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Causa C-170/05

Denkavit Internationaal BV

e

Denkavit France SARL

contro

Ministre de l’Économie, des Finances et de l’Industrie

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia))

«Libertà di stabilimento — Imposta sulle società — Distribuzione di dividendi — Esenzione per i dividendi versati a società residenti — Ritenuta alla fonte effettuata sui dividendi versati a società non residenti — Convenzione fiscale diretta a impedire la doppia imposizione — Possibilità di imputare l’importo trattenuto all’imposta da versare in un altro Stato membro»

Conclusioni dell’avvocato generale L.A. Geelhoed, presentate il 27 aprile 2006 

Sentenza della Corte (Prima Sezione) 14 dicembre 2006 

Massime della sentenza

1.     Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 48 CE)

2.     Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Normativa tributaria

(Artt. 43 CE e 48 CE)

1.     Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa nazionale che, in quanto fa gravare l’onere di un’imposizione sui dividendi su una società madre non residente, mentre ne dispensa quasi totalmente le società madri residenti, costituisce una restrizione discriminatoria alla libertà di stabilimento.

Infatti, una tale differenza di trattamento fiscale dei dividendi tra società madri, in relazione al luogo in cui si trova la loro sede, scoraggia l’esercizio della libertà di stabilimento da parte delle società stabilite in altri Stati membri, le quali potrebbero di conseguenza rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro che emana tale norma, e costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, in linea di principio vietata dagli artt. 43 CE e 48 CE.

È vero che, riguardo ai provvedimenti adottati da uno Stato membro al fine di prevenire o attenuare l’imposizione a catena ovvero la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società residente, gli azionisti beneficiari residenti non si trovano necessariamente in una situazione analoga a quella di azionisti beneficiari che risiedono in un altro Stato membro. Tuttavia, a partire dal momento in cui uno Stato membro, in modo unilaterale o per via di accordi, assoggetti all’imposta sul reddito non soltanto gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che essi percepiscono da una società residente, la situazione di tali azionisti non residenti si avvicina a quella degli azionisti residenti.

Una volta che uno Stato membro ha scelto di preservare i suoi residenti da un’imposizione a catena sugli utili delle consociate distribuiti alle società madri di queste ultime sotto forma di dividendi, mediante l’esenzione per tali dividendi, esso deve estendere tale provvedimento anche ai non residenti in quanto un’imposizione analoga, che colpisca i non residenti, deriva dall’esercizio della sua competenza fiscale su questi ultimi.

(v. punti 29-30, 34-35, 37, 41, dispositivo 1)

2.     Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa nazionale che preveda, solo per le società madri non residenti, un’imposizione mediante ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalle consociate residenti, quand’anche una convenzione fiscale tra lo Stato membro interessato ed un altro Stato membro, che autorizza tale ritenuta alla fonte, preveda la possibilità di imputare all’imposta dovuta in tale altro Stato l’onere sostenuto in base a tale normativa nazionale, quando una società madre versa nell’impossibilità, in quest’ultimo Stato membro, di procedere all’imputazione prevista dalla detta convenzione.

Qualunque sia la sua portata, la disparità di trattamento fiscale risultante dall’applicazione di accordi e normative di tal genere costituisce una discriminazione a sfavore delle società madri in ragione del luogo in cui si trova la loro sede, incompatibile con la libertà di stabilimento garantita dal Trattato.

(v. punti 49, 56, dispositivo 2)




SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

14 dicembre 2006 (*)

«Libertà di stabilimento – Imposta sulle società – Distribuzione di dividendi – Esenzione per i dividendi versati a società residenti – Ritenuta alla fonte effettuata sui dividendi versati a società non residenti – Convenzione fiscale diretta a impedire la doppia imposizione – Possibilità di imputare l’importo trattenuto all’imposta da versare in un altro Stato membro»

Nel procedimento C-170/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia) con decisione 15 dicembre 2004, pervenuta in cancelleria l’8 febbraio 2005, nella causa

Denkavit Internationaal BV,

Denkavit France SARL

contro

Ministre de l’Économie, des Finances et de l’Industrie,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts (relatore), E. Juhász, K. Schiemann ed E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 19 gennaio 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–       per la Denkavit Internationaal BV e la Denkavit Francia SARL, dal sig. B. Soubeille, avocat;

–       per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues, J.C. Gracia e dalla sig.ra C. Jurgensen, in qualità di agenti;

–       per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster e dal sig. D.J.M. de Grave, in qualità di agenti;

–       per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra C. White, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra J. Stratford, barrister;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. J.-P. Keppenne e R. Lyal, in qualità di agenti;

–       per l’Autorità di vigilanza AELS, dai sigg. P. Bjørgan e N. Fenger, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 aprile 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 43 CE alla luce della legislazione fiscale francese che, all’epoca dei fatti, prevedeva una ritenuta alla fonte in caso di distribuzione di dividendi da parte di una consociata residente a una società madre non residente, mentre i dividendi distribuiti da una consociata residente a una società madre residente erano quasi totalmente esentati dall’imposta sulle società.

2       Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia, pendente dinanzi al Consiglio di Stato, in merito all’imposizione di dividendi versati dalla Denkavit France SARL (in prosieguo: la «Denkavit France») e dall’Agro Finances SARL (in prosieguo: l’«Agro Finances»), stabilite in Francia, alla loro società madre, la Denkavit Internationaal BV (in prosieguo: la «Denkavit Internationaal»), stabilita nei Paesi Bassi.

 Contesto normativo

 Normativa nazionale

3       Ai sensi dell’art. 119 bis, n. 2, del Code général des impôts (in prosieguo: il «CGI»), nella versione vigente all’epoca dei fatti, i dividendi distribuiti da una società residente ad una persona fisica o giuridica non avente il proprio domicilio fiscale o la sede in Francia davano luogo all’applicazione di una ritenuta alla fonte al tasso del 25%. Per i dividendi distribuiti da una società residente ad un azionista residente non era prevista alcuna ritenuta alla fonte.

4       In base agli artt. 145 e 216 del CGI, una società madre, avente la propria sede o un centro di attività stabile in Francia, poteva, nell’ambito della tassazione del reddito delle società, a determinate condizioni, beneficiare di un’esenzione quasi totale sui dividendi distribuiti dalla sua consociata. Infatti, ad eccezione di una quota del 5%, tali dividendi venivano sottratti dall’utile netto imponibile della società madre e pertanto esentati dall’imposta a suo carico. Tale quota del 5% rimaneva compresa nell’utile netto imponibile della società madre e assoggettata alle aliquote dell’imposta sulle società.

 Convenzione fiscale franco-olandese

5       L’art. 10, n. 1, della Convenzione tra il governo della Repubblica francese e il governo del Regno dei Paesi Bassi volta ad evitare le doppie imposizioni e a prevenire l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, sottoscritta a Parigi il 16 marzo 1973 (in prosieguo: la «Convenzione franco-olandese»), stabilisce che i dividendi versati da una società residente in uno degli Stati contraenti a un soggetto residente dell’altro Stato sono imponibili in questo secondo Stato. A norma dell’art. 10, n. 2, di tale Convenzione, i detti dividendi possono essere tuttavia tassati nello Stato di residenza della società che li versa a un’aliquota massima del 5% se la società madre detiene almeno il 25% del capitale della consociata.

6       In virtù dell’art. 24, parte A, nn. 1 e 3, della Convenzione franco-olandese, il Regno dei Paesi Bassi può includere nella base imponibile dei suoi residenti gli elementi del reddito che, conformemente a tale Convenzione, sono imponibili in Francia. Per quanto riguarda gli elementi del reddito imponibili in Francia in base all’art. 10, n. 2, di tale Convenzione, il Regno dei Paesi Bassi concede una riduzione pari all’ammontare dell’imposta riscossa in Francia, riduzione che non può superare l’imposta olandese dovuta sugli elementi predetti.

 La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali

7       All’epoca dei fatti, la Denkavit Internationaal deteneva il 50% del capitale della Denkavit France e il 99,9% del capitale dell’Agro Finances, che deteneva, a sua volta, il 50% del capitale della Denkavit France.

8       Nel corso degli anni 1987-1989, la Denkavit France e l’Agro Finances, che successivamente si sono fuse, versavano alla Denkavit Internationaal dividendi per un importo complessivo di FRF 14 500 000.

9       Ai sensi del combinato disposto degli artt. 119 bis, n. 2, del CGI e 10, n. 2, della Convenzione franco-olandese, veniva prelevato, mediante ritenuta alla fonte, il 5% dell’importo di tali dividendi, ossia FRF 725 000.

10     In seguito ad un ricorso proposto dinanzi al Tribunal administratif (Tribunale amministrativo) de Nantes (Francia), la Denkavit Internationaal otteneva la restituzione dell’importo trattenuto alla fonte. Tuttavia, con sentenza 13 marzo 2001, la Cour administrative d’appel (Corte d’appello amministrativa) de Nantes annullava la sentenza del Tribunal administratif de Nantes e riaddebitava alla Denkavit Internationaal la somma di FRF 725 000.

11     La Denkavit Internationaal e la Denkavit France proponevano ricorso per cassazione contro quest’ultima sentenza dinanzi al Conseil d’État. Esse sostengono, in particolare, che la normativa fiscale francese controversa viola l’art. 43 CE.

12     Considerando che la ritenuta alla fonte prevista dalla legislazione francese controversa colpisce non la società residente che distribuisce i dividendi, ma la società madre non residente alla quale i suddetti dividendi sono versati, mentre una società madre residente può, nell’ambito della tassazione del reddito delle società, beneficiare di un’esenzione quasi totale sui dividendi versati dalle sue consociate, il giudice del rinvio si chiede se, riguardo a questo diverso trattamento fiscale, sotto il profilo del meccanismo di ritenuta alla fonte sui dividendi, una società madre residente ed una società madre non residente siano in una situazione oggettivamente analoga.

13     Il giudice del rinvio si chiede altresì quale sia l’incidenza della Convenzione franco-olandese nella valutazione della compatibilità della ritenuta alla fonte con la libertà di stabilimento.

14     Da una parte, poiché, in base all’art. 24 di tale Convenzione, una società madre residente nei Paesi Bassi e che riceve i dividendi da una società residente in Francia può, in linea di principio, imputare all’importo dell’imposta da versare nei Paesi Bassi l’imposta riscossa a suo carico in Francia, il giudice del rinvio si chiede se la ritenuta alla fonte, autorizzata dalla Convenzione franco-olandese attraverso la fissazione di un’aliquota massima e l’imputazione di tale ritenuta all’imposizione dell’azionista olandese che riceve tali dividendi, possa essere considerata come una semplice modalità di ripartizione dell’imposizione dei dividendi tra la Repubblica francese e il Regno dei Paesi Bassi che non incide sul carico fiscale complessivo della società madre olandese e, pertanto, sulla libertà di stabilimento di tale società.

15     D’altra parte, il giudice del rinvio solleva la questione della necessità di tener conto del fatto che la società residente nei Paesi Bassi può beneficiare di una tale imputazione soltanto se l’imposta da essa ivi dovuta è superiore alla riduzione d’imposta che essa può far valere ai sensi dell’art. 24 della Convenzione franco-olandese.

16     Ritenendo quindi che la soluzione della causa principale necessiti di un’interpretazione del diritto comunitario, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se un dispositivo che addebita l’onere di un’imposizione ad una società madre, beneficiaria del versamento di dividendi, non avente sede in Francia, dispensandone le società madri con sede in Francia sia censurabile riguardo al principio della libertà di stabilimento.

2)      Se un tale dispositivo di trattenuta alla fonte sia di per sé censurabile riguardo al principio della libertà di stabilimento o se, dato che una convenzione fiscale stipulata tra la Francia e un altro Stato membro, la quale autorizza la detta trattenuta alla fonte, prevede la possibilità di imputare all’imposta dovuta in quest’altro Stato membro l’onere addebitato ai sensi del dispositivo censurato, occorra tener conto di tale convenzione per valutare la compatibilità del detto dispositivo con il principio della libertà di stabilimento.

3)      Se, nell’ipotesi in cui sia accolta la seconda parte dell’alternativa [di cui alla seconda questione], l’esistenza della suddetta convenzione sia sufficiente a far considerare il dispositivo censurato come un mero meccanismo di ripartizione della materia imponibile tra i due Stati interessati, privo di incidenza per le imprese, o se l’eventualità che per una società madre non avente sede in Francia risulti impossibile procedere all’imputazione prevista dalla convenzione debba indurre a considerare tale dispositivo come una violazione del principio della libertà di stabilimento».

 Sulle questioni pregiudiziali

17     In via preliminare, occorre osservare che la controversia nella causa principale verte su fatti anteriori all’adozione della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6). Di conseguenza, le risposte alle questioni pregiudiziali si fonderanno unicamente sulle disposizioni pertinenti del Trattato CE.

 Sulla prima questione

18     Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 43 CE osti ad una normativa nazionale che assoggetta ad imposta i dividendi versati da consociate residenti alla società madre stabilita in un altro Stato membro mentre le società madri residenti ne sono quasi totalmente esentate. La prima questione dev’essere dunque intesa nel senso che essa riguarda anche l’art. 48 CE.

19     Si deve rammentare, in limine, che, secondo costante giurisprudenza, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (v. sentenze 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 19, e 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 28) astenendosi da qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza (v. sentenze 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 16; 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, Racc. pag. I-2651, punto 19, e 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I-1727, punto 37).

20     Orbene, la libertà di stabilimento, che l’art. 43 CE riconosce ai cittadini della Comunità e che implica per essi l’accesso alle attività non subordinate ed al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i cittadini di questo, comprende, ai sensi dell’art. 48 CE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità europea, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35, e Keller Holding, cit., punto 29).

21     L’abolizione delle restrizioni della libertà di stabilimento si estende alle restrizioni per la costituzione di agenzie, di succursali o di consociate da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti nel territorio di un altro Stato membro (sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 13, e Royal Bank of Scotland, cit., punto 22).

22     Per quanto riguarda le società, è importante rilevare che la loro sede, ai sensi dell’art. 48 CE, serve a determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato (v. sentenza Metallgesellschaft e a., cit., punto 42 e giurisprudenza citata). Ammettere che lo Stato membro di stabilimento della consociata residente possa liberamente riservarle un trattamento diverso per il solo fatto che la sede della società madre si trova in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l’art. 43 CE (v., in tal senso, sentenze Commissione/Francia, cit., punto 18; 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13; Metallgesellschaft e a., cit., punto 42, e 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 37). La libertà di stabilimento mira così a garantire il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante della consociata vietando qualsiasi discriminazione, anche minima, fondata sul luogo in cui si trova la sede delle società (v., in tal senso, citate sentenze Commissione/Francia, punto 14, e Saint-Gobain ZN, punto 35).

23     È vero che la Corte ha già dichiarato che, nel diritto tributario, la residenza dei contribuenti può rappresentare un fattore che può giustificare norme nazionali che comportano un diverso trattamento tra contribuenti residenti e non residenti (sentenza Marks & Spencer, cit., punto 37).

24     Un diverso trattamento tra contribuenti residenti e non residenti non può quindi essere qualificato, di per sé, quale discriminazione ai sensi del Trattato (v., in questo senso, sentenza Wielockx, cit., punto 19).

25     Tuttavia una disparità di trattamento tra queste due categorie di contribuenti dev’essere qualificata quale discriminazione ai sensi del Trattato quando non sussiste alcuna obiettiva diversità di situazione tale da giustificare la detta disparità di trattamento (v., in tal senso, citate sentenze Schumacker, punti 36-38 e Royal Bank of Scotland, punto 27).

26     Nella fattispecie, deriva dalla legislazione nazionale controversa nella causa principale, indipendentemente dall’incidenza della Convenzione franco-olandese, un differente regime fiscale dei dividendi versati dalla consociata residente alla società madre, a seconda che quest’ultima sia o meno residente.

27     Infatti, mentre le società madri residenti hanno la possibilità di beneficiare di un’esenzione quasi totale sui dividendi riscossi, le società madri non residenti sono invece assoggettate ad un’imposizione per mezzo di una ritenuta alla fonte pari al 25% dell’importo dei dividendi distribuiti.

28     Pertanto, in virtù della normativa francese, i dividendi versati alle società madri non residenti, a differenza di quelli versati alle società madri residenti, sono oggetto di un’imposizione a catena, in quanto, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 16-18 delle sue conclusioni, tali dividendi sono tassati, una prima volta, a titolo di imposta sulle società a carico della consociata residente che li distribuisce e, una seconda volta, a titolo di ritenuta alla fonte cui è assoggettata la società madre non residente beneficiaria di tali dividendi.

29     Una tale differenza di trattamento fiscale dei dividendi tra società madri, in relazione al luogo in cui si trova la loro sede, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, in linea di principio vietata dagli artt. 43 CE e 48 CE.

30     La norma tributaria in questione, infatti, scoraggia l’esercizio della libertà di stabilimento da parte delle società stabilite in altri Stati membri, le quali potrebbero di conseguenza rinunciare all’acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nello Stato membro che emana tale norma (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, Racc. pag. I-11779, punto 32, e Keller Holding, cit., punto 35).

31     Tuttavia, il governo francese fa valere che la possibilità di beneficiare di un’esenzione quasi totale sui dividendi è egualmente data alle società madri non residenti che dispongono di un centro di attività stabile in Francia. Orbene, riguardo a un dispositivo di trattenuta alla fonte quale quello controverso nella causa principale, la situazione delle società madri non residenti che non dispongono di un centro di attività stabile in Francia non sarebbe analoga a quella di società madri residenti ovvero non residenti aventi un centro di attività stabile in Francia.

32     Il governo francese aggiunge che, conformemente al principio di territorialità, l’esenzione sui dividendi versati da consociate residenti a società madri non residenti che non dispongono di un centro di attività stabile in Francia consentirebbe a queste ultime di sfuggire, in Francia o nei Paesi Bassi, a qualsiasi imposizione su tali redditi, e porrebbe nuovamente in forse la ripartizione delle competenze fiscali tra la Repubblica francese ed il Regno dei Paesi Bassi.

33     Tali argomenti non possono essere accolti.

34     È vero che, con riguardo ai provvedimenti adottati da uno Stato membro al fine di prevenire o attenuare l’imposizione a catena ovvero la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società residente, gli azionisti beneficiari residenti non si trovano necessariamente in una situazione analoga a quella di azionisti beneficiari che risiedono in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punti 57-65).

35     Tuttavia, a partire dal momento in cui uno Stato membro, in modo unilaterale o per via di accordi, assoggetti all’imposta sul reddito non soltanto gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che essi percepiscono da una società residente, la situazione di tali azionisti non residenti si avvicina a quella degli azionisti residenti (sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punto 68).

36     Nella fattispecie, per quanto riguarda la tassazione, in Francia, dei dividendi distribuiti dalle consociate residenti, le società madri beneficiarie si trovano in una situazione analoga, percepiscano esse i detti dividendi quali società madri residenti o quali società madri non residenti, ma aventi un centro di attività stabile in Francia, ovvero quali società madri non residenti che non dispongono di un centro di attività stabile in Francia. Infatti, in tutte queste ipotesi, la Repubblica francese sottopone ad imposta i dividendi percepiti da una società residente.

37     In proposito occorre considerare che l’esenzione sui dividendi, a vantaggio delle società madri residenti, mira a prevenire un’imposizione a catena degli utili delle consociate distribuiti alle società madri di queste ultime sotto forma di dividendi. Orbene, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 22 delle sue conclusioni, dato che la Repubblica francese ha scelto di preservare i suoi residenti da una tale imposizione, essa deve estendere tale provvedimento anche ai non residenti in quanto un’imposizione analoga, che colpisca i non residenti, deriva dall’esercizio della sua competenza fiscale su questi ultimi (v., in tal senso, sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punto 70).

38     In tale contesto, il meccanismo della ritenuta alla fonte applicabile solo ai dividendi versati dalle consociate residenti alle società madri non residenti che non dispongono di un centro di attività stabile in Francia non può essere giustificato dalla necessità di impedire a tali società di sfuggire a qualsiasi imposizione su tali dividendi, in Francia e nei Paesi Bassi, poiché neppure le società madri residenti sono assoggettate ad una tassazione ulteriore che colpisca i detti dividendi.

39     Negando alle società madri non residenti il trattamento fiscale nazionale, più vantaggioso, concesso alle società madri residenti, la normativa nazionale controversa nella causa principale costituisce una misura discriminatoria incompatibile con il Trattato in quanto prevede un’imposizione dei dividendi versati da consociate residenti alle società madri olandesi più gravosa rispetto a quella prevista sui medesimi dividendi versati a società madri francesi.

40     Dal momento che il governo francese non ha fatto valere altri motivi di giustificazione, occorre rilevare che le disposizioni nazionali controverse nella causa principale costituiscono misure discriminatorie, in ragione del luogo in cui si trova la sede delle società madri, in Francia o in un altro Stato membro, contrarie agli artt. 43 CE e 48 CE.

41     Di conseguenza, occorre risolvere la prima questione dichiarando che gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che, in quanto fa gravare l’onere di un’imposizione sui dividendi su una società madre non residente, mentre ne dispensa quasi totalmente le società madri residenti, costituisce una restrizione discriminatoria alla libertà di stabilimento.

 Sulla seconda e sulla terza questione

42     Con la seconda e con la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la soluzione alla prima questione possa risultare diversa dato che, in forza della Convenzione franco-olandese, la società madre con sede nei Paesi Bassi può, in via di principio, imputare all’imposta da essa dovuta in tale Stato quella riscossa in Francia e che, pertanto, la ritenuta alla fonte discende semplicemente dalla ripartizione delle competenze fiscali tra gli Stati membri interessati, ripartizione che non può essere censurata sotto il profilo degli artt. 43 CE e 48 CE, quand’anche fosse impossibile alla società madre avente sede nei Paesi Bassi procedere all’imputazione prevista dalla detta Convenzione.

43     Al riguardo occorre anzitutto ricordare che, in mancanza di misure di armonizzazione comunitaria o di convenzioni concluse tra tutti gli Stati membri ai sensi dell’art. 293, secondo trattino, CE, è ancora compito degli Stati membri determinare i criteri d’imposizione sui redditi al fine di eliminare, se del caso mediante convenzioni, le doppie imposizioni. In tale contesto gli Stati membri sono liberi, nell’ambito delle convenzioni bilaterali concluse al fine di evitare la doppia imposizione, di stabilire gli elementi di collegamento per la ripartizione della competenza fiscale (v., in tal senso, sentenze Saint-Gobain ZN, cit., punto 57, e 19 gennaio 2006, causa C-265/04, Bouanich, Racc. pag. I-923, punto 49).

44     Ciò non toglie che, per quanto concerne l’esercizio del potere impositivo così ripartito, gli Stati membri non possono esimersi dal rispettare le norme comunitarie, avuto riguardo al principio ricordato al punto 19 della presente sentenza (sentenza Saint-Gobain ZN, cit., punto 58). In particolare, tale ripartizione della competenza fiscale non legittima gli Stati membri ad introdurre una discriminazione contraria alle regole comunitarie (sentenza Bouanich, cit., punto 50).

45     Nella specie, dato che il regime fiscale derivante dalla convenzione franco-olandese è parte del contesto normativo applicabile alla causa principale ed è stato definito tale dal giudice del rinvio, la Corte deve tenerne conto per fornire a quest’ultimo un’interpretazione del diritto comunitario che gli sia utile (v., in tal senso, sentenze 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 21; Bouanich, cit., punto 51, e Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit., punto 71).

46     Per quanto riguarda il trattamento fiscale derivante dalla Convenzione franco-olandese, occorre ricordare che una società non residente, quale la Denkavit Internationaal, è in linea di massima autorizzata, in forza di tale Convenzione, ad imputare all’imposta da essa dovuta nei Paesi Bassi la ritenuta alla fonte del 5% riscossa sui dividendi di fonte francese. La suddetta imputazione non può tuttavia superare l’importo dell’imposta olandese normalmente dovuta su tali dividendi. Orbene, è pacifico che le società madri olandesi sono dispensate, dal Regno dei Paesi Bassi, dall’imposta sui dividendi di fonte straniera, e quindi di fonte francese, cosicché non è accordata nessuna riduzione a titolo di ritenuta alla fonte francese.

47     È giocoforza constatare che l’applicazione combinata della Convenzione franco-olandese e della legislazione olandese pertinente non permette di neutralizzare gli effetti della restrizione alla libertà di stabilimento rilevata nell’ambito della soluzione alla prima questione.

48     Infatti, in base alla Convenzione franco-olandese e alla normativa olandese pertinente, una società madre stabilita nei Paesi Bassi che percepisce dividendi da una consociata stabilita in Francia è soggetta ad un’imposizione mediante prelievo alla fonte, fissato, per la verità, da tale Convenzione entro il massimale del 5% dell’importo dei dividendi interessati, mentre una società madre stabilita in Francia, come è stato rilevato al punto 4 della presente sentenza, ne è quasi totalmente esentata.

49     Qualunque sia la sua portata, la disparità di trattamento fiscale risultante dall’applicazione della Convenzione e dalla normativa di legge costituisce una discriminazione a sfavore delle società madri in ragione del luogo in cui si trova la loro sede, incompatibile con la libertà di stabilimento garantita dal Trattato.

50     Infatti, anche una limitazione della libertà di stabilimento di esigua portata o d’importanza minore è vietata dall’art. 43 CE (v., in tal senso, sentenze Commissione/Francia, cit., punto 21; 15 febbraio 2000, causa C-34/98, Commissione/Francia, Racc. pag. I-995, punto 49, e 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, Racc. pag. I-2409, punto 43).

51     A tal proposito, il governo francese fa valere che, in base ai principi sanciti dal diritto fiscale internazionale e così come risulta dalla Convenzione franco-olandese, spetta allo Stato di residenza del contribuente e non a quello della fonte dei redditi tassati correggere gli effetti della doppia imposizione.

52     Tale argomento non può essere accolto in quanto privo di rilevanza nel presente contesto.

53     Infatti, la Repubblica francese non può invocare la Convenzione franco-olandese per sfuggire agli obblighi su di essa incombenti in forza del Trattato (v., in tal senso, sentenza 28 gennaio 1986, Commissione/Francia, cit., punto 26).

54     Orbene, l’applicazione congiunta della Convenzione franco-olandese e della legislazione olandese pertinente non consente di evitare l’imposizione a catena alla quale è assoggettata, a differenza di una società madre residente, una società madre non residente e pertanto di neutralizzare gli effetti della restrizione alla libertà di stabilimento rilevata nell’ambito della soluzione della prima questione proposta, come accertato ai punti 46-48 della presente sentenza.

55     Infatti, mentre le società madri residenti beneficiano di un regime fiscale che permette loro di evitare un’imposizione a catena, come è stato ricordato al punto 37 della presente sentenza, le società madri non residenti sono al contrario assoggettate a una siffatta imposizione sui dividendi distribuiti dalle loro consociate stabilite in Francia.

56     Pertanto, occorre risolvere la seconda e la terza questione dichiarando che gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che preveda, solo per le società madri non residenti, un’imposizione mediante ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalle consociate residenti, quand’anche una convenzione fiscale tra lo Stato membro interessato ed un altro Stato membro, che autorizza tale ritenuta alla fonte, preveda la possibilità di imputare all’imposta dovuta in tale altro Stato l’onere sostenuto in base a tale normativa nazionale, quando una società madre versa nell’impossibilità, in quest’ultimo Stato, di procedere all’imputazione prevista dalla detta convenzione.

 Sulle spese

57     Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa nazionale che, in quanto fa gravare l’onere di un’imposizione sui dividendi su una società madre non residente, mentre ne dispensa quasi totalmente le società madri residenti, costituisce una restrizione discriminatoria alla libertà di stabilimento.

2)      Gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una normativa nazionale che preveda, solo per le società madri non residenti, un’imposizione mediante ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalle consociate residenti, quand’anche una convenzione fiscale tra lo Stato membro interessato ed un altro Stato membro, che autorizza tale ritenuta alla fonte, preveda la possibilità di imputare all’imposta dovuta in tale altro Stato l’onere sostenuto in base a tale normativa nazionale, quando una società madre versa nell’impossibilità, in quest’ultimo Stato, di procedere all’imputazione prevista dalla detta convenzione.

Firme


* Lingua processuale: il francese.