla base della disciplina normativa nazionale di cui sopra, l’art. 43 CE obblighi il Regno Unito ad accordare un credito d’imposta per i dividendi distribuiti all’estero. A mio parere, tale questione dovrebbe essere risolta in senso negativo. Per poter dare una spiegazione chiara ed esauriente delle ragioni che mi spingono verso tale conclusione, è necessario rifarsi ai principi che sono alla base dell’applicazione delle norme sulla libera circolazione in materia di imposte dirette.

a)      Applicazione dell’art. 43 CE alle norme che disciplinano le imposte dirette: Introduzione

32.   Per analizzare la portata dell’art. 43 CE in quest’area occorre muovere dalla considerazione che la materia delle imposte dirette rientra in via generale nella competenza degli Stati membri. Come è risaputo, l’armonizzazione in questo campo può essere raggiunta solo attraverso un’azione legislativa a norma dell’art. 94 CE, che richiede la delibera all’unanimità sulla legislazione proposta (32), ed allo stato attuale esiste solo un esiguo numero di disposizioni comunitarie in quest’area (33).

33.   Nonostante ciò, usando una classica espressione della Corte «se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (34)». E’ evidente che ciò implica l’obbligo di adempiere le disposizioni dell’art. 43 CE, che vieta di porre restrizioni all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro qualsiasi. A termini dell’art. 43, n. 2, CE, la libertà di stabilimento importa la costituzione e la gestione di imprese in uno Stato membro, alle condizioni definite dalla legislazione di tale Stato membro nei confronti dei propri cittadini. In forza dell’art. 48 CE, la libertà di stabilimento comprende, per le società e le imprese costituite secondo le leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro considerato mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (35).

34.   La Corte ha coerentemente affermato che misure fiscali nazionali che abbiano l’effetto di limitare o ostacolare l’esercizio della libertà di stabilimento, costituiscono una violazione dell’art. 43 CE, salvo il caso in cui una restrizione del genere persegua uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale. Inoltre, l’applicazione di tale restrizione dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo (36).

35.   La Corte ha anche spesso utilizzato il linguaggio della discriminazione nel contesto dell’art. 43 CE applicato alle misure di fiscalità diretta. Secondo una giurisprudenza costante, l’art. 43 vieta ogni forma di discriminazione, tanto diretta (come nel caso di misure che operino apertamente una disparità di trattamento sulla base della cittadinanza), quanto indiretta o «dissimulata» (ad esempio, quando le misure di cui trattasi siano ugualmente applicabili ma abbiano, di fatto, un effetto discriminatorio) (37). A tal riguardo, la giurisprudenza ha dato una definizione della discriminazione che consiste «nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse» (38).

36.   Dopo un’attenta analisi, ritengo che nel campo delle imposte dirette non vi siano differenze di ordine pratico tra l’una e l’altra definizione, ossia «restituzione» e «discriminazione». Ciò che invece risulta fondamentale, quando esaminiamo la normativa in materia di imposte dirette, è tenere distinti due significati del termine «restrizione».

37.   Una prima accezione indica le restrizioni che risultano inevitabilmente dalla coesistenza di sistemi fiscali nazionali separati. Conformemente al principio che, allo stato attuale del diritto comunitario, sancisce la competenza degli Stati membri in materia di fiscalità diretta, le imposte dirette sono gestite all’interno dell’UE per mezzo di regimi nazionali fiscali che coesistono con le loro differenze e peculiarità. Alcuni svantaggi che colpiscono le società impegnate in operazioni transfrontaliere possono risultare come conseguenza diretta e inevitabile della giustapposizione di tali sistemi ed in particolare derivano da: (1) l’adempimento comulativo di oneri amministrativi a carico delle imprese operanti sul piano transfrontaliero; (2) l’esistenza di divergenze tra i sistemi fiscali nazionali, e (3) la necessità di ripartire la competenza tributaria, il che comporta una dislocazione della base imponibile. Ma affronterò tali punti più dettagliatamente nei paragrafi successivi.

38.   È vero che, in generale, tali conseguenze possono «limitare» l’attività transfrontaliera. Tuttavia, l’uso del termine «restrizione» – sebbene condiviso dalla stessa giurisprudenza della Corte – risulta in tale contesto fuorviante. In realtà qui si tratta di distorsioni dell’attività economica derivanti dal fatto che sistemi fiscali diversi devono coesistere fianco a fianco. In taluni casi, tali distorsioni producono svantaggi per gli operatori economici, in altri casi risultano invece vantaggiose. Mentre nel primo caso le dette distorsioni producono effetti «restrittivi», nella seconda ipotesi esse incentivano lo stabilimento di attività economiche transfrontaliere. Anche se la Corte, di norma, è chiamata a pronunciarsi su quelle che possono definirsi «quasi-restrizioni», derivanti dalle dette distorsioni, non dobbiamo dimenticare che vi è un’altra faccia della medaglia – ossia, la situazione in cui possono scaturire particolari vantaggi per l’imprenditoria transfrontaliera. In quest’ultima ipotesi, il soggetto passivo interessato, generalmente, non invoca il diritto comunitario.

39.   Le cause all’origine delle quasi-restrizioni ed il carattere di queste ultime indicano che tali ostacoli possono essere eliminati solo con un intervento del legislatore comunitario, mediante la messa in atto di una soluzione coerente applicabile all’intera Unione Europea, vale a dire, attraverso un regime fiscale di ampiezza comunitaria. In mancanza di una soluzione che uniformi le discipline fiscali a livello europeo, si deve pertanto ritenere che le dette quasi-restrizioni esulino dal campo di applicazione dell’art. 43 CE. Vorrei aggiungere che l’intervento dell’organo giurisdizionale è, per la sua stessa natura, casistico e frammentario. Di conseguenza, la Corte dovrebbe usare una certa cautela nel rispondere alle questioni ad essa sottoposte che sollevino problemi di carattere sistematico. Il legislatore si trova in una posizione migliore per affrontare tali questioni, in particolare quando esse investono problemi che richiedono considerazioni di politica economica e fiscale.

40.   Per contro, la seconda accezione di restrizione si riferisce a quelle che possono essere definite restrizioni «vere e proprie»: ossia, alle restrizioni che vanno ben oltre le conseguenze inevitabili della coesistenza di sistemi fiscali nazionali, e che ricadono nell’ambito dell’art. 43 CE. Senza dubbio, il fatto che, come spiegherò in seguito, i criteri che determinano la competenza tributaria degli Stati membri siano basati sulla residenza o sull’origine dei redditi, implica che sostanzialmente tutte le misure fiscali nazionali che costituiscono restrizioni in «senso proprio», in pratica, possono anche essere considerate misure discriminatorie dirette o indirette (39).

41.   Passo ora ad analizzare più in dettaglio la distinzione fra misure quasi-restrittive e misure discriminatorie [rispettivamente, sub (b) e (c)].

b)      Conseguenze inevitabili di carattere restrittivo derivanti dalla coesistenza di sistemi fiscali nazionali (quasi-restrizioni)

i)      Oneri di conformità amministrativa più elevati

42.   Una prima conseguenza della giustapposizione di sistemi fiscali nazionali separati consiste nel fatto che, esaminato da una prospettiva squisitamente amministrativa, ciascun sistema appare dotato di una propria autorità tributaria, dispone di procedure proprie per la presentazione delle dichiarazioni fiscali e per la predisposizione delle relative indagini successive (ove necessario). Ne discende che gli operatori economici impegnati in attività transfrontaliere dovranno fin dal principio sostenere costi di conformità amministrativa maggiori rispetto ai loro omologhi che operano in un solo Stato membro (40).

ii)    Divergenze

43.   Una seconda conseguenza della giustapposizione di sistemi fiscali nazionali distinti deriva dal fatto che tra tali sistemi esisteranno sempre disparità o differenze. Che tali divergenze siano inevitabili è evidente, se si considera che i sistemi fiscali nazionali sono tagliati a misura della situazione macroeconomica specifica di uno Stato membro in un dato momento. Allo stadio attuale dell’integrazione tra le economie nazionali, tali situazioni variano considerevolmente tra i diversi Stati membri (si pensi, ad esempio, alla struttura e la dimensione dei mercati nazionali del lavoro e dei capitali). Gli Stati membri in cui la forza lavoro è più incisiva dei capitali possono, ad esempio, scegliere di tassare in maggior misura il lavoro rispetto al capitale.

44.   Anche le scelte di politica economica degli Stati membri possono essere sostanzialmente diverse. Esse si riflettono, per esempio, sulle aliquote d’imposta: gli Stati membri possono decidere di percepire imposte relativamente più elevate con il proposito di migliorare la qualità e l’offerta di servizi pubblici, oppure perché desiderano operare una redistribuzione dei redditi a favore dei ceti sociali meno abbienti. Ognuna di queste scelte costituisce una decisione politica essenziale dal punto di vista della competenza fiscale degli Stati membri in materia di imposte dirette. A loro volta, tali scelte di politica economica possono rappresentare un fattore che contribuisce a differenziare i sistemi fiscali nazionali, inter alia, per quanto riguarda il metodo scelto per alleviare la doppia imposizione economica – ad esempio, gli Stati con un’aliquota d’imposta piuttosto bassa possono optare per un sistema classico di attenuazione della doppia imposizione, mentre gli Stati che impongono aliquote d’imposta più elevate potrebbero preferire un sistema d’imputazione.

45.   Di conseguenza, se non verrà realizzata una maggiore integrazione delle economie nazionali all’interno dell’UE, è logico che permangano considerevoli differenze nella struttura e nella conformazione dei sistemi fiscali diretti degli Stati membri, come anche tra le aliquote fiscali.

46.   Tali divergenze provocano inevitabilmete effetti distorsivi che incidono sugli investimenti, sull’impiego e, nel caso delle società e dei lavoratori autonomi, sulle decisioni di stabilimento. E’ chiaro che le differenze tra gli Stati membri riguardanti la tassazione effettiva delle imprese, gli oneri fiscali amministrativi, e la struttura dei sistemi fiscali nazionali incidono sulla scelta del luogo in cui stabilire un’attività economica. Tuttavia, come recentemente confermato dalla Corte di giustizia nella sentenza Schempp, e come io stesso ho posto in evidenza nelle mie conclusioni relative a tale causa, le distorsioni che possono eventualmente derivare da mere divergenze tra sistemi fiscali non ricadono nell’ambito delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione. In tale procedimento, che riguardava un ricorso fondato sulle norme del Trattato relative alla cittadinanza, la Corte ha ricordato di aver già dichiarato che «il Trattato CE non garantisce al cittadino dell’Unione che il trasferimento delle sue attività in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedeva precedentemente sia neutrale sotto il profilo fiscale. Tenuto conto delle differenze tra le legislazioni degli Stati membri in materia, un simile trasferimento può, secondo i casi, essere più o meno favorevole o sfavorevole per i lavoratori sul piano delle imposte indirette (41)». Esattamente lo stesso principio si applica ai ricorsi fondati sull’art. 43 CE. Perciò, gli ostacoli alla libertà di stabilimento che derivano dalle disparità o dalle differenze tra i sistemi fiscali di due o più Stati membri, esulano dal campo di applicazione dell’art. 43 CE. Tali ostacoli possono essere contrapposti a quelli derivanti da una discriminazione che si verifichi in conseguenza dell’applicazione di norme appartenenti ad un unico sistema fiscale (42).

47.   Occorre ricordare che, sebbene le restrizioni derivanti dalle divergenze tra i sistemi nazionali non ricadano nell’ambito delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione, ciò non significa che esse siano in via di principio escluse dal campo di applicazione del Trattato. Al contrario, la competenza degli Stati membri ín materia di imposte dirette, è, in primo luogo, oggetto delle misure di armonizzazione adottate ai sensi dell’art. 94 CE, e, in secondo luogo, è oggetto delle misure che la Commissione adotta in base all'art. 96 CE o all'art. 97 CE per evitare distorsioni delle condizioni di concorrenza (43).

iii) Ripartizione della competenza tributaria (dislocazione della base imponibile)

48.   Una terza forma di restrizione derivante del fatto che i regimi di imposizione fiscale diretta hanno dimensione nazionale è data dall’esigenza di ripartire la competenza fiscale sul reddito degli operatori economici transfrontalieri (dislocazione della base imponibile). Come nel caso delle divergenze tra i sistemi fiscali nazionali, anche tali restrizioni devono essere tenute distinte dalle forme di discriminazione, in quanto non sono una conseguenza dell’applicazione di norme appartenenti ad un unico ordinamento fiscale, ma derivano dalla coesistenza di due distinti sistemi tributari (ossia, lo svantaggio fiscale che ne deriva non è imputabile a nessuna giurisdizione in particolare). Tuttavia, al contrario delle suddette divergenze, queste ultime restrizioni esisterebbero comunque anche qualora i sistemi fiscali nazionali avessero una stessa struttura e conformazione.

49.   La natura di questo tipo di restrizioni si spiega facilmente. È evidente che la coesistenza di sistemi fiscali nazionali distinti comporta che, al fine di disciplinare la situazione degli operatori economici transfrontalieri, occorra stabilire le modalità con cui tali sistemi interagiscono. In particolare, uno Stato deve scegliere il criterio in base al quale potrà determinare la (porzione) di reddito percepito da un operatore economico che ricade nell’ambito della sua competenza fiscale. Allo stato attuale del diritto internazionale tributario, uno dei metodi principali di ripartizione delle competenze fiscali è basato sulla distinzione tra l’imposizione dello «Stato di residenza» (tassazione dei residenti) e quella dello «Stato fonte» dei redditi (tassazione dei non residenti) (44).

50.   Nel caso della tassazione dello Stato di residenza, lo Stato in cui risiede il contribuente ha, in linea di principio, potere impositivo sull’intero reddito di quest’ultimo (tassazione «universale» dei residenti). Uno dei principali motivi che stanno alla base di tale criterio consiste nella considerazione che il luogo in cui il contribuente fa maggior uso di strutture (ad esempio servizi pubblici, prestazioni di previdenza sociale, infrastrutture e via dicendo) è lo Stato in cui l’interessato ha stabilito la propria residenza. Per contro, nel caso della tassazione dello Stato fonte, lo Stato in cui il contribuente non risiede ha potere impositivo solo sulla parte dei redditi di quest’ultimo che sia stata prodotta all’interno del suo territorio (tassazione «su base territoriale»). Uno dei principali motivi alla base di tale criterio deriva dalla considerazione che è lo Stato fonte a fornire «l’opportunità economica» di ottenere tali guadagni.

51.   Tale metodo di ripartizione della competenza tributaria ha come conseguenza il fatto che un operatore economico che percepisca redditi provenienti dall’estero, in mancanza di regole di priorità tra gli Stati interessati, possa essere assoggettato ad una doppia imposizione giuridica. Nel diritto internazionale tributario il principio generalmente riconosciuto in materia di priorità di tassazione è quello della «titolarità dello Stato fonte»: cioè la priorità del diritto di tassare il reddito prodotto nello Stato fonte è attribuita a quest’ultimo. Perciò, ove si tratti di ridurre la doppia imposizione giuridica, è, in genere, competente lo Stato di residenza, cui spetta scegliere se e come intenda disporre tale riduzione (45). Ad esempio, uno Stato può scegliere di ridurre la doppia imposizione giuridica su base unilaterale oppure mediante la stipulazione di una CDI, usando un sistema di esenzioni o di crediti (46). È chiaro, quindi, che la distinzione tra residenti (Stato di residenza, tassazione dei redditi conseguiti dovunque) e non residenti (Stato di origine, tassazione su base territoriale) è essenziale ai fini dell’attuale ripartizione delle competenze tributarie tra gli Stati, come risulta dal diritto internazionale tributario.

52.   Ai sensi del diritto comunitario, il potere di scegliere i criteri e il metodo di ripartizione della competenza tributaria appartiene esclusivamente agli Stati membri (in conformità del diritto internazionale tributario). Al momento attuale non è possibile riscontrare nel diritto comunitario criteri alternativi, né basi per stabilire simili criteri. La Corte di giustizia ha riconosciuto tale limite in numerose occasioni. Ad esempio, nella sentenza Gilly, dopo aver osservato che l’attribuzione della competenza tributaria sulla base della cittadinanza non può, di per sé, essere considerata discriminatoria, la Corte ha riconosciuto che tali differenziazioni «discendono, in mancanza di misure di unificazione o di armonizzazione nell’ambito comunitario, in particolare in forza dell’art. [293] del Trattato, dalla competenza che hanno le parti contraenti a stabilire, al fine di eliminare le doppie imposizioni, i criteri di ripartizione fra esse del loro potere impositivo. Sempre ai fini della ripartizione della competenza tributaria, non è illogico che gli Stati membri si ispirino alla prassi internazionale e al modello di convenzione elaborato dall’OCSE (…) (47)». Analogamente, in numerosi casi la Corte ha espressamente ammesso la compatibilità con il diritto comunitario della distinzione tra tassazione dello Stato di residenza (universale) e tassazione dello Stato fonte (su base territoriale) (48)».

53.   Nonostante ciò, la Corte ha considerato che la distinzione tra residenti e non residenti non sempre costituisce un elemento sufficiente per giustificare un trattamento differenziato dei contribuenti. Nella citata sentenza Marks & Spencer, riassumendo la sua posizione su questo punto, la Corte ha rilevato che: «(…) nel diritto tributario la residenza del contribuente può rappresentare un fattore che può giustificare norme nazionali che comportano un diverso trattamento tra contribuenti residenti e non residenti. Tuttavia, la residenza non è sempre un fattore giustificato di distinzione. Infatti, ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trova in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l’art. 43 CE (…). In ciascuna situazione concreta occorre esaminare se la limitazione dell’applicazione di un vantaggio fiscale ai contribuenti residenti sia motivato da elementi oggettivi pertinenti tali da giustificare la disparità di trattamento (…) (49)».

54.   Il ragionamento svolto dalla Corte in tale causa pone in evidenza che, ove esistano disparità di trattamento, la Corte esaminerà tali disparità per verificare se esistano motivi oggettivi che possano giustificarle. Detto in altri termini: si avrebbe una violazione dell’art. 43 CE nel caso in cui il diverso trattamento riservato dallo Stato membro interessato ai suoi contribuenti non fosse una logica e diretta conseguenza del fatto che, nello stadio attuale di sviluppo del diritto comunitario, è possibile imporre ai soggetti passivi, con riguardo ad operazioni di carattere transfrontaliero, obblighi tributari diversi da quelli normalmente imposti in situazioni di ordine puramente interno. Al riguardo, è importante osservare che gli operatori economici i quali si avvalgono del loro diritto di libera circolazione, conoscono generalmente le differenze tra le normative fiscali nazionali che li riguardano nonché la relativa attribuzione della competenza tributaria sulla base delle CDI. Alla luce delle precedenti considerazioni, sorge la domanda relativa a quali obblighi incombano agli Stati membri in forza dell’art. 43 CE.

c)      Restrizioni che ricadono nell’ambito dell’art. 43 CE

55.   Riassumendo, quando una restrizione alla libertà di stabilimento è una mera conseguenza della giustapposizione di amministrazioni tributarie nazionali, o è frutto delle divergenze tra i sistemi fiscali nazionali, o costituisce un effetto della ripartizione della competenza tributaria tra due sistemi fiscali (quasi-restrizione), essa non ricade nel divieto di cui all’art. 43 CE. Al contrario, le restrizioni «vere e proprie», cioè quelle restrizioni alla libertà di stabilimento che vanno oltre le conseguenze inevitabili della coesistenza di più sistemi fiscali nazionali, ricadono nel divieto di cui all’art. 43 CE, tranne che siano giustificate. Secondo la terminologia usata supra, un trattamento fiscale sfavorevole ricadrà nella sfera dell’art. 43 CE qualora derivi direttamente da una discriminazione operata dalle norme di un unico ordinamento fiscale, e non quando sia una mera conseguenza della diversità o della ripartizione della competenza tributaria tra (due o più) sistemi fiscali degli Stati membri.

56.   Come ho ricordato in precedenza, la Corte ha statuito che la discriminazione consiste «nell'applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell'applicazione della stessa norma a situazioni diverse (50)».

57.   A mio parere, dal metodo di ripartizione della competenza tributaria tra gli Stati membri – basato sulla distinzione tra tassazione universale (Stato di residenza) e tassazione su base territoriale (Stato fonte dei redditi) – deriva una diversa applicazione del concetto di discriminazione, in funzione del fatto che lo Stato agisca in qualità di Stato di residenza ovvero di Stato-fonte. Semplicemente, poiché la natura della competenza tributaria che viene esercitata è sostanzialmente diversa nell’uno e nell’altro caso, non possiamo considerare un operatore economico assoggettato alla potestà tributaria dello Stato di residenza in una situazione comparabile a quella di un operatore economico assoggettato alla potestà tributaria dello Stato fonte, e vice versa. Ne discende che l’art. 43 CE impone ad uno Stato membro due diverse categorie di obblighi, a seconda del tipo di competenza tributaria da questo esercitata nel caso specifico.

i)      Obblighi incombenti allo Stato di residenza in forza dell’art. 43 CE

58.   Il principale obbligo dello Stato che esercita una competenza tributaria a titolo di Stato di residenza consiste, sostanzialmente, nel trattare i redditi conseguiti all’estero dai residenti conformemente al modo in cui ha determinato la base imponibile sul piano nazionale. Qualora quest’ultima sia stata ripartita in modo tale da includere i redditi di origine straniera – ad esempio considerandoli imponibili – lo Stato di residenza non dovrà discriminare tra redditi di origine nazionale e redditi provenienti dall’estero. Tale principio è stato illustrato dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, con riguardo, ad esempio, alle imposte sui redditi delle società, la Corte ha così stabilito:

«[n]ei limiti in cui decida di attenuare la doppia imposizione economica sui dividendi percepiti dai residenti, lo Stato di residenza, che esercita una potestà tributaria sulla totalità dei redditi percepiti dai residenti, deve accordare ai dividendi di fonte estera ed ai dividendi nazionali le medesime agevolazioni, e, a tale scopo, deve tenere conto dell’imposta societaria pagata all’estero (51)».

–       Analogamente, qualora lo Stato di residenza offra la possibilità di dedurre le perdite di esercizio di una società stabilita sul suo territorio dagli utili imputabili all’esercizio precedente o successivo, tale possibilità non può venire legittimamente negata per il solo motivo che la società di cui trattasi percepisce anche redditi di provenienza dall’estero (52).

–       Inoltre, laddove uno Stato membro conceda il beneficio di un regime di imposizione a livello di gruppo che esenta dall’obbligo di pagare l’ACT le società controllate residenti che distribuiscono gli utili alle capogruppo residenti, la stessa possibilitità deve essere estesa alle società controllate residenti che distribuiscono utili alle capogruppo aventi sede all’estero, le quali sarebbero altrimenti assoggettate all’ACT (53).

59.   Al contrario, nella sentenza Marks & Spencer, la Corte ha considerato che, in via di principio, nella misura in cui uno Stato membro non abbia potere impositivo sugli utili della filiale estera di una società madre residente, tale Stato non è tenuto a concedere sgravi sulle perdite di esercizio (54). In altri termini, qualora uno Stato di residenza abbia ripartito la base imponibile sul piano nazionale in modo tale da non avere potere impositivo su una filiale estera di una società residente sul suo territorio, è coerente, in generale, che tale Stato rifiuti di prendere in considerazione le deduzioni relative ai redditi originari di un altro paese all’atto di determinare l’imposta dovuta dalla società residente.

60.   In merito all’imposta sui redditi delle persone fisiche, la giurisprudenza della Corte ha, in linea di principio, accolto la regola di diritto tributario internazionale secondo cui incombe allo Stato di residenza, in virtù di un potere impositivo universale sui redditi dei residenti, avere piena considerazione della situazione personale e familiare di un lavoratore o di un imprenditore  (55), salvo che, e nella misura in cui, tale fattore sia stato preso in considerazione dallo Stato-fonte dei redditi (ad esempio, in forza di disposizioni contenute in una CDI) (56). Inoltre, gli incentivi accordati ai residenti che effettuano investimenti in patria devono essere concessi anche nel caso di investimenti oltre frontiera  (57).

61.   Infine, sebbene uno Stato di residenza possa legittimamente richiedere una regolarizzazione della posizione fiscale dei contribuenti che cerchino costantemente di sottrarsi alla sua giurisdizione, (attraverso un’imposta d’uscita prelevata, ad esempio, sulle plusvalenze mobiliari non ancora realizzate), tale misura fiscale non potrà essere applicata in modo sproporzionato rispetto all’obiettivo di salvaguardare la coerenza fiscale e di evitare gli abusi (58).

62.   Con riguardo agli obblighi dello Stato di residenza in materia di imposte sul reddito delle società, vorrei aggiungere un breve commento alla sentenza della Corte nella causa Bosal (59). In tale occasione, la Corte ha considerato contraria all’art. 43 CE una normativa olandese che consentiva ad una società madre residente nei Paesi Bassi di detrarre i costi relativi alla partecipazione nel capitale di una sua controllata solo se anch’essa era assoggettata ad imposta nei Paesi Bassi, oppure qualora risultasse che tali costi erano destinati indirettamente al conseguimento di utili imponibili in detto Stato membro. La Corte è giunta a tale conclusione attraverso un ragionamento articolato in tre fasi. In primo luogo, dopo aver constatato che la limitazione sulla deducibilità dei costi imposta dalla normativa olandese era, in via di principio, compatibile con la direttiva sulle società madri e figlie (60), la Corte ha osservato che, tuttavia, tale limitazione poteva «dissuadere» una società madre (olandese) dall’esercitare le proprie attività con l’intermediazione di una società controllata stabilita in un altro Stato membro, e che, per tale motivo, rappresentava un ostacolo alla costituzione di società controllate in altri Stati membri ai sensi dell’art. 43 CE. In secondo luogo, la Corte ha negato che la normativa controversa potesse essere giustificata in base al cosiddetto principio della «coerenza fiscale» (cioè in base alla necessità di salvaguardare la coerenza del sistema fiscale olandese). La Corte ha spiegato che, nel caso di specie, non esisteva un «nesso diretto» tra la concessione di un vantaggio fiscale alle società madri – il diritto di dedurre i costi di partecipazione nel capitale delle società controllate – ed il regime fiscale delle società controllate. Al riguardo, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza nella causa Baars (61), ricordando che non può esistere alcun nesso diretto quando si tratta, per esempio, di imposte distinte o di trattamento fiscale di soggetti passivi diversi. In terzo luogo, la Corte ha respinto l’argomento secondo cui, in forza del principio di territorialità, una società madre olandese che possieda società controllate soggette ad imposizione nei Paesi Bassi ed una società madre olandese le cui società controllate siano soggette ad imposizione altrove non si trovano in situazioni comparabili agli effetti dell’art. 43 CE. Su tale punto, la Corte si è limitata a citare la sentenza nella causa Metallgesellschaft (62) e ha osservato che, mentre l’applicazione del principio di territorialità nella sentenza Futura (63) riguardava l’imposizione di una singola società (che esercitava la propria attività in un altro Stato membro mediante una sede secondaria), il caso in esame riguardava invece l’imposizione di una società madre e di una controllata, (cioè due soggetti aventi personalità giuridica e tassabili separatamente).

63.   Con il dovuto rispetto, tale sentenza, a mio parere, non ha dato il giusto peso alla ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri nel caso specifico. Mi riferisco in particolare al passo in cui la Corte dichiara che il criterio della comparabilità era soddisfatto. A mio parere, costituisce un elemento fondamentale per l’analisi il fatto che nei Paesi Bassi fossero esenti da imposta tutti gli utili «incamerati» dalle società madri e provenienti dalle controllate stabilite in altri Stati membri. Ciò significa che il potere impositivo era stato ripartito tra i Paesi Bassi e gli Stati membri di residenza delle società controllate in modo tale che l’imposizione degli utili delle società controllate stabilite all’estero rientrava esclusivamente nella competenza dello Stato di residenza di queste ultime – cioè dello Stato fonte. Pertanto, mi sembrerebbe del tutto coerente con tale ripartizione delle competenze il fatto che i Paesi bassi attribuiscano allo Stato membro di stabilimento delle controllate gli oneri sostenuti dalla società madre olandese a fronte degli utili esenti da imposta realizzati da queste ultime. In altre parole, appare evidente che la posizione di una società madre che possiede una società controllata i cui profitti sono soggetti ad imposta nel suo stesso Stato di residenza, da un lato, e quella di una società madre che possiede una società controllata i cui profitti non siano soggetti ad imposta (cioè siano esenti) nello Stato di residenza della societá madre, dall’altro, non siano tra loro comparabili In somma, questo sembrerebbe essere un esempio classico di disparità di trattamento che deriva direttamente dalla dislocazione della base imponibile. Mi sembra perciò che tale pronuncia della Corte abbia avuto l’effetto di scavalcare la scelta degli Stati membri relativa alla ripartizione della competenza tributaria ed alla priorità di imposizione– scelta che, come ho rilevato nei paragrafi precedenti, rientra interamente nell’ambito della competenza degli Stati membri.

64.   Vorrei aggiungere che, in linea di principio, la conclusione cui è giunta la Corte nella sentenza Bosal implica inoltre che gli (stessi) oneri potrebbero venire ugualmente dedotti nello Stato membro in cui ha sede la società controllata. Mentre si può presumere che la Corte non abbia inteso permettere una «doppia agevolazione», la sentenza in parola non fornisce alcuna indicazione in merito a quale dei due Stati – quello della società madre ovvero quello della società controllata – debba avere priorità di tassazione in questa deduzione di costi. Invero, questo era il contenuto della seconda questione pregiudiziale formulata dallo Hoge Raad in tale procedimento, alla quale la Corte non ha, peraltro, dato una risposta esplicita. È sufficiente ripetere, come ho osservato in precedenza, che il diritto comunitario non fornisce le basi per attribuire la competenza tributaria né la priorità di tassazione (64).

65.   Come argomento a se stante, è importante notare che nella sentenza Marks & Spencer, la Corte ha aggiunto una riserva – con riguardo all’imposizione dei redditi delle società – al principio secondo cui gli Stati di residenza hanno l’obbligo di trattare i redditi conseguiti all’estero dai residenti conformemente al modo in cui hanno ripartito la base imponibile. La Corte ha dichiarato che, in circostanze eccezionali, qualora la controllata residente in un altro Stato membro non abbia alcuna possibilità di ottenere la presa in considerazione delle perdite di esercizio, uno Stato di residenza deve estendere a tali perdite l’esenzione di gruppo prevista dalla normativa nazionale, nonostante il fatto che lo stesso Stato non eserciti altrimenti la propria competenza fiscale su tali controllate (65). La Corte ha spiegato tale riserva adducendo che negare il beneficio dello sgravio in tale situazione, eccederebbe «quanto necessario per il conseguimento sostanziale» dello scopo di realizzare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo (66). Qualunque sia la ratio sottostante, ritengo che tale riserva debba essere applicata in maniera estremamente restrittiva, in quanto presenta un funzionamento asimmetrico offrendo, da un lato, il beneficio dell’esenzione nei casi in cui l’applicazione della disciplina fiscale dello Stato-fonte si traduca in perdite per le società controllate, mentre, dall’altro, lascia che i guadagni straordinari ottenuti da società controllate che operano sotto un regime fiscale più vantaggioso rimangano esenti da imposta nello Stato di residenza. Come risultato finale si potrebbe dire che, per effetto di tale riserva, la Corte ha introdotto un’ulteriore disparità nelle interrelazioni tra i sistemi fiscali nazionali, con ciò contribuendo alla distorsione dell’esercizio della libertà di stabilimento e del libero movimento di capitali all’interno della Comunità. Per usare termini in qualche modo diversi, non vedo perché le società che decidano di spostare le proprie attività in un altro Stato membro, avendo una piena conoscenza della normativa fiscale locale, dovrebbero beneficiare nello Stato di residenza di uno sgravio fiscale altamente selettivo e avente effetti distorsivi, laddove le loro attività nello Stato-fonte subiscono perdite che non possono essere compensate in quest’ultimo Stato.

ii)    Gli obblighi incombenti allo Stato fonte in forza dell’art. 43 CE

66.   Poiché lo Stato fonte ha potere impositivo solo sui redditi percepiti all’interno del suo ambito di competenza da soggetti non residenti, l’obbligo incombente a tale Stato in forza dell’art. 43 CE è più limitato. In sostanza, esso si traduce nell’obbligo di equiparare i non residenti ai residenti (non-discriminazione), nei limiti in cui i soggetti non residenti siano assoggettati al suo potere impositivo – cioè in considerazione dei limiti del potere impositivo esercitato sui non-residenti.

67.   Nei casi riguardanti l’imposta sui redditi delle società, tale obbligo è stato applicato, inter alia, nel senso che:

–       I vantaggi fiscali concessi alle società residenti – compresi quelli conferiti in forza di CDI (67) – devono essere ugualmente estesi alle succursali (stabilimenti permanenti) di società non residenti qualora, ai fini dell’imposta sui redditi, tali succursali siano, per il resto, equiparate alle società residenti (68). Così, ad esempio, le succursali di società non residenti devono ugualmente poter beneficiare di un credito d’imposta per i dividendi percepiti, qualora, in relazione a tali dividendi, esse siano tassate allo stesso modo delle società residenti (69).

–       Inoltre, nei limiti in cui lo Stato fonte abbia potestà tributaria su di una succursale avente la propria sede all’estero, tale Stato non può applicare alla detta succursale un’aliquota d’imposta sugli utili superiore a quella applicabile alle società residenti (70).

–       Allo stesso modo, uno Stato fonte non può imporre requisiti, per esempio, di capitalizzazione minima (norme sulla sotto-capitalizzazione) solo nel caso della remunerazione per il capitale esterno che una società residente abbia ricevuto da una controllante estera, laddove lo stesso requisito non valga anche per il rimborso degli interessi ad una società residente, salvo che tale misura sia giustificata (71).

–       Per contro, la Corte ha affermato che, per quanto riguarda la determinazione della base imponibile dei contribuenti non residenti, il fatto che lo Stato fonte prenda in considerazione soltanto gli utili e le perdite derivanti dalle attività dei contribuenti svolte all’interno del suo territorio – e non anche, per esempio, le perdite derivanti dalle attività nel loro Stato di residenza – non comporta una discriminazione vietata dal Trattato (72).

–       Inoltre, lo Stato fonte non dovrebbe imporre oneri amministrativi o di contabilità sproporzionati a carico delle compagnie straniere operanti sul suo territorio (vale a dire oneri che vanno oltre quanto deriva dal fatto che le amministrazioni tributarie hanno carattere nazionale), compreso il caso in cui l’adempimento di tali oneri sia una condizione necessaria per fruire di un vantaggio fiscale relativo al reddito conseguito nello Stato fonte (73).

68.   Nei casi che riguardano la tassazione dei redditi delle persone fisiche, il suddetto principio implica, inter alia, che

–       lo Stato fonte non possa distinguere tra residenti e non residenti in merito alle spese deducibili dalla base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche – vale a dire nel caso delle detrazioni che sono direttamente connesse (74) all’attività che ha generato i redditi (per esempio, le spese professionali) (75). Al riguardo si deve considerare determinante l’effetto prodotto dalle diverse norme e non la loro forma (76), compreso, come la Corte ha recentemente ricordato nella causa Bouanich, l’effetto prodotto sulla situazione di cui trattasi dall’applicazione di disposizioni contenute nelle pertinenti CDI (77). Per contro, lo Stato fonte può, in linea di principio, rifiutare di accordare ai soggetti non residenti vantaggi fiscali legati alla situazione personale del contribuente, poiché, conformemente al diritto tributario internazionale, spetta allo Stato di residenza tenere conto della situazione personale dell’interessato ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (78).

–       La Corte ha tuttavia stabilito un’eccezione a tale principio, prevedendo che uno Stato fonte possa trovarsi nella condizione di dover agire alla stregua dello «Stato di residenza», essendo perciò tenuto a prendere in considerazione la situazione personale del contribuente, qualora il 90% almeno dell’importo dei redditi complessivi di una persona fisica sia originario dello Stato fonte e soggetto ad imposta in quest’ultimo (79). Tale eccezione si giustifica in base alla necessità di evitare che, nel caso in cui il contribuente non guadagni nello Stato di residenza importi di reddito sufficientemente alti affinché venga presa in considerazione la sua situazione personale, quest’ultima non venga considerata da nessuna parte . A prescindere da quale sia la percentuale minima più appropriata ai fini dell’applicazione di tale eccezione, è decisiva, secondo me, la circostanza che la situazione personale del contribuente non possa essere presa in considerazione altrimenti (80).

69.   Un’ulteriore applicazione dell’obbligo di non operare discriminazioni incombente allo Stato fonte, comporta che, qualora il detto Stato decida di attenuare, al suo interno, la doppia imposizione economica per i residenti (ad esempio sotto il profilo della tassazione dei dividendi), tale agevolazione dovrà venire estesa anche ai soggetti non residenti nei limiti in cui la doppia imposizione economica colpisca in modo analogo i non residenti in conseguenza dell’esercizio della competenza fiscale dello Stato fonte (per esempio, laddove quest’ultimo assoggetti gli utili delle società prima all’imposta sulle società e poi all’imposta sui redditi al momento della distribuzione). Tale conclusione discende dal principio secondo cui i vantaggi fiscali accordati ai non residenti dovrebbero eguagliare quelli concessi ai residenti nella misura in cui, sul piano fiscale in generale, lo Stato fonte eserciti la propria competenza tributaria in eguale misura su ambedue i gruppi di contribuenti (81).

70.   Ciononostante, ritengo che uno Stato membro possa scegliere di adempiere i propri obblighi in forza delle norme del Trattato sulla libera circolazione attraverso le disposizioni di una CDI. Così, nell’esempio di uno Stato fonte che, sul piano interno, applichi la doppia imposizione economica ai soggetti non residenti e residenti in eguale misura, rientra nelle facoltà di tale Stato, a mio parere, assicurare che i soggetti passivi non residenti beneficino della stessa esenzione dalla doppia imposizione concessa ai residenti mediante una CDI. In tale situazione, tuttavia, l’importo dell’esenzione dalla doppia imposizione accordata ai non residenti deve essere equivalente all’esenzione riservata ai residenti. In proposito, sono propenso a condividere l’approccio adottato dalla Corte nella sentenza Bouanich, quando ha sostenuto che, nel caso di uno Stato membro che, sul piano fiscale, equiparava gli azionisti non residenti agli azionisti residenti, era compito del giudice nazionale verificare se, in considerazione della CDI applicabile, gli azionisti residenti fossero trattati più favorevolmente dei non residenti (82).

71.   Ritengo che nel valutare l’adempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri in forza delle norme del Trattato sulla libera circolazione, si debba tenere conto degli effetti delle CDI, e questo per una duplice ragione. In primo luogo, come ho rilevato nei precedenti paragrafi, gli Stati membri sono liberi non soltanto di ripartire tra loro la competenza tributaria, ma anche di stabilire regole di priorità dell’imposizione. Perciò, rimanendo nell’esempio di cui sopra, spetta allo Stato fonte che applichi una doppia imposizione sui dividendi fare in modo che, attraverso una CDI, tale doppia imposizione venga attenuata nello Stato di residenza. In secondo luogo, qualora gli effetti della CDI nel caso specifico non venissero presi in considerazione, ciò significherebbe ignorare la realtà economica in cui il soggetto passivo interessato svolge la propria attività, e non tener conto degli incentivi offerti in un contesto transfrontaliero. In altri termini, tale omissione potrebbe falsare l’impatto effettivo sul detto contribuente degli obblighi combinati dello Stato di residenza e dello Stato fonte. Vorrei sottolineare che, in tale fattispecie, rientrerebbe tra gli obblighi incombenti allo Stato fonte in forza del Trattato assicurare il conseguimento di questo risultato. Non costituirebbe una valida giustificazione, ad esempio, sostenere che lo Stato di residenza, non procedendo ad eliminare gli effetti della doppia imposizione nel caso di specie, sarebbe venuto meno ai propri obblighi in forza della CDI applicabile (83).

72.   Più in generale, vorrei osservare che l’insieme degli obblighi incombenti allo Stato di residenza e allo Stato fonte in forza delle norme del Trattato sulla libera circolazione dovrebbe, a mio parere, essere considerato complessivamente, come un insieme di obblighi destinati a raggiungere un determinato equilibrio. Un’analisi della situazione di un singolo operatore economico che prendesse a riferimento gli obblighi gravanti su uno solo di tali Stati – senza tenere conto degli obblighi incombenti all’altro Stato in forza dell’art. 43 CE – potrebbe generare un’impressione distorta e ingannevole della realtà, senza riuscire a cogliere la situazione effettiva in cui agisce l’operatore interessato.

73.   Come rilievo finale, vorre aggiungere che, ovviamente, qualora la normativa fiscale di uno Stato membro ricada, in linea di principio, nell’ambito del divieto di cui all’art. 43 CE (ossia, se costituisce una discriminazione o una restrizione «in senso proprio»), tale restrizione può pur sempre trovare una giustificazione, ad esempio, nella necessità di salvaguardare la coerenza fiscale del sistema tributario nazionale (84) o di prevenire gli abusi di diritto (85).

d)      Applicazione dei suesposti principi alla fattispecie in esame

74.   Nella questione pregiudiziale in esame si chiede se la mancata concessione da parte del Regno Unito di crediti d’imposta sui dividendi «in uscita», versati da una società controllata stabilita nel Regno Unito alla società capogruppo con sede in un altro Stato membro, limiti la liberta di quest’ultima di stabilire una sede nel Regno Unito, considerato che tale Stato membro accorda un credito d’imposta pieno sui dividendi versati da società stabilite nel territorio nazionale agli azionisti persone fisiche anch’essi residenti nel Regno Unito e, qualora dia attuazione alle disposizioni contenute in convenzioni sulla doppia imposizione (detratta l’imposta prevista da tali convenzioni), sui dividendi percepiti da singoli azionisti residenti in Stati terzi ed in altri Stati membri.

75.   Per risolvere tale questione è necessario anzitutto un chiarimento. Non si tratta qui di stabilire se il Regno Unito avrebbe dovuto concedere alle capogruppo non residenti di società controllate residenti lo stesso credito d’imposta accordato alle capogruppo residenti di società controllate stabilite nel Regno Unito. Vale a dire, la questione in oggetto non riguarda la concessione ad una società azionista britannica di un credito d’imposta pari all’importo dell’ACT versato dalla sua controllata residente nel Regno Unito (primo «livello» dell’esenzione dalla doppia imposizione economica prevista dal sistema fiscale britannico). Le ricorrenti pilota sostengono piuttosto che i singoli azionisti delle società capogruppo stabilite in un altro Stato membro avrebbero dovuto beneficiare dello stesso credito d’imposta accordato ai singoli azionisti delle capogruppo stabilite nel Regno Unito. La questione in esame riguarda perciò la concessione ad un singolo azionista di una società stabilita nel Regno Unito di un credito d’imposta relativo all’imposta sulle società già pagata sui dividendi, che possa essere detratto dall’imposta sui redditi dovuta dall’azionista nel Regno Unito, ovvero pagato in contanti qualora superi l’importo dovuto a titolo di imposta (secondo «livello» dell’esenzione dalla doppia imposizione economica pervista dal sistema fiscale del Regno Unito).

76.   In altri termini, le ricorrenti pilota sostengono che i singoli azionisti di una società capogruppo non residente – che non hanno ricevuto crediti d’imposta sui dividendi distribuiti nel Regno Unito (tranne nei casi regolati da determinate CDI) – dovrebbero avere diritto, con riguardo all’imposta britannica sulle società pagata sugli utili delle controllate stabilite nel Regno Unito, agli stessi crediti d’imposta concessi ai singoli azionisti di una società capogruppo residente – che hanno beneficiato di crediti d’imposta sui dividendi, capaci di neutralizzare effettivamente l’imposta sui redditi dovuta nel Regno Unito. Visto da tale angolazione, l’argomento delle ricorrenti risulta basato su un confronto tra società capogruppo residenti e non residenti sotto il profilo del trattamento fiscale riservato dalla normativa del Regno Unito ai rispettivi azionisti persone fisiche.

77.   Le ricorrenti pilota sostengono che tale differenza di trattamento dei singoli azionisti colloca le società capogruppo non residenti che abbiano sedi secondarie nel Regno Unito in una posizione sfavorevole rispetto alle capogruppo residenti con società controllate stabilite in questo stesso Stato membro. Esse rilevano che, se è vero che il sistema applicato nel Regno Unito assicura una riduzione degli oneri fiscali complessivi gravanti sugli utili distribuiti tramite una società capogruppo residente, attraverso la soppressione o la riduzione della doppia imposizione economica, tuttavia tale sistema non garantisce uno stesso trattamento degli utili (prodotti nel Regno Unito) distribuiti tramite una società capogruppo non residente. Le ricorrenti sostengono che, in conseguenza di tale disparità di trattamento, gli azionisti potrebbero trovare più attraente investire nel capitale di una società madre stabilita nel Regno Unito piuttosto che in una capogruppo stabilita altrove, in mancanza di un «aumento» dei dividendi da parte della società madre che possa compensare lo svantaggio di un onere tributario complessivo maggiore gravante sui suoi azionisti. Secondo le ricorrenti, un tale svantaggio per le società madri non residenti potrebbe, a sua volta, dissuadere queste ultime dall’idea di aprire una sede secondaria nel Regno Unito.

78.   È pur vero che, a seconda del sistema fiscale operante nello Stato di residenza della società madre non britannica (86), si può ipotizzare che la tassazione complessiva degli utili distribuiti da una società controllata con sede nel Regno Unito attraverso una capogruppo non residente nel Regno Unito sia potenzialmente più elevata della tassazione complessiva degli utili distribuiti da una società controllata residente nel Regno Unito attraverso la società madre residente in questo paese.

79.   La questione rilevante ai fini del presente esame è, tuttavia, stabilire se tale eventuale svantaggio per le società madri non residenti nel Regno Unito derivi dall’applicazione di una normativa britannica che comporta una vera e propria restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE.

80.   È chiaro, secondo me, che ciò non avviene nella fattispecie. Tale svantaggio, qualora sorgesse, sarebbe un esempio tipico di ciò che ho poc’anzi definito come una «quasi-restrizione», derivante dalle divergenze tra i sistemi fiscali nazionali e da una ripartizione delle competenze tra questi ultimi. Tale limitazione, non deriverebbe perciò da un’applicazione discriminatoria della normativa fiscale del Regno Unito ai contribuenti assoggettati alla potestà tributaria di tale Stato membro. Da un lato, nel caso degli utili distribuiti da una controllata residente a singoli azionisti residenti attraverso una capogruppo anch’essa residente, il Regno Unito esercita una competenza tributaria (universale) come Stato di residenza, in ciascuno dei suddetti tre stadi. Ai fini dell’esercizio di tale competenza, come ho esposto nei precedenti paragrafi, il Regno Unito ha scelto di attenuare la doppia imposizione economica sugli utili distribuiti dalle società controllate mediante, (a) la concessione di crediti d’imposta alla capogruppo residente nel suo territorio, per garantire che l’ACT sia pagata una sola volta su tali utili, (b) la concessione di crediti d’imposta agli azionisti residenti, in modo tale da eliminare in tutto o in parte l’imposta sui redditi dovuta nel Regno Unito da tali azionisti. D’altro lato, nel caso degli utili che una società controllata residente distribuisca ad un singolo azionista attraverso la capogruppo non residente, il Regno Unito esercita una competenza tributaria in qualità di Stato fonte (su base territoriale).

81.   Tale differenza nella natura della competenza tributaria è una conseguenza del modo in cui gli Stati hanno scelto di attribuire (ripartire) il potere impositivo, nell’esercizio delle loro competenze sovrane ed in conformità del diritto tributario internazionale.

82.   In effetti, nell’ultimo dei suddetti casi, il Regno Unito ha prelevato l’imposta solo sugli utili corrisposti sul suo territorio: cioè mediante riscossione dell’ACT sugli utili della controllata al momento della distribuzione. Per effetto dell’applicazione di tale regime, i dividendi in «uscita» dal Regno Unito non venivano assoggettati ad un secondo livello di tassazione sotto forma di imposta sui redditi, a meno che non dessero diritto ad un credito d’imposta in tale Stato membro.

83.   Di conseguenza, nei limiti in cui ricadevano nella competenza fiscale del Regno Unito, i dividendi versati all’estero ricevevano esattamente lo stesso trattamento dei dividendi distribuiti all’interno del paese. Nel primo caso, la distribuzione di ciascun dividendo faceva sorgere l’obbligo di pagamento dell’ACT. Nel caso dei dividendi pagati all’interno del Regno Unito, l’imposta britannica sui redditi veniva prelevata, in linea di principio, presso l’azionista. Il Regno Unito aveva accordato un credito d’imposta, che poteva estinguere totalmente o parzialmente l’obbligazione tributaria gravante sui redditi. Tuttavia, in mancanza di diverse disposizioni contenute in una CDI, i dividendi distribuiti all’estero non erano assoggettati all’imposta britannica sui redditi, e di conseguenza, non vi era un’imposizione britannica sui redditi da alleggerire mediante un credito d’imposta.

84.   Insomma, la competenza fiscale esercitata dal Regno Unito in relazione ai suddetti dividendi era limitata al prelievo dell’ACT; tale competenza veniva peraltro esercitata in maniera non discriminatoria e perciò in conformità degli obblighi di cui all’art. 43 CE.

85.   Invero, è possibile che i detti utili originari del Regno Unito venissero assoggettati a tassazione una seconda volta nello Stato di residenza della società capogruppo (doppia imposizione economica), nonché nello Stato di residenza del singolo azionista (tripla imposizione economica). Tuttavia, come sopra indicato, le regole di priorità in materia di tassazione riconosciute dal diritto tributario internazionale stabiliscono, in linea di principio, la priorità del Regno Unito relativamente alla tassazione degli utili prodotti nel territorio nazionale.

86.   Per contro, lo Stato in cui ha sede la capogruppo non britannica, può, se lo desidera, attenuare la doppia imposizione economica sugli utili originari del Regno Unito. Nell’esercizio delle sue competenze in qualità di Stato di residenza, tale Stato è vincolato, in forza dell’art. 43 CE, all’obbligo di non operare discriminazioni tra i suddetti redditi di origine estera e i redditi di origine nazionale. Analogamente, a livello del singolo azionista, come ha statuito la Corte di giustizia nella sentenza Manninen (87), è compito dello Stato di residenza dell’azionista attenuare (qualora lo preveda il suo ordinamento) la doppia (o tripla) imposizione economica sui dividendi percepiti. Come ho osservato in precedenza, nell’esercizio di tale competenza, lo Stato di residenza è obbligato, in forza dell’art. 43 CE a non discriminare tra i redditi di fonte estera e quelli prodotti all’interno del paese. Nei limiti in cui, nella presente causa, il singolo azionista delle società madri stabilite in un altro Stato membro sia residente nel Regno Unito, questo Stato membro sarà ovviamente soggetto all’obbligo di non discriminazione in conformità della sentenza Manninen. Tale aspetto non è stato messo in discussione e non forma oggetto della presente questione pregiudiziale.

87.   Ciononostante, dalle informazioni in possesso della Corte emerge chiaramente che, nel caso di dividendi distribuiti all’estero che fossero oggetto di una CDI, in talune circostanze, il Regno Unito si era riservato il diritto, ai sensi della convenzione applicabile, di assoggettare tali dividendi ad una (limitata) imposta sui redditi. Analogamente, in taluni casi, al singolo azionista percettore dei dividendi veniva concesso il diritto ad un credito d’imposta pieno o parziale. Secondo il Regno Unito, esiste un nesso diretto tra l’aliquota nazionale dell’imposta sui redditi applicata a tali dividendi e (la portata) del diritto al credito d’imposta.

88.   Al riguardo, vorrei ribadire che, come ho spiegato in precedenza, la natura dell’obbligo incombente al Regno Unito, quando agisce in qualità di Stato fonte con riguardo ai dividendi distribuiti all’estero, consiste, nei limiti in cui tale Stato membro eserciti la propria competenza tributaria sui redditi dei non residenti, nel trattare questi ultimi in maniera analoga ai redditi nazionali. In altre parole, nella misura in cui il Regno Unito assoggetti all’imposta britannica sui redditi i dividendi distribuiti ai non residenti, tale Stato membro deve assicurare che i suddetti non residenti ricevano un trattamento equivalente – quindi, anche in relazione ai vantaggi fiscali – a quello che riceverebbero i residenti assoggettati alla medesima imposta britannica sui redditi. Detto in altri termini, la portata dell’obbligo incombente al Regno Unito deve essere conforme alla ripartizione della competenza fiscale e della base imponibile stabilite nella convenzione bilaterale sulla doppia imposizione applicabile nel caso specifico. Come ha affermato la Corte nella sentenza Bouanich, spetta al giudice nazionale stabilire, in ciascun caso ed in relazione alle clausole contenute nella CDI applicabile, se tale obbligo sia stato o meno soddisfatto (88).

89.   Vorrei aggiungere che, qualora il Regno Unito potesse dimostrare che la CDI medesima stabilisce la responsabilità dello Stato di residenza della società madre o del singolo azionista di attenuare la doppia imposizione risultante dalla riscossione dell’ACT e dell’imposta britannica sui redditi, ciò sarebbe, a mio parere, sufficiente al fine di considerare adempiuti gli obblighi incombenti al Regno Unito in forza dell’art. 43 CE. Ancora una volta, come ho osservato in precedenza, tale conclusione discende dalla libertà degli Stati membri di ripartire la competenza tributaria e la priorità di tassazione tra loro, nonché dall’esigenza di prendere in considerazione la realtà economica transnazionale in cui opera il contribuente. Come ho già detto, ritengo che il compito di assicurare il conseguimento di tale risultato rientri tra gli obblighi imposti al Regno Unito dall’art. 43 CE; pertanto non costituirebbe una valida giustificazione l’argomento secondo cui, non avendo provveduto ad attenuare la doppia imposizione in oggetto, lo Stato di residenza sarebbe venuto meno ai propri obblighi ai sensi della CDI.

90.   Come ho rilevato all’inizio di questa analisi, lo stesso ragionamento si applica anche nel caso in cui venga esaminata la compatibilità della normativa controversa del Regno Unito con l’art. 56 CE, portando ad una stessa conclusione.

91.   Per tali motivi, propongo di risolvere la questione 1 (a) nel senso che allorché, conformemente ad una normativa come quella di cui trattasi nella presente causa, il Regno Unito concede un credito d’imposta pieno per i dividendi versati da società residenti a singoli azionisti residenti, tale Stato non è tenuto, in forza degli artt.  43 CE o 56 CE, ad accordare un credito d’imposta pieno o parziale anche per i dividendi «in uscita» versati da una società controllata residente ad una capogruppo non residente, qualora tali dividendi non siano assoggettati ad imposta sui redditi nel Regno Unito. Tuttavia, nei limiti in cui, in base ad una CDI, il Regno Unito sia competente a prelevare l'imposta britannica sui redditi sui dividendi versati ai soggetti non residenti, tale Stato deve assicurare che i suddetti non residenti ricevano un trattamento equivalente – anche in relazione ai vantaggi fiscali – a quello dei residenti assoggettati allo stesso regime britannico di imposta sui redditi.

B –    Questione 1(b)

92.   Con la questione 1(b), il giudice nazionale chiede se sia contrario agli artt. 43 CE o 56 CE il fatto che uno Stato membro come il Regno Unito dia attuazione ad una disposizione contenuta in una CDI che conferisce ad una capogruppo avente sede in un determinato Stato membro (ad esempio, i Paesi Bassi) il diritto ad un credito d’imposta parziale sui relativi dividendi, ma non conceda lo stesso diritto ad una capogruppo avente sede in un altro Stato membro (per esempio, la Germania), qualora la concessione di un credito d’imposta parziale non sia prevista dalla CDI stipulata tra il Regno Unito e la Germania.

93.   Tale questione pone sostanzialmente la domanda se le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione, ed in particolare il divieto di discriminazione, comportino un obbligo per gli Stati membri di estendere i vantaggi fiscali accordati ai residenti di uno Stato membro in forza di una CDI, ai residenti di altri Stati membri: cioè, si chiede se uno Stato in una situazione analoga a quella del Regno Unito sia obbligato ad estendere il trattamento della «nazione più favorita» ai residenti degli altri Stati membri.

94.   Siffatta questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di giustizia nella sentenza relativa alla causa D (89). Si trattava nella fattispecie di un cittadino tedesco residente in Germania, il cui patrimonio era costituito per il 10% da beni immobili situati nei Paesi Bassi. Questo Stato membro aveva assoggettato tale porzione del 10% alla tassa patrimoniale, rifiutando tuttavia di accordare all’interessato l’abbattimento fiscale cui avevano diritto i residenti nei Paesi Bassi e, in virtù di una CDI stipulata tra Belgio e Paesi Bassi, i residenti in Belgio. Il sig. D ha sostenuto, inter alia, che il fatto che i Paesi Bassi trattassero in maniera diversa i residenti in Belgio ed i residenti in Germania sotto il profilo fiscale, costituiva una discriminazione vietata dall’art. 56 CE e che per tale motivo i Paesi Bassi dovevano estendergli il beneficio di una simile agevolazione. Respingendo tale argomento, la Corte ha affermato che la situazione dei non residenti disciplinata da una CDI e la situazione dei non residenti non regolata da una CDI non sono comparabili. Pertanto non si può parlare di discriminazione tra questi due gruppi di contribuenti. La Corte è giunta a tale conclusione sulla base di tre osservazioni principali. In primo luogo, la CDI stipulata tra Belgio e Paesi Bassi stabiliva una ripartizione delle competenze tributarie tra questi due Stati membri (90). In secondo luogo, il fatto che i «diritti e obblighi reciproci» previsti dalle CDI si applichino soltanto a persone fisiche residenti in uno dei due Stati contraenti era una «conseguenza inevitabile delle convenzioni bilaterali volte a prevenire la doppia imposizione». In terzo luogo, una norma che disponeva un trattamento di reciprocità – come era, nel caso di specie, la disposizione che accordava ai residenti in Belgio l’abbattimento sul calcolo dell’imposta patrimoniale previsto dalla normativa olandese –, non poteva essere considerata come un’agevolazione separabile dal resto della convenzione, poiché ne costituiva «parte integrante» e contribuiva «al suo equilibrio generale».

95.   Tale ragionamento, che ritengo rispettosamente di poter condividere, si applica con altrettanta efficacia alla situazione descritta nella questione in esame. Prendendo l’esempio formulato dal giudice nazionale, la posizione di una capogruppo avente sede nei Paesi Bassi che beneficia nel Regno Unito di un credito d’imposta parziale in forza di una CDI anglo-olandese non può validamente essere paragonata alla situazione di una capogruppo avente sede in Germania, che non beneficia di tale credito. Vorrei sottolineare, come ha fatto la Corte nella sentenza D, che ciascuna CDI dispone una specifica ripartizione delle competenze tributarie e della priorità di tassazione tra gli Stati contraenti (91). Tale ripartizione rappresenta l’equilibrio generale di un accordo negoziato nel suo insieme e su un piano di reciprocità, tenendo conto delle caratteristiche peculiari dei due sistemi nazionali fiscali ed economici interessati, nell’esercizio delle competenze sovrane degli Stati membri, ed in conformità di quanto previsto espressamente all’art. 293 CE. I diversi equilibri raggiunti in esito a tali negoziazioni bilaterali riflettono le differenze tra i sistemi fiscali nazionali e le diverse situazioni economiche delle parti – incluse le differenze esistenti all’interno dell’UE, come ho già fatto notare nei precedenti paragrafi. Di conseguenza, non possiamo considerare che i non residenti, i quali siano assoggettati a disposizioni diverse sulle ripartizioni delle competenze tributarie e sulla priorità di tassazione, approvate dalle parti in diverse CDI, si trovino in situazioni comparabili. Come ho illustrato in precedenza, le disparità di trattamento che risultino unicamente dalla ripartizione delle competenze tributarie tra gli Stati membri o dalle scelte di questi ultimi in merito alle regole di priorità, non ricadono nell’ambito di applicazione dei divieti di cui agli artt. 43 CE e 56 CE. La portata degli obblighi dello Stato fonte nei confronti dei non residenti che siano assoggettati alla sua potestà fiscale, consiste piuttosto nel trattare tali soggetti passivi in maniera analoga ai residenti.

96.   Per tali motivi, ritengo che si debba rispondere alla questione 1(b) nel senso che è incompatibile con gli artt. 43 CE o 56 CE, il fatto che uno Stato membro nella situazione del Regno Unito dia attuazione ad una disposizione contenuta in una CDI che conferisce ad una capogruppo residente in un determinato Stato membro (ad esempio i Paesi Bassi) il diritto ad un credito d’imposta parziale sui dividendi percepiti, ma non conferisce tale diritto ad una capogruppo avente sede in un altro Stato membro (per esempio, la Germania), qualora la CDI stipulata tra il Regno Unito e la Germania non preveda la concessione di un credito d’imposta parziale.

C –    Questioni 1(c) e (d)

97.   Con la questione 1(c), il giudice nazionale chiede se sia in contrasto con l’art.  43 CE o 56 CE il fatto che il Regno Unito, nel dare attuazione alle CDI di cui è parte, neghi la concessione di un credito d’imposta parziale alle società residenti nei Paesi Bassi qualora siano controllate da una società avente sede in Germania, qualora tale diritto ad un credito parziale sui dividendi viene riconosciuto (i) ad una società stabilita nei Paesi Bassi che sia controllata da una società olandese, (ii) ad una società stabilita nei Paesi Bassi che sia controllata da una società avente sede in uno Stato membro come l’Italia, qualora il diritto ad un credito d’imposta parziale sia previsto dalla convenzione italo-olandese sulla doppia imposizione, oppure (iii) a società aventi sede in Italia, a prescindere da chi le controlli. Con la questione 1(d), il giudice nazionale chiede se la soluzione della questione 1(c) sarebbe diversa qualora si riferisse ad una società stabilita nei Paesi Bassi controllata non da una società tedesca ma da una società avente sede in uno Stato terzo.

98.   Tali questioni pongono sostanzialmente il problema della compatibilità con l’art. 43 CE delle cosiddette clausole sulla «limitazione dei benefici» contenute nelle convenzioni contro la doppia imposizione stipulate dagli Stati membri, in virtù delle quali il diritto di fruire di un credito d’imposta, accordato alle società aventi sede negli Stati contraenti, è limitato a seconda del luogo in cui ha sede la controllante di tali società. Nel presente caso, ad esempio, il beneficio di un credito d’imposta parziale viene negato a società aventi sede nei Paesi Bassi che siano a loro volta controllate da una società residente in uno Stato membro come la Germania, se la convenzione anglo-tedesca contro la doppia imposizione non prevede la concessione di un credito d’imposta parziale da parte del Regno Unito.

99.   A mio parere, la soluzione di tali questioni può derivare da un ragionamento del tutto analogo a quello che ho esposto in relazione alla questione 1(b).

100. Come ho spiegato in precedenza, non è possibile paragonare la situazione dei non residenti contemplata da una CDI alla situazione dei non residenti esclusi da tale convenzione, poiché ogni convenzione in materia rispecchia un particolare equilibrio che gli Stati contraenti hanno raggiunto circa l’esercizio delle competenze tributarie e la priorità di tassazione. Una disparità di trattamento tra questi due gruppi di non residenti non equivale ad una discriminazione, poiché gli uni e gli altri sono in situazioni diverse. Si tratta qui di vedere se sia ammissibile una distinzione tra non residenti stabiliti in uno stesso Stato membro, che siano perciò coperti dalla stessa CDI, in funzione della circostanza che la società non residente sia controllata da una società stabilita in uno Stato membro (o in uno Stato terzo) rispetto al quale la CDI applicabile conclusa con il Regno Unito non preveda la concessione di crediti d’imposta parziali. Possiamo dire che tali non residenti siano in situazioni comparabili agli effetti del principio di non discriminazione?

101. Ritengo che la risposta a tale quesito debba essere negativa. La distinzione tra società non residenti operata all’interno di una CDI in funzione del paese di residenza (e quindi della CDI applicabile) dell’azionista controllante, fa parte di quell’equilibrio sui poteri impositivi e sulla priorità di tassazione concordato dagli Stati contraenti nell’esercizio delle loro competenze, come ho più volte ricordato. Di conseguenza, interrogarsi sui motivi e sulle giustificazioni di tale scelta – che potrebbe venire valutata solo alla luce di un equilibrio più generale, raggiunto attraverso l’ampia rete delle convenzioni bilaterali sulla doppia imposizione attualmente esistenti – non è una questione che ricade nell’ambito specifico delle norme del Trattato sulla libera circolazione.

102. Si dovrebbe perciò rispondere alle questioni 1(c) e (d) nel senso che non è incompatibile con gli artt. 43 CE o 56 CE il fatto che il Regno Unito, nel dare attuazione alle CDI di cui è parte, non conceda un credito d’imposta parziale a società aventi sede nei Paesi Bassi che siano controllate da una società avente sede in Germania o in Stati terzi, ma conferisca un diritto ad un credito d’imposta parziale sui relativi dividendi (i) ad una società avente sede nei Paesi Bassi che sia controllata da una società avente sede in questo stesso Stato membro, (ii) ad una società avente sede nei Paesi Bassi che sia controllata da una società avente sede in uno Stato membro come l’Italia, qualora la CDI tra l'Italia e i Paesi Bassi preveda la concessione di un credito d’imposta parziale, o (iii) a società aventi sede in Italia, a prescindere da chi le controlli.

D –    Seconda questione

103. Tale questione obbliga ad interrogarsi sui diritti e i mezzi di ricorso predisposti dall’ordinamento comunitario per il caso di una violazione dell’art. 43 CE o dell’art. 56 CE nelle circostanze descritte nella prima questione. Tuttavia, dalle considerazioni esposte nei precedenti paragrafi, risulta in modo evidente che le questioni da 1(a) a 1 (c) debbono essere risolte in senso negativo, sicché ritengo inutile o superfluo rispondere a quest’ultima questione. Ciononostante, faccio osservare che questioni simili sui mezzi di ricorso sono state poste nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa ad una causa parallela a questa, Test Claimants in the FII Litigation (92).

V –    Conclusione

104. Per i suesposti motivi, ritengo che la Corte debba risolvere le questioni sollevate dalla High Court of Justice of England and Wales (Chancery division) nel modo seguente:

«Allorché, in base ad una normativa come quella controversa nella presente causa, il Regno Unito concede un credito d’imposta pieno per i dividendi versati da società residenti a singoli azionisti residenti, tale Stato non è tenuto, in forza degli artt. 43 CE o 56 CE, ad accordare un credito d’imposta pieno o parziale per i dividendi «in uscita», versati da una società controllata residente ad una capogruppo non residente, qualora tali dividendi non siano assoggettati ad imposta sui redditi nel Regno Unito. Tuttavia, nei limiti in cui, in base ad una convenzione sulla doppia imposizione, il Regno Unito sia competente a prelevare l’imposta britannica sui redditi sui dividendi distribuiti ai non residenti, tale Stato deve assicurare che i non residenti ricevano un trattamento equivalente – anche in relazione ai vantaggi fiscali – a quello dei residenti assoggettati allo stesso regime britannico d’imposta sui redditi.

–       Non è incompatibile con gli artt. 43 CE o 56 CE, il fatto che il Regno Unito dia attuazione ad una disposizione contenuta in una convenzione sulla doppia imposizione che conferisce ad una capogruppo residente in un determinato Stato membro (ad esempio i Paesi Bassi) il diritto ad un credito d’imposta parziale sui dividendi percepiti, ma non conferisce tale diritto ad una capogruppo avente sede in un altro Stato membro (come la Germania), qualora la convenzione sulla doppia imposizione stipulata tra il Regno Unito e la Germania non preveda la concessione di un credito d’imposta parziale.

–       Non è incompatibile con gli artt. 43 CE o 56 CE il fatto che il Regno Unito, nel dare attuazione alle convenzioni sulla doppia imposizione di cui è parte, non conceda un credito d’imposta parziale a società aventi sede nei Paesi Bassi che siano controllate da una società avente sede in Germania o in uno Stato terzo, ma conferisca un diritto ad un credito d’imposta parziale sui relativi dividendi (i) ad una società avente sede nei Paesi Bassi che sia controllata da una società aventi sede in questo stesso Stato membro, (ii) ad una società avente sede nei Paesi Bassi che sia controllata da una società avente sede in uno Stato membro come l’Italia, qualora la convenzione sulla doppia imposizione tra l'Italia e i Paesi Bassi preveda la concessione di un credito d’imposta parziale, e (iii) a società aventi sede in Italia, a prescindere da chi le controlli».


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – La situazione inversa – riguardante la concessione di crediti d’imposta sui dividendi che società residenti nel Regno Unito percepiscano da società aventi sede all’estero, che è stata oggetto della recente sentenza della Corte 7 settembre 2004, nella causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I-7477) – è al centro della discussione nella causa parallela alla presente, C-466/04, Test Claimants in the FII Group Litigation (GU 2005, C 6, pag. 26).


3 – Sentenza 8 marzo 2002, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft (Racc. pag. I-1727, punto 97).


4 – Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer (Racc. pag. I-10837).


5 – V., comunque, l’art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag 6) (gli utili distribuiti da una società figlia alla società madre che detiene almeno il 25% del capitale della societá figlia sono esenti da ritenuta alla fonte).


6 – Tale obiettivo consiste essenzialmente nell’evitare una discriminazione svantaggiosa nei confronti del finanziamento delle società con fondi propri rispetto al finanziamento del debito.


7 – V. la «Reform of Corporation Tax» (Riforma dell’imposta sulle società), un documento ufficiale presentato al Parlamento del Regno Unito all’atto dell’adozione di un sistema di imputazione parziale, punti 1 e 5 (Cmnd. 4955).


8 – Section 14(1) dell’«Income and Corporation Taxes Act 1988» (legge relativa alle imposte sul reddito e sulle società, in prosieguo l’«ICTA»), nella versione vigente all’epoca.


9 – Section 238(1), ICTA.


10 – Section 239, ICTA.


11 – Section 208, ICTA.


12 – Section 231(1), ICTA.


13 – Section 238(1) TA.


14 – Section 247 ICTA.


15 – V. supra, alla nota 3.


16 – Section 20, ICTA.


17 – Ai sensi della Section 233(1) dell’ICTA, una società non residente che avesse percepito un dividendo da una società stabilita nel Regno Unito per il quale non avesse diritto ad un credito d’imposta non sarebbe stata assoggettata all’aliquota inferiore dell’imposta britannica sui redditi per i dividendi distribuiti, l’unica aliquota alla quale l’imposta veniva riscossa. A tenore della Section 231(1) dell’ICTA, una società non residente non aveva diritto ad un credito d’imposta. Pertanto a meno che tale società non avesse diritto al suddetto credito in forza di una CDI, essa non era soggetta all’imposta sui redditi con l’aliquota inferiore (l’unica aliquota alla quale veniva riscossa l’imposta).


18 – Section 231(1) ICTA.


19 – Section 231(1), ICTA


20 – Section 231(1)(3), ICTA.


21 – Gli azionisti persone fisiche non residenti nel Regno Unito non avevano diritto a crediti d’imposta, salvo in presenza di disposizioni contrarie contenute in una CDI stipulata tra il Regno Unito e l’altro paese interessato. Tuttavia, una persona fisica non residente che non avesse diritto ad un credito d’imposta era equiparata a chi avesse pagato l’imposta sui redditi prevista dalla normative britannica ad un’«aliquota inferiore» per la distribuzione (Section 233(1) ICTA). Di conseguenza, a meno che non avesse diritto ad un credito d’imposta in forza di una CDI, tale persona non era tenuta al pagamento netto dell’imposta sui redditi nel Regno Unito.


22 – Art. 10(3)(c) della CDI tra Regno Unito e Paesi Bassi.


23 – Ibidem, art. 10(3)(b).


24 – Ibidem, art.  10(3)(d).


25 – Per le società che avevano provveduto ad un riporto dell’eccedenza di ACT veniva introdotto il cosiddetto «ACT ombra», che consentiva alle medesime di far valere tale eccedenza.


26 – V. supra, alla nota 5.


27 – Direttiva del Consiglio CEE del 28 giugno 1988, per l’attuazione dell’articolo 67 del trattato (GU L 178, pag. 5).


28 – Sentenza 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag.  I-2787, punto 22). Sebbene tale causa riguardasse la partecipazione detenuta da un cittadino di uno Stato membro e non da una società, il principio si applica ugualmente alle società stabilite in tale Stato membro. V., inoltre, l’art.  58, n. 2, CE, a tenore del quale l’applicazione delle disposizioni sulla libera circolazione dei capitali non pregiudica «l’applicabilità di restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con il presente trattato».


29 – Segnatamente, i casi (2)-(4). Dagli elementi forniti nella sola ordinanza di rinvio non si evince chiaramente se uno dei casi pilota – relativo alla Pirelli – soddisfi tale criterio.


30 – Cit. supra, alla nota 28 (paragrafo 26). V. inoltre, le mie conclusioni del 20 novembre 2001 nelle cause riunite C-515/99, C-527/99 e C-540/99, Reisch e a., (Racc. pag.  I-2157, paragrafo 59).


31 – Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071). V., inoltre, sentenza Manninen, cit. supra, alla nota 2, dove, tuttavia, questo punto non è stato esplicitamente discusso.


32– Come precisa l’art. 95, n. 2, CE, il n. 1 non si applica alle disposizioni fiscali. Tale disposizione prevede il ravvicinamento delle legislzioni mediante ricorso alla procedura di codecisione di cui all’art. 251 CE, che richiede il voto a maggioranza qualificata.


33 – La normativa esistente non costituisce, né vuole costituire, la base di un sistema tributario positivo e coerente a livello comunitario, ma si limita piuttosto a disciplinare alcune aree circoscritte che interessano in particolar modo le situazioni transfrontaliere. Tale situazione si distingue nettamente dal settore delle imposte indirette, in cui la Comunità ha istituito un regime impositivo comune basato sull’«ordine permanente di armonizzazione», di cui all’art. 93 CE.


34 – V., per esempio, sentenza, Marks & Spencer, cit. supra, alla nota 4 (punto 29) e giurisprudenza ivi citata.


35 – V. sentenze Marks & Spencer, cit. supra, alla nota 4 (punto 30) e 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain (Racc. pag. I-6161, punto 34).


36 – V., ad esempio, sentenze Marks & Spencer, cit. supra, alla nota 4 (punto 35), Baars, cit. supra, alla nota 28, Saint Gobain, cit. supra, alla nota 35; v., inoltre, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695) e 15 maggio 1997, C-250/95, Futura (Racc. pag. I-2471).


37 – V., ad esempio, sentenza 15 maggio 1997, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland (Racc. pag.  I-2651) e giurisprudenza ivi citata.


38 – V. sentenza Royal Bank of Scotland, cit. supra, alla nota 37 (punto 26) e giurisprudenza ivi citata.


39 – V. infra, sezione IV (A) (2) (2), la mia analisi delle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza della Corte.


40 – V. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale- Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali, che individua un numero consistente di ostacoli fiscali alle attività economiche transfrontaliere nel mercato interno, e conclude «La maggior parte di questi problemi provengono dal fatto che le società dell’UE devono conformarsi [all’epoca] a quindici normative fiscali differenti (…) La molteplicità di legislazioni, convenzioni e pratiche fiscali comporta costi di conformità elevati e rappresenta di per sé una barriera ad attività economiche» (COM (2001) 582 def., pag. 11).


41 – Sentenza 12 luglio 2005, causa C-403/03, Schempp (Racc. pag. I-000, punto 45). V., inoltre, il paragrafo 33 delle mie conclusioni in tale causa e altresì la sentenza 15 luglio 2004, causa C-365/02, Lindfors (Racc. pag. I-7183, punto 34).


42 – Qui è possibile tracciare un’analogia con la previdenza sociale, altro settore in cui coesistono sistemi nazionali separati. Sebbene il regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della comunità (GU L 149), come modificato, realizzi un certo livello di coordinamento di tali sistemi, allo stato attuale del diritto comunitario, ancora oggi non accade che i singoli possano spostarsi da uno Stato membro all’altro senza conseguenze per la loro situazione previdenziale.


43 – Invero, l’esistenza di divergenze può di per sé incidere positivamente sulle economie degli Stati membri e giovare al mercato interno. Salvo alcuni casi estremi – come nel caso delle «pratiche fiscali dannose» – è una tesi accreditata quella secondo cui una concorrenza leale tra sistemi fiscali, come in altri campi, spingerebbe gli Stati membri a puntare verso la massima efficienza possibile nell’amministrazione e nella struttura dei sistemi fiscali nazionali, nonché nell’impiego delle entrate erariali derivanti dalle imposte dirette.


44 – V. Modello di Convenzione OCSE sulla doppia imposizione dei redditi e dei capitali, con commento agli articoli, OCSE, Parigi, 1977 (come riveduto).


45 – V. Modello di convenzione sulla doppia imposizione elaborato dall’OCSE, cit. supra, alla nota 44.


46 – Nel caso del metodo dell’esenzione, lo Stato di residenza del contribuente esenta il reddito di fonte straniera dei suoi residenti, sulla base del fatto che tale reddito è già stato tassato nello Stato «fonte» (cioè lo Stato in cui il reddito è stato percepito). Nel caso del metodo di credito per evitare la doppia tassazione, comunque, i contribuenti che percepiscono un reddito di fonte straniera vengono tassati nel loro Stato di residenza sul loro reddito universale, che include il reddito di fonte straniera, ma possono farsi accreditare la tassa pagata nello Stato fonte sull’imposta dovuta nello Stato di residenza in relazione a tale reddito di provenienza estera.


47 – Sentenza 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly (Racc. pag. I-2793, punti 30 e 31). V., inoltre, il punto 24: «Essendo competenti a determinare i criteri d’imposizione sui redditi e sul patrimonio al fine di eliminare, se del caso, mediante convenzioni, le doppie imposizioni, gli Stati membri hanno stipulato numerose convenzioni bilaterali ispirate, in particolare, ai modelli di convenzione tributaria concernenti il reddito e il patrimonio , elaborati dall’[OCSE]».


48 – V., ad esempio, sentenza 12 giugno 2003, causa C-234/01, Gerritse (Racc. pag. I-5933, punto 45) in cui la Corte ha riconosciuto che «[l]a residenza costituisce d'altra parte il fattore di collegamento all'imposta sul quale si fonda, di norma, il diritto tributario internazionale odierno, in particolare il modello di convenzione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (…), allo scopo di ripartire tra gli Stati la competenza tributaria nelle situazioni che comportano elementi di estraneità». V., inoltre, sentenze 5 luglio 2005, causa C-376/03, D (Racc. pag. I-5821, punto 28); 12 dicembre 2002, causa C-385/00, De Groot (Racc. pag. I-11819, punto 93); Saint-Gobain, cit. supra, alla nota 35; Futura, cit. supra, alla nota 36 (punti 20 e 21), e 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag.  I-225, punto 34), in cui la Corte ha dichiarato «(…) il fatto per uno Stato membro di non far fruire un non residente di talune agevolazioni fiscali che concede al residente non è di regola discriminatorio, poiché queste due categorie di contribuenti non si trovano in una situazione analoga».


49 V. sentenza Marks & Spencer, cit. supra, alla nota 4 (punti 37 e 38).


50 V. sentenza Royal Bank of Scotland, cit. supra, alla nota 37 (punto 26) e giurisprudenza ivi citata.


51 – V. sentenze Manninen, cit. supra, alla nota 2 (i crediti d’imposta concessi sui dividendi nazionali devono essere accordati anche per i dividendi di fonte estera); Verkooijen, cit. supra, alla nota 31 (lo Stato di residenza deve concedere ai dividendi di fonte estera la stessa esenzione dall’imposta sul reddito dei dividendi versati a persone fisiche da società residenti); 15 luglio 2004, causa C-315/02, Lenz [Racc. pag. I-7063 (la possibilità di scegliere il trattamento fiscale che viene accordata ai titolari di dividendi di origine nazionale dev’essere estesa ai titolari di dividendi originari di un altro Stato membro)]. V., inoltre, sentenza 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia (prelievo liberatorio) [(Racc. pag. I-2229 (la possibilità di beneficiare di un’aliquota ridotta sulla ritenuta d’acconto finale era ristretta ai soli proventi derivanti da crediti pagati dai residenti; un analogo vantaggio fiscale doveva essere concesso ai beneficiari di versamenti effettuati da debitori domiciliati all’estero) e, infine, le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano, pronunciate il 10 novembre 2005 nella causa Meilicke (pendente dinanzi alla Corte).


52 – Sentenze 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID (Racc. pag. I-11619); 12 settembre 2002, causa C-431/01, Mertens [Racc. pag. I-7073 (società stabilita sul territorio nazionale che chiedeva la possibilità di dedurre le perdite di esercizio dagli utili realizzati da una sua sede secondaria stabilita all’estero); v., inoltre, sentenza ICI, cit. supra, alla nota 36 (diritto ad uno sgravio fiscale per perdite subite da una società stabilita sul territorio nazionale subordinato alla circostanza che la società interessata avesse o meno controllate all’estero).


53 –        Sentenza Metallgesellschaft, cit. supra, alla nota 3.


54 –        Sentenza Marks & Spencer, cit. supra, alla nota 4 (punto 46). La Corte ha motivato tale conclusione adducendo, inter alia, che le società non possono derivare dalle norme sulla libera circolazione una possibilità di scegliere l’una o l’altra competenza fiscale, poiché ciò comprometterebbe un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.


55 – Per esempio, prevedendo importi minimi esenti da imposta, la separazione dei redditi dei coniugi, o la deduzione degli importi versati a titolo di obblighi alimentari.


56 – V., per esempio, sentenze De Groot, cit. supra, alla nota 48 (punti 99 e 100); 19 settembre 1999, causa C-391/97, Gschwind (Racc. pag. I-5451, punto 22); e 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag.  I-3089, punto 44). La ratio generalmente riconosciuta di tale principio è che lo Stato di residenza, che ha potere impositivo sulla totalità dei redditi percepiti dai residenti, possa ottenere più agevolmente le informazioni riguardanti tali situazioni personali. V., inoltre, la cosiddetta eccezione Schumacker a tale principio, discussa in precedenza.


57 – Sentenze 14 novembre 1999, causa C-484/93, Svensson (Racc. pag. I-3955) e Verkooijen, cit. supra, alla nota 31.


58 – Sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409)


59 – Sentenza 18 settembre 2003, causa C-168/01 (Racc. pag. I-9409).


60 – In forza dell’art.  4, n. 2, della direttiva medesima.


61 – V. supra, alla nota 28.


62 – V. supra, alla nota 3.


63 – V. supra, alla nota 36.


64 – Aggiungo inoltre che trovo difficile vedere in che modo la sentenza Metallgesellschaft (cit. supra, alla nota 3) potesse rilevare per la fattispecie di cui alla causa Bosal (cit. supra, alla nota 59). Nel primo caso, la Corte ha sostanzialmente considerato illegittimo negare ai gruppi di imprese con capogruppo all’estero la possibilità di optare per un regime di imposizione di gruppo, che esentava le controllate stabilite nel Regno Unito dal pagamento dell’ACT, altrimenti obbligatorio, sui dividendi distribuiti alle società madri, laddove tale possibilità veniva accordata ai gruppi di imprese la cui capogruppo fosse stabilita nel territorio nazionale. In tale caso, la competenza a tassare gli utili delle controllate residenti nel Regno Unito spettava, in linea di principio, a quest’ultimo, e perciò, tale Stato membro era tenuto, nell’esercizio della detta competenza, ad accordare gli stessi vantaggi fiscali a tutte le società controllate presenti nel suo territorio, a prescindere dal luogo in cui erano stabilite le società madri. In tal senso, si può considerare che la causa Metallgesellschaft presentasse una situazione opposta rispetto alla fattispecie che era all’origine della causa Bosal, in cui i Paesi Bassi, nella veste di Stato di residenza della società madre, avevano scelto di escludere dalla propria competenza tributaria gli utili delle controllate non residenti.


65 – V. supra, alla nota 4 (punti 55 e 56).


66 – Ibidem.


67
                                                                                                                   
Sentenza Saint Gobain, cit. supra, alla nota 35.


68 – Sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia («Avoir Fiscal») (Racc. pag. 273), 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank [(Racc. pag.  I-4017 (la succursale di una società non residente ha diritto al pagamento degli interesi in caso di rimborso di un’imposta non dovuta allo stesso modo delle società residenti); Futura, cit. supra, alla nota 36 (la succursale di una società non residente deve fruire della possibilità di effettuare un riporto delle perdite alle stesse condizioni applicabili alle società residenti).


69
                                                                                                                   
Sentenza Avoir Fiscal, cit. supra, alla nota 68.


70
                                                                                                                   
Sentenza Royal Bank of Scotland, cit. supra, alla nota 37.


71 – Sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst (Racc,pag. I-11779); v., inoltre, la domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, tuttora pendente (GU C 57, pag. 20).


72
                                                                                                                   
Sentenza Futura, footnote 36 above (punto 21), paragraph 21.


73 – Sentenze 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir (Racc. pag.  I-1897), e Futura, cit. supra, alla nota 36.


74
                                                                                                                   
Sentenza Gerritse, cit. supra, alla nota 48 (punto 27).


75
                                                                                                                   
V. sentenze Gerritse, cit. supra, alla nota 48 e Schumacker, cit. supra, alla nota 48. V., inoltre, sentenza, Asscher, cit. supra, alla nota 52 (divieto di applicare tabelle di imposizione più elevate nel caso dei non residenti) e 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx [Racc. pag. I-2493 (lo Stato fonte deve consentire la detraibilità dei contributi pensionistici dai redditi dei non residenti conseguiti sul suo terriitorio allo stesso modo in cui tale possibilità è concessa ai residenti, salvo che in sua difesa invochi il principio della corenza fiscale)].


76
                                                                                                                   
Sentenza Gerritse, cit. supra, alla nota 48 (punto 54).


77 – Sentenza 19 gennaio 2006, causa C-265/04, Bouanich (Racc. pag. I-923, punti 51-55).


78 – V., per esempio, sentenza D, cit. supra, alla nota 48 (punto 38) (con riguardo all’imposta sul patrimonio).


79
                                                                                                                   
Sentenze Schumacker, cit. supra, alla nota 48; D, cit. supra, alla nota 48 (punto 30); 1° luglio 1994, causa C-169(03, Wallentin (Racc. pag.  I-6443); Wielockx, cit. supra, alla nota 75 (punto 22) e Gschwind, cit. supra, alla nota 56.


80 – V., per esempio, sentenze Gschwind, cit. supra, alla nota 56 (punto 29); de Groot, cit. supra, alla nota 48 (punto 101). L’obbligo a carattere eccezionale per lo Stato fonte di tenere conto della situazione personale del contribuente si applica anche nel caso dell’imposta patrimoniale, in quanto, si tratta anche qui di un’imposta diretta che si basa sulla capacità di pagare del soggetto passivo (sentenza D, cit. supra, alla nota 48, punti 31-34). V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Léger, pronunciate il 1° marzo 2005 nella causa Ritter-Coulais, decisa con sentenza 21 febbraio 2006 (Racc pag. I-1711), in cui egli auspica che tale eccezione venga applicata al di là dei casi riguardanti i «tipici» vantaggi fiscali legati alla situazione personale, anche al diritto di dedurre le perdite di redditi da locazione subite nello Stato di residenza.


81 – V. giurisprudenza citata supra, nelle note 67 e 68.


82 – V. supra, alla nota 77 (punto 51).


83 – Rilevo, in proposito, che una posizione diversa è stata assunta dalla Corte EFTA nella sentenza 23 novembre 2004, Fokus Bank (Causa E-1/04 Fokus Bank/Norvegia). Tale controversia riguardava, tra l’altro, la compatibilità con la libera circolazione di capitali (art. 40 dell’accordo SEE, analogo all’art.  56 CE) della disciplina norvegese che assoggettava gli utili delle società, prima, all’imposta sulle società e poi, al momento della distribuzione dei dividendi, (1) nel caso dei residenti, all’imposta sui redditi, ­ tuttavia, allo scopo di attenuare la doppia tassazione economica dei dividendi, gli azionisti residenti potevano beneficiare di un credito d’imposta pieno - (2) per il caso dei non residenti, ad una ritenuta d’acconto del 15%. Tuttavia, in base alla CDI applicabile nella fattispecie, tale importo del 15% veniva imputato all’imposta dovuta nello Stato di residenza. Nel considerare tale normativa contraria al principio della libera circolazione dei capitali, la Corte EFTA ha equiparato la tassazione dei dividendi «in uscita» (tassazione dello Stato fonte) a quella dei dividendi «in entrata» (tassazione dello Stato di residenza), fondando la sua decisione sulle sentenze della Corte di giustizia nelle cause Lenz e Manninen (punto 30), e sul motivo che il detto Stato fonte non poteva, in via di principio, far leva sulle disposizione di una CDI per ovviare alla doppia tassazione imposta dal suo stesso ordinamento (punto 37). Per i motivi che ho esposto sopra, non sono d’accordo con tale analisi.


84 – Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90 (Racc. pag. I-249).


85 – V., per esempio, sentenze Lankhorst-Hohorst, cit. supra, alla nota 71, e ICI, cit. Supra, alla nota 36.


86 – Per esempio, qualora lo Stato di residenza abbia scelto di non eliminare (completamente) la doppia imposizione economica dei dividendi, la tassazione complessiva degli utili distribuiti da una società controllata residente nel Regno Unito alla capogruppo non residente sarebbe maggiore dell’onere gravante sugli utili distribuiti da una controllata residente ad una capogruppo residente.


87 – V. Supra, alla nota 2.


88 – V. sentenza Bouanich, cit. supra, alla nota 77 (punti 54 e 55).


89 – V. supra, alla nota 48.


90
                                                                      
Sentenza D, cit. supra, alla nota 48 (punto 60).


91 – V., per analogia, il commento dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle conclusioni relative alla causa Gilly (cit. supra, alla nota 47) «[u]na convenzione bilaterale in materia di doppia imposizione mira ad evitare che i redditi già tassati in uno Stato siano nuovamente soggetti ad imposta nell'altro; pertanto, essa non mira a garantire che, a prescindere dal luogo in cui vengono percepiti tali redditi e da chi li corrisponda, il regime d'imposta applicato al contribuente in uno degli Stati non risulti superiore a quello che verrebbe applicato nell'altro». (paragrafo 66 delle conclusioni).


92 – V. supra, alla nota 2.